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Il papa, la pedofilia, l’obbligo del celibato.

Hans Küng: Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia, di Hans Küng, la Repubblica.
Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l`arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell`ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l`opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l`86% dei tedeschi l`atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell`insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l`obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.

Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsia rinunciare alla loro missione.
L`obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all`XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.

Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l`esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l`obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l`arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l`obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l`inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione. In nome della verità, la correlazione tra l`obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione.
Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l`ordinazione al sacerdozio.

Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C`è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all`interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato. In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l`autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d`ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l`azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell`ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.

Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue: Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all`ordine del giornoa quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l`arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.

In nome della verità Joseph Ratzinger, l`uomo che da decenni è il principale responsabile dell`occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz Peter Tebartz-van Elst, che in un`allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un`iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità.
Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».
(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro

Per il Papa la crisi è grave, per il papi è solo pessimismo.

(Fonte: Agi)
CRISI: PAPA, SITUAZIONE MONDIALE VERAMENTE PREOCCUPANTE
“Il mondo intero sta lottando con una situazione economica veramente preoccupante”. Ricevendo in Vaticano i membri della “Papal Foundation” che in Usa raccoglie fondi per le attivita’ caritative della Santa Sede, Benedetto XVI oggi ha descritto cosi’ la crisi economica, sottolinenando che “nei momenti come questi si e’ tentati di non considerare coloro che sono senza voce e pensare solo alle nostre difficolta'”. “Come cristiani – invece – siamo consapevoli, tuttavia, che specialmente quando i tempi sono difficili dobbiamo lavorare ancora piu’ duramente per assicurare che il messaggio consolatore del nostro Signore sia ascoltato”. “Piuttosto che ripiegarsi su noi stessi – ha spiegato – dobbiamo continuare a essere portatori di speranza, sostenere gli altri, specialmente coloro che non hanno nessuno e assisterli”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Onna è diventata un palcoscenico per autorità: “Andiamo a portare una corona alla lapide dei martiri del ’44. Ieri c’è stato l’omaggio visto nelle tv di mezzo mondo, ma noi abitanti non eravamo invitati. Siamo costretti ad andare oggi, il giorno dopo l’anniversario”.

“Tutti qui, dal premier al Papa
ma Onna non è uno spot tv”
dal nostro inviato JENNER MELETTI-repubblica.it

Berlusconi durante la cerimonia del 25 aprile a Onna
L’AQUILA – La strada di sassi bianchi taglia il prato, al fianco di una stalla distrutta. Supera un dosso, arriva in un altro prato, coperto da un’enorme pedana metallica. “Ecco, questo è l’eliporto. Sabato è sceso qui Berlusconi, domani arriva il Papa. Elicotteri che atterrano a Onna, chi se lo sarebbe mai immaginato.

La strada bianca è stata costruita proprio per arrivare a questo prato”. Benedetto XVI farà trenta passi, per salire sulla papamobile. Non si sa ancora se attraverserà il paese distrutto o se guarderà le rovine da “via Geremia Properzi, sacerdote-teologo”. Entrerà nella tendopoli, per un breve incontro con i terremotati. “Stavolta, almeno – dice Gianfranco Busilacchio, del direttivo del comitato Onna Onlus – vedremo in faccia il nostro ospite. Con il presidente del Consiglio siamo stati tenuti lontano da tutto”.

La pioggia continua ad allagare le tendopoli, in questa terza domenica dopo il terremoto. Sembra di vivere in due mondi diversi e lontani. Da una parte operai, vigili del fuoco e volontari che lavorano sotto l’acqua per montare palchi e alzare transenne per l’arrivo del Papa; dall’altra operai, vigili e volontari che aiutano chi vive nel fango e cerca di raggiungere una mensa o un gabinetto.

