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Finanza - Economia - Lavoro Popoli e politiche

«Date da mangiare ai poveri! Mangiate i ricchi!»: manifestazioni e scontri a Washington contro il vertice del Fondo monetario internazionale.

(fonte: lastampa.it)
Più di una dozzina di vetri di banche infranti, scontri con la polizia e qualche ferito. Finora si tratta solo di episodi, ma la polizia di Washington rimane in stato di allerta, nel fine settimana in cui si svolgono le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.

I cartelloni portati dai manifestanti lanciano infatti messaggi inequivocabili. «Capitalismo, non resuscitare», e anche «Date da mangiare ai poveri! Mangiate i ricchi!». Il clima si è fatto più teso, quando sei persone sono state arrestate dopo aver infranto i vetri di alcune banche della città, in particolare – stando a quanto riporta il Washington Post – di una filiale di Wachovia Bank e di un’altra di Pnc Bank.

Altri disordini sono stati scatenati poco dopo da un rally organizzato da 200 persone circa vicino alla sede dell’Fmi e della Banca Mondiale.

I manifestanti hanno tentato di entrare nelle strade chiuse al traffico; a quel punto la polizia è intervenuta con manganelli e spray al pepe nell’intento di allontanare gli attivisti.

Alcuni manifestanti sono stati spinti a terra ma, secondo quanto spiegato da Jeffrey Harold, responsabile della polizia di Washington D.C., le autorità sono state costrette a intervenire in quanto sorprese dalla folla. Durante il tafferuglio, un 22enne è stato arrestato dopo aver spruzzato dello spray al pepe contro un poliziotto.

I manifestanti hanno però puntato il dito contro la reazione della polizia che, a loro avviso, avrebbe agito senza lanciare alcun avvertimento. La reazione delle forze dell’ordine, ha confermato dal canto suo il reverendo Don Thompson, di 73 anni, «è stata molto eccessiva. Non ci hanno dato il tempo di lasciare libera la strada». Lo stesso Thompson è finito a terra, mentre i poliziotti stavano allontanando i dimostranti.

Raccontando l’accaduto Nicole Davis, 22 anni di Washington, ha riferito che la polizia ha sollevato fisicamente lei e altri nove manifestanti dalla strada al marciapiede. Nello spiegare i motivi della sua personale protesta, Davis ha detto che «chiaramente, il capitalismo non sta funzionando» e che «c’è bisogno di un sistema differente». Beh, buona giornata.

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Animali Leggi e diritto Media e tecnologia

Chi non ha il telefonino è un sospetto terrorista.

Chi possiede un telefonino è rintracciabile in ogni momento e in ogni luogo. Chi non ce l’ha evidentemente nasconde qualcosa.
da ZEUS News – www.zeusnews.com
La comodità che deriva dall’avere un cellulare è innegabile: si può raggiungere tutti e da tutti essere raggiunti in qualunque momento. Il prezzo di questa flessibilità? Lasciare che qualcuno conosca tutti i nostri spostamenti.

Ogni telefonino è sempre rintracciabile: non solo – per i modelli più evoluti – grazie al Gps integrato, ma per tutti tramite le celle che costituiscono la rete di telefonia mobile.

Grazie alle leggi sulla data retention (specialmente quelle approvate nel Regno Unito, che seguono la direttiva europea entrata in vigore lo scorso 15 marzo) la polizia può facilmente avere accesso a questi dati se ritiene di averne bisogno nel corso delle indagini: i gestori sono tenuti a conservarli (insieme a quelli relativi alle comunicazioni) per 12 mesi.

Questa situazione, poco piacevole per chiunque ami difendere la propria privacy, scatena un ulteriore meccanismo perverso: se tutti coloro che hanno il cellulare sono rintracciabili – potrebbero ragionare le autorità – e se praticamente tutti hanno un cellulare pur sapendo ciò, quei pochi che ne sono privi evidentemente nascondo qualcosa di sospetto.

Che questo ragionamento non sia frutto di fantasia è provato da almeno due casi, uno accaduto in Germania e l’altro in Francia.

