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Mentre l’italietta berlusconista si interroga sulle relazioni “piccanti”, la nuova politica industriale di stato del ventunesimo secolo è stata inaugurata con l’accordo Opel-Magna. L’amico Vladimir ha fatto maramao all’amico Silvio.

Opel-Magna, la vittoria politica dell’asse del gas Putin-Schröder -sole24ore.com

La nuova politica industriale di stato del ventunesimo secolo è vicina al suo battesimo. Se l’accordo tra la cordata rappresentata da Magna con Gm e il governo di Berlino andrà a buon fine, sarà il primo grande affare tra governi nell’economia del dopo crisi finanziaria. con un vincitore certo: la Russia di Vladimir Putin. E finanziatori altrettanto certi: la Germania di Angela Merkel e i contribuenti tedeschi.

Si entra in un territorio nuovo, dove i muscoli di stato sostituiscono il mercato. la nuova proposta targata Magna-Sberbank-Gaz presentata ieri non é ancora chiara. Ma ci sono alcuni punti fermi. Magna, produttore canadese di componenti per automobili, ha una buona liquidità in cassa ma soffre parecchio della crisi: nel primo trimestre del 2009, il suo fatturato si é quasi dimezzato. Prenderà il 20 per cento di Opel. Sberbank é la prima banca russa, pubblica, amata dal primo ministro éutin che la sogna come «banca del popolo», ma é in guai anche più seri di quelli delle banche occidentali. Prenderà il 35 per cento di Opel. Gaz, produttore di automobili controllato dall’oligarca oleg Deripaska, sta in un mercato, quello russo, che nel 2009 probabilmente crollerà del 60 per cento. Prenderà lo zero per cento di Opel perché é senza soldi, ma promette di garantire un milione di auto tedesche vendute ogni anno tra Russia e Cina. Il resto delle azioni resterà per il 35 per cento in mano alla Gm americana e per un 10 per cento andrà ai dipendenti della casa automobilistica tedesca».

Non un gran punto di partenza, bisogna dire. la cordata, però, ha sì debolezze ma ha anche un grande punto di forza. È amata, da prima ancora che si sapesse cosa voleva fare, da gran parte della politica tedesca, soprattutto dai socialdemocratici che stanno al governo come partner dell’Unione Cdu-Csu della signora Merkel, e dai forti sindacati della germania. È difficile dire come sia esploso all’improvviso questo amore, visto che la proposta Magna- Sberbank-Gaz é molto onerosa e rischiosa per la germania. Una risposta, però, c’é. si chiama Gerhard Schröder.

L’ex cancelliere, dopo avere perso le elezioni del 2005, é diventato un grande mediatore di affari internazionali che fonda la sua forza su un rapporto strettissimo con Putin e sulla rete di relazioni eccezionali che ha in Germania e in occidente. È presidente del comitato degli azionisti del Nord Stream, il controverso gasdotto controllato dalla moscovita Gazprom che collegherà Russia e Germania e irrita molti paesi europei. Ha un ruolo da ago della bilancia nel consiglio di amministrazione della litigiosissima joint-venture petrolifera bp-tnk tra il gruppo britannico e un gruppo di investitori russi. Media affari in Iran. e sul caso Opel ha ispirato – secondo le informazioni che circolano a Berlino – la cordata Magna-sberbank-Gaz. Ha capito che la crisi Opel era un’opportunità per Putin di mettere un piede in un gruppo ad alta tecnologia occidentale e ha pensato a una soluzione.

