Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Popoli e politiche

I frutti acidi del berlusconismo: “Se l’Italia non trova più un investitore che voglia rischiare i suoi soldi imprestandoli all’Italia a tassi convenienti, il coro della finanza mondiale e dei suoi sicofanti nazionali sarà: “Privatizzate” che tradotto in latino vuol dire “vendete a buon prezzo per gli stranieri”.

Attacco degli hedge fund Usa contro l’euro e delle banche contro Grecia, Spagna e Italia-blitzquotidiano.it

Dalle segrete stanze della grande finanza americana è partita una nuova guerra contro l’Europa. Secondo il quotidiano Wall Street Journal di venerdì 26 febbraio, i maggiori hedge fund americani stanno scommettendo alla grande e di concerto sulla debolezza dell’euro. I colossi del Sac Capital Advisors e il Soros Fund Management sarebbero in prima fila nello sviluppo di questa azione speculativa. E il nome di Soros rimanda alla grande speculazione che aggredì la sterlina nel 1992.

L’attacco alla moneta unica europea (dei grandi, solo la Gran Bretagna non aderisce all’euro) sembra rientrare in un disegno globale del grande capitalismo americano, che operando come un gigantesco granchio, con l’altra chela ha aggredito la credibilità (i tecnici la chiamano rating) dei paesi deboli: Grecia, Spagna, Italia.

Questi paesi sono stati aiutati, dalle grandi banche americane, le stesse che sono all’origine della grande crisi iniziata nel 2008 e che ci fa soffrire ancora oggi, a taroccare i propri conti nascondendo le reali dimensioni dei propri debiti per entrare a testa alta nell’euro, senza essere costretti a misure feroci di risparmio, altamente impopolari.

Che le misure di rientro del debito siano ferocemente osteggiate dai cittadini lo dimostrano i disordini che tormentano in questi giorni proprio la Grecia. Che sotto ci possa essere una manovra studiata a tavolino e non solo crudeltà, spietatezza e cinismo da parte dei banchieri trova sostegno in un ragionamento che chiunque può fare. I paesi deboli, quelli del “ventre molle” dell’Europa, tra cui l’Italia, conservano alcune attività tra le più redditizie in società controllate dallo Stato. In Italia le tre principali sono Eni, Enel e Finmeccanica. L’interesse dei partiti che controllano lo Stato perché lo Stato tenga in pugno i cordoni di controllo di quante più industrie possibile è dimostrato abbastanza chiaramente ad ogni scandalo che si abbatte su politica e dintorni. L’ultimo esempio viene dalla Protezione civile.

L’interesse del grande capitale americano, che domina la finanza mondiale, in una crisi della capacità di indebitamento di un paese come l’Italia sono altrettanto evidenti: se l’Italia non trova più un investitore che voglia rischiare i suoi soldi imprestandoli all’Italia a tassi convenienti, il coro della finanza mondiale e dei suoi sicofanti nazionali sarà: “Privatizzate” che tradotto in latino vuol dire “vendete a buon prezzo per gli stranieri”. E di bocconi buoni, come s’è visto, ce ne sono ancora.

Sul fronte dell’attacco all’euro, il Wall Street Jourrnal riporta importanti indiscrezioni raccolte durante un esclusivo incontro ospitato da una banca di investimenti a Manhattan: l’”idea dinner” della serata era per l’appunto scommettere sul probabile collasso dell’euro, in previsione di un suo riavvicinamento al dollaro, se non sulla loro parità. L’euro, che veniva scambiato a 1,51 dollari a dicembre, è sceso attualmente 1,355 e le recenti crisi dei debiti sovrani europei ne accentuano la caduta.

Secondo il quotidiano newyorkese i vertici degli hedge fund avrebbero deciso di concordare una serie di mosse per speculare al ribasso sulla moneta unica, mettendo così ancora più sotto pressione l’Europa alle prese con i rischi di un default greco. La prova che il quotidiano porta a supporto del suo scoop è il livello record di contratti futures ribassisti sulla moneta unica (che garantiscono un premio in caso la valuta scenda oltre una certa soglia) acquistati a partire dalla settimana successiva alla cena: circa 60mila secondo dati Morgan Stanley. Si tratta del livello più alto dal 1999.