Non c’è rabbia, nelle parole di Gianfranco Busilacchio e degli altri del comitato. “Ma gli occhi per vedere li abbiamo. Per otto giorni i vigili del fuoco, che sono bravissimi, hanno lavorato soprattutto per preparare le visite di Berlusconi e del Papa. Hanno puntellato la chiesa, così il Santo Padre la può vedere ancora in piedi. Un lavoro inutile, perché poi sarà abbattuta. Hanno costruito la strada e l’eliporto. Hanno preparato anche un piccolo campanile, con le campane recuperate fra le macerie, a fianco del tendone della nuova chiesa. Tutto bello. Ma nelle tende si vive malissimo. Gli anziani e chi cammina con difficoltà non riesce ad entrare in bagno. Venga a vedere”.

Per entrare in un gabinetto o in una doccia bisogna salire due gradini alti, in ferro. “Questi sono servizi che arrivano dall’Iraq, erano usati dai nostri militari in missione. Bisogna avere vent’anni, essere giovani e aitanti, per entrare qui. Tutti gli altri sono esclusi”. Ci sono anziani che non riescono a lavarsi da tre settimane.

Prima il presidente del Consiglio, poi il Papa. E subito dopo inizieranno i lavori per il G8. “Onna è diventata un simbolo – dice Vincenzo Angelone, che fa parte della Onlus – ed è giusto che qui arrivino le persone importanti. Ma dovevano mandare altri vigili e altri militari, per costruire ciò che serve a questi “eventi”. A noi i vigili servono per recuperare una foto o un maglione nelle nostre case e per rendere umana la vita in tenda”.

C’è una piccola cerimonia, alle ore 15. “Tutti qui, dal premier al Papa
ma Onna non è uno spot tv”
dal nostro inviato JENNER MELETTI

Berlusconi durante la cerimonia del 25 aprile a Onna
L’AQUILA – La strada di sassi bianchi taglia il prato, al fianco di una stalla distrutta. Supera un dosso, arriva in un altro prato, coperto da un’enorme pedana metallica. “Ecco, questo è l’eliporto. Sabato è sceso qui Berlusconi, domani arriva il Papa. Elicotteri che atterrano a Onna, chi se lo sarebbe mai immaginato.

La strada bianca è stata costruita proprio per arrivare a questo prato”. Benedetto XVI farà trenta passi, per salire sulla papamobile. Non si sa ancora se attraverserà il paese distrutto o se guarderà le rovine da “via Geremia Properzi, sacerdote-teologo”. Entrerà nella tendopoli, per un breve incontro con i terremotati. “Stavolta, almeno – dice Gianfranco Busilacchio, del direttivo del comitato Onna Onlus – vedremo in faccia il nostro ospite. Con il presidente del Consiglio siamo stati tenuti lontano da tutto”.

La pioggia continua ad allagare le tendopoli, in questa terza domenica dopo il terremoto. Sembra di vivere in due mondi diversi e lontani. Da una parte operai, vigili del fuoco e volontari che lavorano sotto l’acqua per montare palchi e alzare transenne per l’arrivo del Papa; dall’altra operai, vigili e volontari che aiutano chi vive nel fango e cerca di raggiungere una mensa o un gabinetto.

Non c’è rabbia, nelle parole di Gianfranco Busilacchio e degli altri del comitato. “Ma gli occhi per vedere li abbiamo. Per otto giorni i vigili del fuoco, che sono bravissimi, hanno lavorato soprattutto per preparare le visite di Berlusconi e del Papa. Hanno puntellato la chiesa, così il Santo Padre la può vedere ancora in piedi. Un lavoro inutile, perché poi sarà abbattuta. Hanno costruito la strada e l’eliporto. Hanno preparato anche un piccolo campanile, con le campane recuperate fra le macerie, a fianco del tendone della nuova chiesa. Tutto bello. Ma nelle tende si vive malissimo. Gli anziani e chi cammina con difficoltà non riesce ad entrare in bagno. Venga a vedere”.

Per entrare in un gabinetto o in una doccia bisogna salire due gradini alti, in ferro. “Questi sono servizi che arrivano dall’Iraq, erano usati dai nostri militari in missione. Bisogna avere vent’anni, essere giovani e aitanti, per entrare qui. Tutti gli altri sono esclusi”. Ci sono anziani che non riescono a lavarsi da tre settimane.