Nel primo caso, quattro persone sono state arrestata con l’accusa di far parte di gruppi terroristici: per due di questi – Andrej Homl e Matthias B., insegnanti universitari – l’iscrizione nel registro degli indagati è avvenuta perché durante le loro lezioni avrebbero usato “frasi e parole chiave usate dai gruppi militanti” e perché non avrebbero portato con sé il cellulare a un incontro considerato cospiratorio.

Il caso francese è ancora – a suo modo – più buffo: nove persone sono state arrestate perché accusate di “associazione a delinquere connessa a iniziative di stampo terroristico”. Gli indizi? Vivevano in una fattoria in campagna, a Tarnac, e gestivano una drogheria, senza possedere alcun cellulare.

“Hanno adottato i metodi della clandestinità. Non usano mai il telefonino. Hanno reazioni amichevoli con persone che potrebbero avvertirli della presenza di stranieri” ha spiegato il Ministro dell’Interno parlando dell’arresto.

Se questo è l’indirizzo preso dalle forze dell’ordine dell’Unione Europea – che già in Inghilterra come in Irlanda viaggia verso il controllo totale delle comunicazioni – converrà tenersi stretti i cellulari: una banale dimenticanza potrebbe costare una notte in guardina. (Beh, buona giornata).

http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=10061

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Attualità Leggi e diritto

Sicurezza: come il governo ha azzoppato il suo cavallo di battaglia.

di Pino Cabras – Megachip

Continuavano a chiamarlo sicurezza, lo stillicidio di tagli alla sicurezza. Un miliardo di euro in meno nel 2007, 800 milioni nel 2008, 1300 milioni nel 2009. Ricapitolando: nell’era dei grandi salvataggi e del denaro buttato alle banche dagli elicotteri, le forze dell’ordine italiane hanno subito un salasso totale di oltre tre miliardi di euro in tre anni. Fonte ultrasegreta del dato: le leggi finanziarie.

Diciamo ultrasegreta, perché il governo ha scelto – come in ogni campo – una via orwelliana: arriva a dire che gli stanziamenti per la polizia sono aumentati. Puro “bispensiero”. I dati veri scompaiono dai Tg. Ma il bello è che il governo osa dirlo anche in faccia ai sindacati di polizia. Le maggiori sigle sindacali faticano a contenere l’inevitabile malcontento generato da una situazione insostenibile. A centinaia, i poliziotti sono arrivati a protestare davanti al Viminale, presente anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani.

Come se non bastasse ci si mettono pure le ronde. Un aiuto, un pilastro di responsabilità civica, secondo il ministro dell’Interno Maroni. Una seccatura che distoglie tempo e risorse, anzi, peggio, un problema per la sicurezza, un grattacapo che si aggiunge alla confusione dei soldati usati con compiti di polizia, fanno notare i sindacati.

Così abbiamo il governo che racconta favole sulle magnifiche sorti e progressive della sicurezza e sul suo “potenziamento”. Ma chi si va a leggere le circolari della Direzione centrale per i servizi di ragioneria del Ministero dell’interno vede una storia ben diversa, una catastrofe gestionale umiliante che pone seri problemi di tenuta democratica del nostro paese, anche in un tale luogo nevralgico. Tagli drastici alle missioni, auto di epoca nuragica ancora in servizio ma con sempre meno benzina, misure draconiane sul riscaldamento delle caserme. Uomini coinvolti in delicate missioni antimafia costretti alla più tipica e riconoscibile vita da caserma, con ricercati che così mangeranno la foglia, sapendoli a dormire lì.