La previsione della parità tra le valute americane e europee è un’occasione unica per gli investitori per realizzare enormi profitti. Il gioco al ribasso dei trader segnala una tendenza: e se tutti gli investitori seguono questa dinamica sono guai. La convergenza speculativa su un’unica valuta può addirittura affossarla a dispetto di fondamentali economici sostanzialmente sani. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

“Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.”

C’erano una spagnola, una svizzera e una cinese. Tre modi di vivere la Crisi
di Loretta Napoleoni – lanapoleoni.ilcannocchiale.it.

A un anno dallo scoppio della crisi, l’impatto della recessione altera il bilancio familiare e costringe le famiglie a modificare il livello di vita. Questo processo varia da paese a paese in funzione dell’impatto che la recessione ha sull’economia nazionale.
Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.

Gli spagnoli si trovano nella situazione peggiore. Spagna e Irlanda sono le economie europee maggiormente colpite dalla recessione e questo perche’ negli ultimi 10 anni hanno abbracciato in toto il modello neo-liberista. Questo e’ stato l’artefice di una crescita fittizia che ha proiettato questi due paesi nella rosa di quelli maggiormente industrializzati creando la bolla immobiliare. In Spagna poi il boom del turismo di massa l’ha ulteriormente gonfiata. E’ quindi facile intuire perche’ il tasso di disoccupazione spagnolo sta per superare il 20%, una cifra da grande depressione, segue a ruota quello irlandese pari al 15%.

Anche se gli emigranti dell’area del Magreb – gente che ha lasciato la famiglia nel nord Africa e che quindi possiede una mobilita’ del lavoro molto elevata – incidono sul numero di disoccupati spagnoli, il problema dell’occupazione rimane centrale all’economia della famiglia. Gran parte dei nuovi disoccupati finiscono per essere mantenuti da quella d’origine: i piu’ giovani tornano a vivere a casa e le coppie vengono aiutate economicamente dai genitori. Questo processo impoverisce la popolazione e allo stesso tempo erode le riserve di risparmio della famiglia. Tutto cio’ porta alla caduta dei livelli di benessere. I dati della bilancia dei pagamenti spagnola ce lo confermano.

A luglio il deficit della bilancia commerciale e’ sceso a 2 mila miliardi di euro da piu’ di 7 mila appena un anno prima. Negli anni della grande crescita corrispondeva al 10% del Pil, oggi si sta velocemente riducendo al punto che entro il primo trimestre del 2010 la bilancia dovrebbe andare in pareggio. A monte c’e’ una forte contrazione delle importazioni. Se si considera che durante gli ultimi 12 mesi le esportazioni sono aumentate ci accorgiamo che la famiglia media spagnola sta riducendo drasticamente i propri consumi.

La disoccupazione riduce anche la domanda di nuovi alloggi, se ne vedono a centinaia di migliaia, tutti vuoti, nei nuovi quartieri alla periferia delle citta’ spagnole. La stagnazione del mercato immobiliare ha ripercussioni serie sul credito nazionale. La gran parte dei non performing loans NPL, i mutui non pagati, appartiene a questo settore. Si tratta di piu’ di 80 miliardi di euro, di cui circa un 70% sono stati ristrutturati e dovranno presto essere ripagati. Ancora piu’ preoccupante e’ il totale di crediti accumulato dal settore immobiliare spagnolo: 470 miliardi di euro, pari al 50% del Pil del paese. Di questi circa 320 miliardi di euro sono stati accesi per costruire immobili commerciali: uffici, negozi, cinema e centri commerciali. Se la famiglia spagnola non riprende a spendere questi mutui andranno ad aumentare i NPL delle banche e ci sara’ sempre meno liquidita’ per l’impresa e la famiglia.

