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democrazia Politica Società e costume

Grande il consenso verso Monti, ma i problemi che deve affrontare sono ancora più grandi.

Pdl al 24%. L’Udc vola al 10%, il Pd oltre il 29%. Il consenso personale del Professore, secondo i dati Demos, raggiunge addirittura l’84 per cento. Ok anche dal 60 per cento degli elettori leghisti. Due su tre considerano il nuovo esecutivo una “eccezione democratica”, ma per l’80 per cento deve durare fino a fine legislatura
di ILVO DIAMANTI-repubblica.it

(……) Da ciò derivano i rischi, per questo governo e per Monti. Accolti dal più elevato livello di fiducia misurato nell’era dei sondaggi.
1) Perché attese tanto elevate espongono alla delusione e alla frustrazione. Suscitano impazienza. Mentre problemi tanto seri – che hanno radici lontane e aggravati nel corso dei decenni – non si risolvono in tempi brevi. Né possono produrre effetti visibili immediati.
2) Perché problemi tanto seri richiederanno costi sociali elevati. Ed è difficile giustificare costi sociali elevati senza effetti sociali ed economici visibili, nel breve periodo.
3) Perché, quando si parte dall’80%, anche il 70% di fiducia rischia di apparire un “calo” di consensi.
4) Perché questo governo “tecnico” ha compiti profondamente “politici” e dipende dal consenso “politico” di un Parlamento dove operano partiti deboli (anche se in diversa misura).
5) Perché, infine, ci siamo lasciati alle spalle la Seconda Repubblica, ma (per citare Berselli) di fronte c’è una “Repubblica indistinta”. Il governo tecnico, guidato da Monti, non può disegnarne il modello istituzionale. Non è suo compito. D’altronde, un’eccezione democratica non può diventare normale. Può, tuttavia, proporre almeno un diverso stile di governo e di comportamento “personale”. Traghettarci oltre la “politica pop”. In una Terra dove la competenza e la decenza abbiano cittadinanza. (Beh, buona giornata)

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Attualità

Il premier ha deciso: faccio campagna elettorale per le europee. Allarme sondaggi?

AGI-Roma, 21:21

EUROPEE: BERLUSCONI, VOTO A PICCOLI SPRECATO; A PD E’ AL BUIO
Silvio Berlusconi, dagli schermi di E’Tv, fa un appello ai cittadini a votare per il Pdl alle elezioni europee di giugno. Perche’, spiega, se il Pdl otterra’ molti consensi potra’ “incidere sulle decisioni” assunte a Bruxelles. Quindi, “serve un voto compatto per il Pdl – insiste – mentre tutti i voti dati ai piccoli partiti sono voti sprecati perche’ non raggiungeranno lo sbarramento del 4%”. Ma non bisogna votare nemmeno la sinistra, “perche’ i voti a sinistra sono voti al buio” in quanto “la sinistra e’ divisa su tutto, e’ senza una guida e senza un programma”. E poi, “la dice tutta il fatto che il Pd non ha nemmeno ancora deciso in quale gruppo si siedera’. Quindi, ha gia’ deciso che non contera’ nulla in Europa”. Per questo, ribadisce Berlusconi, “anche il voto a sinistra non avra’ seguito, non arrivera’ a difendere gli interessi degli italiani”.(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Società e costume

L’intervista all’ex fidanzato della fanciulla che chiama papi il premier: un colpo durissimo al consenso in vista delle elezioni.

Parla Gino, l’ex fidanzato della ragazza di Portici. La prima telefonata del Cavaliere: “Sono colpito dal tuo viso angelico”. “Così papi Berlusconi entrò nella vita di Noemi” di GIUSEPPE D’AVANZO e CONCHITA SANNINO-la Repubblica

NAPOLI – Il 14 maggio Repubblica ha rivolto al presidente del consiglio dieci domande che apparivano necessarie dinanzi alle incoerenze di un “caso politico”. Veronica Lario, infatti, ha proposto all’opinione pubblica e alle élites dirigenti del Paese due affermazioni e una domanda che hanno rimosso dal discreto perimetro privato un “affare di famiglia” per farne “affare pubblico”. Le due, allarmanti certezze della moglie del premier – lo ricordiamo – descrivono i comportamenti del presidente del Consiglio: “Mio marito frequenta minorenni”; “Mio marito non sta bene”.

Al contrario, la domanda posta dalla signora Lario – se ne può convenire – è crudamente politica e mostra le pratiche del “potere” di Silvio Berlusconi, pericolosamente degradate quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate “veline” senza altro merito che un bell’aspetto e l’amicizia con il premier, legami nati non si sa quando, non si sa come. “Ciarpame politico” dice la moglie del premier.
Silvio Berlusconi non ha ritenuto di rispondere ad alcuna delle domande di Repubblica.

E, dopo dieci giorni, Repubblica prova qui a offrire qualche traccia e testimonianza per risolvere almeno alcuni dei quesiti proposti. Per farlo bisogna raggiungere Napoli, una piccola fabbrica di corso San Giovanni e poi un appartamento, allegramente affollato di amici, nel popolare quartiere del Vasto a ridosso dei grattacieli del Centro Direzionale. Sono i luoghi di vita e di lavoro di Gino Flaminio.

Gino, 22 anni, operaio, una passione per la kickboxing, è stato per sedici mesi (dal 28 agosto del 2007 al 10 gennaio del 2009) l'”amore” di Noemi Letizia, la minorenne di cui il premier ha voluto festeggiare il diciottesimo anno in un ristorante di Casoria, il 26 aprile. Gino e Noemi si sono divisi, per quel breve, intenso, felice periodo le ore, i sogni, il fiato, le promesse. “Quando non dormivo da lei a Portici – è capitato una ventina di volte – o quando lei non dormiva qui da me, il sabato che non lavoravo mi tiravo su alle sei del mattino per portarle la colazione a letto; poi l’accompagnavo a scuola e ci tornavo poi per riportarla indietro con la mia Yamaha. Lei qualche volta veniva a prendermi in fabbrica, la sera, quando poteva”.

