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Attualità

Carlo Azeglio Ciampi, martire della toponomastica capitolina.

La tormentata posa della targa stradale in onore di Ciampi è diventa una farsa in due atti.

Dopo l’errore nel secondo nome di battesimo sulla targa stradale, cui si è rimediato in fretta e furia rifacendo di corsa la targa, adesso l’errore – addirittura tanto più grave, quanto grottesco – di aver collocato le date in una posizione graficamente sbagliata, che lo farebbe Presidente a vita, fin dalla nascita, 26 anni prima della proclamazione della Repubblica Italiana.

Ogni giorno Roma va di Raggi in peggio.

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Attualità Politica Potere Società e costume

3DNews/IL SENSO DI GIANNI PER LA NEVE.

di Giulio Gargia
Vogliamo le dimissioni di Alemanno. Non da sindaco, da alpinista. Uno che si è fatto riprendere in montagna in tutte le salse, in teoria dovrebbe avere una qualche dimestichezza con la neve. E dovrebbe sapere che 35 mm di pioggia si trasformano in centimetri, se nevica, come molti prevedevano. Uno che non si vorrebbe mai avere come compagno di cordata, visto come si comporta davanti a una tempesta imprevista.

Riepiloghiamo le azioni del degli ultimi giorni del sindaco alpinista, per dirla alla Silvio .
Innanzitutto, con una decisione degna della Sibilla romana, sospende le lezioni ma lascia aperte le scuole. Poi rifiuta l’aiuto della Protezione Civile, salvo richiederlo quando è troppo tardi. Ancora, in ordine di apparizione mediatica : chiama l’Esercito, chiude gli uffici pubblici, allerta i volontari, obbliga gli automobilisti a circolare in catene, fa spargere il sale quando piove ( così che non ne rimane per quando nevica ) richiude le scuole ( stavolta per intero ), chiede ai romani di rimanere a casa, e poi gli chiede di uscire di casa a spalare i marciapiedi. Si lamenta che Roma sia stata lasciata sola e poi dice che se l’è cavata bene da sola . Ma se la prende con Gabrielli e vuole la commissione d’inchiesta .

Per non sbagliare, domenica gira per le strade scortato dai vigili con un paio di mezzi del Comune, mettendo in piedi la grottesca sceneggiata del sindaco- spalatore. Si fa riprendere mentre si dà da fare sui marciapiedi di piazzale Clodio, S. Giovanni e Re di Roma, dove incontra cittadini plaudenti che lo ringraziano.

Una Viagra Online cosa a metà tra a “ battaglia del grano” del Duce a torso nudo che miete nei campi e il Berlusconi con casco giallo da operaio all’apice della forma. Pubblicato sul blog ufficiale del sindaco, il video di Alemanno spalatore è già oggetto di una serie di esilaranti risposte alla You Tube alla retorica finto moderna dell’alpinista de noantri. Si rivede un video del 2010, costruito come un cinegiornale dell’Istituto Luce di fascista memoria, è diventato un piccolo cult, postato sulle bacheche di Facebook e sui siti amici . “Alemanno regala la neve a Roma” è il titolo del video, girato in bianco e nero, sulla nevicata del 12 febbraio 2010: occasione che offre al giovane autore, Dario Comel, lo spunto per fare ironia sul “podestà Alemanno”, con l’inno ufficiale del Ventennio “Giovinezza” di sottofondo.

Appena sfornato, invece è “ALEMANNIUM – uomini che odiano la neve”. Un breve montaggio delle dichiarazioni del sindaco alternate alle immagini di Roma di questi giorni è sufficiente a inchiodare il sedicente amante della montagna al senso del ridicolo. E non c’è nemmeno bisogno di montaggio quando il nostro fa il suo accorato appello a Sky : “ E ora tutti con le pale in mano “. Risposta dal web : “ Un sindaco che ci fa girare le pale” . Oppure quando attacca e dice : “ Chi è il responsabile di questo disastro ? “. Ovvero la stessa domanda che la CONSOB si fece dopo il crack Parmalat, il Sant’Uffizio dopo lo scandalo dei preti pedofili e Ranieri dopo la partita di ieri con la Roma. L’unico posto, lo stadio, dove tutto ha funzionato benissimo. (Beh, buona giornata).

