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Comunicazione Cultura

Correva l’anno 1990. E come correva.

Ho incontrato Fritz Tschirren a cena a Milano, “A Santa Lucia”, il suo ristorante abituale. Ho già avuto modo e occasione di dire che Fritz ed io abbiamo piacere a incontrarci e, da oltre trent’anni, parliamo volentieri di libri, di cinema, di vini, cibi, di passioni, di politica, di dettagli buffi della vita, e del lato serio delle cose serie. Ogni tanto parliamo anche di pubblicità.

Mentre mangiavamo “una battuta”, – fettina di carne con olio, aglio, origano e peperoncino, che pare sia stata un’invenzione di Totò e che per questo fu prontamente inserita nel menù- Fritz mi ha ricordato dell’intervista che facemmo a Franco Grignani (1908-1999) per la Hall of Fame dell’Annual 1990 dell’ ADCI, l’Art Directors Club Italiano.

Allora il presidente era Gavino Sanna, il vice Pasquale Barbella. Chi fosse Franco Grignani è per grandi liee descritto nel testo che di seguito potrete leggere. Fu Fritz a proporre al Club di inserire Grignani nella Hall of Fame, perché Fritz ai primordi della sua carriera aveva lavorato per un breve periodo nel suo studio. Dopo essere stato il primo presidente dell’ADCI, nel 1990 Fritz era nel consiglio direttivo.

A quei tempi l’Art Directors Club era ancora una piccola e preziosa organizzazione di singole volontà e talenti che promuovevano, divulgavano e producevano cultura professionale, per spingere verso la qualità del lavoro e l’innovazione dei contenuti nhaella pubblicità italiana. L’ADCI aveva rilevanza proprio perché svolgeva questo ruolo formativo. Era un Club esclusivo, ci si poteva entrare su presentazione. Sì, eravamo rilevanti, facevamo bene alla creatività, tutta, pure quella che non era specificatamente pubblicitaria.

Poi le cose sono cambiate, si è pensato che la rilevanza fosse avere più peso specifico in termini di iscritti e di relazioni con il mondo della comunicazione d’impresa. L’ADCI si è mimetizzato e confuso nel “settore”. Non so: la tecnica ha preso il posto della cultura? L’autoreferenzialità quello dell’autorevolezza? Essere creativi non più ha più ambìto a essere una militanza professionale e dunque culturale, ma uno status aziendale? Fate voi.

Nel frattempo, ecco di che cosa sapeva parlare l’Art Directors Club Italiano al mondo della professione. Correva l’anno 1990. E come correva.

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”L’area operativa della pubblicità sta diventando sempre più vasta e lo sforzo creativo di specialisti non riesce ormai a produrre, per due prodotti similari, quanto basta per differenziarli. ln questo mondo di immagini, che sta raggiungendo valori ipertrofici, si impone la ricerca di nuovi valori segnici, fisici e costruttivi”. (Franco Grignani)

La sera del 23 ottobre del 1965 si chiudono all’Università di Carbondale negli USA i lavori di “Vision 65”, il primo congresso mondiale sulla comunicazione fra gli uomini. ”lo appartengo al professionismo grafico. Ogni giorno uno spazio bianco su di un foglio aspetta l’invenzione di un segno. Dietro di me il peso dì una imposizione commerciale preme sulle deviazioni verso tentativi dl ricerca di nuovi linguaggi. ll mio compito, come quello di altri grafici, è quello di analizzare e convogliare, attraverso filtri intuitivi, le nuove figurazioni per adeguarle alle tecniche in continua evoluzione”. È Franco Grignani il dissidente, l’autodidatta, il dilettante, come dice spesso di sé. Queste paroie gli valgono il plauso dei partecipanti e l’amicizia di Marshall McLuhan.”Tutte le volte che ci incontravamo mi diceva: che bella tua figlia, sembra un Modigliani”.

Franco Grignani, il maratoneta del “nuovo a tutti i costi” come se avesse attraversato a piedi otto decimi del XX secolo, lasciandovi le sue impronte, esplorando nella pittura, nella grafica, nella tipografia, nel design, nella ceramica. E nella pubblicità. “La pubblicità è una macchina enorme, pensata per costruire e produrre comunicazione ai fini d’interesse. Ma se tale è la sua sola funzione noi dovremmo un giorno elencare i suoi sottoprodotti in lusinghe, affermazioni errate, tranelli promessi da oligarchie di specialisti.