Gino Flaminio è in grado di dire quando e come Silvio Berlusconi è entrato nella vita di Noemi. Come quel “miracolo” (così Gino definisce l’inatteso irrompere del premier) ha cambiato – di Noemi – la vita, i desideri, le ambizioni e più tangibilmente anche il corpo, il volto, le labbra, gli zigomi; in una parola, dice Gino, “i valori”. Il ragazzo può raccontare come quell’ospite inaspettato dal nome così importante che faceva paura anche soltanto a pronunciarlo nel piccolo mondo di gente che duramente si fatica la giornata e un piatto caldo, ha deviato anche la sua di vita. Quieto come chi si è ormai pacificato con quanto è avvenuto, Gino ricorda: “Mi è stato quasi subito chiaro che tra me e la mia memi non poteva andare avanti. Era come pretendere che Britney Spears stesse con il macellaio giù all’angolo…”.

È utile ricordare, a questo punto, che il primo degli enigmi del “caso politico” è proprio questo: come Berlusconi ha conosciuto Noemi, la sua famiglia, il padre Benedetto “Elio” Letizia, la madre Anna Palumbo?
A Berlusconi è capitato di essere inequivocabile con la Stampa (4 maggio): “Io sono amico del padre, punto e basta. Lo giuro!”. Con France2 (6 maggio), il capo del governo è stato ancora più definitivo. Ricordando l’antica amicizia di natura politica con il padre Elio, Berlusconi chiarisce: “Ho avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori. Questo è tutto”.

Un affetto che il presidente del consiglio ha ripetuto ancor più recentemente quando ha presentato Noemi “in società”, per così dire, durante la cena che il governo ha offerto alle “grandi firme” del made in Italy a Villa Madama, il 19 novembre 2008: “È la figlia di miei cari amici di Napoli, è qui a Roma per uno stage” (Repubblica, 21 maggio). All’antico vincolo politico, accenna anche la madre di Noemi, Anna: “[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista”.

Berlusconi, qualche giorno dopo (e prima di essere smentito da Bobo Craxi), conferma. “[Elio] lo conosco da anni, è un vecchio socialista ed era l’autista di Craxi”. (Ansa, 29 aprile, ore 16,34). Più evasiva Noemi: “[Di come è nato il contatto familiare] non ricordo i particolari, queste cose ai miei genitori non le ho chieste”. (Repubblica, 29 aprile). Decisamente inafferrabile e chiuso come un riccio, il padre Elio (ha rifiutato di prendere visione di quest’ultima ricostruzione di Repubblica). Chiedono a Letizia: ci spiega come ha conosciuto Berlusconi? “Non ho alcuna intenzione di farlo” (Oggi, 13 maggio).

Gino ascolta questa noiosa tiritera con un sorriso storto sulle labbra, che non si sa se definire avvilito o sardonico. C’è un attimo di silenzio nella stanza al Vasto, un silenzio lungo, pesante come d’ovatta, rispettato dagli amici che gli stanno accanto; dalla sorella Arianna; dal padre Antonio; dalla madre Anna. È un silenzio che si fa opprimente in quella cucina, fino a un attimo prima rumorosa di risate e grida. La madre, Anna, si incarica di spezzarlo: “Quando un giorno Gino tornò a casa e mi disse che Noemi aveva conosciuto Berlusconi, lo presi in giro, non volli chiedergli nemmeno perché e per come. Mi sembrava ridicolo. Berlusconi dalle nostre parti? E che ci faceva, Berlusconi qui? Ripetevo a Gino: Berlusconi, Berlusconi! (gonfia le guance con sarcasmo). Un po’ ne ridevo, mi sembrava una buffonata di ragazzi”.

Gino la guarda, l’ascolta paziente e finalmente si decide a raccontare:
“I genitori di Noemi non c’entrano niente. Il legame era proprio con lei. È nato tra Berlusconi e Noemi. Mai Noemi mi ha detto che lui, papi Silvio parlava di politica con suo padre, Elio. Non mi risulta proprio. Mai, assolutamente. Vi dico come è cominciata questa storia e dovete sapere che almeno per l’inizio – perché poi quattro, cinque volte ho ascoltato anch’io le telefonate – vi dirò quel che mi ha raccontato Noemi. Il rapporto tra Noemi e il presidente comincia più o meno intorno all’ottobre 2008. Noemi mi ha raccontato di aver fatto alcune foto per un “book” di moda. Lo aveva consegnato a un’agenzia romana, importante – no, il nome non me lo ricordo – di quelle che fanno lavorare le modelle, le ballerine, insomma le agenzie a cui si devono rivolgere le ragazze che vogliono fare spettacolo. Noemi mi dice che, in quell’agenzia di Roma, va Emilio Fede e si porta via questi “book”, mica soltanto quello di Noemi. Non lo so, forse gli servono per i casting delle meteorine. Il fatto è – ripeto, è quello che mi dice Noemi – che, proprio quel giorno, Emilio Fede è a pranzo o a cena – non me lo ricordo – da Berlusconi. Finisce che Fede dimentica quelle foto sul tavolo del presidente. È così che Berlusconi chiama Noemi. Quattro, cinque mesi dopo che il “book” era nelle mani dell’agenzia, dice Noemi. È stato un miracolo, dico sempre. Dunque, dice Noemi che Berlusconi la chiama al telefono. Proprio lui, direttamente. Nessuna segretaria. Nessun centralino. Lui, direttamente. Era pomeriggio, le cinque o le sei del pomeriggio, Noemi stava studiando. Berlusconi le dice che ha visto le foto; le dice che è stato colpito dal suo “viso angelico”, dalla sua “purezza”; le dice che deve conservarsi così com’è, “pura”. Questa fu la prima telefonata, io non c’ero e vi sto dicendo quel che poi mi riferì Noemi, ma le credo. Le cose andarono così perché in altre occasioni io c’ero e Noemi, così per gioco o per convincermi che davvero parlava con Berlusconi, m’allungava il cellulare all’orecchio e anch’io sentii dalla sua voce quella cosa della “purezza”, della “faccia d’angelo”. E poi, una volta, ha aggiunto un’altra cosa del tipo: “Sei una ragazza divina”. Berlusconi, all’inizio, non ha detto a Noemi chi era. In quella prima telefonata, le ha fatto tante domande: quanti anni hai, cosa ti piacerebbe fare, che cosa fanno tua madre e tuo padre? Studi? Che scuola fai? Una lunga telefonata. Ma normale, tranquilla. E poi, quando Noemi si è decisa a chiedergli: “Scusi, ma con tutte queste domande, lei chi è?”, lui prima le ha risposto: “Se te lo dico, non ci credi”. E poi: “Ma non si sente chi sono?”. Quando Noemi me lo raccontò, vi dico la verità, io non ci credevo. Poi, quando ho sentito le altre telefonate e ho potuto ascoltare la sua voce, proprio la sua, di Berlusconi, come potevo non crederci? Noemi mi diceva che era sempre il presidente a chiamarla. Poi, non so se chiamava anche di suo, non me lo diceva e io non lo so. Lei al telefono lo chiamava papi tranquillamente. Anche davanti a me. Magari stavamo insieme, Noemi rispondeva, diceva papi e io capivo che si trattava del presidente. Quando ho assistito ad alcune telefonate tra Berlusconi e Noemi, ho pensato che fosse un rapporto come tra padre e figlia. Una sera, Emilio Fede e Berlusconi – insieme – hanno chiamato Noemi. Lo so perché ero accanto a lei, in auto. Ora non saprei dire perché il presidente le ha passato Emilio Fede, non lo so. Pensai che Fede dovesse preparare dei “provini” per le meteorine, quelle robe lì”. (Ieri, a tarda sera, durante Studio Aperto, Fede ha affermato di aver conosciuto la nonna di Noemi. Repubblica ha chiesto a Gino se, in qualche occasione, Noemi avesse fatto cenno a questa circostanza. “Mai, assolutamente”, è stata la risposta del ragazzo).