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business Marketing pubblicato su advexpress.it Pubblicità e mass media Società e costume

Roma, apre lo store chiude la città.

L’ apertura di uno store Trony ha bloccato Roma per ore. Ottomila persone che hanno fatto la coda anche di notte in cerca di iPod a prezzi stracciati, di lavatrici a 69 euro, di tv ultima generazione a costi irripetibili, hanno messo in ginocchio mezza Roma, paralizzando due consolari, la Cassia e la Flaminia, la Tangenziale e un nodo stradale strategico come Tor di Quinto, perennemente intasato dalle sette alle dieci di ogni mattina.

Questa è la notizia, alla quale si possono aggiungere una vetrina in frantumi, qualche accenno di rissa, un certo numero di spintoni.

In genere, la ressa all’inaugurazione di un mega store è una buona pubblicità per i grandi marchi della distribuzione. Ma stavolta si sono superati i limiti. Per via del non funzionamento dei sensori sul territorio, con i quali sarebbe stato facile non solo prevedere la grande affluenza, ma gestire con intelligenza anticipatoria gli effetti sulla viabilità in particolare, sull’ordine pubblico in generale.

Qualcuno dirà: questi sono compiti che spettano all’amministrazione delle città, dunque alla politica. È vero. E infatti le polemiche sono già cominciate. Al di là delle quali c’è una semplice constatazione: se ottomila persone bloccano una città di tre milioni di abitanti, beh è impossibile non vedere che c’è più di un qualche problema di efficienza.

Ma qui vorremmo occuparci del rapporto tra un grande brand come Trony e il territorio in cui svolge la propria attività. Ponte Milvio è un antico quartiere di Roma e non meritava certo di essere strapazzato in quel modo. E qui, forse, è il brand che deve saper agire in supplenza delle macroscopiche carenze che si sono verificate a Roma. Perché altrimenti il successo dell’inaugurazione diventa controproducente alla reputazione del brand.

“La gente è fuori di testa, si accapigliano per un mega sconto”, si sente dire. E anche questo non è del tutto giusto: che male c’è a voler risparmiare? Proprio niente, men che meno di questi tempi.

E allora, anche ob torto collo, sarebbe meglio autodisciplinare gli eventi di questo tipo, magari scegliendo giorni e orari che non impattino improvvisamente sulla vita di tutti i giorni; magari diluendo e rilasciando gli sconti, spalmati su più appuntamenti. Anche per il semplice fatto di non essere l’involontaria causa scatenante di ingorghi, tumulti e disagi.

A volte la responsabilità sociale di una marca si misura nella capacità di saper agire in previsione dei comportamenti altrui. Quelli istituzionali, ma anche quelli individuali. Per poi, magari, fare una campagna che dica: i clienti Trony? Non ci sono paragoni. Beh, buona giornata.

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Attualità

Berlusconi, quanto sei brutto.

Veniva giù, attorniato dalle sue guardie del corpo, una delle quali teneva in mano una strano involucro, che i pochi astanti hanno pensato potesse essere la custodia di una potente arma da fuoco, veniva giù da via di Panico, in Roma. Erano le circa le sette del pomeriggio. Dopo una giornata piovosa, era appena uscito, birichino, il sole- Ma dava riflessi rossastri alla capa del capo. O ai suoi finti e tinti capelli. Caracollava baldanzoso, ma un poco attento.

Venva giù, ma a nessuno importava un fico. Ha imboccato a piedi via dei Coronari. S’è fermata una smart, il piccoletto ha ficcato dentro il finestrino una mano da farsi stringere. Ma a nessuno importava un fico. Poi è entrato in un negozio, i giannizzeri al seguito sparpagliati sulla strada, a difendere un bagno di folla in una piscina vuota e distratta. Poi lo sciame se ne andato. I pochi curiosi, delusi dal fallimento dell’uscita a sorpresa, se ne andavano per i fatti loro

Quanto è stato brutto. Beh, buona giornata.