E anche se negli organici ci sono già vuoti pazzeschi, i 1500 agenti che ogni anno se ne vanno in pensione sono sostituiti solo in piccola parte. Per una volta la Cgil non è stata lasciata a opporsi da sola, e perfino il segretario del Pd, Dario Franceschini, ha raccolto sgomento la notizia che «ai poliziotti che dovranno operare al G8 di La Maddalena è stato chiesto di anticipare di tasca propria le spese». Proprio così, a questi nababbi che già prendono un terzo in meno rispetto ai loro colleghi europei.
Per capire lo sfacelo gestionale, va ricordato che molto spesso gli straordinari sono obbligatori, senza copertura finanziaria adeguata e vengono rimborsati anche due anni dopo. Persino il SAP, il sindacato più filogovernativo che pure si è dissociato dalla manifestazione al Viminale, chiede centinaia di milioni di euro per la funzionalità minima della pubblica sicurezza.

Questa è l’Italia che deve presentarsi più cattiva, direbbe Maroni. Al momento riesce a essere cattiva e micragnosa anche con le proprie strutture essenziali. Quanto può reggere uno Stato nazionale che lesina i soldi ai suoi apparati fondamentali, alle scuole, all’Università, alle forze di polizia, fino a avvilirli e demotivarli? E se tutto questo si sfascia, che razza di processo politico si innescherebbe? Coperta da tanta retorica sulla sicurezza, la politica che si avanza apre le porte a poteri irresponsabili e predatori che sembrano non disdegnare anche il caos. Una polizia umiliata, che si aggiungerebbe a una scuola in declino verticale, a questi non dispiacerebbe. Tutte le secessioni risulterebbero più plausibili. Si sono preparati per decenni. (Beh, buona giornata).

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Attualità Scuola

Tornano di moda: fascistelli e polizia contro gli studenti.

da torino.repubblica.it

Scontri oggi a Torino a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, tra alcune decine di studenti del Fuan-Azione Universitaria e quelli dei Collettivi universitari autonomi che si sono spintonati sulle scale d’ingresso dell’ateneo. Sul posto sono intervenute le forze dell’ordine che hanno disperso i due gruppi Al centro della contestazione il volantinaggio fatto dal Fuan all’esterno di Palazzo Nuovo per le elezioni universitarie.

Secondo la ricostruzione delle forze dell’ordine, quando i giovani del Fuan hanno cercato di entrare nell’Università per riunirsi in un’aula concessa dal Rettore, gli autonomi hanno bloccato l’ingresso. Ne è nata una contrapposizione fra i due gruppi con insulti, scambio di pugni e spintonamenti. Soltanto dopo l’intervento delle forze dell’ordine che hanno effettuato una carica, i giovani del Fuan sono entrati nell’Ateneo ed hanno potuto raggiungere l’aula.

All’interno, tuttavia, i giovani dei Collettivi contestano attualmente l’incontro con slogan contro gli studenti del Fuan. Lo scorso 9 marzo, per lo stesso motivo, c’erano stati incidenti con vari feriti tra le forze dell’ordine e un autonomo arrestato. In seguito il rettore Pelizzetti ha vietato all’interno di Palazzo Nuovo volantini elettorali e banchetti per la raccolta firme. (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche Scuola

Tornano di moda le cariche della polizia contro gli studenti.

di Iaia Vantaggiato da Il Manifesto

Roma, Parigi, Barcellona. E’ un’Onda lunga ma per niente anomala quella che oggi torna a protestare in gran parte d’Europa. “Sciopero in Onda, libertà in movimento» recitano gli striscioni mentre gli studenti contestano ovunque i tagli all’Università, la fine dell’istruzione pubblica e la presenza incontrastata “dei fascisti all’università”. Fascisti che, quanto meno a Roma, arredano le loro sedi con spranghe e catene. Un trend scellerato che attraversa l’Unione – Spagna di Zapatero compresa – con gli studenti da una parte che manifestano
pacificamente e le forze dell’ordine dall’altra che, orfane dei fasti di Genova e del G8, decidono di caricare.