Magna – nel cui consiglio di sorveglianza siede Franz Vranitzky, ex cancelliere austriaco e socialdemocratico – funziona da volto accettabile per l’opinione pubblica tedesca e nell’affare Opel di suo rischia poco. Dietro, stanno le armate russe: senza soldi, ma che si sono assicurate una promessa di prestito da quattro miliardi da Commerzbank, banca tedesca in cui il governo di Berlino ha da poco preso una quota del 25 per cento. sulla base del suo nome, poi, Schröder ha galvanizzato l’esercito socialdemocratico tedesco che ha subito alzato la bandiera Magna- Sberbank-Gaz: dai sindacati a Frank Walter Steinmeier, leader della Spd e suo ex capo di gabinetto quando era cancelliere. un capolavoro. Angela merkel? Riesce a non nazionalizzare Opel, come in un primo momento voleva la Spd, e a non rompere troppo gli equilibri nel suo governo di grande coalizione. Nei prossimi giorni, però, avrà parecchi guai.

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Fiat-Opel, Marchionne scopre difficoltà politiche: “Forse ci avrebbe pensato prima, se non fosse stato un po’ troppo coccolato dal silenzio e dalla acquiescenza di politici e sindacati italiani. Morale, la mancanza di dissenso fa male, non solo alla democrazia. Fa proprio male e basta.”

Fiat, Opel e l’auto europea. Una occasione perduta sul calcolo elettorale
di Marco Benedetto-blitzquotidiano.it

Sergio Marchionne, dopo avere risollevato la Fiat dall’abisso in cui era precipitata alcuni anni fa (come sempre la sconfitta è orfana) ha giocato due carte ambiziose e coerenti con un ragionamento strategico semplice e fondamentale: un’azienda che produce poco più di un milione di auto all’anno e perde quote di anche nel suo mercato di casa non può andare molto distante.

L’idea non è nuova, perché la perseguì il grande risanatore (in condizioni politico – ambientali molto peggiori di Marchionne) della Fiat, Vittorio Ghidella. Quella volta il discorso era con la Ford. Finì male, per le divergenze tra i vertici della Fiat che si manifestarono allora. Ma il concetto è sempre quello.

Marchionne ha giocato con coraggio, abilità e una durezza poco italiane. Con una carta, quella americana, ha vinto; con l’altra, quella tedesca, appare di ora in ora sempre meno probabile che ce la faccia. Lo stesso Marchionne ha cominciato realisticamente a ricooscere le difficoltà del percorso che ha davanti.

Non c’è nulla che sorprenda nella divergente evoluzione sui due lati dell’Atlantico, anzi, in un certo senso, sono speculari nelle ragioni che ne sono alla base. In entrmbi i casi, c’è da dire, che i governi americano e tedesco hanno agito secondo una pura logica elettorale, del tipo: navigazione a vista, senza alcun riguardo per l’interesse di più lungo respiro dell’industria dell’auto nei due continenti.

Il presidente americano Barack Obama ha scelto Fiat come partner per Chrysler per le stesse ragioni per le quali qalla fine i politici tedeschi sceglieranno Magna: perchè le due scelte sono quelle che costano meno in termini occupazionali. Obama include nella sua base elettorale i lavoratori dell’auto, che si era parzialmente alienato all’inizio della vicenda General Motors e Chrysler per l’approccio troppo in stile Wall Street dei suoi interventi pubblici in materia. La logica industriale, l’interesse di lungo periodo dell’America portavano a una fusione tra GM e Chrysler, con la nascita di un gigante americano capace di competere da pari con i giapponesi. Ha scelto gli italiani, perché limitate, al di là dei discorsi, sono le sinergie possibili, soprattutto quelle che possono portare a tagli di occupazione a Detroit e dintorni. Questo in futuro potrebbe portare a interrogarsi, parlando in italiano, sulla convenienza per Fiat dell’operazione senza gli altri elementi del puzzle disegnato da Marchionne.

Obama avrebbe forse potuto seguire un’altra linea, quella di compensare i tagli all’occupazione derivanti dal colosso dell’auto all- american con interventi di aiuto sociale, versione americana della casaa integrazione o del prepensionamento. Ci sono i precedenti. Quando agli inizi degli anni ‘80 i giornali passarono alle nuove tecnologie di composizione “a freddo”, ottennero il consenso alla drastica riduzione di organici che ne conseguiva garantendo l’impiego a vita ai lavoratori in esubero. Ma i giornali lo fecero con i propri denari, scommettendo sullo sviluppo che ne sarebbe venuto.