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Attualità

25 Aprile: Frangetta nera contestata a Roma.

Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta San Paolo a Roma in occasione dell’anniversario della Liberazione. La Polverini è stata bersagliata da urla “buu, buu” e lancio di uova e frutta e alcuni fumogeni. Polverini era stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso, che non ha svolto, lasciando la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele: «Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita». Ne ha fatto le spese Nicola Zingaretti. Il presidente della provincia di Roma era insieme a Renata Polverini contestata nella manifestazione in ricordo della Liberazione nella capitale. E anche a lui è arrivato un frutto lanciato dai manifestanti: “Abisso tra questi atti e il valore del 25 aprile” Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi arriva in profondità: ora tocca agli edicolanti.

Edicole/ A Roma ne sono a rischio chiusura 140. Le cause: crisi editoria, affitti salati, tasse
di Giancarlo Usai*-blitzquotidiano.it

Le edicole romane sono in crisi. E non solo per il crollo delle vendite dei giornali. Soprattutto nel centro storico, la situazione dell’ultimo anno è drammatica. Secondo le stime sindacali, in 140 edicolanti sono a rischio chiusura, con un calo del fatturato in media del 35 per cento. L’ultimo degli storici “chioschi” a terminare la sua attività è stato quello di Via del Corso, accanto alla Cassa di risparmio. Ma se non è solo la crisi dell’editoria il motivo di queste chiusure, quali sono le altre cause? Prima di tutto, gli affitti saliti alle stelle nel I municipio, con prezzi compresi tra i 600 e i 1200 euro al mese. Il centro storico è anche zona critica per le spese di occupazione del suolo pubblico, circa 115 euro a metro quadro.

Se a tutte queste uscite si sommano incassi medi sotto ai duecento euro al giorno, ecco spiegato il perché i rivenditori storici di giornali stanno rischiando di diventare un semplice ricordo del passato.

Poi, come sostiene la Fieg, ci sono problemi legati alla cattiva distribuzione delle licenze concesse dal Comune di Roma. Nei quartieri centrali c’è un esubero di almeno 350 edicole, mentre nelle nuove zone periferiche l’obiettivo di un’edicola ogni mille abitanti è lontano dall’essere realizzato. Ora, con molti edicolanti storici che saranno costretti ad abbassare la saracinesca, la richiesta dei sindacati è di trasferire ai nuovi punti vendita in periferia i titolari di licenze rimasti senza lavoro. (Beh, buona giornata).

*Scuola di Giornalismo Luiss

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Attualità Popoli e politiche

Roma capitale del razzismo. Complimenti al Sindaco.

di Beatrice Picchi-ilmessaggero.it
ROMA (24 maggio) – La signora coi capelli bianchi e due nipoti che giocano a calcio sulla terra di Villa Gordiani ha già trovato i colpevoli dell’aggressione dell’altra notte: «Dei cretini. E pure razzisti, chissà se a casa qualcuno gli ha mai spiegato che il futuro sarà vivere tutti insieme, e tutti di tante culture». L’odore di cipolla e zenzero si mescola a quello di pizza e di pane cotti al forno. C’è fila davanti a una gelateria a pochi metri del parco: un cono al limone sulla panchina di un sabato pomeriggio che sembra già estate, la città un po’ più silenziosa. La voce del bengalese Bachu arriva tra i palazzi di Roma, ma quasi nessuno sa del raid razzista avvenuto sotto le loro case al grido: «Andate via, bastardi». «E allora la festa non la fanno più?»,

No signora, il Capodanno bengalese sarà festeggiato proprio qui. Eppoi tante altre volte il parco ha ospitato i festeggiamenti della comunità, nemmeno un mese fa gli anziano del circolo bocciofilo ricorda di odore di fritto e musica tra quegli alberi. «E menomale, perché gli indiani, i bengalesi, insomma quelli asiatici sono tanti, è vero, ma sono pacifici». «Qui lavorano soprattutto nei negozi di frutta e verdura, ma anche piccoli negozi di alimentari pieni di spezie e di colori». «Sa cosa mi dice sempre mia nonna: una, due, dieci formiche non danno fastidio a nessuno, a quando ne arrivano a centinaia allora si prende l’insetticida… Io sono sposato da cinque anni con una polacca, abbiamo due figlie meravigliose, ma quando gli extracomunitari sono tanti l’integrazione si fa più difficile e le istituzioni dovrebbero aiutare tutti».

