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Mario Monti presidente del Consiglio incaricato: la partita è solo all’inizio.

http://video.repubblica.it/dossier/crisi-italia-2011/monti-crescita-ed-equita-sociale/80672?video=&ref=HREA-1

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito a Mario Monti l’incarico di formare un nuovo governo. Monti ha accettato con riserva. L’annuncio poco fa dal Quirinale.

Contemporaneamente, Silvio Berlusconi ha emesso un telecomunicato, parlando con le insegne del governo uscente. Un gesto di pessima educazione istituzionale che intende deliberatamente gettare un ombra sulla nascita del nuovo governo.

Alla gravità della situazione finanziaria e politica, Silvio Berlusconi aggiunge il peso del suo insano egocentrismo umano e politico, dimostrando quanto fosse necessaria la sua immediata rimozione dal delicato incarico di guidare il governo in questi frangenti.

C’è da augurarsi che nessuno cada nella tentazione di seguire Berlusconi su questo terreno: rimanga pure in compagnia della Destra di Storace.

C’è anche da augurarsi che a nessuno venga in mente di misurarsi polemicamente sul terreno scelto da Berlusconi: ricatti e velate minacce questa volta sono prive di capacità di verificarsi.

Va ignorato politicamente, lasciato solo con i suoi problemi giudiziari, con la sua causa di divorzio, con i suoi problemi di gestione delle aziende che, ormai senza più la copertura di nessuno scudo governativo, dovranno affrontare la crisi e la concorrenza ad armi pari con gli altri player sul mercato.

Mario Monti, presidente incaricato non ha per niente un compito facile. Oltre al terreno accidentato dalla crisi del debito, dagli obblighi verso l’Europa e i mercato finanziari, si troverà un partito come il Pdl che ha tutta l’intenzione di mettergli i bastoni fra le ruote.

A Berlusconi non interessa il Paese: gli interessano le leggi ad personam in fatto di Giustizia e quelle che proteggono le sue aziende. E farà di tutto per intimorire il nuovo esecutivo, per impedirgli di mettere mano a leggi che possano danneggiare i suoi privilegi.

D’altro canto, ai cittadini, alle imprese, alle istituzioni interessano profondi cambiamenti, capaci di far intravvedere al Paese una luce in fondo al tunnel della crisi.

Ecco che la dialettica dello scontro tra interessi fortemente contrapposti, tra rilancio dell’economia e mantenimento delle rendite di posizione sarà durissimo: quello che finora si è contrabbandato come moderno dovrà essere svelato come artificio per difendere gli interessi più retrivi del Paese. Al contrario, quello che è stato contrabbandato come vetusto, cioè eguaglianza di fronte alla legge, eguaglianza di fronte ai diritti, dovrà assumere di nuovo l’energia per spingere avanti il Paese: l’intero Paese, non solo una parte, quella più ricca e furba.

Mario Monti non è uno sprovveduto. Non lo è il Capo dello Stato: il governo dell’uno coincide temporalmente con il mandato dell’altro. E questo è un bene. Non siano sprovvedute le forze politiche chiamate a tirare fuori dai guai l’Italia.

A cominciare dalle forze di sinistra. Che devono accollarsi il compito storico di ridefinire il perimetro dei diritti delle classi subalterne e medie impoverite dalla crisi.

Bersani è il segretrio del Pd che ha visto di persona il crollo del governo Berlusconi. Non si accantenti di entrare a far parte di un governo di salute pubblica, non si accontenti di accreditarsi come affidabile presso banche e grandi imprese. Chiami, attiri, stimoli attorno a se le forze sociali e intelletuali migliori del Paese, guardi con sguardo limpido ai movimenti 99%, e metta in moto energie capaci di prefigurare una alternativa possibile al capitalismo in crisi. E’ il momento: se non ora, quando? Beh, buona giornata.