Anzi, il ripetuto uso di tali sistemi in certe forme pubblicitarie ha fatto nascere purtroppo, nei più sensibili, la diffidenza e il sospetto”. È il dibattito di oggi, ma Grignani queste parole le ha dette quel giorno di del 1965 a Carbondale.

Classe 1908, pavese, una laurea in architettura. Nel ’27 aderisce al secondo Futurismo. “La mia scelta mi poneva già in un atteggiamento e in una predisposizione alla curiosità e all’avventura”.

Nel ’34 la prima mostra alla Galleria delle tre Arti di Milano, presente Marinetti. La mostra fa il giro di molte città italiane, prima di finire in Germania e lì andare persa in un incendio. Le prime opere grafiche sono del ’37 e vengono esposte in una collettiva al Padiglione italiano dell’Esposizione di Parigi. Ufficiale sotto le armi nel ’40, viene assegnato alla Scuola di Avvistamento: “Pensi che fortuna, dovevo insegnare al soldati come si fa a guardare e e riconoscere la forma di aeroplano, che poi altro non era che la ricerca della grafica.” Grignani l’entusiasta.

Negli anni immediatamente successivi al dopoguerra, attraverso l’allestimento architettonico di mostre, entra in contatto con imprenditori che sempre più spesso gli chiedono un’idea pe fare avvisi pubblicitari. Grignani è irrequieto , vuole sperimentare, si trasforma in un ricercatore di segni. Gli sta stretto il Bauhaus, comincia a indagare tra la Gestaltpsychologie. Si sente un esule della pittura, un apolide della grafica, si addentra nella fascia ancora smilitarizzata in Italia del graphic design.

Questa specie di furore educato al segno lo avrebbe portato ad essere poi riconosciuto come uno dei principali influenzatori delle correnti “op” (optical art) della grafica mondiale. Del suo lavoro, Giulio Carlo Argan ha scritto che rappresenta, in tanti anni di ricerca metodica, un importantissimo materiale artistico di valore scientifico. “Il graphic design è una specializzazione tuttora poco conosciuta in Italia e il più delle volte viene confuso con la pubblicità, ma vi assicuro che è un lavoro difficile e faticoso, specialmente se fatto in tempi che non fornivano attrezzature né collaborazioni. Ad esempio, il fotografo non conosceva il fotogramma astratto e pur sapendo fare i ritratti si trovava in difficoltà davanti allo scatto di una bottiglia; perciò il graphic designer ha dovuto sostituirsi al fotografo, al tecnico di stampa e di camera oscura e all’esperto di comunicazione. Tale professione ha sempre avuto alle costole il pungolo di una committenza esigente nel chiedere una continua e alta creatività, aggravata e infastidita dalla richiesta di solerzia di esecuzione.” Grignani il caparbio.

Nel ’54 vince il premio nazionale della pubblicità, nel ’59 la “Palma d’oro” della pubblicità in Italia. Per la campagna Alfieri & Lacroix produrrà negli anni 163 bozzetti (oggi li chiameremo soggetti); per ventisette anni disegna le copertine di “Pubblicità in Italia”. C’è chi riconosce la sua mano nel marchio Pura Lana Vergine. È sua la campagna Ducotone. Disegna un nuovo carattere tipografico, il Magnetic. Ormai nel pieno degli anni sessanta, per il suo studio passano decine di clienti importanti. “Avevo scoperto che se presentavo al cliente due sole proposte, lui rimaneva perplesso e io facevo fatica a convincerlo. Allora ne preparavo cinque o sei. Così il cliente doveva chiedere a me quale fosse la migliore, e io riuscivo a far uscire il bozzetto più bello”.

La partecipazione al convegno di Carbondale nel ’65 lo fa conoscere negli Stati Unito: diventa membro onorario della Society Typographic Arts di Chicago e dell’International Center of Typographic Art di New York. Le riviste specializzate di tutto il mondo pubblicano i suoi lavori: la svizzera Graphis, la tedesca Gebrauchsgraphik, le giapponesi Design e Idea, l’inglese Typography. È membro dell’Alliance Graphique Internationale. In Europa, Giappone, Stati Uniti, Sud America, Australia si espongolo i suoi lavoro, le sue opere entrano a far parte delle collezioni dei più importanti musei.