Accade a Roma dove gli universitari hanno dato vita ad un corteo interno snodatosi tra i viali della Sapienza. Qualche lezione interrotta (e che sarà), i megafoni come unica arma e il tentativo di uscire dalla città universitaria per riversarsi nelle strade vicine: “Vogliamo andare nelle nostre strade: libertà di
movimento”. Ad attenderli, un cordone di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa che caricano gli studenti respingendoli all’interno dell’ateneo
(“caricano”, “tenuta antisommossa”, ma in che anno siamo?) “secondo quanto previsto dal Protocollo di restrizione dei percorsi dei cortei a Roma”. E alla
carica, gli studenti rispondono con il lancio di oggetti e di scarpe: “Ce le eravamo portate per lanciarle davanti al ministero dell’Economia come hanno fatto in Francia”. E’ al secondo tentativo di forzare i blocchi – dopo un’assemblea autoconvocata – che gli agenti della Guardia di finanza effettuano una nuova “carica di alleggerimento”. I contusi fra gli studenti sarebbero decine. Difficile fare un bilancio, come spiegano i ragazzi, “perché se ne trovano ad ogni angolo della città universitaria”.
Accade a Parigi, la notte scorsa a Montmartre, in occasione della «notte delle università» organizzata nell’ambito della mobilitazione degli insegnanti-ricercatori contro le leggi di riforma del governo sulle università. Le agenzie parlano di atti di vandalismo, di vetrine di negozi, supermercati e banche
(banche? Che adesso le banche c’hanno pure le vetrine?) sfondate e di bottiglie lanciate contro la polizia. Non più di 150 persone, dicono i testimoni, peccato che di qualche migliaia di studenti parlino altre fonti. Le stesse migliaia di studenti che si erano riunite in serata nell’Università Paris VII nel XIII arrondissement, a est di Parigi, vicino alla Biblioteca Nazionale di
Francia Francois Mitterrand.
Accade a Barcellona dove altri incidenti fra polizia e studenti contrari alla riforma dell’università sono stati registrati in mattinata quando le forze dell’ordine hanno sgomberato con la forza gli edifici del rettorato – occupati da novembre – arrestando tre studenti. Centinaia di studenti hanno bloccato la Gran Via e sono stati caricati dalla polizia.
Tutto questo accade. E accade nella nostra democratica Europa. Quella che ha a cuore la pubblica e libera istruzione. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Stupro della Caffarella: la polizia si dimenticò al bar un impermeabile sporco di sangue.

di Luca Lippera da ilmessaggero.it
ROMA (5 marzo) – «Vede? Sta ancora lì, appeso… E non ho mai capito perché la polizia non è più venuta a prenderlo. Eppure io gliel’ho detto che sta qui…». Tra le tante stranezze del caso della Caffarella, la più strana, ma davvero strana, è rimasta pietrificata nel “Simon Bar” di via Crivellucci 6. È l’impermeabile, sporco di sangue e di chissà cos’altro, in cui la vittima dello stupro di San Valentino fu avvolta la sera del 14 febbraio dalla titolare della tavola calda. Sulla fodera interna, ci sono, ben visibili, almeno quattro macchie che potrebbero rivelare, oltre ai liquidi organici della vittima, quelli degli assalitori tuttora sconosciuti. «La ragazzina tremava racconta Alessandra Bruni, 24 anni, contitolare del “Simon Bar” e aveva sangue lungo le gambe. Così la avvolsi nel mio trench. Quando arrivò la polizia, segnalai il fatto, ma l’abito, nella foga, è rimasto qui. Ora non so se chiamare qualcuno, perché non vorrei dare l’impressione di forzare la mano…».

Lo “spolverino”, beige scuro, un modellino tipo Sherlock Holmes, è tuttora appeso insieme ad altri soprabiti accanto all’ingresso della cucina del “Simon Bar”. Il locale, un posto carino e tranquillo, proprio davanti al Parco della Caffarella, è stato il primo approdo dei ragazzini dopo quello che vissero nella boscaglia. «Non mi azzardo neppure a toccarlo continua la Alessandra Bruni, un bel bambino di un anno in braccio, toscana d’origine, poi cresciuta a Milano Non vorrei “inquinare” una cosa che potrebbe tornare utile. Sono passati i giorni. Pensavo che prima o poi gli agenti della polizia sarebbero venuti a prenderlo. Ma non non s’è visto nessuno. Per carità: non voglio assolutamente permettermi di suggerire a chi indaga cosa va fatto. Però non so come comportarmi. Così l’ho lasciato lì. Se è un oggetto utile, prima o poi me lo chiederanno…».

Sentirle, certe parole, e vederlo lì l’impermeabile sporco di sangue fa davvero riflettere. Alexandru Isztoika, 19 anni, e Karol Racz, 36, i romeni, sono in Carcere a Regina Coeli accusati di una violenza che ha scosso nel profondo la città per la ferocia e l’età della vittima. Sul corpo della ragazzina seviziata nel giorno di San Valentino non ci sono tracce del loro Dna: perfino il liquido seminale non porta ai due immigrati. Ma sull’attaccapanni di un bar dell’Appio riposa, mentre la Procura e la Questura difendono l’inchiesta, un indumento che magari potrebbe aiutare le indagini in un senso o nell’altro. Sembra però che la cosa non interessi. «Non vorremmo aver rivelato un fatto inopportuno si preoccupa Roberto, 50 anni, contitolare del “Simon Bar” è solo che veramente, specie dopo le ultime notizie che si sono sentite, il Dna e tutte queste storie, non sappiamo cosa fare».

I titolari del bar la sera del 14 febbraio scorso se la ricordano bene. Un racconto, il loro, che apre altri scenari e ulteriori riflessioni. «Ero qui ricorda Roberto e il ragazzino ce l’ho ancora davanti agli occhi. Alessandra li aveva fatti sedere tutti e due. Lui stringeva la mano alla fidanzatina e diceva: “Erano un arabo e uno zingaro, un arabo e uno zingaro…”. L’ha ripetuto non so quante volte. Quella era, a caldo, la sua prima impressione, forse quella più netta. Quando mi hanno convocato in Questura, l’ho ripetuto agli agenti che mi hanno sentito: “Un arabo e uno zingaro”, lui diceva così. Tra l’altro, da quello che ho capito, il ragazzo ci aveva parlato e aveva avuto modo di rendersi conto di chi aveva di fronte. Ci raccontò, insieme alla ragazza, che uno dei violentatori, prima che la situazione precipitasse, si era avvicinato alla panchina chiedendogli una sigaretta. Dunque l’aveva visto in faccia e credo che ne avesse percepito l’accento. Non siamo certo noi a poterlo dire. Ma forse era un dettaglio importante…».
Forse. Come un impermeabilino sporco di sangue che evidentemente non merita attenzione. Tanto, prima del Dna, c’erano i romeni. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Stupro della Caffarella: “La polizia ha avuto anche l’impudenza di presentarci (in una conferenza stampa!) il racconto di un’inchiesta esemplare, svolta in collaborazione internazionale con la polizia romena, con foto e pedinamenti, il metodo tradizionale.”

di LUCIA ANNUNZIATA da lastampa.it

Francamente non so se bisogna benedire o maledire quello che è successo. Sia ben chiaro: la scoperta che i due immigrati romeni accusati di essere i colpevoli dello stupro della Caffarella in realtà non lo sono, è un vero e proprio schiaffo alla nostra coscienza nazionale.

Vogliamo davvero lasciar passare questo episodio come un ennesimo «disguido» delle Istituzioni del nostro Bel Paese, o vogliamo fermarci un attimo a chiederci come sia stato possibile, e chi ne sia responsabile? Perché, prima ancora che si sappia bene quel che è accaduto, una cosa è certa: questo è un tipico caso in cui almeno un responsabile va trovato e deve pagare.

Vediamo intanto perché la vicenda Caffarella si presenta come più grave dei pur molti errori simili. Le indagini italiane non sono un esempio di efficacia. Questa affermazione si fa molto spesso a proposito di iniziative «audaci» da parte di magistrati che indagano sulla politica. In questi casi, c’è un’attenzione quasi parossistica al tema da parte sia dei giornali che del Parlamento.

La verità però è che le indagini italiane sono ampiamente carenti anche quando si tratta di crimini comuni. La prova? La confusione e le lungaggini in cui si sono insabbiati alcuni grandi delitti, quasi tutti dati per altro come «chiariti»: ci trasciniamo ancora fra il pigiama e gli zoccoli di Anna Maria Franzoni nella villetta di Cogne, fra il computer e i pedali della bici di Alberto Stasi, fra le tracce di Amanda e Raffaele sul reggipetto di Meredith. Quasi tutti i maggiori delitti del Paese, anche quelli non politici, periodicamente rigurgitano una nuova prova persa, avvilita, trascurata o smarrita. Ad esempio, Profondo Nero, un recente libro di Giuseppe Bianco e Sandra Rizza (ed. chiarelettere) riapre l’inchiesta sull’assassinio di Pasolini, collegandolo alla morte di Mattei e del giornalista De Mauro, proprio in base a nuove testimonianze.

A differenza dei casi che riguardano la politica, però, gli italiani non sembrano indignarsi troppo degli errori nelle indagini di «nera». Anzi: la confusione è diventata una sorta di nuovo genere di «soap» giornalistica che si sviluppa nel tempo e con grande godimento di tutti.

Lo stupro della Caffarella presenta una forte novità, figlia di questi nostri tempi: è un fatto di violenza, dunque di nera, che assume però una fortissima valenza sociale per il contesto in cui avviene. Un caso «transgender» che scavalca le tradizionali distinzioni fra cronaca e politica.

Della delicatezza della situazione siamo stati consapevoli tutti fin dal primo momento. E ci siamo fidati. Fidati, sì. Perché in Italia, nonostante si ami dilaniarsi su tutto fra Guelfi e Ghibellini, resiste una profonda fiducia nelle nostre istituzioni. Ogni volta è come se fosse la prima, per la nostra opinione pubblica. Ci siamo tanto fidati che quando la polizia ci ha presentato i suoi mirabolanti risultati, nessuno di noi ha sollevato un dubbio. Nonostante le Amande, gli Alberti, le Annamarie e gli Azouz, abbiamo applaudito e gridato al miracolo. Se non è fiducia nelle istituzioni questa!

Poi le smentite, e infine la certezza dell’errore. E non si sa se benedire il disvelamento, o se maledire la nostra stupidità collettiva. Tutti convinti da parole come «materiale organico» e «Dna», nonché ammiratori del metodo. La polizia ha avuto anche l’impudenza di presentarci (in una conferenza stampa!) il racconto di un’inchiesta esemplare, svolta in collaborazione internazionale con la polizia romena, con foto e pedinamenti, il metodo tradizionale. Approfittando così (tanto per colorare di più la valenza politica del risultato) per dare una bastonata polemica all’uso delle intercettazioni.

Ora, di fronte alle smentite, si dice: «La politica ha messo fretta». Ma non è questo lo scandalo: la politica fa sempre fretta, ha sempre bisogno di presentare, usare, mangiare. Scandalosa è l’incoscienza dei corpi dello Stato che hanno accettato questa fretta. E scandaloso è soprattutto il risultato: l’intero Paese si è visto condurre per il naso verso una direzione che conferma il razzismo più frettoloso e più rozzo. Cui nessuno è riuscito a sottrarsi, nemmeno i democratici più convinti.

Qualcuno dei nostri lettori potrebbe alzare la mano e porre una domanda molto opportuna: ma voi giornalisti? Perché anche voi vi siete accucciati? È un rimprovero giusto. Troppo spesso noi giornalisti facciamo da acritica cassa di risonanza delle indagini. Una responsabilità che ci è stata già rinfacciata. E che ci prendiamo. (Beh, buona giornata).

Ma come dubitare di un teatrino perfetto, come quello messo in piedi dalle nostre istituzioni? Siamo di fronte a una vera e propria frode. Qualcuno deve pagare per il clima che l’episodio lascia in tutto il Paese, di amaro in bocca e di sgomento. (Beh, buona giornata).

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