Prima il presidente del Consiglio, poi il Papa. E subito dopo inizieranno i lavori per il G8. “Onna è diventata un simbolo – dice Vincenzo Angelone, che fa parte della Onlus – ed è giusto che qui arrivino le persone importanti. Ma dovevano mandare altri vigili e altri militari, per costruire ciò che serve a questi “eventi”. A noi i vigili servono per recuperare una foto o un maglione nelle nostre case e per rendere umana la vita in tenda”.

C’è una piccola cerimonia, alle ore 15. “Andiamo a portare una corona alla lapide dei martiri del ’44. Ieri c’è stato l’omaggio visto nelle tv di mezzo mondo, ma noi abitanti non eravamo invitati. Siamo costretti ad andare oggi, il giorno dopo l’anniversario”.

I cartelli del Comune, nelle strade che passano accanto alla tendopoli di piazza d’Armi, annunciano “Divieto di sosta con rimozione forzata” dalle ore 6 alle ore 15 di martedì per “Corteo papale”. Nunzio S., 70 anni, non sa dove portare la sua Ritmo con il lunotto rotto coperto da un telo di plastica. “L’altra notte, quando è venuta una mezza alluvione, sono venuto a dormire in macchina”.

La preparazione del piazzale della Finanza per la visita papale è già una prova di G8. Centinaia di uomini al lavoro per piazzare sbarramenti, allargare la sala stampa (500 giornalisti), organizzare la sicurezza. Per il G8 i giornalisti saranno 3.000, gli uomini della sicurezza 16.000. “Il terremoto – dice Silvio Paolucci, segretario regionale del Pd – non è un set pubblicitario.

Come si può organizzare un G8 quando in cinque mesi devi trovare casa a 50.000 persone?”. Naturalmente la sinistra è spaccata. “Berlusconi – sostiene la presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, pure lei del Pd – ha detto che il vertice mondiale sarà qui e adesso lo deve fare davvero. Lo Stato deve essere capace di organizzare questo incontro internazionale e allo stesso tempo gestire le tende alluvionate”.

All’Isola del caffè, all’inizio del centro storico, una signora legge il giornale. “Berlusconi si chiede già come “abbellire” la scuola della Finanza per il G8? Fossero questi, i problemi”. Sembra una domenica normale. Poi la signora si mette a piangere. “Venivo sempre qui, alla festa. Una pasta e un caffè. Ma poi tornavo a casa mia, non in una tenda”.

I cartelli del Comune, nelle strade che passano accanto alla tendopoli di piazza d’Armi, annunciano “Divieto di sosta con rimozione forzata” dalle ore 6 alle ore 15 di martedì per “Corteo papale”. Nunzio S., 70 anni, non sa dove portare la sua Ritmo con il lunotto rotto coperto da un telo di plastica. “L’altra notte, quando è venuta una mezza alluvione, sono venuto a dormire in macchina”.

La preparazione del piazzale della Finanza per la visita papale è già una prova di G8. Centinaia di uomini al lavoro per piazzare sbarramenti, allargare la sala stampa (500 giornalisti), organizzare la sicurezza. Per il G8 i giornalisti saranno 3.000, gli uomini della sicurezza 16.000. “Il terremoto – dice Silvio Paolucci, segretario regionale del Pd – non è un set pubblicitario.

Come si può organizzare un G8 quando in cinque mesi devi trovare casa a 50.000 persone?”. Naturalmente la sinistra è spaccata. “Berlusconi – sostiene la presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, pure lei del Pd – ha detto che il vertice mondiale sarà qui e adesso lo deve fare davvero. Lo Stato deve essere capace di organizzare questo incontro internazionale e allo stesso tempo gestire le tende alluvionate”.

