di Romano Prodi-Il Messaggero
Il G20 di Cannes era partito con un obiettivo ed è finito con un altro. Per mesi la roboante regia francese ci aveva annunciato che questo sarebbe stato il vertice delle grandi riforme del sistema finanziario internazionale. Un obiettivo più volte ripetuto anche se politicamente impossibile perché le grandi riforme non si fanno in un periodo in cui nessuno ha interesse a farle. Non gli Stati Uniti perché con qualsiasi riforma perderebbero i loro ingiustificati privilegi, non la Cina perché ha tutto l’interesse a rinviare le riforme a quando sarà più forte e più pronta, non l’Europa perché a Bruxelles non comanda nessuno e nelle diverse capitali ognuno la racconta per conto suo. Tolto ogni grande progetto di riforma è rimasta in agenda l’emergenza della zona euro. In teoria il G20, rappresentando tutti i grandi Paesi del mondo, avrebbe dovuto aiutare il confezionamento di un paracadute per l’attuale crisi europea ma tutti i grandi, a cominciare dalla Cina, hanno fatto marcia indietro quando si sono resi contro che nemmeno i Paesi europei erano disposti ad aumentare il proprio contributo nei confronti del Fondo salva-Stati (Efsf).
Di fronte all’impossibilità di accordo su nuove regole e di fronte al rifiuto di raccogliere nuove risorse per fare fronte all’emergenza, l’unica strada rimasta al G20 è stata quella di fare la voce grossa di fronte ai Paesi devianti. A questo punto si è snodato l’aspetto per noi drammatico e inatteso: il processo cominciato nei confronti della Grecia si è trasformato in un serrato dibattimento contro l’Italia, con tanto di condanna ad un lungo periodo di libertà vigilata. E per essere sicuri che i comportamenti del condannato non si discostino dagli obblighi contenuti nella sentenza è stato deciso un doppio controllo sia da parte della Commissione Europea che del Fondo Monetario Internazionale.
Un’umiliazione nei confronti dell’Italia del tutto inedita e, da parte di molti osservatori, ritenuta eccessiva anche tenendo conto delle difficoltà oggettive della nostra economia. A Cannes non è stata tuttavia processata l’economia italiana ma la mancanza di credibilità del nostro governo e la sua incapacità sia nel prendere le decisioni necessarie per porre rimedio alle nostre anomalie, sia nel dare attuazione agli impegni faticosamente e tardivamente assunti.
Più che un processo contro l’Italia abbiamo assistito ad un processo contro il governo italiano, ritenuto da tutti gli organismi internazionali non credibile e perciò non degno di fiducia. Un fatto estremamente dannoso perché riportato e ossessivamente ripetuto in tutti i media del pianeta, forse perché dal vertice di Cannes non vi era null’altro da riportare o forse anche perché il folklore del nostro primo ministro fa notizia ovunque. Il primo ministro, durante la conferenza stampa conclusiva, si è difeso descrivendo l’immagine di un’Italia prospera, spendacciona e felice, che potrebbe navigare serena nelle acque tempestose della crisi se non fosse entrata nell’euro con un tasso di cambio sbagliato. Non vale nemmeno la pena di sottolineare l’aspetto tragicamente ridicolo di quest’affermazione: basta ricordare come la fissazione del livello di ingresso della nostra moneta nell’euro a 990 lire per marco tedesco sia stato riconosciuto da tutti gli osservatori stranieri e italiani (compresi quelli appartenenti alla parte politica dell’attuale presidente del consiglio) come un insperato successo per l’economia italiana che, con questo tasso di cambio, poteva entrare nell’euro con la massima capacità concorrenziale possibile.
È doveroso invece sottolineare come questi attacchi all’euro e le ripetute manifestazioni di sfiducia nei suoi confronti siano state nei giorni scorsi una delle principali cause di irrigidimento dei governi europei e di sfiducia dei mercati finanziari nei nostri confronti. La conferenza stampa del premier al termine del G20 ha lanciato infatti un messaggio chiaro: la responsabilità dei problemi e dei guai dell’Italia sarà, nei prossimi mesi e nella prossima o futura campagna elettorale, interamente imputata all’euro. Lasciamo in disparte (perché rientra nel genere del ridicolo) la contraddizione fra la gravità di questi guai e la descrizione del Paese di bengodi che ci è stata propinata e concentriamoci sui danni che anche in futuro ci verranno addosso da un governo che da un lato si è impegnato ad adottare una politica e una disciplina mirate a mantenere l’Italia nell’ambito della moneta unica e, dall’altro, tenterà continuamente di imputare alla stessa moneta unica le conseguenze dei propri ritardi e della propria inazione.
Di fronte a queste prospettive ci conviene prendere per buone le affermazioni di un Twitter che il Financial Times attribuisce al ministro Tremonti. Il ministro dell’Economia avrebbe dichiarato che domani i mercati si aggiusteranno e gli spread diminuiranno solo se Berlusconi si farà da parte. È assai probabile che Tremonti non abbia detto nulla di simile e che la battuta sia da attribuire alla consueta malignità dei giornali inglesi nei nostri confronti, ma ritengo comunque che il consiglio contenuto in questo messaggio sia degno di essere preso in considerazione. (Beh, buona giornata).