L’industria dell’auto americana, però, è in fallimento e non può quindi finanziare garanzie ai lavoratori; né lo può lo Stato, perché i soldi, e sono tanti, servono anche per altre emergenze e l’emergenza più grossa, secondo il governo americano, è garantire la salvezza del sistema bancario. Di qui la necessità per Obama di trovare qualcuno che, per un complesso di ragioni, anche industrali, potesse prestarsi al gioco.

Le stesse identiche ragioni sono quelle che muovono Angela Merkel, cancelliere tedesco, e i suoi colleghi, di destra come di sinistra. La crisi è profonda, c’è da rimettere in moto tutta l’industria tedesca, a cominciare dall’ex Germania dell’est che è un po’ come il Meridione per l’Italia del dopoguerra, non ci sono soldi per garantire il posto di lavoro ai lavoratori dell’auto, che sono certamente una minioranza privilegiata nella classe operaia tedesca. Con l’aggravante che, mentre Obama è di sinistra e interventi di tipo sociale possono trovare collocazione nella sua ideologia, la Merkel è anche di destra e fin dall’inizio della crisi Opel, mesi fa, ha sempre detto che a salvare la casa automobilistica non ci pensava nemmeno (salvare la Opel con intervento pubblico avrebbe avuto poi un’altra conseguenza: quella di aiutare un azionista americano, essendo Opel posseduta da GM).

Nel caso di Opel, la strada proposta da Marchionne era quella giusta, se si voleva ragionare in termini di interesse europeo complessivo: sarebbe nato un colossetto dell’auto, che avrebbe fatto fare ad entrambe le case quel salto di dimensione di cui hanno disperatamente bisogno). Certo ci sarebbero stati forti tagli all’occupazione e infatti i primi in Germania a schierarsi contro la proposta Fiat sono stati i sindacati.

Poi i dubbi hanno guadagnato momento in Italia come in Germania. Data la situazione delle finanze pubbliche dei due paesi, non si poteva nemmeno pensare, non parlare, di contributi o interventi sociali. E poi ci sono le elezioni: e non a caso ai sindacati tedeschi si sono accodati i politici, in Germania tutti, in Italia quelli al governo. Finalmente anche i sindacati italiani, prima troppo impegnati a fare politica e a scimmiottare Berlusconi sul palcoscenico dell’Abruzzo, hanno parlato.

E qui viene una considerazione: senza volere ridurre il valore di Marchionne, nessuno che fosse in età adulta e consapevole negli anni di piombo, prima della svolta impressa alla Fiat e all’Italia dalla gestione di Ghidella, può ignorare le diverse condizioni ambientali in cui operò il management Fiat negli anni ‘70 e quelle in cui opera adesso (vero è che nei vent’anni dopo Ghidella, pur operando in una condizione di strapotere rispetto al sindacato, la gestione della Fiat non impedì che l’azienda scivolasse nel precipizio).

In Italia, però, la posizione di politici e sindacati può essere solo difensiva. Il pallino in mano ce l’hanno i tedeschi: il Governo centrale, le varie regioni che pesano molto più che da noi, essendo la Germania un vero stato federale fin dal 1870, e i sindacati, il cui peso è maggiore che in Italia perché sono organici alla gestione delle imprese.

E qui entra in scena Magna, l’alternativa a Fiat: è un’azienda di componentistica, non produce auto, le sinergie possibili sono minime. Ai politici interessa il consenso, perché il consenso si traduce in voti; e i politici tedeschi non fanno eccezione. La loro scelta era scritta nel muro. Marchionne ha combattuto a testa bassa, con la determinazione di chi crede, con ragione, alla bontà del suo progetto. Ma venerdì sera ha cominciato a guardare in faccia la realtà, riconoscendo che si tratta di una partita complessa e che in Germania ci sono le elezioni, che possono influire sulle scelte. L’onestà di queste parole fa onore a Marchionne. Forse ci avrebbe pensato prima, se non fosse stato un po’ troppo coccolato dal silenzio e dalla acquiescenza di politici e sindacati italiani. Morale, la mancanza di dissenso fa male, non solo alla democrazia. Fa proprio male e basta. (Beh, buona giornata).

