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Un popolo spaventato si governa meglio. Ecco come Bush ottenne il secondo mandato alla Casa Bianca. (Ogni allusione alle politiche sulla sicurezza del governo Berlusconi è assolutamente intenzionale).

Usa/ L’amministrazione Bush voleva alzare il livello di allerta contro il terrorismo alla vigilia delle elezioni 2004, una mossa politica più che di sicurezza-blitzquotidiano.it

Escono nuove rivelazione sulla politica di George W. Bush e soprattutto su come l’ex presidente degli Stati Uniti usasse la paura per gli attentati terroristici come mezzo per ottenere consensi. L’ex capo della Sicurezza degli Stati Uniti, Tom Ridge, infatti, rivela, nel suo libro “The Test of Our Times” (Un’indagine sui nostri tempi) che nel 2004 Bush tentò di far innalzare il livello di allerta sul terrorismo. Una richiesta che Ridge e altri della Sicurezza ritennero ingiustificata, tanto che la proposta venne bocciata.

Secondo quanto scrive Ridge, anche il Generale John Ashcroft e il segretario della Difesa Donald Rumsfeld appoggiarono la proposta di Bush, sostenendo che gli eventi internazionali, le minacce di Bin Laden e le elezioni alle porte avrebbero portato ad un incremento delle possibilità di attacchi terroristici.

Ma Ridge sostiene, come sostenne all’epoca opponendosi alla proposta, che le motivazioni che spinsero Bush a voler alzare il livello di allerta erano più politiche che di sicurezza. L’ex governatore della Pennsylvania, infatti, sottolinea come non ci fosse nessun dato concreto che potesse far temere un attacco terroristico.

Un’ipotesi che l’ex consulente alla Sicurezza, Frances Townsend, rimanda al mittente sostenendo che sulla proposta di Bush «vi fu un dibattito e Tom Ridge non era l’unica persona contraria all’incremento del livello di allerta, ma non ci furono mai discussioni di stampo politico».

A guardare il risultato di quelle elezioni e delle motivazioni che spinsero la maggior parte degli Americani a votare per Bush, qualche dubbio viene che Ridge avesse ragione. Proprio nell’agosto 2004 Bush tornò a parlare del pericolo di attentati terroristici e due mesi dopo i sondaggi dicevano che per un elettore su cinque il terrorismo era l’argomento che aveva maggiormente influenzato il voto. L’86 per cento di quegli elettori votò per Bush, consacrandone la vittoria, solo il 14 per cento preferì il candidato democratico John Kerry. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

La tragedia di Viareggio:” è con disagio e sconcerto che si registra come, in questo processo, dalla revisione alla verifica, la sicurezza e, di fatto, la vita delle persone siano affidate ad un processo sostanzialmente di autocertificazione, in cui l’autorità pubblica è presente solo all’inizio e non nel momento cruciale in cui il treno, materialmente, affronta i binari e parte verso le stazioni.”

Viareggio, chi sono i colpevoli
di MAURIZIO RICCI-Repubblica.

NON ci sono pesci piccoli nella catena delle responsabilità per la tragedia di Viareggio. Questo è quello che sappiamo finora. A muovere il treno è il gigante Fs. I vagoni sono della Gatx, un colosso del settore, che ne gestisce 20 mila. Gli standard di sicurezza a cui devono attenersi sono stati fissati al massimo livello, la Commissione europea di Bruxelles. Il contenuto dei vagoni è gpl prodotto dalla Sarpom, proprietà del maggior gruppo petrolifero mondiale, la Exxon. Che ha affidato la verifica finale degli stessi vagoni di nuovo alle Ferrovie dello Stato, nella veste privata di Fs logistica.

Non ci sono piccoli imprenditori disinvolti e faciloni, piccoli burocrati inesperti o poco competenti. Siamo di fronte ad una serie di protagonisti, con storia, esperienza, mezzi e strutture. Ma ognuno, in questa storia, sembra portare una porzione di responsabilità.