“Comunque, quella sera, sentii prima la voce del presidente e poi quella di Emilio Fede – continua Gino – Non voglio essere frainteso o creare confusione in questa tarantella, da cui voglio star lontano. Nelle telefonate che ho sentito io, Berlusconi aveva con Noemi un atteggiamento paterno. Le chiedeva come era andata a scuola, se studiava con impegno, questa roba qui. Io però ho cominciato a fuggire da questa situazione. Non mi piaceva. Non mi piaceva più tutto l’andazzo. Non vedevo più le cose alla luce del giorno, come piacevano a me. Mi sentivo il macellaio giù all’angolo che si era fidanzato con Britney Spears. Come potevo pensare di farcela? Gliel’ho detto a Noemi: questo mondo non mi piace, non credo che da quelle parti ci sia una grande pulizia o rispetto. Mi dispiaceva dirglielo perché io so che Noemi è una ragazza sana, ancora infantile che non si separa mai dal suo orsacchiotto, piccolo, blu, con una croce al collo, “il suo teddy”. Una ragazza tranquilla, semplice, con dei valori. Con i miei stessi valori, almeno fino a un certo punto della nostra storia”.

Intorno a Gino, questo racconto devono averlo già sentito più d’una volta perché ora che il ragazzo ha deciso di raccontare a degli estranei la storia, la tensione è caduta come se la famiglia, i vicini di casa, gli amici già l’avessero sentita in altre occasioni o magari a spizzichi e bocconi. C’è chi si distrae, chi parlotta d’altro, chi parla al telefono, chi si prepara a uscire per il venerdì notte. Gino sembra non accorgersene. Non perde il filo e a tratti pare ricordare, ancora una volta, a se stesso come sono andate le cose.

“Ho cominciato a distaccarmi da Noemi già a dicembre. Però la cosa che proprio non ho mandato giù è stata la lunga vacanza di Capodanno in Sardegna, nella villa di lui. Noemi me lo disse a dicembre che papi l’aveva invitata là. Mi disse: “Posso portare un’amica, un’amica qualunque, non gli importa. Ci saranno altre ragazze”. E lei si è portata Roberta. E poi è rimasta con Roberta per tutto il periodo. Io le ho fatto capire che non mi faceva piacere, ma lei da quell’orecchio non ci sentiva. Così è partita verso il 26-27 dicembre ed è ritornata verso il 4-5 gennaio. Quando è tornata mi ha raccontato tante cose. Che Berlusconi l’aveva trattata bene, a lei e alle amiche. Hanno scherzato, hanno riso… C’erano tante ragazze. Tra trenta e quaranta. Le ragazze alloggiavano in questi bungalow che stavano nel parco. E nel bungalow di Noemi erano in quattro: oltre a lei e a Roberta, c’erano le “gemelline”, ma voi sapete chi sono queste “gemelline”? Penso anche che lei mi abbia detto tante bugie. Lei dice che Berlusconi era stato con loro solo la notte di Capodanno. Vi dico la verità, io non ci credo. Sono successe cose troppo strane. Io chiamavo Noemi sul cellulare e non mi rispondeva mai. Provavo e riprovavo, poi alla fine mi arrendevo e chiamavo Roberta, la sua amica, e diventavo pazzo quando Roberta mi diceva: no, non te la posso passare, è di là – di là dove? – o sta mangiando: e allora?, dicevo io, ma non c’era risposta. Per quella vacanza di fine anno, i genitori accompagnarono Noemi a Roma. Noemi e Roberta si fermarono prima in una villa lì, come mi dissero poi, e fecero in tempo a vedere davanti a quella villa tanta gente – giornalisti, fotografi? – , poi le misero sull’aereo privato del presidente insieme alle altre ragazze, per quello che mi ha detto Noemi… Al ritorno, Noemi non è stata più la mia Noemi, la mia alicella (acciuga, ndr), la ragazza semplice che amavo, la ragazza che non si vergognava di venirmi a prendere alla sera al capannone. A gennaio ci siamo lasciati. Eravamo andati insieme, prima di Natale, a prenotare per la sua festa di compleanno il ristorante “Villa Santa Chiara” a Casoria, la “sala Miami” – lo avevo suggerito io – e già ci si aspettava una “sorpresa” di Berlusconi, ma nessuno credeva che la sorpresa fosse proprio lui, Berlusconi in carne e ossa. Ci siamo lasciati a gennaio e alla festa non ci sono andato. L’ho incontrata qualche altra volta, per riprendermi un oggetto di poco prezzo ma, per me, di gran valore che era rimasto nelle sue mani. Abbiamo avuto il tempo, un’altra volta, di avere un colloquio un po’ brusco. Le ho restituito quasi tutte le lettere e le foto. Le ho restituito tutto – ho conservato poche cose, questa lettera che mi scrisse prima di Natale, qualche foto – perché non volevo che lei e la sua famiglia pensassero che, diventata Noemi Sophia Loren, io potessi sputtanarla. Oggi ho la mia vita, la mia Manuela, il mio lavoro, mille euro al mese e va bene così ché non mi manca niente. Certo, leggo di questo nuovo fidanzato di Noemi, come si chiama?, che non s’era mai visto da nessuna parte anche se dice di conoscerla da due anni e penso che Noemi stia dicendo un sacco di bugie. Quante bugie mi avrà detto sui viaggi. A me diceva che andava a Roma sempre con la madre. Per dire, per quella cena del 19 novembre 2008 a Villa Madama mi raccontò: “Siamo stati a cena con il presidente, io, papà e mamma allo stesso tavolo”. Non c’erano i genitori seduti a quel tavolo? Allora mi ha detto un’altra balla. Quella sera le sono stati regalati una collana e un bracciale, ma non di grosso valore. E il presidente ha fatto un regalo anche a sua madre. Sento tante bugie, sì, e comunque sono fatti di Noemi, dei suoi genitori, di Berlusconi, io che c’entro?”.