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Accordo Fiat-Opel: si chiude Termini Imerese e si apre in Serbia?

di Diodato Pirone-ilmessaggero.it
«Non è la possibile fusione Fiat-Opel a sconvolgere il mercato dell’auto. E’ la crisi mondiale che sta scuotendo tutto. Opel ha perso quasi 1,5 miliardi nei primi tre mesi del 2009 e se persino Toyota vende un milone di auto in meno nel mondo vuol dire che chi sta fermo è perduto». Parla così una fonte vicina alla trattativa Fiat-Opel per tentare di diradare un po’ del polverone che avvolge il parto travagliato del nuovo polo europeo dell’auto.

Ma che cosa comporta la Grande Ristrutturazione Globale sul fronte del lavoro? Marchionne lo ha scritto nel Piano Fenice alla base del progetto di fusione Fiat-Opel: la capacità produttiva va ridotta del 22% perché tenere aperte linee di produzione inutilizzate fa esplodere i costi. Per questo da anni l’amministratore delegato di Fiat predica la creazione di grandi stabilimenti da 4-500 mila auto annue. L’ultimo tentativo per costruirne uno nuovo in Italia è fallito a inizio 2008 quando Marchionne si arrese di fronte all’impossibilità (perché bisognava costruire un porto e per mille intoppi politici, sindacali e burocratici) di raddoppiare la fabbrica di Termini Imerese, in Sicilia. E così la nuova auto per Termini, la Topolino con motore bicilindrico, con ogni probabilità sarà battezzata in Serbia dove Fiat, con fondi del governo di Belgrado, sta costruendo una fabbrica extra-large.

Poi è arrivata la Grande Crisi e la cassa integrazione a valanga. Da ottobre i 1.600 operai di Termini (e i 400 dell’indotto) sono stati fermi per 5 mesi. Nel 2008 hanno fabbricato oltre 150 mila Lancia Ypsilon contro le 70-80 mila previste per quest’anno: Termini assomiglia, di fatto, a un morto che cammina anche se fabbricherà Ypsilon fino a tutto il 2010.

E dopo? Il Piano Fenice ne ipotizza la riconversione nella produzione di componenti. Così come riconversioni o chiusure – anche se gli uomini di Marchionne giurano di non aver mai scritto questo termine – toccheranno in tutt’Europa gli anelli più deboli della catena Opel: Luton, in Gran Bretagna, da cui fino al 2012 usciranno furgoni ”cofirmati” da Renault; Graz, in Austria che fa trasmissioni; Anversa, in Belgio, troppo vecchio; Kaiserslautern, in Germania, meno efficiente nella motoristica rispetto all’impianto polacco di Bielsko-Biala che Fiat e Opel già condividono.

In questo quadro anche l’Italia paga un prezzo: di Termini s’è detto. Poi non è definita la missione dell’enorme fabbrica di Pomigliano (350 mila metri quadri coperti) che prima della crisi assemblava 250 mila Alfa Romeo ridotte a meno di 100 mila quest’anno. Resta da capire chi farà (e dove) la ricerca e qui anche Torino rischia di perdere qualche pennacchio.

L’incredibile è che se Fiat-Opel non dovesse nascere le cose potrebbero andare anche peggio. In questo caso lo scheletro dell’industria automobilistica europeo potrebbe fratturarsi in più punti. Per questo ieri Karl-Theodor zu Guttenberg, il giovane ministro dello Sviluppo Economico della Germania, ha ripetuto pari pari una frase cara a Sergio Marchionne: «E’ l’Europa che deve risolvere il problema Opel». (Beh, buona giornata).

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