All’Isola del caffè, all’inizio del centro storico, una signora legge il giornale. “Berlusconi si chiede già come “abbellire” la scuola della Finanza per il G8? Fossero questi, i problemi”. Sembra una domenica normale. Poi la signora si mette a piangere. “Venivo sempre qui, alla festa. Una pasta e un caffè. Ma poi tornavo a casa mia, non in una tenda”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Quando il Papa parla.

di BARBARA SPINELLI da lastampa.it

C’è forse una parte di verità in quello che si dice delle ultime parole e azioni di Benedetto XVI: comunicare quel che pensa gli è particolarmente difficile. Sempre s’impantana, mal aiutato da chi lo circonda. Sempre è in agguato il passo falso, precipitoso, mal capito. Il pontefice stesso, nella lettera scritta ai vescovi dopo aver revocato la scomunica ai lefebvriani, enumera gli errori di gestione sfociati in disavventura imprevedibile. Confessa di non aver saputo nulla delle opinioni del vescovo Williamson sulla Shoah («Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema»). Ammette che portata e limiti della riconciliazione con gli scismatici «non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro». Poi tuttavia sono venuti altri gesti, e l’errore di gestione non basta più a spiegare. È venuta la scomunica ai medici che hanno fatto abortire una bambina in Brasile, stuprata e minacciata mortalmente perché gravida a 9 anni.

La scomunica, che colpisce anche la madre, è stata pronunciata da Don Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife: il Vaticano l’ha approvata. Infine è venuta la frase del Papa sui profilattici, detta sull’aereo che lo portava in Africa: profilattici giudicati non solo insufficienti a proteggere dall’Aids – una verità evidente – ma perfino nocivi. C’è chi comincia a vedere patologie. Una quasi follia, dicono alcuni. L’ex premier francese Juppé parla di autismo. Sono spiegazioni che non aiutano a capire. C’è del metodo in questa follia. C’è il riaffiorare possente di un conservatorismo che ha seguaci e non è autistico. Sono più vicini al vero coloro che stanno tentando di resuscitare il Concilio Vaticano II, nel cinquantesimo anniversario del suo annuncio, e vedono nella disavventura papale qualcosa di più profondo: l’associazione Il Nostro 58, sorretta da Luigi Pedrazzi a Bologna, considera ad esempio la presente tempesta una prova spirituale.

Una prova per il Papa, per i cattolici, per la pòlis laica: l’occasione che riesumerà lo spirito conciliare o lo seppellirà. Non si è mai parlato tanto di Concilio come in queste settimane che sembrano svuotarlo. Le figure di Giovanni XXIII e Paolo VI risaltano più che mai. Chi legga l’ultimo libro di Alberto Melloni sul Papa buono capirà più profondamente quel che successe allora, che succede oggi. Capirà che quello straordinario Concilio è appena cominciato, e avversato oggi come allora. Quando Papa Roncalli lo annunciò, il 25 gennaio ’58 nella basilica di San Paolo, solo 24 cardinali su 74 aderirono (7 nella curia). Inutile invocare un Concilio Vaticano III se il secondo è ai primordi. Eppure son tante le parole papali che contraddicono errori, avventatezze. Il filosofo Giovanni Reale sul Corriere della Sera ne ricorda una: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Enciclica sull’Amore). Se in principio non c’è un dogma ideologico diventa inspiegabile la durezza vaticana sul fine vita, conclude Reale. Diventa inspiegabile anche la chiusura su profilattici e controllo delle nascite in Africa, dove Aids e sovrappopolazione sono flagelli. In realtà il Papa sostiene, nella lettera ai vescovi, che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento».

È un annuncio singolare, perché chi certifica la catastrofe? E il certificatore non tenderà a un potere fine a se stesso? Se Dio davvero scompare, tanto più indispensabile è l’autorità del suo vicario: una tentazione non del Papa forse – che nell’orizzonte nuovo pareva credere – ma di parte della Chiesa. L’auctoritas diventa più importante dell’incontro con Gesù: urge affermarla a ogni costo. Così come più importante diventa la gerarchia, rigida, astratta, dei valori. In un orizzonte vuoto non restano che astrazione e potere. L’arcivescovo brasiliano afferma il monopolio sui valori, innanzitutto: «La legge di Dio è superiore a quella degli uomini»; «L’aborto è molto più grave dello stupro. In un caso la vittima è adulta, nell’altro un innocente indifeso». E si è felicitato degli elogi del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Né Sobrinho né Re vedono l’uomo: né l’uno né l’altro vedono che la bambina ingravidata non è adulta. Non vedono l’essere umano, il legno storto di cui è fatto: proprio quello che invece vide Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio. Melloni ricorda l’ultima pagina del Giornale dell’Anima di Roncalli, scritta il 24 maggio ’63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (…) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Comprenderlo meglio era «riconoscere i segni dei tempi».

O come dice Melloni: indagare l’oggi. Vedere nell’uomo in quanto tale il vangelo che parla alla Chiesa, e «non semplicemente il destinatario del messaggio, o il protagonista di un rifiuto, ovvero – peggio ancora – il mendicante ferito di un “senso” di cui la Chiesa sarebbe custode indenne e necessariamente arrogante» (Papa Giovanni, Einaudi, 2009). Questi mesi erranti e maldestri sono una prova perché gran parte della Chiesa non pensa come il Papa: dà il primato alla libertà, alla coscienza, sul dogma. Indaga l’oggi, specie dove l’uomo è pericolante come in Africa o nelle periferie occidentali. Ricordiamo Suor Emmanuelle, che a 63 anni decise di vivere con gli straccivendoli nei suburbi del Cairo, e un giorno scrisse una lettera a Giovanni Paolo II in cui illustrò la necessità delle pillole per bambine continuamente ingravidate. Lo narra in un libro scritto prima di morire (J’ai 100 ans et je voudrais vous dire, Plon). Distribuiva profilattici senza teorizzare su di essi. Giovanni Paolo II non rispose alla lettera. La sintonia con Ratzinger era forte. Ma il silenzio ha un pregio inestimabile, è un’apertura infinita all’umano. Suor Emmanuelle gli fu grata: disse che il suo silenzio era un balsamo. È il silenzio che oggi manca in Vaticano. Il silenzio che pensa, ha sete di sapienza, ascolta. Che non vede orizzonti vuoti. Il Vangelo è sempre lì, va solo compreso meglio. Contiene una verità che sempre riaffiora, quella detta da Gesù a Nicodemo: «Lo spirito soffia dove vuole. Ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Giovanni 3,8). Soffia come il fato delle tragedie greche: innalzando gli impotenti, spezzando l’illusione della forza. Chi fa silenzio o è solitario lo lascia soffiare, afferrato dal mistero.

In Africa, il Papa ha accennato al «mito» della sua solitudine, dicendo che «gli viene da ridere», visto che ha tanti amici. Perché questo ridere? Come capire il dolore umano, senza solitudine? Cosa resta, se non l’ammirazione della forza (la forza numerica dei lefebvriani, evocata nella lettera del 12 marzo) e l’oblio di chi, impotente, incorre nell’anatema come il padre di Eluana, la madre della bambina brasiliana, i malati che si difendono come possono dall’Aids? Per questo quel che vive il Papa è prova e occasione. Prova per chi tuttora paventa gli aggiornamenti giovannei, e sembra voler affrettare la fine della Chiesa per rifarne una più pura. Prova per chi difende il Concilio come rottura e riscoperta di antichissima tradizione. La tradizione del rinascere dall’alto, dello spirito che soffia dove vuole: vicino a chi crede nei modi più diversi. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il Papa in Africa: manco un minuto di silenzio per le vittime.

Benedetto XVI è stato accolto da danze tradizionali, colori e suoni di tamburi.

Ma il suo arrivo è stato preceduto da un grave incidente: due ragazze scout sono morte e almeno altre otto sono rimaste ferite nella calca per entrare allo stadio “Dos Coquiros” di Luanda, dove il Papa ha poi presieduto l’incontro con i giovani. Beh, buona giornata.

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