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Ancora Mario Monti sul Corsera a palle incatenate contro il governo: «tassa per i ritardi italiani malgrado l’Europa» e non certo «tassa dell’Europa».

di MARIO MONTI-Il Corriere della Sera

Venerdì il governo ha preso decisioni che avranno notevole impatto sull’economia e la società italiana e questa volta, come era atteso da tempo, anche sul settore pubblico. Le singole misure sono analizzate e commentate in altre parti del giornale. Qui vorrei mettere in luce una scelta di fondo di cui non si è parlato, ma che non deve essere stata facile per il Presidente del Consiglio. Una scelta che, per le sue implicazioni, potrebbe cambiare l’impostazione di politica economica del governo Berlusconi nella parte restante di questa legislatura.
Di fronte alle perentorie richieste dell’Europa e dei mercati, il governo ha dovuto scegliere tra la via dell’irredentismo e la via della redenzione.

Avrebbe potuto cercare di sottrarsi alle indicazioni del «podestà forestiero» (l’articolo di domenica scorsa, 7 agosto, ha dato luogo a un dibattito sul quale tornerò prossimamente) e rivendicare con spirito irredentista un maggiore spazio, quello che l’Unione Europea normalmente riconosce, per le scelte politiche nazionali. Invece ha deciso, con lucidità e rapidità, di imboccare una strada di redenzione o, in termini più asettici, di modifica di alcuni connotati di fondo che avevano caratterizzato, fin dall’inizio, l’impostazione di politica economica del governo.

E’ comprensibile che l’inversione di rotta venga ora attribuita per intero all’aggravamento, innegabile, della crisi internazionale. Ma quei limiti – di natura politica, non tecnica – erano evidenti da molto tempo ed erano stati segnalati da più commentatori.

Il ministro dell’Economia, di cui molti tendono oggi a dimenticare il merito di aver saputo mantenere un certo rigore di bilancio con un governo e una maggioranza poco inclini a tale virtù, non ha affrontato, né forse valutato, adeguatamente i problemi della competitività, della crescita, delle riforme strutturali indispensabili per rimuovere i vincoli alla crescita (il federalismo fiscale, oggi oggetto di dibattiti accesi, è stato spesso presentato come la riforma strutturale introdotta da questo governo).

Il Presidente del Consiglio, da parte sua, non ha mai mostrato di considerare l’economia – tranne l’agognata riduzione delle tasse – come una vera priorità del suo governo, né ha mai assunto un visibile ruolo di coordinamento attivo e di impulso della politica economica, come fanno da tempo gli altri capi di governo. Essi lo esercitano soprattutto nel promuovere la crescita, assistiti da un ministro dell’economia reale o dello sviluppo di alto profilo, oltre che nel garantire copertura politica al ministro finanziario, nella sua azione rivolta prioritariamente alla disciplina di bilancio. Negli ultimi tempi, invece, Berlusconi pareva spesso infastidito dall’arcigno Tremonti e dai suoi «no» agli altri ministri, più che dedicarsi alla guida strategica dello sviluppo, in raccordo con l’Europa (due responsabilità a lungo lasciate scoperte di titolari).

Negli ultimi giorni, tutto pare cambiato. Il Presidente del Consiglio ha preso visibilmente la guida. Si è schierato, per amore o per forza, dalla parte del rigore. Almeno su questo, non dovrebbero più esserci contrapposizioni con il ministro dell’Economia.
Entrambi, dopo avere prestato scarsa attenzione alle raccomandazioni rivolte loro per anni dalla Banca d’Italia, si premurano di seguire ora le indicazioni – molto simili! – della Banca Centrale Europea.

È una svolta positiva e importante, pur se avvenuta nella precipitazione e perciò con due conseguenze negative. Le misure adottate, che potrebbero ben chiamarsi «tassa per i ritardi italiani malgrado l’Europa» e non certo «tassa dell’Europa», non hanno potuto essere studiate con il dovuto riguardo all’equità e gravano particolarmente sui ceti medi. Inoltre, la priorità crescita, pur sottolineata dalla Commissione europea e dalla Bce, rischia di essere vissuta come «meno prioritaria», nella situazione di emergenza in cui l’Italia, soprattutto per sua responsabilità, è venuta a trovarsi.

Crescita ed equità. Come molti osservatori hanno notato, è ora su questi due grandi problemi, trascurati nei primi tre anni della legislatura, che l’azione del governo, delle opposizioni e delle parti sociali dovrà concentrarsi, con un comune impegno come auspica il Presidente Napolitano. E ciò, ben inteso, non a scapito della finanza pubblica, ma anzi per rendere duraturi i progressi realizzati in quel campo.
(Beh, buona giornata).

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