Il locomotore Trenitalia arriva alla stazione di Viareggio ad una velocità di 90 chilometri l’ora. La velocità massima prevista, su quel tratto di binari, è di 100 chilometri l’ora, ma c’è da chiedersi se 90 chilometri l’ora all’ingresso in una stazione non sia una velocità un po’ troppo sostenuta quando si trasportano carichi così pericolosi. In ogni caso, a quanto pare, l’asse del carrello di un vagone cede, la cisterna si apre, il gpl, compresso a 15 atmosfere, schizza fuori con una forza enorme che lo trascina a distanza, si ritrasforma in gas, incontra una scintilla ed esplode. Fosse avvenuto di giorno, anziché di notte, il massacro si sarebbe moltiplicato. Il vagone è della Gatx, società con sede a Vienna. La normativa europea impone una revisione dei vagoni merci – carrelli compresi – ogni 4-6 anni. Non sappiamo ancora dove sia avvenuta. Non necessariamente in Italia: di fatto, nel paese in cui il vagone si è trovato, vuoto, al momento in cui gli scadeva il “bollino” quadriennale. Questo stabilisce la Commissione europea, spesso criticata – evidentemente al di là del dovuto – per l’eccesso di occhiuta scrupolosità. E’ una garanzia sufficiente? Non pare proprio, soprattutto per un veicolo che, presumibilmente, la Gatx, che ci guadagna sopra, si sforza di tenere sui binari e in movimento 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per tutti i quattro anni di durata della revisione. Lo riconosce apertamente il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, anche se il riconoscimento suona, a questo punto, un po’ tardivo. Tajani ha comunque ragione ad indicare che maggiori garanzie si avrebbero da un sistema di revisione che, anziché su una scadenza a tempo, si basasse sul chilometraggio effettivamente percorso dal vagone e sul carico trasportato, cioè sullo sforzo sostenuto dalla sua struttura.

È la prima grossa falla di sicurezza, portata alla luce dalla tragedia di Viareggio. Ma non è l’unica. Osservano i dirigenti della Gatx che, una volta affittato il vagone, la sua gestione e manutenzione ricadono sotto la responsabilità di chi lo affitta. E la Sarpom sostiene di essersi affidata, per la verifica tecnica dei vagoni, a Fs Logistica. Rispuntano, insomma, le Ferrovie dello Stato, questa volta, però, nella veste di consulente tecnico privato, presente sul mercato, accanto e in concorrenza con altri consulenti, per fornire un servizio a pagamento ad un cliente. Una situazione che, bizzarramente, ricorda quella delle società di rating che, sulla qualità dei titoli-salsiccia all’origine dell’attuale crisi finanziaria, fornivano un giudizio in cambio di un pagamento da parte degli stessi presentatori dei titoli. È assolutamente prematuro individuare in Fs logistica l’anello finale delle responsabilità della tragedia di Viareggio. Saranno le inchieste a stabilirlo o a individuare altrove, come è perfettamente possibile, chi ha peccato di omissione o di leggerezza. Ma è con disagio e sconcerto che si registra come, in questo processo, dalla revisione alla verifica, la sicurezza e, di fatto, la vita delle persone siano affidate ad un processo sostanzialmente di autocertificazione, in cui l’autorità pubblica è presente solo all’inizio e non nel momento cruciale in cui il treno, materialmente, affronta i binari e parte verso le stazioni.

Manca, insomma, una presenza, esterna ed estranea al mercato, che imponga e, poi, controlli in proprio il rispetto delle regole. Non è questa assenza che si può intendere per “liberalizzazione”. Un mercato liberalizzato non è una partita senza arbitro: è una partita in cui l’arbitro non gioca, ma accerta e fischia i falli. Anche se avere un arbitro efficiente può rappresentare un costo.

Per le Fs e per chi governa il sistema dei trasporti in Italia, è il momento di riflettere. Le Fs hanno colmato il disavanzo di bilancio pur portando, contemporaneamente, l’Italia nell’era moderna: con l’alta velocità, il Milano-Roma in tre ore e mezza e la concorrenza all’aereo. Ma bisogna chiedersi a quale prezzo: sulla rete, sul resto dei treni, sulla sicurezza. Se il prezzo deve essere lo scandalo quotidiano delle traversie di milioni di pendolari, il collasso di infrastrutture di rete, come due settimane fa sulla Firenze-Bologna, tragedie della sicurezza come a Viareggio, il prezzo è inaccettabile. Un Freccia Rossa efficiente e funzionale e un sistema ferroviario complessivamente obsoleto, fatiscente e pericolante è esattamente la fotografia del sistema ferroviario in India. Del resto, si diceva una volta che le catastrofi in cui, per cedimenti di un materiale obsoleto, muoiono un sacco di persone sono i disastri tipici del terzo mondo. E, adesso, Viareggio. (Beh, buona giornata).

