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La crisi economica uccide il lavoro: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”, disse il Ministro della disoccupazione.

Cgil torna in piazza a Roma, Epifani: “Licenziamenti a valanga”-repubblica.it
Maurizio Sacconi, ministro del welfare: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”

ROMA – La Cgil torna in piazza a Roma contro il governo, da cui esige risposte su lavoro e crisi. La manifestazione nazionale è stata indetta per sottolineare che il peggio della crisi non è affatto alle nostre spalle e che la ripresa sarà lunga e difficile. A sfilare a fianco dei lavoratori della Cgil anche Italia dei Valori, Partito democratico e studenti universitari. Il corteo, partito nel primo pomeriggio da piazza della Repubblica, si è concluso in piazza del Popolo con un intervento del segretario generale Guglielmo Epifani.

“E’ una piazza straordinaria, grazie a tutti voi che siete qui: queste luci vive permettono anche a chi voleva oscurare le nostre ragioni di vederci chiaro e trasparente”: con queste parole il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha aperto il suo intervento dal palco di piazza del Popolo.

“Chiediamo che il governo cambi registro per affrontare i nodi della crisi” ha detto il leader della Cgil Epifani, sintetizzando lo spirito del corteo di protesta. “Questa è una manifestazione che vuole chiedere al governo cose precise perchè gli effetti più negativi della crisi arriveranno nelle prossime settimane e investiranno l’occupazione”, ha aggiunto. “La crisi avrà gli effetti più negativi sull’occupazione nelle prossime settimane” ha detto ancora il segretario della Cgil, sottolineando come “il governo non stia facendo nulla per sostenere il lavoro e i pensionati”.

“In un anno sono stati persi, bruciati, 570 mila posti di lavoro di cui 300 mila di precari: una media di 50 mila posti in meno al mese. Questo il consuntivo di un anno da quando la Cgil lanciò l’allarme valanga disoccupazione”, ha denunciato ancora Epifani. “La valanga che avevamo previsto – ha aggiunto Epifani – non ha più neanche la ciambella di salvataggio della cassa integrazione, ma è fatto di mobilità, ristrutturazioni, chiusure e licenziamenti a valanga e ancora di altri precari senza tutela”.

Sull’analisi mostra di concordare il segretario del Pd Luigi Bersani, che nel messaggio inviato a Epifani invoca “una svolta nella politica economica del governo”. “La vera exit strategy a cui dobbiamo dare priorità oggi è la exit strategy dalla disoccupazione di lunga durata e dalla stagnazione dei redditi da lavoro – ha scritto Bersani – Il governo ha perso 18 mesi preziosissimi, ha lasciato impoverire il nostro migliore capitale sociale e la nostra più innovativa capacità produttiva faticosamente irrobustita negli ultimi anni”.

Critico invece il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: “Mi sembra un piccolo mondo antico che rappresenta un pezzo del Paese, ma rimane ancorato al ‘900 e alle sue ideologie”. Sacconi ha sottolineato tra la Cgil e gli altri sindacati confederali: “Una manifestazione fatta da soli, esaltando in questo modo la separatezza dalle altre organizzazioni sindacali”.

Secondo gli organizzatori al termine della manifestazione c’erano 100.000 lavoratori provenienti da tutta Italia. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta “Il lavoro e la crisi: esigiamo le risposte”. Tante le bandiere della Cgil, della pace, ma anche di partiti della sinistra come il Pd, l’Idv, dei Comunisti Italiani e grossi palloni colorati con la scritta Flc-Cgil.

Nel corteo anche gli striscioni delle aziende in crisi come l’Eutelia: “Eutelia: come arricchire i padroni depredando i lavoratori. Landi, dove sono finiti i soldi e gli immobili di Getronics e Bull?”. I lavoratori hanno raggiunto la capitale con 3 treni e oltre 750 pullman. Tra i partecipanti anche esponenti politici nazionali come Oliviero Diliberto, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero. In testa alla manifestazione la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camusso e il segretario regionale del Lazio Claudio Di Berardino.

La Cgil ha deciso di scendere in piazza senza Cisl e Uil, come ha spiegato ieri Guglielmo Epifani rispondendo alle domande di RepubblicaTv. “Non siamo stati in condizione di fare una manifestazione unitaria sui temi della crisi” ha spiegato il leader della Cgil. “Questo ci è riuscito solo a livello locale, non nazionale. Sarebbe stato meglio farla insieme. Un’iniziativa comune peserebbe di più e i lavoratori, in questo momento, hanno bisogno di tutto il sindacato. Comunque, per riportare al centro i problemi di chi perde il posto, meglio soli che niente”. Da piazza del Popolo Epifani ha lanciato tuttavia un appello a Cisl e Uil: “Mando a dire a Cisl e Uil che se si volesse fare lo sciopero generale sul fisco la Cgil ovviamente è pronta ed è in prima fila”.