Oggi, a 82 anni, non ha nessuna intenzione di starsene tranquillo nell’indice degli autori dell’Enciclopedia Treccani e della Larousse. Disegna, dipinge, fotografa, inventa. Ma libero, a casa sua, senza clienti alle costole. “Il ditale, sapete cos’è un ditale? È una piccola cosa che la donna mette al dito per cucire. Ma per me il ditale è un vaso. E dato che è piccolo deve avere dei fiori che devono essere piccoli. Sono andata in piazza qui vicino. Sono andato cercare fiori piccolissimi. Li ho messi dentro è ho fatto una fotografia. Dunque, secondo me l’immagine ha una grande dimensione anche se è piccola piccola. C’è uno sforzo ottico, ci costringe a una valutazione, per poterla capire, per essere al suo livello: per comprenderla diventiamo piccoli anche noi”. Franco Grignani è sempre più alto del suo metro e ottantatré.
(Fritz Tschirren e Marco Ferri)

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Facebook è meno flessibile di un coltello da cucina?

di Pasquale Barbella-3DNews, inserto di Terra, quotidiano ecologista

La disavventura in cui sono incorso come utente di Facebook (la rimozione di un ponderoso archivio di immagini, testi, video e commenti innescata dall’incomprensibile protesta di un’organizzazione di “studi della civiltà cristiana”) ha suscitato un’ampia gamma di reazioni fra coloro che ne sono venuti a conoscenza. Dichiarazioni di solidarietà, interventi critici in vari blog e nelle stesse pagine di Facebook, petizioni al suo fondatore, Mark Zuckerberg, perché si rivedano le procedure in caso di presunte infrazioni. Ma non sono mancati punti di vista più gelidi, pragmatici e neutrali. Alcuni mi hanno fatto notare che, dopotutto, io facevo un “uso improprio” di Facebook. Ero in casa d’altri, insomma, ed ero tenuto ad attenermi alle regole della casa. Un padrone di casa ha il diritto di mettere alla porta l’ospite indesiderato.

Ho riflettuto a lungo su questa osservazione, dopo aver superato le prime emozioni di chi subisce un’ingiustizia: sbigottimento, sdegno, sete di vendetta. Non sono sicuro che sia gentile, da parte del padrone di casa, cacciare dalla mensa i suoi invitati. Ma è vero che di Facebook facevo un “uso improprio”: più umanistico (nel senso meno aulico e più umile della parola) che “chattoso” («ciao cara come stai…»)

Ci sono “usi impropri” pericolosi, come quando si adopera una comune posata da cucina per accoltellare la suocera; neutri, come quando per distrazione si usa il dentifricio per deodorare l’ascella; e simpaticamente innocui, come facevo io quando caricavo su Facebook, a puntate, i miei database d’immagini, suoni e parole, perché anche altri potessero fruirne.

Con l’età che avanza, agli interessi e agli hobby di sempre se n’è aggiunto un altro, insidioso, quasi ossessivo: sono diventato un addict del FileMaker Pro, un meraviglioso software che mi consente di riordinare non solo le collezioni di libri, CD e DVD, ma anche di dare una sistematina alle poche cose che ho imparato dalla vita. Temo lo smarrimento della memoria più della morte stessa. E sopravvivo in un mondo che tende a rimuovere le nozioni e gli insegnamenti del passato, anche recente e recentissimo. Non è banale nostalgia: chi è così pazzo da rimpiangere una giovinezza senza doccia e senza frigorifero? È che diventa difficile interpretare il presente e i segni del futuro, se non li si raffronta con i loro antefatti. Si dice che i vecchi hanno la testa nel passato remoto: balle. I vecchi sono la categoria più interessata al futuro, perché sanno che domani potrebbe essere l’ultimo giorno e si preoccupano di cosa gli succederà.