Le parole di Gino Flaminio appaiono genuine, confortate dalle foto, dalla memoria degli amici (che hanno le immagini di Noemi e Gino sui loro computer), da qualche lettera, dai ricordi dei vicini e dei genitori, ma soprattutto dall’ostinazione con cui il ragazzo per settimane si è nascosto diventando una presenza invisibile nella vita di Noemi. Repubblica lo ha rintracciato con fatica, molta pazienza e tanta fortuna nella fabbrica di corso San Giovanni dove tutti i suoi compagni di lavoro conoscono Noemi, la storia dell’amore perduto di Gino. Compagni di lavoro che – fino alla fine – hanno provato a proteggerlo: “Gino? E chi è ‘sto Gino Flaminio?” e Gino se ne stava nascosto dietro un muro.

La testimonianza del ragazzo consente di liquidare almeno cinque domande dalla lista di dieci che abbiamo proposto al capo del governo. La ricostruzione di Gino permette di giungere a un primo esito: Silvio Berlusconi ha mentito all’opinione pubblica in ogni passaggio delle sue interviste. Nei giorni scorsi, come quando disse a France2 di aver “avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori”. O ancora ieri a Radio Montecarlo dove ha sostenuto di essersi addirittura “divertito a dire alla famiglia, di cui sono amico da molti anni, che non desse risposte su quella che è stata la nostra frequentazione in questi anni”. Come di cartapesta è la scena – del tutto artefatta – disegnata dalle testate (Chi) della berlusconiana Mondadori.

Il fatto è che Berlusconi non ha mai conosciuto Elio Letizia né negli “anni passati”, né negli “ambienti socialisti”. Mai Berlusconi ha discusso con Elio Letizia di politica e tantomeno delle candidature delle Europee (Porta a porta, 5 maggio). Berlusconi ha conosciuto Noemi. Le ha telefonato direttamente, dopo averne ammirato le foto e aver letto il numero di cellulare su un “book” lasciatogli da Emilio Fede. Poi, nel corso del tempo, l’ha invitata a Roma, in Sardegna, a Milano.
Le evidenti falsità, diffuse dal premier, gli sarebbero costate nel mondo anglosassone, se non una richiesta di impeachment, concrete difficoltà politiche e istituzionali. Nell’Italia assuefatta di oggi, quella menzogna gli vale un’altra domanda: perché è stato costretto a mentire? Che cosa lo costringe a negare ciò che è evidente? È vero, come sostiene Noemi, che Berlusconi ha promesso o le ha lasciato credere di poter favorire la sua carriera nello spettacolo o, in alternativa, l’accesso alla scena politica (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile)? Dieci giorni dopo, ci sono altre ragionevoli certezze. È confermato quel che Veronica Lario ha rivelato a Repubblica (3 maggio): il premier “frequenta minorenni”. Noemi, nell’ottobre del 2008, quando riceve la prima, improvvisa telefonata di Berlusconi ha diciassette anni, come Roberta, l’amica che l’ha accompagnata a Villa Certosa. La circostanza rinnova l’ultima domanda: quali sono le condizioni di salute del presidente del Consiglio? (Beh, buona giornata).

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Attualità

Save the Private Silvio: Dell’Utri cerca un diversivo per distogliere l’attenzione dall’amico Silvio, nei guai con la moglie e con il consenso elettorale (soprattutto dei cattolici, duemilioni dei quali potrebbero non più votare il Cavaliere).

“Le veline laureate e preparate politicamente sono di gran lunga più apprezzabili di alcune telegiornaliste che non conoscono l’italiano”. Ma soprattutto Benito Mussolini non fu “un dittatore spietato e sanguinario”, perse la guerra perchè fu “troppo buono”, fu “blando” sulle leggi razziali e, infine, i repubblichini furono “i partigiani di destra”, perché lottarono per un ideale. Sono alcune delle dichiarazioni del senatore del Pdl Marcello dell’Utri, intervistato da Klaus Davi per il programma Klauscondicio. Dell’ Utri cerca un diversivo per distogliere l’attenzione dall’amico Silvio, nei guai con la moglie e con il consenso elettorale. I vecchi trucchi funzioneranno ancora? Riuscirà il Cavaliere a riconquistare la fiducia di un paio di milioni di elettori cattolici, per niente ben disposti ad accettare l’idea di un secondo divorzio dell'”unto del Signore”? Beh, buona giornata.

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democrazia

L’uomo politico più popolare in Italia è il Capo dello Stato.

Per 4 italiani su 10 la Carta è «data». Poco meno del 90% dà un giudizio positivo sull’operato del capo dello Stato, di Renato Mannheimer da corriere.it

Malgrado i suoi poteri siano relativamente circoscritti, il ruolo politico esercitato dal presidente della Repubblica si è andato progressivamente accrescendo negli ultimi mesi, sino a divenire in certi casi una sorta di «contraltare» istituzionale nei confronti del presidente del Consiglio.

Anche a seguito di queste iniziative, Napolitano ha riscosso una sempre maggiore approvazione da parte degli italiani. Oggi, poco meno del 90% dichiara di valutare positivamente il suo operato. Con una comprensibile maggiore enfasi tra gli elettori del centrosinistra (96% di giudizi positivi), ma coinvolgendo comunque anche l’ampia maggioranza dei votanti per il centrodestra (85% di consensi). Ciò dipende principalmente dal fatto che, per la maggioranza assoluta (70%), compreso il segmento che vota per il centrodestra (60%), l’azione di Napolitano è considerata comunque «al di sopra delle parti».

