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No, non fate i furbi, non siamo in guerra.

La guerra noi la bombardiamo dall’alto, cercando di non lasciare uomini sul terreno. Noi facciamo i guerrafondai con i morti degli altri. Noi le chiamiamo missioni umanitarie. Noi non spariamo, no, noi facciamo attività di peacekeeping. In Afghanistan, in Iraq, in Siria lo facciamo da quindici anni, che significano centinaia di migliaia di morti civili, per i quali non versiamo lacrime, eh no!, sono danni collaterali, mica lo abbiamo fatto apposta. Gli mandiamo anche cerotti con le organizzazioni non governative, che volete di più?

I nostri nemici non hanno diritto agli onori militari, manco rientrano nelle Convenzioni internazionali: sono terroristi, no!? Bisogna farli parlare, come ad Abu Ghraib o deportare senza processo a Guantánamo.

Ad ogni detonazione, fa eco lo sconcio mantra secondo cui solo i buonisti pensano che non bisogna armarsi e partire, che non bisogna torturarli. “Ci vogliono le palle”, altercano nei salotti televisivi.

I civili inermi che fuggono da lì e vengono da noi? Aiutiamoli a casa loro, quelle stesse case che bombardiamo, radendole al suolo. Rendiamoci conto della sproporzione tra i fatti e la propaganda.

No, loro non sono in guerra contro di noi; semmai, siamo noi che lo siamo contro di loro, da quasi due secoli. Ci servono le loro ricchezze naturali, le fonti di energia vitali per il nostro modo di produrre ricchezza, quella che godono in pochi, ma che distrugge il pianeta di tutti.

Gli attentati che hanno insanguinato Parigi e Bruxelles non sono atti di guerra. Sono gesti disperati di un’organizzazione estremista basata in Belgio. Che è stata evidentemente sottovalutata, magari infiltrata e che poi comunque è sfuggita di mano. Che però fa comodo, perché un po’ di morti europei possono venir utili: aiutano i parlamenti a varare spese militari e leggi speciali, fanno ingoiare alle opinioni pubbliche la militarizzazione del territorio, fanno prendere voti alla destra xenofoba, il cui polverone è utile a mascherare le politiche liberiste contro il welfare.

Bruxelles è insanguinata perché è la capitale del fallimento delle politiche sociali della Eu. È la capitale della disoccupazione, quella giovanile, soprattutto. È la capitale di un’Europa capace solo di aiuti alle banche, nella mistica cieca del mercato. È la capitale del fallimento degli accordi sull’accoglienza delle grandi migrazioni. È la capitale del declino dei grandi ideali.

È la capitale del disastro in cui una cellula ultra-estremista fa da anni cose che si potevano prevedere e prevenire, se il Belgio non fosse una democrazia impazzita, se non avesse più polizie che politiche di sicurezza.

No. Non è contro di noi che Daesh combatte: combatte contro altro che per mettere in discussione le nostre libertà. Al califfo di Isis di noi interessa nulla: combatte contro i governi arabi fantoccio, è in gioco una guerra di supremazia tra sunniti e sciiti. Supremazia come quella in gioco tra valloni e fiamminghi in Belgio.

Non siamo in guerra, non facciamo vittimismo. Che di vittime la nostra sciagurata politica le sta facendo. Non siamo in guerra, ma abbiamo nemici pericolosi: sono nei governi, nei parlamenti, nei talk show televisivi. Sono la destra xenofoba, sono i governi conservatori totalmente supini al capitalismo finanziario e la sinistra che crede nei poteri magici del neoliberismo, sull’altare del quale sacrificare il welfare.

Ma secondo voi, se un ragazzo di 26 anni, magrebino di seconda generazione, cittadino belga con passaporto europeo avesse avuto le opportunità sancite e garantite dalle costituzioni democratiche si sarebbe mai arruolato nelle fila di Daesh, per difendere un’idea astratta di califfato? O si farebbe saltare in aria nella metropolitana della città in cui è nato e cresciuto, urlando disperatamente Allah akbar?

Questo nichilismo è l’urlo di dolore contro l’esclusione sociale, che nessuno ha raccolto, se non qualche predicatore senza scrupoli. Come succede nei sobborghi delle città di provincia degli Usa, dove gli ultimi sono le prime vittime del fanatismo religioso a mano armata: lì cristiano, qui musulmano.

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Crollato il mito del socialismo dei mezzi di produzione, ci siamo incamminati sul sentiero della barbarie. È un vicolo cieco. Di rabbia, di violenza, di morte.