Sono circa ventimila i bengalesi che vivono e lavorano a Roma, per la maggior parte uomini, spesso le donne li raggiungono dopo qualche anno e qui cominciano a crescere figli e nipoti. Il corteo organizzato dalla comunità bengalese Dhuum attraversa piazza Agosta, via Sabaudia, via Alatri, via Olevano Romano. Lo striscione bianco scritto con lo spray rosso lavoratori italiani e immigrati uniti contro il razzismo apre il corteo e occupa tutto il marciapiede, i funzionari della polizia li seguono da lontano.

«Siamo stati costretti dal comune a organizzare la festa a villa Gordiani – urla al megafono Bachu – volevamo il parco di Centocelle. Ma la loro strategia è quella di metterci in un luogo vicino alle case per dare a voi residenti l’idea che noi immigrati siamo rumorosi e roviniamo il verde, ma noi siamo con voi, non siamo nemici. Vi invitiamo a partecipare alla nostra festa». Gli anziani si affacciano alle finestre e la festa comincia. Perché il Capodanno sarebbe dovuta iniziare oggi e proseguire per altri nove giorni, ma i gazebo sono già stati montati eppoi la carne, le verdure, e il riso è già tutto sui furgoni, «mica ci faremo fermare da quei razzisti», dice Bachu. «E’ tornato anche Monsi, uno dei ragazzi aggrediti, ha dormito qualche ora a casa, ma ora siamo di nuovo tutti insieme. La paura si combatte anche così».

Qualche brace accesa, lo striscione del corteo è steso sotto i platani, sui tavolini sono già serviti riso, limone e spezie, «ora così arriveranno anche quelli della Asl. Lo sa che abbiamo già subito undici processi per questo Capodanno? E non so quanti soldi spesi per pagare multe e bollette. Ma alle altre feste perché fila sempre tutto liscio? – racconta il leader dell’associazione Dhuumcat che è un fiume in piena – perché questa è l’ennesima aggressione e ora siamo pronti a difenderci da soli». Villa Gordiani è già piena, il raid sembra lontano, alcuni giovani continuano a distribuire i volantini che raccontano dell’aggressione, dei diritti dei lavoratori immigrati, del razzismo che cresce e fa paura. Un anziano del circolo bocciofilo si ferma davanti a un gazebo per comprare a un euro «questo strano cartoccio di carne e spezie. Però, è buono». (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Società e costume

Le politiche sulla sicurezza del governo non funzionano. Per il sindaco di Roma è tutta colpa di “Romanzo criminale”.

(da repubblica.it)
Gianni Alemanno se la prende anche con le serie televisive di successo come Romanzo criminale colpevoli, secondo lui, di alimentare atteggiamenti pericolosi tra i giovani. Visitando la scuola media nella borgata di Villaggio Prenestino, estrema periferia di Roma, nel cui cortile giovedì scorso un 15enne è stato accoltellato da un altro alunno di 14 anni, il sindaco della Capitale ha tenuto a sottolineare che non si tratta “di una criminalità organizzata, siamo a un altro livello, quello delle bande giovanili”.

Quindi il primo cittadino ha parlato anche di modelli culturali che vengono veicolati alle giovani generazioni, puntando il dito sui programmi televisivi: “L’avevo detto fin dall’inizio che alcune operazioni culturali come la serie tv Romanzo criminale o altre simili non aiutano, hanno lanciato delle mode, degli atteggiamenti e dei modi di fare sbagliati. I giovani, invece non vanno lasciati da soli, faremo tutto il possibile per stare nelle periferie”.

Durante la visita alla scuola media Falcone, Alemanno, che ha incontrato la madre del ragazzino accoltellato, ha parlato con la preside e i rappresentanti delle associazioni di quartiere dei problemi dell’istituto e dell’intera zona che soffre, secondo gli abitanti, di carenza di servizi e spazi di aggregazione. “Ho invitato il presidente del Municipio e i comitati – ha spiegato Alemanno – a formare una consulta per avanzare proposte e ideare progetti sociali per dare ai giovani punti di riferimento”. Il sindaco ha lasciato la scuola con una promessa: “La prima cosa che faremo sarà ristrutturare questa biblioteca”. (Beh, buona giornata).

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democrazia Popoli e politiche

Saluti parigini e saluti romani.