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Attualità Lavoro Leggi e diritto

Perché sono possibili tragedie ferroviarie come quella di Viareggio.

(fonte.ilmessaggero.it)
La rottura di un asse di un carrello del vagone merci è «un incidente tipico» che «non è stato mai tenuto nella giusta considerazione nonostante l’elevatissimo rischio connesso».

Lo affermano in una nota i delegati Rsu/Rls dell’Assemblea nazionale dei ferrovieri, precisando che questo tipo di incidente «si è ripetuto innumerevoli volte, sempre fortunatamente con conseguenze meno gravi, da ultimo nei giorni scorsi sempre in Toscana, a Pisa S. Rossore ed a Prato».

«Il fatto che i carri possano essere di proprietà delle singole aziende produttrici delle merci trasportate e non del gruppo FS – prosegue l’Assemblea nazionale dei ferrovieri, organismo trasversale composto da lavoratori e iscritti a tutte le sigle sindacali – non può essere utilizzato come giustificazione, anzi, questa circostanza pone drammatici interrogativi sulle modalità di controllo e di verifica adottate per l’ammissione a circolare sulla rete».

I ferrovieri, che esprimono «profondo dolore per le tante vittime innocenti» di questa tragedia e ringraziamento ai soccorritori, fanno quindi appello a tutte le autorità istituzionali affinchè «non ignorino le segnalazioni di pericolo», poichè «il trasporto ferroviario è un servizio complesso in cui anche il più piccolo incidente o guasto, può determinare immani tragedie e come tale va analizzato e preso, sempre, nella massima considerazione. Rinnoviamo – aggiungono – la più ferma critica al gruppo dirigente delle Ferrovie che ha dirottato risorse e tecnologia sul servizio ‘luccicantè dell’ alta velocità lasciando che il resto del servizio ferroviario, in particolare merci e pendolari, deperisse sia in termini di qualità che di sicurezza». (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Popoli e politiche

“Respingendo centinaia di clandestini verso la Libia, si viola un principio essenziale della comunità internazionale, un principio di solidarietà consacrato nell’Articolo 33 della Convenzione sui rifugiati del 1951.”

Diritti umani e sicurezza di ANTONIO CASSESE-la Repubblica

Alla base del respingimento in alto mare di centinaia di migranti clandestini vi è un grave scontro tra interessi nazionali e valori della comunità internazionale. L’immigrazione clandestina è certo un problema molto serio, soprattutto ora che essa aumenta a ritmi vertiginosi. Spesso i clandestini non hanno documenti, e quindi è difficile identificarne la nazionalità; tra essi si nascondono criminali; soprattutto, i flussi migratori, aumentando rapidamente, incidono seriamente sul nostro mercato del lavoro.

Tuttavia, respingendo centinaia di clandestini verso la Libia, si viola un principio essenziale della comunità internazionale, un principio di solidarietà consacrato nell’Articolo 33 della Convenzione sui rifugiati del 1951: che impone ad ogni Stato contraente di non espellere o respingere un rifugiato verso territori in cui “la sua vita e la sua libertà possono essere minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale o opinione politica”. Dopo il 1951 questo principio si è esteso a tutti gli immigranti, anche a coloro che non hanno ancora lo status di rifugiato ma intendono acquisirlo o chiedere asilo politico. Anche se tra le centinaia di clandestini che il ministro Maroni ha fatto rinviare in Libia vi erano solo 30 o 40 perseguitati politici o cittadini di paesi profondamente autoritari, essi avevano diritto di ingresso in Italia, perché venisse accertato e riconosciuto il loro status. L’azione italiana, facendo prevalere interessi di sicurezza ed economico-politici nazionali sull’obbligo internazionale di rispettare i diritti umani, si è posta in conflitto con quei diritti.