Quasi un terzo degli italiani ritiene che Napolitano «dovrebbe intervenire di più» nelle questioni politiche nazionali: la maggioranza (61%) è comunque del parere che intervenga «nella giusta misura». Ci si aspetta soprattutto che Napolitano continui — e talvolta accentui — la sua opera «in difesa della Costituzione». Ma qual è il giudizio dei cittadini sulla nostra Carta fondamentale? Poco più di metà della popolazione la considera ancora attuale nella sua interezza, mentre quasi il 40% la reputa «ormai datata».

In questo caso, acquista rilievo l’orientamento politico: la maggioranza (56%) dell’elettorato di centrodestra reputa infatti in qualche misura obsoleta la Costituzione e ne auspica una riforma. Al riguardo, una delle questioni principali concerne la capacità della Costituzione nella sua forma attuale di garantire la governabilità. Come si sa, nel suo discorso di Torino, Napolitano ha sottolineato la necessità di non sacrificare in nome di quest’ultima la divisione dei poteri e la tutela delle minoranze politiche. Due italiani su tre — con una significativa accentuazione tra i più giovani—concordano con queste sue affermazioni. E il 75% aggiunge che «la Costituzione va comunque sempre rispettata, perché altrimenti si rischia di sminuire il suo ruolo fondamentale di controllo».

Ancora una volta, questa opinione è più diffusa nell’elettorato di centrosinistra (86%), ma riscuote il consenso anche della maggioranza assoluta dei votanti per il centrodestra (66%). Insomma, al di là degli orientamenti politici di ciascuno, l’istituzione della presidenza della Repubblica rimane un fondamentale punto di riferimento. Molti sottolineano l’urgenza di riformare la Costituzione e, d’altra parte, lo stesso Napolitano ha affermato, sempre a Torino, che è del tutto legittimo modificarla, se vi sono motivazioni trasparenti e convincenti (l’86% dei cittadini concorda con questo orientamento). Ma, al tempo stesso, la grande maggioranza degli elettori sottolinea la necessità di mantenere adeguati meccanismi di pesi e contrappesi per la gestione corretta del potere politico. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Sondaggi e fischi.

“I sondaggi che ho io mi danno il 75,1% di consensi” mentre per il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, “i sondaggi che conosco io dicono che luì è al 59%: soltanto Lula (il presidente del Brasile) arriva al 64%. Quindi il mio è un record assoluto”. Silvio Berlusconi dixit, arrivando al Teatro San Carlo di Napoli per il concerto della Berliner Philharmoniker diretto dal maestro Riccardo Muti. Pare però che quando è uscito, sia stato stato “salutato” da fischi e grida: ” “Vattene via”. Pochi invece gli applausi. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il terremoto, una mano santa per la popolarità di Berlusconi.

Il premier e il sisma. Fiducia in crescita
Le conseguenze politiche del terremoto
di Renato Mannheimer da corriere.it

La tragedia del terremo­to ha avuto inevitabil­mente anche effetti po­litici e ripercussioni sull’opi­nione pubblica. In due direzioni principali. La prima è stata l’improvviso instaurarsi di un clima meno conflittuale tra le forze politi­che. Di fronte a una situazio­ne così drammatica, molte delle tradizionali dispute tra i partiti sono state accantonate dalla necessità di operare di comune accordo per reagire il più rapidamente e il più ef­ficacemente possibile al­l’emergenza. La seconda con­seguenza è costituita dalla forte accentuazione della dif­ferenza di popolarità tra le principali forze politiche, con un netto accrescimento del vantaggio, già consisten­te, acquisito dal presidente del Consiglio. Berlusconi ha confermato le proprie capaci­tà comunicative e la sua abili­tà nell’instaurare, spesso al di là di ogni intermediazione, un rapporto e un colloquio di­retto con la «gente».

Gli ultimi sondaggi confer­mano questo quadro. Quasi metà dell’elettorato (48%) ritie­ne che, al di là del proprio giu­dizio in merito, il Cavaliere sia riuscito oggi a riscuotere più fiducia di prima. Questa opi­nione è relativamente più pre­sente tra chi è politicamente simpatizzante per il centrode­stra: ma anche tra gli elettori del Pd la convinzione che Ber­lusconi abbia ottenuto un van­taggio è assai diffusa (36%).

Se si approfondisce l’anali­si e si interrogano i cittadini non tanto sulle loro conside­razioni di carattere generale, quanto sulla propria reazione alle iniziative del Cavaliere, l’immagine del successo di Berlusconi viene meglio deli­neata e chiarita nelle sue com­ponenti. Più di un quarto de­gli italiani (26%) dichiara di avere incrementato la pro­pria personale fiducia nel Pre­sidente del Consiglio proprio a seguito del suo comporta­mento in Abruzzo. Costoro sono naturalmente in gran parte già elettori del centro­destra e ne riproducono le ca­ratteristiche sociali (anziani, casalinghe, possessori di tito­li di studio medio-bassi). Ma anche una quota — modesta, ma significativa: poco meno del 10% — di votanti per il Pd «confessa» di provare, dopo il terremoto, più fiducia in Berlusconi.

Negli ultimi giorni, insom­ma, il Cavaliere ha visto incre­mentare ulteriormente la pro­pria popolarità, grazie special­mente alla mobilitazione del proprio elettorato già acquisi­to, ma anche attraverso la conquista delle simpatie di un piccolo segmento dei vo­tanti per l’avversario. La con­seguenza è un ulteriore allar­gamento del grado di consen­so goduto nel Paese — oggi superiore al 50% — e, ciò che forse è più importante, un au­mento della percentuale di in­tenzioni di voto per il Pdl che oltrepassano oggi il 45% e, se­condo alcuni, si avvicinano al 50%. (Beh, buona giornata).

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Attualità

“I giornali avvisano che la popolarità di Silvio Berlusconi è arrivata al 73 per cento dopo il terremoto. C’è da vergognarsi a riferirlo. Incredibile pensare che sia stato commissionato un simile sondaggio.”