“Difficilmente riuscirò ad avere buoni rapporti anche con Gianni Alemanno che è stato accolto al Campidoglio con i saluti fascisti”. Bertrand Delanoë confessa ad alta voce quello che molti suoi collaboratori sanno da tempo. Al teatro dell’Odéon, davanti a Dario Franceschini e ad altri membri del Pd arrivati con il “Treno per l’Europa”, il sindaco di Parigi ammette tutta la sua distanza politica dal primo cittadino di Roma. Delanoë e Alemanno non si sono ancora mai conosciuti, fatto anomalo per due città gemellate in modo esclusivo da oltre mezzo secolo. Né è previsto un incontro a breve. L’anno scorso, subito dopo la sconfitta di Rutelli e l’elezione del nuovo sindaco di Roma, l’Hotel de Ville aveva preferito non invitare l’esponente di An per le celebrazioni del 25 agosto, festa della Liberazione. Beh, buona giornata.

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Attualità Società e costume

Roma-Italy, storia di ordinaria xenofobia (con buona pace del sindaco Alemanno)

(lettera a il messaggero.it)
Ostia, Roma, linea 05/ treno 5 vettura 6024 diretto a Via Ebridi proveniente da Via Mar Rosso alla prima fermata dopo che Via dei Velieri incrocia Viale Vasco de Gama sono costretto ad arrestare la corsa del mezzo, aprire le porte e per la seconda volta in meno di 12 mesi a frappormi tra una donna italiana e una ragazza straniera (stavolta era dell’est europeo anziché nera) per evitare che si arrivi alle mani e finisca per pagarne il conto un bambino.

La vettura era piuttosto piena, la giornata bella e tutto procedeva tranquillamente quando una signora italiana di piccola statura con i capelli biondi ha iniziato a inveire contro una giovane ragazza per il passeggino con il bambino dentro che a suo dire le intralciava il passaggio, ne è nato un alterco tra le due donne con i toni usati dalla signora italiana che in un crescendo rossiniano divenivano sempre meno inerenti al passeggino e sempre più a sfondo razziale.

La giovane mamma ha avuto inizialmente un reazione di indifferenza e silenzio per poi cercare di rispondere educatamente quando alla fine, ripetutamente insultata (si è partiti da “siete tutti assassini” fino a “rimonta sur gommone”) in preda alle lacrime si è lanciata addosso alla sua controparte, inevitabile l’arresto della vettura, l’apertura delle porte e il dover intervenire frapponendomi tra le due contendenti, per fortuna questa volta non ho riscontrato la totale indifferenza della volta precedente e un ragazzo è corso in mio aiuto per sedare la lite ma purtroppo la tensione si è diffusa e alla fine l’intera vettura si è divisa tra chi esigeva da me che facessi scendere la giovane ragazza e il suo passeggino e chi altresì incitava invece a far scendere la signora italiana.

Una situazione assurda in cui ho dovuto urlare a squarciagola per sedare gli animi e affermare in tono imperativo che non avevo la facoltà di far scendere nessuno e che non potevo assolutamente toccare nessuno; in tutto questo tra le sostenitrici (perché la cosa triste è che a quell’ora verso le 11.39 i passeggeri sono per lo più anziane e donne) della defenestrazione della ragazza e del passeggino spuntava una signora bionda che mi accusava di essere la causa del problema anzi di averne in toto la colpa e la responsabilità perché avrei dovuto sin dall’inizio impedire alla ragazza e al suo passeggino di salire a bordo del mezzo!

A mio vantaggio per sedare gli animi e contenere la situazione ha giocato il tipo di vettura (Mercedes Citaro) caratterizzato da pochi posti in piedi, corridoio di camminamento strettissimo (permette il passaggio di una sola persona), due solo porte (di cui una singola posta sulla parte anteriore) con il quale ho cerchiobottistamente convinto le parti in causa che sebbene la norma preveda che i passeggini siano chiusi e i bambini presi in braccio era pur vero e incontrovertibile che il modello di bus era privo di spazi nei quali seppure chiuso fosse possibile tenere il passeggino (il corridoio ne risulterebbe comunque ostruito e lo spazio tra sedili è insufficiente, sfido chiunque con un passeggino e un metro a sostenere il contrario e dimostrarlo) , alla fine ho convinto la signora italiana ad accomodarsi vicino a me al posto guida (scoperto) e l’ho portata a distanza di sicurezza dalla ragazza dell’est.