In Svizzera, invece, la situazione e’ ben diversa. La recessione e’ stata meno seria di quanto ci si aspettasse al punto che il paese soffre meno della vicina Germania il suo partner commerciale piu’ importante. La contrazione delle esportazioni e la crisi finanziaria, con in testa le due maggiori banche la UBS e il Credit Suisse, hanno fiaccato l’economia. Ma la reputazione del paese, quale centro bancario internazionale, ha retto bene e le aspettative per il 2010 sono per una modesta crescita, pari allo 0.5%. E questa ripresa sara’ guidata proprio dal settore finanziario.

Molti addirittura credono che nel lungo periodo la crisi del credito sara’ positiva per la Svizzera perche’ rafforzera’ la solidita’ delle banche. I valori del NPL rispetto al totale dei prestiti sono scesi sotto l’1%, segno che il sistema e’ solido. Questi dati dovrebbero facilitare la penetrazione dei mercati esteri, condizione importantissima affinche’ il paese continui a crescere. A quanto pare la crisis del credito ha fatto crollare la fiducia nei confronti del settore bancario americano e britannico, i due principali rivali di quello Svizzero. Secondo il WEF Competitive Network, che compila una lista mondiale della competitivita’ dei settori finanziari, l’America e’ scesa a quota 108, al pari della Tanzania. La Svizzera ha retto ed si e’ stabilizzata al 44esimo posto mentre le banche inglesi sono precipitate al 126esimo.

E’ facile capire perche’ l’impatto economico della recessione sulla famiglia media svizzera e’ stato quasi nullo. Le spese non sono cambiate anche perche’ la disoccupazione rimane relativamente bassa rispetto al resto dell’Europa, 4,1% quando un anno fa’ era di 3,4%. Gli indicatori economici ci dicono che a sostenere l’economia e’ stata la domanda interna che e’ rimasta stabile, i consumi e l’investimento immobiliare che non sono crollati come in altri paesi ma si sono mantenuti a livelli medio alti. L’impatto psicologico invece c’e’ stato e ce ne accorgiamo quotidianamente. Nel paese si risparmia di piu’.

Dall’altra parte del mondo, in Cina, la crisi si e’ diventata fonte di grandi opportunita’. La famiglia media cinese oggi vive meglio che un anno o due anni fa’ perche’ ha piu’ denaro a disposizione. Il pacchetto di stimoli lanciato dal governo all’indomani del crollo della Lehman Brothers ha sostenuto la domanda interna, al punto che questa e’ riuscita a compensare la caduta di quella estera. Lo stato ha aperto linee di credito a tassi vantaggiosissimi per chi viveva in campagna e voleva acquistare beni di consumo durevoli, dalle lavatrici ai televisori al plasma. La domanda di piccole autovetture nelle campagne, ad esempio, e’ cresciuta al punto che la Cina oggi acquista piu’ macchine degli Stati Uniti. A giugno piu’ di un milione di nuove vetture hanno lasciato i concessionari, pari a un aumento del 36% rispetto all’anno precedente. E questo senza un programma di rottamazione simile a quello occidentale.

L’economia cinese si e’ contratta solo nel quarto trimestre del 2009 per poi riprendere a crescere subito dopo. Il governo ha immesso ingenti quantita’ di denaro nel circuito delle banche e le ha incoraggiate a concedere prestiti a chi ne avesse bisogno. Le prime ad attingere a questo credito sono state le piccole e medie imprese. Questa strategia e’ stata possibile perche’ la Cina negli ultimi quindici anni ha accumulato riserve monetarie ingenti che ammontano a piu’ di 2 mila miliardi di dollari, le piu’ alte al mondo. Allo stesso tempo il settore bancario e’ arrivato alla crisi con livelli di indebitamento bassissimi. I valori dei NPL sono tali da permettere alle banche di alzare la soglia del rischio, alla fine del 2009 ammonteranno a meno del 4% del Pil del paese.