Il dolore e i sondaggi
di Concita De Gregorio da L’unità

La macchinina sulla bara di Lorenzo gliela aveva regalata la maestra Alice, che ora è due file e sei posti a sinistra, il giorno che aveva fatto pace con Matteo. Della classe della maestra Alice nove si sono salvati, otto no. Ecco, quella è Sara. Quello Corrado che si chiamava come il nonno. È un’altra maestra che ci guida in questa incomprensibile geometria del destino. Parla al presente delle persone nelle bare, «Sara è bravissima in matematica». Piange. I vecchi si chiamano Emidio, Panfilo, Maria Incoronata. Le loro badanti Kristina, Carmen, Darika. I fili che li uniscono disegnano una ragnatela nel piazzale. Un secolo di vite, classi sociali, amici e nemici, compagni di scuola, generazioni e intrecci di amori. Una città intera distesa, allineata. Duecento bare. I morti sono quasi trecento, forse molti di più. Dei clandestini, si mormora, nessuno racconta né racconterà mai la storia. Vivevano negli scantinati, non hanno nome, non hanno chi li cerchi. Una sconcezza a cui nella vita ci siamo assuefatti perché conviene, è la morte a restituircela per quello che è: indecente, lercia.

Poi si dice anche: le case non dovevano crollare così, erano fatte di stracci. Questo giornale lo dice fin dal primo giorno, dal momento in cui i vigili del fuoco cominciavano a scavare tra piloni di cemento armato sbriciolato dicendo proprio così: sono fatti di stracci. Di sabbia, di polvere, di gesso, di qualcosa che costa di meno e vale di meno di quel che serve a fare il cemento quello vero, quello che non si sfarina. Speriamo che chi conduce l’inchiesta sia messo in grado di portare a termine il suo lavoro senza essere intimidito o zittito. Punire i colpevoli non resusciterà Lorenzo né Sara ma potrebbe fare in modo che i loro fratelli sopravvissuti abbiano case degne di questo nome. Che quella bambina bionda che rideva tra le bare con un fiore in mano abbia il futuro che le spetta e non il destino già scritto, alla prossima scossa che non sappiamo quando arriverà ma certo arriverà.

I giornali avvisano che la popolarità di Silvio Berlusconi è arrivata al 73 per cento dopo il terremoto. C’è da vergognarsi a riferirlo. Incredibile pensare che sia stato commissionato un simile sondaggio. La sedia del premier vuota, il giorno dei funerali, parlava da sola. Lui non era tra le autorità, era a baciare e carezzare e piangere ad uso di telecamera, a dire «darò le mie case a questa gente». Quali case? Quelle di Antigua o la villa sul Lago Maggiore? È vero. Anche far polemica in giorni così costa fatica. Preferiremmo tacere. Preferiremmo non dover dire faccia silenzio, signor presidente, e stia composto al suo posto. Se desidera rendere un servizio agli abruzzesi faccia in modo che si sappia subito chi ha speculato, raddoppi e triplichi le forze di chi indaga. Poi vigili sulla ricostruzione. Pietra su pietra rifaccia l’Aquila proprio dov’era e ne parliamo dopo. Ci vorranno anni, pazienza. Possiamo aspettare, anzi dobbiamo. Questa volta mostri di realizzare le promesse. Dopo, semmai, potrà anche commissionare un sondaggio. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il Prefetto: non venite a l’Aquila. Ma Berlusconi ci va lo stesso: per i terremotati o per i sondaggi?

Questa mattina il prefetto ha lanciato un appello: “Non venite all’Aquila”. Un invito rivolto a tutti coloro che “per turismo solidale o perchè vogliono vedere di persona i luoghi del sisma” intendono recarsi nella città abruzzese devastata dal terremoto. “Il tempo ci sta favorendo – spiega il prefetto – ma non è ora di gite fuori porta. Preghiamo queste persone di non venire a L’Aquila, perchè qui il lavoro non è finito. Stiamo potenziando e completando le tendopoli, tutte le forze impegnate nel soccorso hanno bisogno di spazio e anche i mezzi non devono avere intralci sul sistema viario”.

Però, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sara’ di nuovo nell’Abruzzo straziato dal sisma. E’ previsto che domani in mattinata Berlusconi assista ai riti pasquali assieme ai terremotati a l’Aquila. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il 52% degli italiani è scontento del governo.

(Fonte: repubblica.it)
Altri tre punti in meno. Silvio Berlusconi raggiunge il suo minimo storico da quando è ritornato a Palazzo Chigi. Il sondaggio mensile sulla fiducia di Ipr Marketing per Repubblica.it dice che 52 cittadini su 100 hanno molta o abbastanza fiducia nel presidente del Consiglio, mentre 45 ne hanno poca o nessuna e tre sono senza opinione. Solo un mese fa, a febbraio la fiducia toccava il 55%.

Perde altri due punti anche il governo che scende a quota 44% di “fiduciosi” contro il 52% che esprimono un giudizio negativo. Tra i partiti, fermo il Pdl (48% di “sì”) sale di un punto l’Idv (41%) e di 2 la Lega Nord (33%). Ma soprattutto, dopo alcuni mesi di picchiata, la cura Franceschini sembra rivitalizzare il Pd che riprende 4 punti. (Beh, buona giornata)

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Attualità Società e costume

Mentre il Pd risale nei sondaggi d’opinione, ecco il Franceschini-pensiero.

di Mario Ajello da ilmessaggero.it

Semplice boy-scout? Curatore fallimentare? Questo si vedrà. Intanto, nel giro di poche settimane, Franceschini ha rivoluzionato le parole, gli schemi e la vendibilità del prodotto Pd, che tutti davano per scaduto. «Fiducia» è la prima parola rimessa in circolo dal fanceschinismo. E le altre? Eccole, dalla A alla Zeta.

Antagonismo. Al solo pronunciarne il suono, Walter tremava: per la paura di venire considerato un comunista. Dario, da ragazzone democristiano senza sensi di colpa, se ne infischia della mediazione a oltranza per apparire potabile ai ceti moderati e di altri togliattismi scaduti ma vivissimi nel Dna degli attuali ”compagni di scuola” d’origine Pci.
Antagonismo come radicalità post-ideologica.

Besame. Mucho. Canzone prediletta da Dj-Franceschini, come lo chiama Fiorello. I notabili del Pd lo stanno baciando tutti (preoccuparsi?).

Cifre. E proposte concrete. 460 milioni di euro di risparmio con l’election day. 2 per cento di una tantum, per i poveri, da chi guadagna oltre 120mila euro. E via così. Senza un «ma anche».