Ciò che mi ha molto colpito è la vicinanza di due casi simili in uno spazio di tempo non molto ampio con un iter identico e un casus belli futile, indubbiamente le caratteristiche tecniche della vettura hanno influito ma la volta precedente si trattava ma questo non spiega il sentirsi coinvolto con il dovere di schierarsi di tutti gli altri passeggeri, si è calpestato tutto dalla sacralità della maternità (e a farlo erano delle donne!!!) all’innocenza di un bambino fino alla dignità umana!

La cosa sconvolgente è che erano presenti tra le passeggere donne anziane che hanno visto la guerra, le deportazioni, il fascismo e che pure inveivano genericamente contro la ragazza pretendendo che la buttassi fuori e la lasciassi a piedi per il passeggino ma sottolineando che se lo teneva aperto era per la sua provenienza geografica come se questa determinasse aprioristicamente il suo comportamento!

Se anche chi rappresenta la memoria vivente del passato ha dimenticato quanto orribile sia discriminare una persona, un essere umano per via del suo luogo di nascita mi chiedo se non si sia passato il confine che ci divide da una società non più degna di questo nome.

La cosa bella (si fa per dire) è che tutte le donne munite di passeggino non lo chiudono mai! Di qualunque colore, razza o religione! E che solitamente invitarle a farlo scateni una reazioni che vede l’autista letteralmente ricoperto di insulti da tutti i passeggeri che immantinentemente solidarizzano con la mamma in barba alle regole! L’altra cosa che evidenzia quanto sia soggetto a variazioni notevoli il comportamento umano è che se invece di una giovane ragazza sola ci fossero stati 4 o 5 bulletti (made in italy o d’importazione non conta) con i piedi sui sedili e la musica a tutto volume nessuno avrebbe fiatato!

Ci sono cose che non capirò mai. (Beh, buona giornata).

Roberto Staiano

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Attualità Leggi e diritto Società e costume

Roma che è diventata una città incattivita.

di Marco De Risi da ilmessaggero.it

Un gruppo di adolescenti ha scatenato il finimondo in un autobus notturno mentre stava transitando nei pressi di piazza Venezia. Sei, sette ragazzotti sono saliti sulla vettura danneggiandola, aggredendo i viaggiatori e anche l’autista. Non contenti se la sono presa con un uomo di 29 anni che aveva detto loro di smetterla. L’hanno preso a calci e pugni e rapinato. La vittima è un dj napoletano che lavora in un locale notturno del centro. Immediato l’intervento dei carabinieri che hanno già arrestato uno dei rapinatori, un ragazzino di 17 anni. I militari questa volta sono stati davvero fortunati. Durante il sopralluogo nell’autobus dopo l’aggressione, fra i sedili, hanno trovato la carta d’identità di un componente della “baby gang”.

In pratica mentre il diciassettenne stava picchiando il “dj” non si è accorto che dalla tasca dei pantaloni si era sfilata la carta d’identità. L’episodio di violenza è accaduto sabato notte (verso la mezzanotte) su un autobus della linea “N3” all’altezza di corso Vittorio. «Alla fermata – ha raccontato il disc jockey aggredito – è salito un gruppo di ragazzi. Si sono subito comportati come se l’autobus fosse il loro. Hanno tirato il freno d’emergenza, dicevano frasi piene di volgarità». Il conducente ha provato a sgridarli, a dire loro di smetterla. «Il gruppetto – prosegue il “dj” – ha risposto male al conducente, l’hanno circondato in modo minaccioso. Poi hanno iniziato a insultare anche gli altri passeggeri prendendosela con una signora. A quel punto mi sono fatto avanti io e gli ho detto che dovevo andare a lavorare e se per favore potevano fare in modo che il conducente potesse ripartire».

