«Il gigantismo bancario ha intaccato il modello Usa» -sole24ore.com
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a George Akerlof e Michael Spence, è considerato uno dei fondatori dell’economia dell’informazione grazie ai suoi studi sulle “asimmetrie informative”. Ma è anche una “voce fuori dal coro” nel mondo degli economisti, oltre che un intellettuale impegnato (ieri era alla Luiss di Roma per stilare insieme al gruppo di esperti di fama mondiale dello Shadow Gn una serie di raccomandazioni da presentare al prossimo G-8 dell’Aquila). E se gli si chiede un’analisi sulla «Lezione per il futuro» di Guido Tabellini pubblicata ieri, risponde di avere un gran timore che finiscano con il prevalere quelli che vorrebbero semplicemente il ripristino dello statu quo ante. Crisi di sistema o incidente temporaneo? «Intanto – precisa – non sappiamo ancora se sia davvero terminata la parte peggiore della tempesta finanziaria, quella che si è scatenata il 15 settembre 2008, con il fallimento di Lehman. E in ogni caso, dopo l’attuale turmoil, ritengo che dovremo fare i conti con un lungo periodo di crescita dell’economia reale nel mondo e in particolare negli Stati Uniti, piuttosto debole. Dunque, se dobbiamo provare a immaginare come sarà il dopo, dobbiamo parlare di quel che accadrà fra cinque o sei anni».
Un lungo tunnel, quindi. Che cosa troviamo all’uscita?
Ci sono cose di cui possiamo essere già ragionevolmente sicuri, ma ce ne sono anche molte altre ancora avvolte nell’incertezza. Sono convinto, ad esempio, che si verificherà in una certa misura un ribilanciamento del potere economico globale. Certamente il modello americano non sarà più considerato con la stessa deferenza del passato. Ci sarà una maggiore “contestabilità”, ci sarà più dibattito su quale sia il miglior modello economico, ad esempio all’interno dei paesi in via di sviluppo. Ma anche in Europa, prima, negli anni 90, molti dicevano: dobbiamo imitare tout court l’America se vogliamo avere successo. Penso che già oggi in questi termini non si esprima più nessuno. Adesso si dice: dobbiamo capire come si fa a produrre le grandi innovazioni che hanno introdotto gli Usa, evitando, però, i loro errori.
Già, che cosa è andato storto, a suo parere?
Ovviamente, è questo è già stato messo sotto la lente d’ingrandimento, ci sono state cose che non hanno funzionato nella normativa finanziaria e nella politica monetaria. Nel campo della regulation, oggi sappiamo che per funzionare deve essere onnicomprensiva e abbracciare l’intero sistema bancario e finanziario. Conosciamo, ormai, i guasti prodotti dall’eccesso d’ingegneria contabile, come l’enorme mole di transazioni finanziarie avvenute fuori dai bilanci. Sappiamo che sono stati concessi forti incentivi a comportamenti sbagliati. Sappiamo che l’era delle cartolarizzazioni ha finito con l’introdurre nuove asimmetrie informative. Poi, ci sono interrogativi più profondi, sul perché si sia creato un problema di domanda aggregata globale, oppure perché le Banche centrali abbiano adottato politiche monetarie così carenti. Insomma, per valutare la profondità di questa crisi bisogna considerare sia il funzionamento delle forze economiche, sia quali sono state le carenze di tipo intellettuale e culturale. In ogni caso, oggi negli Stati Uniti ci sono molti soggetti appartenenti alla comunità finanziaria, che vorrebbero con tutte le loro forze tornare allo statu quo ante, al mondo com’era prima del 2007 per avere lo stesso sistema finanziario, eccettuati i collassi e i fallimenti.
A chi si riferisce?
Mi riferisco a quelle grandi, grandissime banche, di cui si pensava che fossero troppo grandi per fallire; il loro gigantismo è una delle cause principali della crisi. Ma il modo nel quale hanno agito sia Obama, sia Paulson, con i rispettivi piani finanziari, in fin dei conti attraverso il consolidamento creditizio non fa che accrescere ancora queste istituzioni finanziarie, nel momento in cui le ristruttura. In altri termini, io non vedo ancora proposte serie di riforma della struttura finanziaria, ma solo una serie d’interventi cosmetici, perché le banche resistono con forza al cambiamento e non hanno la benché minima intenzione di lasciarsi ridimensionare. In sostanza, nonostante i loro fallimenti, le grandi banche continuano a esercitare una forte influenza politica negli Stati Uniti e hanno il potere di fermare il processo di riforma delle regole. In definitiva, alla domanda “come sarà il mondo una volta usciti dalla crisi?”, io non posso che rispondere che non lo so, perché ciò che ancora non conosciamo esattamente è l’intensità e la profondità delle ripercussioni della crisi sulle banche. L’area dell’incertezza è qui. (Beh, buona giornata).