La famiglia media cinese non si e’ quindi neppure resa conto della recessione che c’e’ stata solo per un brevissimo periodo di tempo. La disoccupazione, che rimane bassa, e’ aumentata nel 2007 e parte del 2008 tra i lavoratori migranti, quelli che lasciano le campagne per cercare lavoro nelle zone industriali speciali del sud del paese e in quelle a ridosso di Pechino e Shanghai. A far cadere l’occupazione non e’ stata la recessione a le imprese straniere che si sono de localizzate a seguito della nuova legislazione del lavoro che protegge maggiormente la manodopera cinese dallo sfruttamento dell’impresa. Lo stato e’ riuscito ad assorbire gran parte di questa manodopera impiegandola in lavoro pubblici di ogni tipo, dalla pulizia delle facciate dei palazzi di Shanghai alla costruzione di una nuova ed efficientissima rete ferroviaria.

Tre storie e tre realta’ diverse che ci ricordano quanto sia importante la protezione dello stato dagli abusi di ogni tipo, non solo quelli finanziari. Il mercato funziona, su questo non c’e’ dubbio, ma come tutti i meccanismi economici non e’ infallibile e quando sbaglia le conseguenze ricadono sulla societa’. Lo stato deve essere sempre pronto a proteggerci da questi cataclismi. (Beh, buona giornata).

(tratto da il Caffè-Link: http://lanapoleoni.ilcannocchiale.it/2009/10/22/crisi_e_famiglie.html.)

Share
Categorie
Attualità democrazia

“Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani.”

Elezioni/ Berlusconi primo ma non vince: il 35 per cento non sconfigge il governo ma smentita il leader, ed è colpa sua. Le vittorie della Lega e Di Pietro, il Pd salva la pelle, la sinistra suicida, il miracolo di Casini. In Europa il giorno nero dei socialisti, il vento di destra. E quel seggio che si inchina a Noemi. di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

La sorpresa c’è stata: Berlusconi arriva primo ma non vince. Quel 35 per cento è più di quanto abbia raccolto ogni altro partito, ma è poco. E che sia per tutti, lui compreso, poco, proprio poco, è scelta, responsabilità e colpa proprio sua, di Berlusconi.

Tecnicamente è andata così: agli astenuti per stanchezza e sfinimento, malattie tipiche e in certa misura ormai croniche dell’elettorato di centro sinistra, stavolta si sono aggiunti gli astenuti per indigestione e inappetenza. Due malesseri, due indisposizioni forse momentanee e forse no che hanno colto un bel po’ di elettorato di centro destra. Indigestione da premier troppo pimpante, troppo narrante, troppo promettente, troppo tutto… E inappetenza, voglia un po’ calcolata e un po’ casuale di metterlo a moderata dieta di consensi questo premier già autoproclamatosi “santo” e non normale uomo della politica e della storia.

Tecnicamente dunque Berlusconi è stato fermato dall’astensione, stavolta dall’astensione anche della sua gente. Un danno, ma niente di più grave di un’ammaccattura. Se non fosse che altro e più grave danno ha subito Berlusconi: la smentita. I risultati infatti smentiscono non la sua forza ma la sua narrazione. Aveva narrato non solo di altre percentuali, 40 e passa per cento, aveva narrato di un’Italia pronta a risarcirlo in massa delle offese subite. Di un’Italia che faceva ressa ansiosa non per confermarlo premier ma per innalzarlo più in alto, sempre più in alto. Aveva chiesto più voti contro il Parlamento lento e inutile, contro la stampa, i giudici, contro tutto ciò che fa ragine alla sua azione salvifica del paese. Li aveva chiesti questi voti e non li ha avuti, alla sua potente narrazione crede un italiano su tre. Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani. La sua insomma è la voce più forte che c’è, ma non è la voce narrante dell’Italia.

