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Raiperunanotte: “Come se tutto quello che non si è potuto mai dire avesse trovato all’improvviso una finestra, uno sfogo impensato e impensabile.”

Un’altra Italia in tivù-l’espressonline.it
Raiperunanotte è stato un grande rito di liberazione collettiva. Lontano dalle censure e dal linguaggio ovattato di Rai e Mediaset. E ha messo a nudo la claustrofobia e il torpore in cui viviamo da troppi anni E’ stato un grande rito di liberazione collettiva. E’ stata una notte in cui in televisione si è potuto dire, per una volta, tutto quello a cui di solito non si può nemmeno accennare, tutto quello che è frenato dalle mille cautele dell’autocensura o dalle censure dirette dei grandi broadcaster.

E’ stata un’anomala puntata di “Annozero” che ha visto riapparire volti scomparsi dal monoscopio da tempo, come Daniele Luttazzi, con la sua comicità estrema. Che ha visto le argomentazioni lucide e pacate, seppur amareggiate, di Giovanni Floris e di Gad Lerner. Che ha visto la comicità surreale di Cornacchione giocare al rovescio sul partito dell’amore. E che ha trasmesso, recitate da voci di attori, le spaventose pressioni del premier all’Authority per le comunicazioni perché censurasse Santoro: quelle che le televisioni di Stato o direttamente in mano al premier si sono ben guardate dal rendere note, tanto meno in campagna elettorale.

Ma Raiperunanotte, la manifestazione-trasmissione per la libertà di stampa che è arrivata attraverso Internet o altri canali in centinaia di piazze e teatri e in centinaia di migliaia di case, è stato anche il battesimo di una nuova televisione: quella che non ha paura, quella che è forse normale in tutti i paesi dell’occidente, ma che da noi è diventato impossibile fare.

Non si sa ancora se è una televisione possibile, o se rimarrà l’esperienza di una sera: ma guardando e ascoltando gli ospiti di Santoro parlare, veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se per quindici anni non fosse stata anestetizzata da una comunicazione omologata, paludata, autocensurata anche nelle trasmissioni meno controllabili dal governo, come quelle di Floris e Santoro. Veniva da chiedersi che cosa sarebbe oggi l’Italia se i telegiornali non fossero – sempre, anche nei periodi in cui Berlusconi non è stato al governo – dei grandi silenziatori e degli inesorabili frenatori.

E’ stato, appunto, un grande rito di liberazione collettiva. Come se tutto quello che non si è potuto mai dire avesse trovato all’improvviso una finestra, uno sfogo impensato e impensabile.

A chi non è più un ragazzo, Raiperunanotte ha ricordato una storica trasmissione di Dario Fo, andata in onda a metà degli anni Settanta. Quando, dopo vent’anni di lontananza dalla Rai, lo scrittore e comico milanese ebbe la possibilità di portare il suo teatro sulla neonata Raidue. Allora il futuro premio Nobel recitava nella palazzina Liberty di Milano, in zona Vittoria; questa volta l’esplosione di libertà è arrivata dal Paladozza di Bologna, attrezzato a studio televisivo. Ma uguale era l’emozione e uguale la sensazione di violare un territorio abitualmente chiuso, quello appunto della tivù di Stato.

Questa volta, però, la Rai non c’era. Mentre Marco Travaglio raccontava l’odissea fantozziana della presentazione delle liste del Pdl del Lazio, il canale in cui avrebbe dovuto stare Santoro era impegnato nella trasmissione di una gara di pattinaggio: come nella vecchia Unione Sovietica, quando si riempivano i palinsesti di sport mentre i segretari del Pcus erano agonizzanti “per un raffreddore”.

E l’impressione che è emersa dalla nottata di ieri è stata proprio quella di un regime fatiscente e moribondo, claustrofobicamente chiuso in se stesso per quanto ancora furioso e capace di lunghi colpi di coda. Fuori, però, sta crescendo un’altra Italia che ha voglia di parlare, di ascoltare, di esistere. (Beh, buona giornata).

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