Non ci sono soluzioni facili, semplicemente perché siamo una parte consistente del problema. La sola certezza è che più tardi invertiremo la rotta, più a lungo piangeremo i nostri morti. Beh, buona giornata.

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Guerra&Pace

Parigi e l’autunno d’Europa.

Parigi e l’autunno d’Europa.

epa05024526 A man looks outside the Carillon cafe with bullets holes on the glasses, in Paris, France, 14 November 2015. At least 120 people have been killed in a series of attacks in Paris on 13 November, according to French officials. Eight assailants were killed, seven when they detonated their explosive belts, and one when he was shot by officers, police said. French President Francois Hollande says that the attacks in Paris were an 'act of war' carried out by the Islamic State extremist group.  EPA/YOAN VALAT
epa05024526 A man looks outside the Carillon cafe with bullets holes on the glasses, in Paris, France, 14 November 2015. At least 120 people have been killed in a series of attacks in Paris on 13 November, according to French officials. Eight assailants were killed, seven when they detonated their explosive belts, and one when he was shot by officers, police said. French President Francois Hollande says that the attacks in Paris were an ‘act of war’ carried out by the Islamic State extremist group. EPA/YOAN VALAT

Quando scopriremo chi sono gli uomini -che hanno messo a ferro e fuoco Parigi e fatto strage di inermi cittadini con bombe e fucilate a sangue freddo- allora sapremo come sia stato possibile che nessuno si sia accorto in tempo del piano terroristico.

Per il momento possiamo solo dire che il tentativo chiaro è quello di trascinarci a forza in un salto mortale di qualità della guerra contro il Califfato. Costringerci all’invio di truppe sul terreno. È contemporaneamente chiuderci in uno stato di perenne auto assedio, di impedire l’agibilità sociale dei cittadini di origine araba dentro i confini degli stati europei, sul modello israeliano verso i palestinesi.

In questo c’è una convergenza tra gli scopi del terrorismo di stampo islamista e la destra razzista e xenofoba in Europa. In Italia alcune cornacchie, in effetti le solite, hanno già cominciato a gracchiare di bellicose rappresaglie. Da questo punto di vista, gli uccelli del malaugurio indicano nel Giubileo il prossimo possibile eclatante obiettivo, con un’ottusità propagandistica che ha il sapore beffardo di un suggerimento.

L’icona della gravità della situazione sta lì nelle strade di Parigi: prima le bombe, gli spari, il sangue; poi i militari e lo stato d’assedio. Che sembra la grottesca prima vittoria del terrorismo, il cui scopo e significato, tattica e strategia sono proprio innalzare sempre di più paura e allarme. È una coazione a ripetere schemi psicologici che non hanno portato nulla di buono, mai.

Non possiamo fare molto in queste ore. Chi ha potuto si è sincerato che amici o parenti che vivono a Parigi stessero bene. Di grande utilità sono stati i social: nel giro di pochi minuti, chi ha potuto è riuscito a tranquillizzarsi. Meglio non osare neppure a pensare cosa possa essere stato per chi, con la stessa rapidità tecnologica è stato raggiunto da drammatiche notizie personali: possiamo solo moltiplicare questa orrenda intuizione per il numero dei morti e dei feriti, in una serata parigina, coccolata da un clima mite, prima di venire stuprata dal terrore.

Ma proprio la vicinanza immediata che ci hanno permesso Facebook o Twitter è stata la cifra del nostro coinvolgimento in presa diretta con quei fatti terribili, come successe con le immagini che ci coinvolsero negli scoppi prima e il crollo poi delle Torri Gemelle, quel maledetto pomeriggio dell’11 settembre 2001.

La storia ci ha raccontato di errori, bugie, scandali e crimini che contrassegnarono la risposta militare degli Usa e degli alleati, tra cui il nostro paese, sotto le truci e truffaldine insegne dell’ “esportazione della democrazia.” Recentemente lo stesso Tony Blair uno dei più attivi sostenitori della “Guerra al terrorismo” ha riconosciuto apertamente che quella avventura fu non solo sbagliata, ma talmente malaugurata da essere diventata di fatto l’incubatrice dell’attuale Isis, il califfato probabilmente mandante dei crimini terroristici di ieri a Parigi.

Ecco allora che il timore di nuovi attentati si lega a doppio filo col timore che lo schema si ripeta in quel salto mortale di qualità, verso cui spingono le azioni del terrorismo islamico in Europa, congiuntamente alla propaganda xenofoba e razzista della destra europea. Beh, buona giornata.

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