Ancor prima dei social network, il web nel suo insieme mi conquistò per la sua natura di sconfinato database. Ho usato (impropriamente) Facebook per convogliare, selezionandoli un po’ dai miei modesti giacimenti e moltissimo dal web, contenuti che avessero un qualche senso storico oltre che ludico, “insiemi” culturali che avessero qualche affinità con le mie passioni e i miei sentimenti, allo scopo di condividerli con persone vicine o del tutto sconosciute. Mi sono reso conto che Facebook non è la piattaforma ideale per questo genere di perversione. Ora sono più lucido, anche se deluso. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

E se Facebook fosse una patacca anche per le aziende?

Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 milioni di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutti provenienti dalla pubblicità, attraverso un contratto esclusivo con Microsoft. Però, il caso Barbella, il famoso pubblicitario italiano censurato da Facebook, dimostra che Facebook è così tenero, che si taglia con un grissino.

Il più importante e profittevole social network del mondo globale inciampa malamente su una segnalazione di un misterioso gruppazzo di invasati catto-fascisti, pre-conciliari. Perché lo hanno fatto non si sa. Forse la spiegazione è nella famosa storiella dello scorpione e della rana. Lo scorpione ucciderà la rana che lo traghettava attraverso il fiume, semplicemente perché è nella sua natura. Entrambi moriranno affogati.

Facebook ha inventato un grande business, basato sul protagonismo virtuale delle persone: la raccolta dei dati personali ha il vantaggio delle loro facce. Facebook, appunto.

Ma il business di Facebook non prevede i pensieri delle persone. Contempla solo e soltanto la quantità, per questo ha acquisito valore, per questo raccoglie pubblicità, cioè una montagna di soldini, senza fare niente che non sia: venite, venite, accalcatevi, scambiatevi le vostre chiacchiere, intanto vi preleviamo i dati, vi somministriamo pressione pubblicitaria. Voi chattate, e noi incassiamo.

Facebook non vuole persone, ha bisogno di corpi, con le loro faccette sorridenti. Per Facebook nessuno creda di possedere un qualche residuo di diritto di cittadinanza. Facebook ha superato l’idea antica di esseri umani, titolari di diritti, Facebook è oltre quella roba vecchia, tipo la democrazia, i diritti umani, le costituzioni, la cittadinanza. Tu non sei un cittadino, sei un “friend”. Facebook è così moderna che è il modernismo fatto tecnologia: voi non siete esseri pensanti, capricciosi, individualisti, emotivi, generosi, coraggiosi, idealisti. No. Voi siete consumatori. E allora, prendetevi tutto quello che la merce vi offre. Questa è la felicità, godetevela e non rompete le palle: sennò, fuori dal mondo dei social network, fuori da Facebook.

Pasquale Barbella, uomo colto, intellettuale prestato alla pubblicità è incappato proprio su Facebook. Ha toccato con mano che cos’è la dittatura commerciale, ai tempi del commercio globale, al tempo dei social network. La sua indignazione è genuina, quanto genuino è l’inganno proposto dall’idea che i social network avrebbero potuto allargare gli orizzonti della libertà di espressione.

Ma il caso Barbella pone un problema alle grandi imprese che investono budget pubblicitari su Facebook: se il sistema è così fragile da essere penetrato da un piccola banda di squinternati, che affidabilità può avere Facebook per il loro business? Meditate, direttori del marketing, meditate.Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Facebook ridà il passaporto a Barbella. Ma il giallo Advertown non è ancora risolto.

Facebook fa un passo indietro nella vicenda del bavaglio a Pasquale Barbella. Come è noto Facebook, su segnalazione di un certo Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, aveva chiuso il gruppo Advertonw, una pagina diretta da Barbella e altri creativi pubblicitari italiani, una pagina che raccoglieva annunci pubblicitari, una sorta di archivio della buona pubblicità in Italia e nel mondo.

Alle ore 10.04.44 GMT di oggi 14 settembre il Facebook Team italiano ha comunicato a Barbella il ripristino del suo account. Attualmente Barbella può rientrare nelle pagine che ha creato su Facebook. Tutte tranne Advertown, la pagina incriminata. “Ritengo – ma non ne ho le prove – che le proteste inoltrate da più parti al FB Team abbiano sortito questo effetto, e ringrazio tutti gli amici e i colleghi che si sono interessati alla vicenda”, ha detto Pasquale Barbella.