C’è stata la vittoria, anzi ce ne sono state due. Quella della Lega e quella di Di Pietro. Sommandole, se ne deduce che il 20 per cento degli elettori vogliono, fortemente vogliono cose impossibili, sognano e chiedono choc sociali. Vogliono la fine dell’immigrazione, l’esenzione non solo dalla crisi economica ma anche dalla riconversione di abitudini sociali ed economiche senza le quali dalla crisi non si esce, l’abolizione per decreto o per frontiera della globalizzazione…Oppure la defenestrazione, l’impeachement giudiziario di Berlusconi, un “Grande Processo” che purifichi l’Italia…E’ la volontà e la voglia di un bel pezzo, anzi di due pezzi crescenti di elettorato, sono due voglie entrambe “matte”. Cioè tanto incontenibili quanto pericolose.

Non c’è stato il funerale, anzi il Pd ha salvato la pelle. Niente di più della pelle, ma tra il restare in vita e chiudere bottega c’è un mare, anzi un oceano di differenza. Sono ancora in tempo a disperderlo quel 26 per cento, quelli che guidano il Pd sono capaci anche di questo. Sarebbero anche in tempo, incredibilmente l’elettorato glielo ha dato ancora il tempo, di diventare una forza riformista davvero. Insomma hanno avuto tempo, che in politica è una forma di “denaro”.

C’è stata la sentenza: hanno disperso e buttato via il 6,5 per cento dei voti. Le due liste di sinistra si sono suicidate non per caso e non per sbaglio. La sentenza è di inaffidabilità politica e culturale, oltre che organizzativa.

C’è stata la conferma: l’Udc di Casini esiste e resiste, anzi avanza. Il centro destra non se la mangia, il centro sinistra non la scalfisce.

Dunque un’Italia alquanto diversa da come lei stessa si aspettava di essere, diversa almeno un po’, più complicata di come veniva narrata dalla versione ufficiale.

E l’Europa? Stanca, illusa, nervosa. Ai governi e ai partiti socialdemocratici non crede più e anzi di loro non sa più tanto bene che farsene. Paga dazio Zapatero, anche se in fondo resiste, l’Spd tedesca si avvia a mollare il governo, il Labour inglese è annichilito, i socialisti francesi sembrano un vecchio partito comunista. Tengono invece i governi di centro destra nei paesi sociallmente più solidi. In quelli di fragile e recente democrazia invece avanza la destra estrema. Ci si soprende che i ceti popolari e anche il ceto medio sotto la pressione della crisi economica guardino a destra. Non è però un fenomeno nuovo, anzi è una costante della storia. E’ un’Europa stanca di dover cambiare, infinitamente stanca di dover correre il rischio che invece gli americani accettano. Illusa di poter restare come sta. Nervosa perchè in realtà non sa a chi chiedere la garanzia dell’immobilità.

Ultima nota, marginale, casalinga e mortificante: quel seggio dove Noemi arriva scortata dai vigili urbani e dalle forze dell’ordine, l’energumeno che spinge via gli altri elettori in attesa, il presidente di seggio che chiude la porta in faccia ai comuni cittadini perchè i vip stanno votando. Piccola, grande scena di un’Italia servile per vocazione, civilmente ignorante e cafona. Una scena triste e avvilente, ma questa, almeno questa, non è certo colpa di Berlusconi. In quel seggio un’Italia eticamente “meridionale” si è mostrata com’è, al naturale. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Lavoro

E’ ufficiale: in Italia stipendi da fame.

Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse. Con un salario netto di 21.374 dollari, l’Italia si colloca al 23/o posto della classifica dei 30 paesi dell’organizzazione di Parigi. Buste paga più pesanti non solo in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia, ma anche Grecia e Spagna. E’ quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato.

La classifica riguarda il salario netto annuale di un lavoratore senza carichi di famiglia. E’ calcolato in dollari a parità di potere d’acquisto. Gli italiani guadagnano mediamente il 17% in meno della media Ocse. Salari italiani penalizzati anche se il raffronto viene fatto con la Ue a 15 (27.793 di media) e con la Ue a 19 (24.552). Beh, buona giornata.

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: