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Prove tecniche di regime.

Doppio arzigolo carpiato con avvitamento a destra per la privatizzazione del Pnrr.

“Se qualcuno dice ‘vuoi togliere il controllo concomitante sulle amministrazioni pubbliche?’ la risposta è fermamente no, ma se mi dici ‘sul Pnrr ritieni che la disciplina dei controlli possa essere rivista, assegnando una primazia ai controlli comunitari rispetto ai controlli nazionali, la risposta è sì, ma non perché non vogliamo controlli ma perché vogliamo che i controlli siano i controlli comunitari che consentano, loro sì, una omogeneità di visione perché vengono fatti a consuntivo e non in corso d’opera.

Anche perché talune difficoltà legate al Regis (la piattaforma dove le pubbliche amministrazioni inseriscono i dati sui progetti del Pnrr) possono aver indotto determinate relazioni di controllo a uscire con dati non sempre correttissimi, o magari non aggiornati all’ultimo minuto. Poi magari la polemica mediatica fa tutto il resto”.

Chi parla è tale Federico Freni della Lega, sottosegretario al Mef che, come tutti i componenti del governo, è impegnato a mettere fuori controllo i piani di attuazione del Pnrr, invece che fare di tutto per stare nei tempi per accedere regolarmente alle nuove rate di finanziamento.

Una vera e propria vergogna politica e istituzionale, un capovolgimento dei veri motivi delle inadempienze verso gli obblighi previsti per la gestione dei fondi comunitari.

Cercano il colpevole della loro inettitudine nella magistratura contabile, per creare le condizioni che favoriscano la gestione dei fondi da parte di privati e senza controlli.

Vogliono solo “privatizzare” il Pnrr, trasformandolo in un veicolo di consenso verso i soliti potentati, invece che di crescita per uscire dalle strettoie economiche post pandemiche.

Come sempre, alla borghesia italica importa solo il tornaconto immediato, piuttosto che le strategie di crescita; compra privilegi come buoni contro termine; preferisce privilegi oligarchici e corporativi in cambio della sovranità delle regole costituzionali, della correttezza istituzionale.

Ai liberali, intrisi di liberismo, non dispiace l’autoritarismo, se supporta il capitalismo, togliendo di mezzo ogni intermediazione delle istituzioni democratiche. Compresa la Corte dei Conti.

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Attualità

Missione missina.

Si palesa una situazione simile a quella che per decenni fu il terreno della missione del Msi, cioè quella di essere lo spauracchio dell’avanzata delle rivendicazioni operaie e popolari, del protagonismo diritti delle donne,  dei giovani, della difesa dello Stato sociale.

La destra e le paure dell’establishment.

Scrive su Domani Stefano Feltri: “Se oggi Giorgia Meloni può ambire ad andare a palazzo Chigi è anche grazie al cinismo dell’establishment italiano che ha deciso di legittimarla”. 

Manco a farlo a posta, contemporaneamente, Angelo Panebianco scrive sul Corriere: “C’è sempre, nelle elezioni italiane, un “sovraccarico etico” dato che, secondo le minoranze politicizzate, a scontrarsi sono il Bene e il Male. Per la minoranza di destra la parte del Paese che vota per la sinistra è dominata dai comunisti, per la minoranza di sinistra l’altra parte è in mano ai fascisti”. 

Tralasciando il cerchiobottismo, che è il massimo della moderazione raggiungibile dagli argomenti di Panebianco, pasdaran dell’establishment, la bocca buona della borghesia italiana su certe disgustose formazioni politiche non è una novità. 

Pensiamo al partito di Berlusconi e come in questo ultimo quarto secolo la borghesia italiana abbia sorvolato su tutto, pur di avere a disposizione qualcuno cui affidare i propri privilegi. O alla Lega, che da Bossi è diventata di proprietà di Salvini e delle sue sconcezze politiche sulla legalità, la sicurezza, i diritti umani e la politica estera. 

Per arrivare a Meloni, cui potrebbe essere affidato il ruolo di garante dell’autoritarismo necessario a comprimere le tensioni sociali, inevitabili a fronte del previsto “tzunami” sociale che si preannuncia per via dell’intreccio tra crisi energetica, crisi ambientale e inflazione, con l’aggravio, per i redditi bassi, dell’aumento del costo del denaro. 

Si palesa una situazione simile a quella che per decenni fu il terreno della missione del Msi, cioè quella di essere lo spauracchio dell’avanzata delle rivendicazioni operaie e popolari, del protagonismo diritti delle donne,  dei giovani, della difesa dello Stato sociale, oltre che rifugio di generali felloni e golpisti, ed essere nei fatti il bacino militante dei responsabili delle stragi, anche quelle di mafia, dei tentativi di colpo di stato, della cospirazione antidemocratica ordita dalla P2. 

Perché questo è stato il neofascismo italiano, file da cui Meloni e i suoi “fratelli” provengono: è da questo che non hanno mai preso le distanze, questo è il vero problema politico,  questa è la vera fiamma che arde nella loro storia, non certe pagliacciate nostalgiche, più patetiche che disgustose. 

Il “cinismo dell’establishment” come lo chiama il direttore di Domani è figlio di quella lunga stagione. La borghesia italiana, quella grande e quella piccola, i ceti ricchi e medi temono con tutto il sistema nervoso del lobbismo, delle caste, delle oligarchie, del familismo che prima o poi esploda la rivolta. 

E che redistribuzione della ricchezza, attraverso investimenti nel welfare pubblico, – cioè Istruzione, Sanità e Previdenza, – adeguamenti salariali al pari dei paesi del G7, pieno riconoscimento dei diritti delle donne, degli omosessuali, degli immigrati siano provvedimenti inevitabili.

Per la salvaguardia del nostro sistema politico, della coesione sociale, della stessa produzione delle merci, della loro distribuzione interna ed esportazione e dell’ambiente sarà necessario intervenire con una decisa “agenda sociale”.

Tutto questo fa paura. A ben vedere è proprio questo che la destra sta sfacciatamente dicendo in campagna elettorale, cioè se non votate per noi certi privilegi rischiano grosso. 

Ed è proprio su questo che si misura, al contrario, la timida cautela delle proposte sociali del centrosinistra, cui fa da sponda la goffaggine politica del M5s. 

Invece che puntare a mobilitare la coscienza e gli interessi materiali della stragrande maggioranza degli elettori con una piattaforma, che attivi il loro protagonismo nella lotta politica, per un concreto miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, hanno paura di spaventare l’establishment italiano, che invece sembra pronto a puntare decisamente a destra. 

Per mantenere rendite (esentasse) di posizione, per mettere la mani sui vantaggi del Pnrr, sono disposti a tutto. Tanto da pensare possibile affidarsi a una nuova missione missina.

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