Pochi secondi dopo e il gruppo si è accanito contro il ventinovenne. Calci, pugni, insulti e poi la rapina. Con la forza gli hanno sfilato uno zaino che il giovane aveva in spalla. All’interno c’erano gli strumenti del mestiere: “cd”, cuffie, microfoni e altro materiale “hi tech”. Poi la fuga a piedi. Un’ambulanza ha soccorso il ragazzo aggredito portandolo al Santo Spirito dove ha avuto una prognosi di 7 giorni per ecchimosi e contusioni. Sono accorsi anche i carabinieri della compagnia “Roma Centro” che hanno diramato alle altre “gazzelle” le ricerche degli aggressori. Intanto durante il sopralluogo è stata trovata la carta d’identità di uno dei “baby rapinatori”. I militari dopo neanche mezz’ora erano a casa del ricercato: una ragazzo di 17 anni, incensurato che risiede a Vitinia, lungo la via Ostiense. L’hanno trovato a letto che dormiva. Il minore è stato fatto rialzare, vestire e portato in caserma. Dove è stato riconosciuto dal ventinovenne aggredito e da altre persone che erano nell’autobus. Quindi per lui sono scattate le manette per rapina e danneggiamento. I complici hanno le ore contate.(Beh, buona giornata).

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Attualità Società e costume

Un barbone a Roma: «Ormai se mi scambiano per romeno nessuno mi fa l’elemosina».

da ilmessaggero.it
«Ormai se mi scambiano per romeno nessuno mi fa l’elemosina». Per questo un clochard a Roma ha deciso di scrivere su un cartello appeso al collo: “Sono bulgaro”. Per lui è un modo per ingraziarsi gli automobilisti distratti su via Laurentina «che almeno – spiega – così sanno subito che con i romeni non ho nulla a che fare».

I passanti e gli autombilisti di tanto in tanto gli allungano qualche monetina, più attirati dal cartello che porta appeso al collo che dallo stato di indigenza dell’uomo.

Pantaloni larghi, giaccone blu di almeno tre misure più grande, capellino di lana, il “bulgaro” non parla ma si avvicina discretamente ai finestrini delle macchine e aspetta l’elemosina. Il cartello non è scritto a mano e non è nemmeno di cartone marrone. È di buona fattura: bianco e plastificato, ha la scritta in nero realizzata al computer.

E se gli si chiede perché abbia scelto di indicare solo la sua provenienza e non, l’uomo schivo risponde con un forte accento dell’Est e a bassa voce: «Per noi che veniamo da quelle zone adesso in Italia e soprattutto qui a Roma è tutto più difficile. Pensano che siamo tutti della Romania, che siamo tutti delinquenti, e ci trattano di conseguenza. Ci chiamano stupratori, ci dicono di tornare a casa. Ma tanti di noi sono qui per cercare un lavoro onesto e, se non lo trovano subito, chiedono l’elemosina, come faccio io. Non ho nulla contro i romeni ma devo sopravvivere».

Qualcuno chiude il finestrino, altri fanno finta di non vederlo. Un automobilista gli dà un euro: «È triste – dice – che qualcuno debba pensare di dover mettere in chiaro a quale nazionalità appartiene per avere la carità. La povertà non ha colore o paese». (Beh, buona giornata).

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Attualità

Sicurezza: quer pasticciaccio brutto della Caffarella.

di Massimo Martinelli da ilmessaggero.it
ROMA (4 marzo) – L’indagine di polizia è come un mosaico: basta entrare in una qualsiasi Questura d’Italia, e lo dicono anche i muri: «Devi raccogliere elementi, frasi, sensazioni; mettere insieme facce, racconti, odori, oggetti. Alla fine, se hai lavorato bene, in fretta, con tempestività e fantasia, con equilibrio e buonsenso, quel mosaico assume un profilo umano».
Quello della persona da cercare. E’ andata esattamente così a Roma, dalla sera del 14 febbraio a quella del 18. Quattro giorni di facce. Su una di queste, la ragazza della Caffarella si è quasi accasciata: «E’ lui, mi ha rovinato la vita. Ti prego mamma, non farmelo vedere mai più». Sembrava fatta.

Ma l’indagine di polizia è anche amore per la verità. Occorrono certezze, riscontri da portare al pm. Soprattutto prove; e ne esistono di scientifiche, inoppugnabili, assolutamente attendibili. Alle quali si deve riconoscere il potere di cambiare una storia che sembrava già scritta.