Ma il problema è serio, e non ci si può limitare a criticare il Governo perché adotta misure di corto respiro e contrarie a valori internazionali. E’ evidente che bisogna porre mano a soluzioni destinate nel lungo periodo a ridurre e controllare i flussi migratori, in armonia però con le norme internazionali che siamo tenuti a rispettare. Penso a due direttrici di azione.
Anzitutto, si potrebbe chiedere alla Libia di consentire a nostri funzionari di assistere le autorità libiche nell’identificare i migranti che abbiamo respinto e respingiamo verso la Libia. Insieme potrebbero accertare se tra essi si trovano persone che hanno diritto allo status di rifugiato (perché sono perseguitate, o temono di essere perseguitate, nei loro paesi di origine, per ragioni politiche, razziali, religiose, ecc.) o che hanno diritto all’asilo politico previsto dall’Articolo 10 della nostra Costituzione (che lo concede a chi non può godere in patria delle libertà democratiche che noi garantiamo in Italia). In tal modo si potrebbe salvaguardare l’interesse a non far entrare nel nostro territorio valanghe di clandestini, assicurando però il rispetto dei diritti di cui alcuni di essi devono godere.

Un’altra misura si avvarrebbe del concorso dell’Europa e si basa sul concetto che è bene che gli altri paesi dell’Unione europea facciano la loro parte (concetto su cui ha giustamente insistito Maroni qualche settimana fa). Esiste dal 2004, con sede a Varsavia, un agenzia dell’Unione, chiamata Frontex, che si occupa della “gestione delle frontiere esterne”. Ebbene, quest’agenzia potrebbe aiutare le nostre autorità sia a pattugliare le coste, sia ad identificare gli immigrati e a facilitare il rimpatrio dei clandestini che non hanno diritto allo status di rifugiato o il diritto di asilo.
Queste ed altre misure di ampio respiro potrebbero forse prevenire ulteriori lesioni di importanti valori internazionali.

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Leggi e diritto Popoli e politiche

In campagna elettorale, Berlusconi si adegua al linguaggio leghista e dice “no all’Italia multietnica”. Dopo tutto, un popolo spaventato si governa meglio.

Al mercato della paura
di ILVO DIAMANTI-la Repubblica

ORMAI è impossibile affrontare il tema della “sicurezza” nel dibattito pubblico, ridotto a materia di propaganda politica. Sui giornali e in Parlamento. Se ne parla per catturare il consenso dei cittadini, non per risolvere i problemi. Nel sostenerlo ci pare di scrivere lo stesso articolo. Un’altra volta. Eppure è difficile non tornare sull’argomento. Perché l’argomento ritorna, puntuale, al centro del dibattito politico. Come in questa fase, segnata dalle polemiche intorno al decreto sulla “sicurezza” (appunto). A proposito del quale Franceschini ha parlato di nuove “leggi razziali”. Anche se gli aspetti più critici della legge sono stati esclusi dal testo. Ci riferiamo alla possibilità, offerta ai medici e ai pubblici funzionari (i presidi, per esempio), di denunciare i clandestini.

Altre iniziative venate di razzismo invece, non riguardano il governo, ma singoli politici e amministratori locali. Come la proposta di segregare gli stranieri nei trasporti pubblici, a Milano. Assegnando loro posti e vagoni separati. Una provocazione, anche questa. Capace, però, di intercettare consensi, solo a evocarla. La Lega, su questa base, sta costruendo la sua campagna elettorale in vista delle prossime europee. Per conquistare consensi nel Nord, ma anche altrove. Presentandosi come il partito della sicurezza-bricolage, da perseguire in ogni modo.

Anche l’imbarcazione carica di immigrati respinta dalla nostra Marina e consegnata alla Libia rientra in questa strategia politica e mediatica. Serve, cioè, come “annuncio”. Esibisce la volontà determinata del governo, ma soprattutto del ministro dell’Interni e della Lega, di respingere l’invasione degli stranieri. Di rimandarli là dove sono partiti. Chissenefrega che fine faranno. Noi non possiamo accogliere i poveracci di tutto il mondo.