Con la Cgil sono centinaia, fa sapere l’Unione degli universitari, gli studenti in piazza, all’indomani del primo ok del Senato a una legge finanziaria fortemente contestata anche sui risvolti per ricerca e istruzione. Riguardo alla scomparsa dei fondi destinati ai giovani ricercatori dell’università, il leader della Cgil ha detto “è una finanziaria che non dà nulla al lavoro, agli investimenti e al Mezzogiorno e non c’è soluzione neanche per i precari dell’università”. “Manca la promessa di stabilizzare i giovani ricercatori precari”, ha spiegato il segretario generale della Cgil, aggiungendo: “gli interventi del governo vanno contro il mondo del lavoro”.

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Lavoro Leggi e diritto Scuola Società e costume

L’Italia non è un paese per giovani.

di ROSARIA AMATO da repubblica.it

L’età giusta per un ingresso adeguato nel mondo del lavoro? Trentacinque-quarant’anni. E per una stabile affermazione professionale? Dai 50 ai 60. Non si tratta di una boutade, ma dei risultati del rapporto del Forum Nazionale dei Giovani e del Cnel, in collaborazione con Unicredit Group, dal titolo ” Urge ricambio generazionale – Primo rapporto su quanto e come il nostro Paese si rinnova”.

Già i titoli dei vari capitoli del rapporto la dicono lunga sulle conclusioni dei ricercatori: “Non è un Paese per giovani: l’emarginazione politica di una generazione”. Oppure “In paziente attesa del proprio turno. Diventare medico in Italia”. O ancora: “L’odissea dei giovani avvocati tra la libera professione e la trappola del precariato”. I vari percorsi professionali analizzati nel corso dell’indagine differiscono tra loro per le caratteristiche, ma non per le enormi difficoltà incontrate in misura sempre maggiore dai giovani, soprattutto negli ultimi anni.

“Il quadro che emerge non è incoraggiante – osservano gli autori del rapporto – e lo spaccato della gioventù italiana è permeato da una forte sicurezza individuale e sociale: i giovani italiani, seppur capaci e meritevoli, a fatica riescono ad affermarsi professionalmente e ad emanciparsi dalla propria famiglia prima dei quarant’anni. Non a caso si è andata affermando una nuova categoria sociale: quella dei giovani-adulti. Né tanto meno i giovani italiani sono nelle condizioni di poter incidere sulle scelte politiche, economiche e sociali della nazione, essendo esclusi da tutti i cosiddetti “circuiti” del potere”.

Under-35: precario uno su due. Prima ancora che dalla politica, tuttavia, l’emarginazione dei giovani italiani nasce nel mondo del lavoro. “Incertezza, disoccupazione, bassi salari sono tre dei principali fattori di disagio con cui i giovani guardano al problema del lavoro”, dice il presidente del Cnel Antonio Marzano. I dati: oltre un collaboratore su due ha meno di 35 anni. Ma non si tratta di contratti d’ingresso: secondo l’Istat, il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, a distanza di un anno erano ancora nella stessa posizione. Naturalmente chi lavora per 10 anni a progetto, come collaboratore, o a tempo determinato “ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo di fatto escluso dalle posizioni di vertice”.

Per i giovani retribuzioni più basse. Lavori meno importanti, retribuzioni più basse. “Se nel 2003 il guadagno medio lordo di un giovane d’età compresa tra i 24 e i 30 anni – si legge nel rapporto – era di 20.252 euro, rispetto ai 25.032 euro percepiti dagli over50, nel 2007 il divario si è significativamente ampliato: a fronte dei 22.121 euro corrisposti agli under30, i 51-60enni hanno percepito una retribuzione media lorda di 29.976 euro”.

E i disoccupati sono in forte aumento. Ma tra gli under-35 non ci sono solo i precari malpagati, ci sono anche i disoccupati, e ce ne sono molti di più che nelle altre fasce di età. “Tra il 2006 e il 2007 crescono di circa 200.000 i giovani inattivi, cioè ragazzi che non lavorano e non cercano lavoro. Questi giovani hanno avuto un brusco cambiamento di status: nel 2006 erano formalmente inseriti nelle forze di lavoro (come occupati o persone in cerca), mentre nel 2007 hanno deciso di non provare nemmeno a cercare un lavoro”. A questi si aggiungono 430.000 giovani che nel 2006 erano in cerca di prima occupazione, e l’anno successivo sono risultati inattivi.

Classi dirigenti sempre più vecchie. Visto che i giovani sono tenuti fuori dal mondo del lavoro, o al più lavorano in posizione marginali, guadagnando poco, le classi dirigenti negli ultimi anni sono invecchiate inesorabilmente. Da un’analisi condotta sulla banca dati del Who’s who (il database dei top manager pubblici e privati) risulta “un sensibile aumento dell’età delle classi dirigenti italiane: si è passata da una media di 56,8 anni a una di quasi 61 (60,8 anni). Un sistema di potere che invecchia di anno in anno, quello italiano, in tutti gli ambiti: anche i neoparlamentari hanno un’età media di 51 anni. Dal 1992 a oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti alla Camera, fatta eccezione per la XII Legislatura (nella quale costituivano il 12,4%). Infatti negli anni ’90 sembrava essersi instaurata, almeno nel Parlamento, una dinamica favorevole ai giovani, ma nell’attuale decennio si è decisamente interrotta. E quindi i giovani dai 25 ai 25 anni, che costituiscono il 18,7% della popolazione maggiorenne, hanno una rappresentanza pari solo a un terzo dell’incidenza effettiva sugli elettori.