A questo punto la palla passa al Cenacolo. Intervistato ieri da ADVexpress Giuseppe Passalacqua, socio del Cenacolo aveva dichiarato “Non era nostra intenzione oscurare l’intero gruppo, abbiamo semplicemente seguito la procedura indicata dal social network per segnalare il nostro dissenso. Il nostro obiettivo era semplicemente eliminare dalla rete soltanto la pagina in questione”.

Se questo è vero, il signor Passalaqua ha il dovere di indicare la pagina ‘incriminata’, di modo che Barbella e i suoi colleghi possano rimuoverla e Advertown essere subito ripristinato. Solo così sarà chiaro che si trattava di ‘dissenso’ e non di atto proditorio di rappresaglia. E’ l’unico modo per chiudere questa bizzarra quanto opaca vicenda.

“Rimane aperto il “dossier Cenacolo”-ha detto infatti Barbella – una brutta storia che spero trovi prima o poi un perché”. Insomma, finché Advertown rimarrà chiuso, la questione resterà aperta. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Un botta e risposta sul caso Facebook vs Barbella.

A proposito di “Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella”, ricevo da Hans-Rudolf Suter, uno dei fondatori della mitica STZ, la seguente lettera:

“Marco ci fa un grande favore perché riassume in poche righe i dispersi e numerosi commenti sull’argomento. Dissento.
Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 mio di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutto proveniente da pubblicità attraverso un contratto esclusivo con Microsoft.

Mi sembra ovvio che Facebook non può rispondere del contenuto pubblicato dai suoi membri. Mi sembra anche che non deve esercitare alcun controllo preventivo sul contenuto. Perché se questo dovrebbe essere necessario per legge (tipo responsabilità dell’editore), nessuna piattaforma per socialmedia sarebbe concepibile.
Come la mettiamo invece con insulti, denigrazioni, bugie, truffe una volta che sono pubblicate?
Se la cosa è grave la si denunci alla magistratura. Altrimenti la si segnali a facebook che sospende il membro. La parti in conflitto si diano da fare per risolvere il problema. Ci manca solo un altro circuito giudiziario, quello di Facebook.
E’ comunque prudente usare Facebook come un luogo dove creare lo stimolo per visitare un blog o un sito che non è così fragile.

Infine aggiungo che ho telefonato al Signor Passalaqcua (quello del sito cristiano che ha denunciato Pasquale) che prima ha negato di esistere e poi ha detto che avrebbe risposto, ma non oggi, che doveva sentire altri durante il weekend, che avrebbero risposto lunedì. La voce era quello di un vecchietto spaventato. Spero non in conseguenza dei miei modi non sempre urbani.
Saluti
Hans Suter Interpretive Manager STZ pubblicità.”

Qui di seguito la risposta alle obiezioni di Suter:

Caro Hans,
mi pare ci siano due questioni semplici: la prima è che chiunque riceva una sanzione, ha il diritto di sapere perché. Faccio un esempio: se ricevo una multa per una contravvenzione al codice della strada, ho diritto di sapere quale articolo ho violato. Un divieto di sosta? Un passaggio col rosso? Nessuno accetterebbe un generico “per violazione del codice della strada”.

La seconda questione è che non si capisce perché, dopo aver chiuso Advertown, a Barbella sia stato inibito l’accesso alle altre sue pagine. E’ come se, siccome ho preso una multa, io non possa neppure più salire su un’auto.

Detto questo, ti segnalo che i signori del Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, che hanno promosso l’azione contro Barbella, scrivono sul loro sito: “Quali fedeli testimoni del pensiero mordiniano e dell’autentica Tradizione non possiamo che dissociarci ed condannare fermamente quelle persone che divulgano queste sacre tematiche nei social network.
Abbiamo trovato riferimenti al nostro cenacolo e al nostro sito in FACEBOOK. Diffidiamo chiunque intraprenda queste iniziative, peraltro non autorizzate, che sono opposte alla nostra natura”.

Mi pare evidente chi è che ce l’abbia con i social network. Non certo Barbella, che di Facebook è un utilizzatore. Dico questo perché Facebook scrive a uno degli amministratori di Advertown, Massimo Gaustini: “Se credi che abbiamo commesso un errore nel rimuovere questi contenuti, ti preghiamo di contattare direttamente la controparte per risolvere la questione(…).Firmato: Giulia, User Operations Facebook.