Dialogo. Interrompere il dialogo è parte della dialettica democratica quanto aiutarlo.

Emergenza. Democratica. «Accadranno cose inimmaginabili», nel caso Berlusconi stravincesse le elezioni europee. Intostare il linguaggio, per coprirsi a sinistra.

Frou frou. Zero. Niente più veltronismo da terrazza romana. Ma sodo provincialismo, padre partigiano e nonno fascistone, giuramento sulla Costituzione, la cartolina spedita a Berlusconi (e non una mail), il giubbottino di renna fuori moda (solo lui e Fini lo indossano ancora)… Se non scrivesse romanzi, sarebbe meglio.

Gente. Parola semplice. Che i politologi non amano e la sinistra riformista neppure. Finalmente sdoganata. Senza la doppia ”gg” (la «ggente») che è orrendamente populistica e santoriana.

Hasta. La victoria siempre? La soglia della vittoria, per Franceschini, è non mandare il Pd troppo sotto il 30 per cento, recuperando astensionisti e delusi. Se ce la fa, canteranno tutti per lui una delle sue canzoni predilette (di Lucio Dalla): «E non andar più via».

Intransigenza. Vedi Antagonismo e anche Dialogo.

Lavoro. E crisi. Questo il terreno sul quale mettere in crisi Berlusconi.

Mangiare. «Le promesse e gli annunci di Berlusconi non danno da mangiare».

Nemici. Ora si usa dire avversari. Fra questi, il «catto-comunista» Dario viene considerato come il più insidioso. Erede di quella sinistra Dc che fece oscurare le tivvù del Cavaliere.

Oscuramento. Oscurato Walter. Riapparso Prodi. Il miracolo di San Franceschino.

Pericolo. Perdere contatto con chi vuole più riformismo, più innovazione, meno subalternità nei confronti della Cgil e nuovo welfare.

Quiz. Dopo le elezioni di giugno, Dario – che è passato dal Loft al Left – guarderà di più al centro?

Radicalismo. Ancora?

Serenità. D’Alema ha dato il la («Con Franceschini, il partito è più sereno») e al Nazareno si canta, sulla falsariga della canzone di Arisa a Sanremo: «Serenità».

Tonino. Cioè Di Pietro. Il franceschinismo l’ha come attutito.

Unione. Prodiana. Lì si tornerà.

Vice. Lo chiamavano Vice-Disastro.

Zero. La soglia di tolleranza degli elettori del Pd, se anche San Franceschino viene ridotto a un San Sebastiano, trafitto dalle solite frecce dei soliti notabili del suo partito. (Beh, buona giornata).

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Attualità

“Il segretario del partito democratico Dario Franceschini piace agli elettori del Pd e non dispiace al resto della popolazione”.

di LUCA RICOLFI da lastampa.it

A giudicare dai sondaggi, il segretario del partito democratico Dario Franceschini piace agli elettori del Pd e non dispiace al resto della popolazione. Secondo una recente indagine di Mannheimer la maggior parte dei sostenitori del Pd pensa che il nuovo leader abbia sufficiente carisma e che condurrà il partito in modo «del tutto diverso» dal suo predecessore, riuscendo così a portare nuovi consensi.

E’ realistica questa immagine di una luna di miele fra il nuovo leader e l’elettorato del Pd?

Secondo me sì, per almeno tre buoni motivi. Il primo è che, nonostante il suo volto sia ormai noto da qualche anno, Franceschini non è percepito come un vecchio notabile della sinistra, come accade invece a tutti quanti i politici di lungo corso dei Ds e della Margherita: Massimo D’Alema, Romano Prodi, Piero Fassino, Walter Veltroni, Francesco Rutelli, Anna Finocchiaro, Giuliano Amato, Rosy Bindi, Franco Marini, Pier Luigi Bersani, Livia Turco, Luciano Violante. Fino a cinque anni fa la stragrande maggioranza dei comuni cittadini non sapeva chi fosse Dario Franceschini, né conosceva il suo aspetto, quella faccia da bravo ragazzo che – a dispetto dei suoi 50 anni – aiuta a differenziarlo dal resto dell’establishment democratico, fatto di gente visibilmente corrosa dalle fatiche della politica.

Il secondo motivo per cui Franceschini piace è che è veloce: decide, prende posizione, polemizza, è tagliente, non gira troppo a lungo intorno alle questioni. Adriano Celentano, inventore della dicotomia rock/lento, avrebbe detto di lui che è «rock»: tutto il contrario dello stile ellittico e sospensivo con cui da dieci anni i «lenti» leader democratici hanno affrontato (o meglio eluso) i nodi politici fondamentali della sinistra. Ma il motivo vero, il motivo più importante, per cui Franceschini piace è che ha cominciato a curare la più grave delle malattie della sinistra: il linguaggio oscuro, criptico, involuto, astratto, lontano dal senso comune. Franceschini usa parole che tutti possiamo capire, fa proposte di cui riusciamo a immaginare gli effetti, è quasi sempre concreto. Insomma si preoccupa innanzitutto di arrivare alle persone normali, e solo in seconda battuta di lanciare messaggi in codice agli addetti ai lavori. Sul piano della comunicazione, è il leader più simile a Berlusconi che la sinistra post-comunista abbia avuto finora, e proprio per questo funziona. Penso che ciò sia un bene, per l’Italia e per la sinistra: farsi capire, rivolgersi all’elettorato prima che al Palazzo è una virtù, indipendentemente dai motivi più o meno nobili per cui lo si fa.