La Lega Nord il partito più “giovane”. La rappresentanza giovanile è scarsa in tutti i partiti, con l’unica eccezione della Lega Nord, che presenta nell’ultima legislatura un 20,1% di eletti tra gli over35 contro l’11,4% tra i 25-35enni; per gli altri partiti la percentuale di eletti in età matura è quasi il triplo (47,4%). Anche nelle amministrazioni comunali, sostengono gli autori del rapporto, “nell’ultimo decennio gli under35 hanno perso terreno: finanche a livello locale le oligarchie di partito tendono ad estromettere le nuove generazioni dal governo del territorio”.

L’Università: nessun ricambio generazionale. Il rapporto analizza poi alcune professioni in particolare. Si comincia dal mondo accademico, sclerotizzato in misura inimmaginabile: tra i professori ordinari l’età media è di 59 anni. “Nel dettaglio, la metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su 100 (7,6%) hanno compiuto i 70 anni”. Non va meglio per le fasce più basse: l’età media dei professori associati è di 52 anni, e quella dei ricercatori è di 45. Solo il 3,4% di chi ottiene un dottorato di ricerca, infine, ha meno di 28 anni.

Ma va male anche nelle libere professioni. Non va meglio nelle libere professioni. Il giornalismo, la medicina, l’avvocatura e il notariato hanno tempi di accesso lunghissimi: “Per i più stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione di susseguono senza soluzione di continuità fino a oltre 40 anni. Qualche esempio: l’età media dei praticanti giornalisti è di 36 anni. I medici con non più di 35 anni sono poco meno del 12%, mentre i 35-39enni, rispetto a 11 anni fa, sono diminuiti del 13,8%. Mentre gli avvocati, pur iscritti all’albo, sono costretti per anni e anni a un ruolo umiliante di garzoni di bottega, e tra i notai due su dieci sono figli d’arte.

I padri tolgono in pubblico e restituiscono in privato. In questo scenario desolante il ruolo delle famiglie è ambiguo. Infatti in Italia ci sarebbero tutte le condizioni perché esploda un feroce conflitto generazionale tra i padri che mantengono il potere fino alla tomba e i figli esclusi, ma non esplode un bel niente perché, rilevano gli autori dell’indagine, “i genitori italiani sono tra i più generosi d’Europa quando è necessario dare un aiuto ai propri figli”, mentre “nel momento in cui sono chiamati a pensare ai giovani in quanto tali (e quindi ai figli degli altri) diventano molto egoisti”. In pratica, conclude il rapporto, “ci troviamo di fronte a una vera e propria legge del contrappasso: ciò che i genitori tolgono ai propri figli nella vita pubblica, è restituito (e con interessi molto alti) all’interno dei nuclei familiari”. Ma le conseguenze non sono positive: “Il rischio è che i giovani, rassegnati a questo immobilismo sociale, continuino ad accettare la propria condizione di emarginati in una società organizzata per caste e al cui vertice si trova una gerontocrazia inamovibile”.

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Gli sfruttati della comunicazione.

Crea imbarazzo nel governo e nella maggioranza il caso Atesia, una delle principali società italiane di call center, alla quale l’Ispettorato del lavoro ha imposto di assumere con contratto a tempo indeterminato 3200 lavoratori attualmente “a progetto”.

Prudente il commento del ministro del Lavoro Cesare Damiano: “Mi riservo di esaminare i documenti su Atesia, ma per cò che concerne i call center in generale, 250 mila persone occupate in 700 aziende, l’obiettivo è di regolarizzare tutto il settore”.

Il presidente dell’associazione di categoria Assocontact (Fita-Confindustria), Umberto Costamagna, avverte: “Se la decisione fosse estesa si minerebbe l’intero settore, mettendo in ginocchio le aziende e obbligandole a fare a meno di 50-60 mila collaboratori e mettendo a rischio altri 20-30 mila addetti assunti a tempo indeterminato”.

Giorgio Cremaschi, membro della segreteria della Fiom, dice che “è necessario che il governo assuma ed estenda queste interpretazioni in tutto il settore dei call center”. Il gruppo Cos-Almaviva di cui fa parte Atesia (che lavora per Tim e Wind), ma anche per altre società (Alicos con Alitalia e InAction con Fiat) è una creazione dell’imprenditore Alberto Tripi.

Alberto Tripi, è un sostenitore dell’Ulivo della prima ora, vicino alla Margherita e in particolare al vicepremier Francesco Rutelli. Tripi nel 2005 ha fatto il salto di qualità acquistando da Telecom la società di software Finsiel, cambiandole il nome in Almaviva. Oltre a servire le principali aziende private, si è aggiudicato commesse con ministeri e società pubbliche come i Monopoli di Stato.
Lo Stato produce precariato? E’ atipico. Beh, buona giornata.

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