Gli alleati di centrodestra, in parte, approvano. In parte no. Comunque, non si possono dissociare, altrimenti la maggioranza si dissolve. E poi non vuole abbandonare l’argomento della paura dell’altro alla Lega. Così Berlusconi approva. Si adegua al linguaggio leghista e dice “no all’Italia multietnica”. In aperta polemica con la “sinistra, che ha aperto le porte a tutti”. (Anche se i flussi da quando è tornata al governo la destra sono raddoppiati). E la sinistra, chiamata in causa, si adegua: nel linguaggio e negli argomenti. Oppone alla retorica della cattiveria quella buonista (che, in assenza di alternative, preferisco). Denuncia il razzismo. Esorta all’integrazione. Senza, tuttavia, spiegare “come” realizzarla. Si appella all’indignazione della Chiesa (contro cui, peraltro, si indigna quando si occupa di etica). Così la “sicurezza” sfuma in una nebulosa che mixa immagini indistinte. Criminali piccoli e medi, immigrati, zingari, stranieri. Ridotti a slogan.

Un tema così importante (e critico) dovrebbe venire affrontato in modo co-operativo. Attraverso il confronto e la progettazione comune. Invece, è abbandonato al gioco delle parti. In balia degli interessi e degli imperativi immediati. La “fabbrica della sicurezza” (titolo di una bella ricerca curata da Fabrizio Battistelli e pubblicata da Franco Angeli), d’altronde, si scontra con il “mercato della paura”. Il quale non limita la sua offerta all’ambito politico-elettorale, ma presenta una gamma di prodotti ampia e differenziata (come suggerisce una riflessione di Gianluigi Storti).

a) La paura, insieme all’in-sicurezza: è un format di largo seguito, sui media. Nei notiziari di informazione, nei programmi di “vita vera e vissuta”, nelle trasmissioni di approfondimento. A ogni ora del giorno, in ogni canale, incontriamo uno stupro, un’aggressione, un omicidio, un delitto, una catastrofe. E poi fiction di genere, che primeggiano negli indici di ascolto. Sky ha dedicato due canali alle “scene del crimine”. 24 ore su 24 dedicate alla “paura”.
E’ significativa l’evoluzione (o forse la d-evoluzione) dei tipi sociali interpretati da Antonio Albanese. Attore e analista acuto del nostro tempo. Da Epifanio, il personaggio stralunato e naif (ricorda vagamente Prodi), proposto vent’anni fa, fino al “ministro della paura” (accanto al “sottosegretario all’angoscia”) esibito ai nostri giorni.

b) La paura alimenta la domanda di autodifesa delle famiglie (come ha rilevato il rapporto Demos-Unipolis sul sentimento di insicurezza), che trasformano le case in bunker. Con porte blindate, vetri antisfondamento, sistemi di allarme sempre più sofisticati. All’esterno: recinzioni e cani mostruosi. In tasca e nei cassetti: armi per difesa personale.

c) Disseminati ovunque sistemi di osservazione, occhi elettronici che ci guardano. A ogni angolo. In ogni luogo. Mentre si diffondono poliziotti e polizie, ronde e servizi d’ordine. La sicurezza: affidata sempre più al privato e sempre meno al pubblico.

d) Intorno alla paura e all’insicurezza si è formata una molteplicità di figure professionali. Psicologi, psicanalisti, analisti, psicoterapeuti. E sociologi, criminologi, assistenti sociali. Operano in istituzioni, associazioni, studi. Nel pubblico, nel privato e nel privato-sociale.

e) Infine, come dimenticare la miriade di prodotti chimici al servizio della nostra angoscia? Occupano interi scaffali sempre più ampi, dentro a farmacie sempre più ampie. Supermarket dove il padiglione dedicato alla paura, di mese in mese, allarga lo spazio e l’offerta.

Per questo è difficile sconfiggere la paura e fabbricare la sicurezza. Perché la sicurezza è un bene durevole, che richiede un impegno di lungo periodo e di lunga durata. L’insicurezza, la paura, no. Sono beni ad alta deperibilità. Più li consumi più cresce la domanda. Garantiscono alti guadagni in breve tempo. Per costruire la sicurezza occorrerebbe agire con una visione lunga. Disporre di valori forti. Servirebbero attori politici e sociali disposti a lavorare insieme. In nome del “bene comune”. Ispirati da una fede o almeno da un’ideologia provvidenziale. Pronti a investire sul futuro. Mentre ora domina il marketing. Trionfa il mercato della paura. Dove non esiste domani. È sempre oggi. È sempre campagna elettorale.
Che l’angoscia sia con noi. (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Società e costume

Le politiche sulla sicurezza del governo non funzionano. Per il sindaco di Roma è tutta colpa di “Romanzo criminale”.