Insomma Barbella per essere “riammesso” in Facebook deve avere il beneplacido di una organizzazione che ritiene Facebook e i social network “iniziative opposte alla nostra natura.” Non ti sembra che tutta la vicenda sia un tantinello strampalata? Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella?

La censura ha sempre qualcosa di comico. Ma stavolta siamo al grottesco: Facebook, il social network per eccellenza, molto usato per fini pubblicitari censura i pubblicitari. Roba da far venire la pelle d’oca anche a un uovo sodo. Ecco i fatti: Pasquale Barbella, notissimo pubblicitario italiano, circa un anno fa apre una pagina su Facebook, intitolata Advertown. Su questa pagina, come una sorta di archivio collettivo, vengono pubblicati annunci e campagne pubblicitarie che hanno fatto la storia dell’advertising mondiale. Ad uso e consumo di studenti di scuole di pubblicità e di giovani creativi che lavorano nelle agenzie di pubblicità italiane, Barbella e altri pubblicitari di lungo corso, stimolavano la pubblicazione di esempi di comunicazione commerciale, un modo di tener viva la “memoria storica” della buona pubblicità.

Una iniziativa innocua, se volete ingenua, niente di più di quello che si è visto negli annual, cioè quei libri compilativi che raccolgono campagne premiate come le migliori. Una iniziativa lodevole, se non altro perché metteva a disposizione buoni esempi di pubblicità, una nicchia di fruitori che contava circa 700 “friends”, come vengono chiamati da Facebook coloro che si iscrivono e partecipano alla pagina in questione. Se non che il 31 agosto scorso, Barbella, fondatore di Advertown e altri “amministratori”, tra cui Massimo Guastini, Andrea Concato e Luigi Montaini, tutti pubblicitari di fama, ricevono un “Facebook Warning”: «Abbiamo disabilitato il tuo profilo poiché ci è stato segnalato da terzi che trasgrediva o violava i suoi diritti.».

Ma di che cosa stiamo parlando, se si tratta di una raccolta “storica” di annunci pubblicitari, pubblicati nel passato? Qualche erede di un pubblicitario americano o inglese si è irritato? Qualche grande azienda non ha gradito si pubblicassero annunci pubblicitari con il loro marchio, senza magari aver chiesto il permesso?
Macché, niente di tutto questo. Contattata Facebook, Barbella viene informato proprio da Facebook che una organizzazione che risponde all’indirizzo cenacolo@tradizionecattolicimordini.it ha chiesto la rimozione di Advertown. A parte che andare sul sito di questi signori sembra di finire nelle pagine di Dan Brown, la domanda è: perché? Facebook non fornisce spiegazioni, ma invita Barbella a trovare una composizione con cenacolo@tradizionecattolicimordini.it: se loro danno il permesso, la pagina Advertown potrà essere ripristinata.

Dalla comicità si è passati al grottesco, ma ecco che si affaccia la farsa: Facebook ritiene violate le sue regole, però non dà spiegazioni, ma anzi indica i responsabili della richiesta di cancellazione. Inutile dire che Barbella scrive ai signori di cenacolo@tradizionecattolicimordini.it, i quali si sono fin qui guardati bene dal rispondere.
Insomma, uno aderisce a un social network, ma è soggetto al veto di una organizzazione politico-religiosa esterna al social network medesimo. Ma né Facebook né cenacolo@tradizionecattolicamordini.it danno alcuna spiegazione.

Se dalla comicità si è passati al grottesco, e dal grottesco alla farsa, arriva infine il sopruso: il 9 settembre scorso Facebook chiude a Barbella ogni accesso alla pagina di base (“Pasquale Barbella”) e a tutti i gruppi tematici da lui fondati (musica, arte, letteratura, cinema, fotografia, attualità politica, satira politica). Insomma, prima a Pasquale Barbella è stato messo il bavaglio, e subito dopo è stato espulso, come indesiderabile dal “mondo” Facebook: attualmente, gli altri possono accedere alle “sue”pagine di Facebook, lui no. Roba da matti.

Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella non si sa, non si può sapere. L’unico fatto certo è che cenacolo@tradizionecattolicamordini.it ordina, Facebook esegue. Con tanti saluti alla libertà di espressione del più famoso social network nell’era dei new media. Beh, buona giornata.

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