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Il costo della crisi sono stati miliardi di risparmi, costo della ripresa sono 17 milioni di posti di lavoro persi.

Ocse, persi 17 milioni di posti di lavoro: disoccupati al massimo nel dopoguerra
In Italia svaniti 500mila posti, senza cig disoccupazione +4%. A picco occupazione dei giovani, pesante impatto su precari-ilmessaggero.it

La crisi ha distrutto nell’area Ocse 17 milioni di posti di lavoro, 500mila dei quali in Italia, dove il tasso di occupazione è al 57,3%, quart’ultima nazione tra i paesi industrializzati (solo Messico, Ungheria e Turchia stanno peggio). I danni sarebbero stati peggiori senza il massiccio ricorso alla Cig. Nel nostro paese il salario medio lordo è di circa 31mila dollari, sotto la media. Sono dati riportati nel annuale sulle Prospettive dell’Occupazione.

Quasi 17 milioni di persone hanno perso il posto di lavoro nell’area Ocse tra la fine del 2007, quando il tasso di disoccupazione era al minimo record del 5,8% e il primo trimestre 2010 quando ha raggiunto un massimo post-bellico dell’8,7%. La stima a fine 2011 è di una disoccupazione ancora superiore all’8%. Ad essere colpiti sono stati i livelli occupazionali degli uomini (-3%) più che delle donne (-1,2%), perché settori come l’edilizia (occupazione -7,7%), il manifatturiero (-8,7%) e il minerario (-5,3%) ad alta occupazione maschile hanno pagato il prezzo più duro. Aggiungendo coloro che non stanno cercando attivamente l’occupazione e i sotto-occupati, la disoccupazione nell’area Ocse e anche nel G7 risulta del 15% circa a fine 2009 contro poco più del 10% nel 2007.

A picco l’occupazione dei giovani (-8,4%), mentre la fascia dei 25-54 anni ha avuto danni minori (-2,2%) e gli ultra 55enni hanno messo a segno addirittura un +1,7%. Un incremento legato in parte alla necessità di restare al lavoro per le perdite dei risparmi previdenziali causate dalla crisi finanziaria e dall’innalzamento dell’età di pensionamento.

Drammatico l’impatto sui precari (-7,7%), mentre i lavoratori a tempo indeterminato hanno retto (-0,6%) e gli autonomi hanno limitato i danni (-2,1%). Il grado di istruzione ha fatto la differenza: l’occupazione dei meno qualificati è calata del 6,4%, mentre i cosiddetti “high skilled” hanno registrato un aumento dell’1,1%.

La crisi è costata quasi mezzo milione di posti di lavoro all’Italia e ha ulteriormente ridotto il tasso di occupazione, sceso dal 58,7% nel 2007 al 57,3%, al quart’ultimo posto tra i Paesi industrializzati (solo di Messico, Ungheria e Turchia fanno peggio). Per riportare l’occupazione ai livelli ante-crisi servirebbero 657mila nuovi posti. Le proiezioni suggeriscono che la disoccupazione resterà agli attuali livelli (8,9%) o sopra almeno fino alla fine del 2011. L’Ocse stima che senza il ricorso alla Cassa Integrazione, aumentata di oltre il 600% dall’inizio della crisi, la disoccupazione sarebbe stata quasi 4 punti percentuali più alta. L’Italia è classificata dall’Ocse tra i Paesi in cui la recessione ha avuto nell’insieme un impatto meno duro sul lavoro, considerando che il tasso di disoccupazione è salito di 2,2 punti rispetto al dicembre 2007, meno quindi dei 2,9 punti della media Ocse. L’incremento della disoccupazione e la riduzione del tasso di occupazione sarebbero stati ancora peggiori se il numero delle ore lavorate durante la crisi se non fosse calato del 2,7%, il doppio della media dei Paesi industrializzati.

Un altro riflesso della crisi si è visto nell’aumento dei lavori part-time (+10%), in gran parte riconducibile a lavoratori che hanno accettato il tempo parziale perchè non sono riusciti a trovare occupazioni a tempo pieno. Dall’inizio della crisi, più del 4% dei lavoratori in Italia hanno un part-time involontario, uno dei dati più alti dell’Ocse. Se al numero dei disoccupati ufficiali, si aggiungono anche i sottoccupati e coloro che vorrebbero lavorare, ma non cercano attivamente un’occupazione, l’incidenza dei senza lavoro – nelle stime dell’Ocse – si avvicinava al 20% a fine 2009 (il livello più elevato tra i big a parte la Spagna) dal 15% circa di due anni prima, contro una media dell’Ocse del 15% lo scorso anno e del 10% circa nel 2007 rispettivamente.

Il salario medio lordo in Italia è di 30.794 dollari l’anno a parità di potere d’acquisto e di 39.789 dollari ai cambi attuali. La media tra i Paesi industrializzati è 41.435 dollari nel primo caso e 47mila nel secondo. Gli Usa hanno i salari più elevati (51mila euro), ma spiccano anche Svizzera (47.300 dollari a parità di potere d’acquisto), Lussemburgo (49mila), Australia (45.500), Regno Unito, Irlanda e Olanda (oltre 44.000). Sotto la media, invece, Francia e Germania, appaiate poco sopra i 36mila dollari, come pure Giappone (33mila) e Spagna (31mila). Portogallo a parte (22mila), i salari più bassi sono nei Paesi dell’Est Europa: Repubblica Ceca e Ungheria sono attorno a 19mila dollari, la Polonia si ferma a 17.500 dollari e la Repubblica Slovacca scende a 16mila. Dal rapporto emerge anche un calo delle ore lavorate a 1.773 per l’Italia dalle 1.807 del 2008. Flessione, peraltro comunque a tutti i Paesi avanzati (meno il Lussemburgo), che riflette l’impatto della crisi.

Riequilibrio tra lavoro permanente e lavoro precario. Secondo John Martin, direttore della divisione occupazione, lavoro e affari sociali dell’Ocse, è necessario «creare gli incentivi giusti perchè le aziende assumano». Oltre a sussidi temporanei per le assunzioni e agli sforzi per migliorare le qualifiche di quanti cercano lavoro, questo dovrebbe includere «un riequilibrio della protezione» del lavoro tra i contratti permanenti e i temporanei, che hanno pagato il prezzo più alto durante la crisi. In questo modo «si permetterebbe ai lavori a tempo determinato di funzionare meglio come fase di passaggio verso un lavoro permanente e non come una trappola». (Beh, buona giornata).

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