(da repubblica.it)
Gianni Alemanno se la prende anche con le serie televisive di successo come Romanzo criminale colpevoli, secondo lui, di alimentare atteggiamenti pericolosi tra i giovani. Visitando la scuola media nella borgata di Villaggio Prenestino, estrema periferia di Roma, nel cui cortile giovedì scorso un 15enne è stato accoltellato da un altro alunno di 14 anni, il sindaco della Capitale ha tenuto a sottolineare che non si tratta “di una criminalità organizzata, siamo a un altro livello, quello delle bande giovanili”.

Quindi il primo cittadino ha parlato anche di modelli culturali che vengono veicolati alle giovani generazioni, puntando il dito sui programmi televisivi: “L’avevo detto fin dall’inizio che alcune operazioni culturali come la serie tv Romanzo criminale o altre simili non aiutano, hanno lanciato delle mode, degli atteggiamenti e dei modi di fare sbagliati. I giovani, invece non vanno lasciati da soli, faremo tutto il possibile per stare nelle periferie”.

Durante la visita alla scuola media Falcone, Alemanno, che ha incontrato la madre del ragazzino accoltellato, ha parlato con la preside e i rappresentanti delle associazioni di quartiere dei problemi dell’istituto e dell’intera zona che soffre, secondo gli abitanti, di carenza di servizi e spazi di aggregazione. “Ho invitato il presidente del Municipio e i comitati – ha spiegato Alemanno – a formare una consulta per avanzare proposte e ideare progetti sociali per dare ai giovani punti di riferimento”. Il sindaco ha lasciato la scuola con una promessa: “La prima cosa che faremo sarà ristrutturare questa biblioteca”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Politiche per la sicurezza: facevano la pipì per strada, presi in flagranza.

(Fonte: ilmessaggero.it)
Brillante operazione di “pulizia” contro chi fa la pipì sui muri.La scorsa notte le pattuglie in borghese della Polizia locale di Bassano del Grappa, dopo abili appostamenti hanno pizzicato complessivamente una quindicina di giovani intenti a urinare negli angoli bui del centro storico. Sono stati tutti multati: dato che la sanzione pevista dall’ordinanza comunale emessa nei mesi scorsi è di 300 euro, nelle casse comunali confluiranno in totale 4.500 euro.

«I ragazzi sono stati presi in flagranza – ha spiegato l’assessore alla sicurezza Claudio Mazzocco”. Insomma, sopno stai presi col “corpo” del reato fra le mani. Beh, giornata.

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Attualità

Roma città più sicura, secondo la ricetta Alemanno.

da il messaggero.it

ROMA (26 marzo) – «Siamo nazional socialisti», «Siamo noi la razza ariana» e giù botte contro un francese di 45 anni ricoverato al Gemelli e giudicato guaribile in 40 giorni (tibia e perone fratturati). In manette sono finiti due italiani di 25 e 27 anni con l’accusa di lesioni gravi. La rissa è scoppiata la notte scorsa davanti a un pub di Ponte Milvio tra due gruppi di tre ragazzi. A riferire le frasi razziste alcuni testimoni.(Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Società e costume

Roma che è diventata una città incattivita.

di Marco De Risi da ilmessaggero.it

Un gruppo di adolescenti ha scatenato il finimondo in un autobus notturno mentre stava transitando nei pressi di piazza Venezia. Sei, sette ragazzotti sono saliti sulla vettura danneggiandola, aggredendo i viaggiatori e anche l’autista. Non contenti se la sono presa con un uomo di 29 anni che aveva detto loro di smetterla. L’hanno preso a calci e pugni e rapinato. La vittima è un dj napoletano che lavora in un locale notturno del centro. Immediato l’intervento dei carabinieri che hanno già arrestato uno dei rapinatori, un ragazzino di 17 anni. I militari questa volta sono stati davvero fortunati. Durante il sopralluogo nell’autobus dopo l’aggressione, fra i sedili, hanno trovato la carta d’identità di un componente della “baby gang”.