In Questura lo sanno. L’esame del Dna scagiona in maniera definitiva i due romeni arrestati per lo stupro della Caffarella. E riduce ad un mucchietto di verbali inutili quella gran mole di elementi, frasi e sensazioni raccolte in quattro giorni di indagini senza sosta e senza sonno. «Ho dovuto costringere Vittorio Rizzi a dormire per qualche ora», disse il questore, Pietro Caruso, parlando del capo della Mobile. Ma poche ore, talvolta, possono cambiare un’indagine. E anche una storia professionale.

Perché a riguardarlo bene, il film della sera del 18 febbraio scorso, si scopre che l’unico cono d’ombra di questa indagine riguarda proprio la sessantina di minuti in cui Vittorio Rizzi non era in Questura, la notte del 18 febbraio. E’ il giorno in cui la ragazza ha riconosciuto il biondino in una fotografia scattata due settimane prima al campo nomadi di Torrevecchia: c’era stato lo stupro di Primavalle, il campo nomadi era stato sgomberato, la polizia aveva fotografato tutti quelli che ci abitavano. In Questura la ragazza della Caffarella aveva lavorato per ore con i disegnatori di identikit e ne era venuti fuori due: un biondo slavato, un castano con capelli lunghi. Le hanno fatto vedere dodici foto di biondi slavati somiglianti a quella ricostruzione e lei è quasi svenuta sulla faccia di Loyos Isztoika. Del castano nessuna traccia, nonostante le settecento foto tirate fuori dall’archivio.

Un’ora dopo, Loyos è in Questura. «Strafottente, irridente, quasi al limite della resistenza a pubblico ufficiale», ricorda un agente che lo accompagnava. Il biondino nega, dice che non c’entra, mai stato alla Caffarella. Ci sono anche gli agenti romeni, che avevano fornito indicazioni e supporto all’indagine. C’è fermento. I media assediano il palazzetto di via San Vitale. Attraverso i canali del Viminale la politica vuole risposte rassicuranti per la gente della Caffarella, per Roma. Comincia adesso il maledetto cono d’ombra di questa indagine: il biondino è in camera di sicurezza; si decide di interrogarlo con calma, il giorno dopo, perché la notte potrebbe ammorbidire quel carattere strafottente. Lo lasciano a colloquio con i poliziotti romeni, un’ora appena. Sessanta minuti che sembrano risolutivi, ma che poi si riveleranno avvelenati.

Dopo quattro giorni di caccia serrata, Vittorio Rizzi è appena arrivato a casa quando lo richiamano dalla Questura: Loyos Isztoika vuole parlare. Adesso. Chiamano anche Vincenzo Barba, il pm che segue l’indagine. E pure un tecnico video, perché l’interrogatorio possa essere ripreso. Il biondino canta che è una bellezza: «Fumo le Winston Light» e ci sono cicche del genere sul luogo dello stupro; «Abbiamo rubato i loro cellullari e ne abbiamo buttato uno nel parco, dopo aver estratto la scheda Sim»: ed ecco il telefonino della ragazza dietro una panchina, con la sim accanto. E poi il sangue: «Ne ho perso tanto» dice la vittima. E c’è un pantalone sporco di rosso nella tenda del biondino. Che indica pure il complice: Karol Racz, faccia da pugile. Lo pigliano a Livorno, non ha i capelli lunghi come l’identikit, ma nessuno ci bada; ed è alto un metro e mezzo e non parla italiano.

Due giorni dopo si replica in Procura. Ma il biondino ritratta: «Ho subito pressioni, mi hanno picchiato». Non sembravi picchiato la sera della confessione, gli dice il Pm. «Mi hanno strattonato», si corregge lui. Ma chi? La polizia italiana che si è precipitata a fare il Dna a caccia della prova regina? Difficile da credere: sapevano che la scienza e la genetica avrebbero smascherato qualsiasi trucco. Come avviene: niente Dna dei romeni sulle cicche del parco, niente impronte sui telefonini, niente sangue sui pantaloni. Resta quel cono d’ombra: i sessanta minuti che Loyos trascorse con gli agenti del suo Paese, mentre Rizzi era fuori dalla Questura e il pm Barba era a piazzale Clodio. E resta una frase, «mi hanno strattonato», che apre due ipotesi: o non si sono limitati a quello, oppure Loyos accusa a vanvera. In ogni caso, il Dna gli spalancherà le porte del carcere. (Beh, buona giornata).

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