C’è un piccolo però, tuttavia. Per quel che abbiamo sentito in queste prime settimane, Franceschini assomiglia a Berlusconi anche da un altro punto di vista: la sua stella polare è il consenso, non la modernizzazione dell’Italia. Se osservate attentamente le azioni dei due leader, è piuttosto evidente che entrambi amano le mosse demagogiche o populiste, ed evitano accuratamente le scelte coraggiose, che farebbero bene al Paese ma potrebbero mettere a repentaglio la stabilità del governo o il potere dell’opposizione. È stata demagogica la soppressione integrale dell’Ici attuata dal governo, visto che i poveri erano già stati sgravati (da Prodi) e gli effetti sulla propensione al consumo non potevano che essere trascurabili. È demagogica la richiesta di Franceschini di aumentare l’aliquota Irpef per i redditi sopra i 120 mila euro, vista la modestia del relativo gettito e visto che la stragrande maggioranza dei redditi alti non vanno in dichiarazione, in quanto tassati alla fonte con aliquote decisamente convenienti, di gran lunga inferiori a quella massima (un punto opportunamente richiamato dal professor Uckmar giusto ieri sul Corriere della Sera). Ma ancor più delle scelte, sono significative le non scelte. Destra e sinistra hanno paura di liberalizzare i servizi pubblici locali, perché distruggerebbero decine di migliaia di poltrone negli enti locali. Il governo non vuole ammortizzatori sociali di carattere universalistico (assegno di disoccupazione automatico, per tutti i settori e tutti i contratti di lavoro) perché sa che uno strumento del genere ridurrebbe fortemente il potere discrezionale della politica. L’opposizione, per bocca di Franceschini, propone sì l’assegno di disoccupazione per tutti, ma rifiuta di coprirne i costi riformando le pensioni, una patata bollente che anche il governo non ha la minima intenzione di toccare sul serio.

Visto da quest’altra angolatura, il nuovo corso di Franceschini appare assai meno nuovo di quanto poteva sembrare a prima vista. Certo, alcune idee meriterebbero di essere valutate attentamente, come l’abbinamento del referendum elettorale alle elezioni Europee, o la riduzione al 20% dell’anticipo Irpef di giugno. Ma complessivamente la direzione di marcia prevalente sembra riproporre schemi vecchiotti: visto che al centro non si riesce a sfondare, spostiamo il partito (un pochino) a sinistra per recuperare voti fra i delusi, i nostalgici di Prodi, i dipietristi arrabbiati, i laici doc, i girotondini, gli anti-berlusconiani in genere. Insomma, la priorità delle priorità è evitare che le Europee si trasformino in una Waterloo per il partito democratico, a costo di interrompere – per l’ennesima volta – il cammino riformista timidamente iniziato tanti anni fa.

È una scelta sociologicamente comprensibile, perché basata sull’istinto di sopravvivenza da cui nessun apparato burocratico è immune, anche quando proclama ideali ben più alti della mera conservazione di sé stesso. Il dubbio, semmai, è se una scelta così conservatrice sia veramente efficace per salvare il Pd da un declino irreversibile. Pensare sempre, come Ds e Margherita hanno fatto negli ultimi anni, esclusivamente all’immediato futuro – le prossime elezioni, il prossimo congresso, le imminenti primarie, la stabilità di un governo amico – può rallentare il declino, ma forse non è il mezzo più adatto a invertire una tendenza. D’altronde, per invertire una tendenza, ci vorrebbero partiti vivi, in cui minoranze combattive lottano per affermare una nuova visione politica, per contrastare un gruppo dirigente, e infine per sostituirlo con una nuova élite. Se questo non accade, e in Italia non accade più da tempo in nessun partito, è inutile aspettarsi qualcosa di più di quello che il buon Franceschini sta facendo per il suo sfortunato partito. Se mai qualcosa di nuovo apparirà sotto il sole, con ogni probabilità verrà da fuori. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

L’assegno di disoccupazione non piace alla maggioranza al governo, ma piace alla maggioranza degli elettori.

di Renato Mannheimer da corriere.it

E’ opportuno rendere disponibile a tutti coloro che perdono il lavoro, in questo difficile periodo di crisi economica, un assegno di disoccupazione? La proposta, avanzata qualche giorno fa dal neosegretario del Pd, Franceschini, ha suscitato molte reazioni, di diverso segno. Il presidente del Consiglio l’ha decisamente rigettata, definendola incompatibile con l’attuale situazione dei conti pubblici e, per di più, possibile stimolo per ulteriori licenziamenti. Accanto a questa posizione, ne sono però emerse altre più concilianti. C’è chi, ad esempio, si è dichiarato favorevole all’idea della distribuzione di un sussidio ai disoccupati, sottolineando tuttavia che attualmente sono già previsti, in caso di perdita del posto di lavoro, una serie di ammortizzatori e che quindi l’effetto dell’assegno è già in larga misura realizzato. E c’è, infine, chi ha aderito in toto o quasi alla proposta, ricordando anche come essa potrebbe essere una buona occasione per semplificare e mettere ordine ai molteplici — ma spesso confusi — benefici previsti dalle attuali normative. Sin qui le opinioni dei commentatori. Ma è interessante, anche in questo caso, conoscere il giudizio della popolazione. Che non è spesso in grado, nella sua maggior parte, di effettuare complesse e delicate valutazioni di carattere economico, ma che può — e in certi casi deve — costituire un punto di riferimento per le scelte politiche.

Interpellati al riguardo, gli italiani si dividono in due segmenti, entrambi di grandi dimensioni. Il primo, decisamente più ampio, è rappresentato da chi si dichiara favorevole alla proposta di Franceschini: il 60% della popolazione, con significative accentuazioni tra gli strati più deboli: le donne, gli anziani, chi risiede al Sud. Il secondo, pari al 37%, è costituito dai contrari, per diversi motivi, all’idea avanzata dal segretario Pd. La differenza di opinione, naturalmente, è determinata soprattutto dall’orientamento politico. Ne consegue un molto maggior consenso tra gli elettori del centrosinistra (78% di parere favorevole dei votanti del Pd, 68% tra quelli per l’Idv). Ma si rilevano percentuali assai elevate di approvazione anche nell’Udc (57%) e perfino nei partiti di governo (42% tra i votanti del Pdl, 38% tra gli elettori della Lega). Insomma, il consenso all’assegno mensile per chi perde il lavoro appare abbastanza trasversale e presente — in misura minoritaria ma consistente — anche all’interno dell’elettorato del centrodestra.

Ciò che cittadini e osservatori apprezzano maggiormente nella proposta è la semplicità e generalizzabilità a tutti. Che permetterebbe tra l’altro — come ha efficacemente sottolineato sulla Stampa Luca Ricolfi — di combattere gli abusi e le arbitrarietà che connotano oggi frequentemente la distribuzione dei sussidi di disoccupazione. Resta il fatto che, come tutti sanno, lo stato attuale dei nostri conti pubblici sembra rendere problematica l’attuazione di proposte, sia pur attraenti, come quella di Franceschini. A meno di una riforma organica di tutto lo scenario degli ammortizzatori sociali. (Beh, buona giornata).

Renato Mannheimer

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