In pratica mentre il diciassettenne stava picchiando il “dj” non si è accorto che dalla tasca dei pantaloni si era sfilata la carta d’identità. L’episodio di violenza è accaduto sabato notte (verso la mezzanotte) su un autobus della linea “N3” all’altezza di corso Vittorio. «Alla fermata – ha raccontato il disc jockey aggredito – è salito un gruppo di ragazzi. Si sono subito comportati come se l’autobus fosse il loro. Hanno tirato il freno d’emergenza, dicevano frasi piene di volgarità». Il conducente ha provato a sgridarli, a dire loro di smetterla. «Il gruppetto – prosegue il “dj” – ha risposto male al conducente, l’hanno circondato in modo minaccioso. Poi hanno iniziato a insultare anche gli altri passeggeri prendendosela con una signora. A quel punto mi sono fatto avanti io e gli ho detto che dovevo andare a lavorare e se per favore potevano fare in modo che il conducente potesse ripartire».

Pochi secondi dopo e il gruppo si è accanito contro il ventinovenne. Calci, pugni, insulti e poi la rapina. Con la forza gli hanno sfilato uno zaino che il giovane aveva in spalla. All’interno c’erano gli strumenti del mestiere: “cd”, cuffie, microfoni e altro materiale “hi tech”. Poi la fuga a piedi. Un’ambulanza ha soccorso il ragazzo aggredito portandolo al Santo Spirito dove ha avuto una prognosi di 7 giorni per ecchimosi e contusioni. Sono accorsi anche i carabinieri della compagnia “Roma Centro” che hanno diramato alle altre “gazzelle” le ricerche degli aggressori. Intanto durante il sopralluogo è stata trovata la carta d’identità di uno dei “baby rapinatori”. I militari dopo neanche mezz’ora erano a casa del ricercato: una ragazzo di 17 anni, incensurato che risiede a Vitinia, lungo la via Ostiense. L’hanno trovato a letto che dormiva. Il minore è stato fatto rialzare, vestire e portato in caserma. Dove è stato riconosciuto dal ventinovenne aggredito e da altre persone che erano nell’autobus. Quindi per lui sono scattate le manette per rapina e danneggiamento. I complici hanno le ore contate.(Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Sicurezza: “Centinaia di mariti fuori a fare le ronde, significa centinaia di mogli a casa da sole, dunque meno esposte a pestaggi e violenze sessuali.”

C’è clamore – Giochiamo alla ronda. da alessandrorobecchi.it

Ha ragione Roberto Maroni: le ronde faranno diminuire gli stupri. Centinaia di mariti fuori a fare le ronde, significa centinaia di mogli a casa da sole, dunque meno esposte a pestaggi e violenze sessuali.

E’ una mera notazione statistica, non se la prendano gli indagati per istigazione all’odio razziale che militano nello stesso partito del ministro degli Interni. Ha ragione anche Silvio Berlusconi: gli stupri sono diminuiti, ma le ronde si fanno lo stesso perché su questa faccenda c’è “clamore”. Ma che razza di bastardi sono quelli che fanno “clamore” su stupri e violenza? Non saranno mica i proprietari di televisioni che aprono con la cronaca nera ogni edizione del telegiornale! Tanto per gradire (fonte: Centro d’Ascolto sull’Informazione Radiotelevisiva), ecco qualche numero. Nel 2007 hanno aperto il loro notiziario con la cronaca nera, creando apprensione e paura nel paese, i seguenti telegiornali. Tg1, 36 volte, Tg2, 62 volte, Tg3 32 volte, Tg4 70 volte, Tg5 64 volte e Studio Aperto (record! Il tg tette&culi non delude mai) 197 volte.

Se ne deduce che durante la scorsa campagna elettorale le televisioni di proprietà del candidato Silvio Berlusconi hanno pompato sulla paura molto più delle altre (insieme al fedele Tg2). E’ un dato di fatto. Impaurito a dovere il paese, creato quel “clamore” che oggi si denuncia, si è passati all’incasso vincendo le elezioni e preparando il terreno per il razzismo applicato e la pulizia etnica di questi giorni. Ora la situazione è più complessa: lo statista Berlusconi deve dire (per forza!) che i reati sono calati, ma ricorre alla decretazione d’urgenza a causa del “clamore”.

In sostanza a causa della propaganda delle sue televisioni. Quanto alle ronde, si vorrebbe far credere che nascono per impedire la furia del popolo che vuole farsi giustizia da sé. In italiano tutto questo ha una sola definizione: la faccia come il culo. Resta da chiedersi, quando cominceremo noi a dire a questi ceffi: tolleranza zero? (Beh, buona giornata)

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