Categorie
business Cinema Cultura Marketing Media e tecnologia Popoli e politiche

L’eccezione culturale e la strategia cinematografica del Festival di Cannes.

di Riccardo Tavani.

Uno dei temi di scontro tra gli Usa e gli Stati europei resta la cosiddetta “eccezione culturale”(*) sul cinema e sui prodotti audiovisivi. Le major americane del settore vogliono una completa liberalizzazione del mercato, mentre l’Europa – capofila la Francia – sostiene che la cultura non è una merce come le altre: è patrimonio stesso della Res publica, dello Stato e va dunque protetta e opportunamente incentivata. Gli Stati europei hanno ottenuto che il tema fosse stralciato da quelli all’ordine del giorno nel recente G8 irlandese. Obama, in considerevole difficoltà a causa del “data-gate”, lo scandalo dello spionaggio capillare sull’intero traffico telefonico ed elettronico di tutti i cittadini americani, non ha per il momento voluto aprire le ostilità sul tema, ma la partita e’ solo rimandata. Gli Usa – come ha paventato anche Romano Prodi – potrebbero, per ritorsione, sollevare anche essi una loro specifica e magari economicamente più pesante “eccezione”, ad esempio sull’agricoltura. Anche il ministro italiano Bray si e’ schierato per l’eccezione francese, mentre all’interno del Governo non tutti sono sulla sua posizione.

Per capire perché la Francia sia quella più determinata su questo punto, basterebbe guardare ai film del Festival di Cannes che in queste giornate si sono visti in rassegna a Milano e a Roma.

La manifestazione alla Croisette non è semplicemente una “mostra’ dell’arte cinematografica, come Venezia e Berlino. E’ anche questo ma soprattutto l’espressione dell’intervento produttivo e culturale francese sulle cinematografie di quasi tutto il mondo, quelle economicamente più deboli in particolare. Cannes solca come una vera e propria portaerei produttiva i mari di tutto il mondo, pasturando di capitali per il cinema quelle acque, per trainarne poi in patria i risultati migliori. La grande maggioranza delle pellicole presentate a Cannes sono frutto della coproduzione francese nel mondo. Tra queste anche le nostre “La grande Bellezza” e “Salvo”. La prima non e’ stata degnata di alcun riconoscimento, mentre la seconda e’ meritatamente onorata di un “Gran Premio” e di una “Menzione Speciale”, in proporzione – sembrerebbe – proprio alla quantità e qualità dell’intervento francese.

Il film vincitore del Festival è “La vie d’Adele” del franco tunisino Abdel Kechiche, della non giustificata durata di tre ore. Una pellicola, dunque, dal sapore pienamente europeo, francese, ma co-prodotta anche con inglesi e americani. E’ la formazione erotico-sentimentale in versione lesbo di una liceale con una ambiziosa universitaria e pittrice, più tesa al successo e alla sua stabilita quotidiana che all’amore con una ragazzina non del suo côté.

Una vittoria forse già in qualche modo “instradata” dalla direzione strategica di Cannes. Moltissime sono state le pellicole “seminate” e poi scelte per questa edizione che vedono come protagonisti non solo i giovani ma addirittura gli adolescenti. Una scelta che ha tutto il sapore di un investimento strategico-globale, di egemonia culturale e produttivo di lungo respiro, che forse ha qualcosa a che fare proprio con la “eccezione culturale” e lo scontro con le major americane. (Beh, buona giornata).

(*) Cosa è l’eccezione culturale? (di R.T.)

Steven Spielberg, presidente della giuria all'ultimo Festival di Cannes
Steven Spielberg, presidente della giuria all’ultimo Festival di Cannes

L’eccezione culturale è una politica che consiste nel tenere la produzione culturale al di fuori delle leggi di mercato. Essa permette agli Stati di mettere in atto dei meccanismi di aiuto e sostegno alla loro cultura, sotto forma di sovvenzioni come gli aiuti all’industria cinematografica e più generalmente ad ogni forma di opera creativa. Ma questo può anche concretarsi nell’applicazione di quote di diffusione cioè imporre per legge che un certo numero di opere diffuse per radio o televisione siano prodotte in Europa. All’epoca gli americani volevano inserire la questione della proprietà intellettuale nel commercio internazionale, ma l’Unione europea si oppose. Per gli USA la cultura è un prodotto come gli altri che non può essere sovvenzionato.

Share
Categorie
Cultura Fumetti. Popoli e politiche Potere

3DNews/Francia, un fumetto racconta i segreti diplomatici occidentali.

Ieri è stato pubblicato in Francia il secondo volume a fumetti disegnato dall’autore francese Christophe Blain dedicato al “Quai d’Orsay” e ai suoi segreti. “Quai d’Orsay” è l’indirizzo e il nome con cui è conosciuto il ministero degli Esteri francese, e la storia di Blain, ben documentata, si basa sui racconti di un ex responsabile del ministero che si nasconde dietro lo pseudonimo di Abel Lanzac e che compare in copertina come coautore.

Il primo volume è stato da poco pubblicato da noi dall’editore Coconino Press: il protagonista è un giovane consulente e ghost-writer assunto nello staff di un ministro degli Esteri ispirato chiaramente a Dominique de Villepin. Il secondo volume, con molto umorismo, spiega i negoziati del 2003 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul disarmo dell’Iraq e il ruolo che in quell’occasione ebbe il ministero francese.
(vedi le tavole del primo volume su http://www.ilpost.it/2011/11/27/fumetti-quai-orsay

Quai d'Orsay.

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato un’intervista all’autore ex collaboratore di Dominique de Villepin, che ha accettato a patto di mantenere l’anonimato.

Di sé dice soltanto: «Ho studiato la resistenza. Oggi sono un inventore di giochi. Ho una conoscenza generale del gioco: la vita ne è un esempio quando non è tragica. Per questo motivo ho scritto il Quai d’Orsay». E spiega:
«Quello che mi interessa è come funzionano le cose. I negoziati delle Nazioni Unite hanno avuto diversi livelli (…). Abbiamo cercato di ricostruire questa verità attraverso le storie che raccontiamo. Ma la verità più la si racconta più la si inventa: è il principio della sintesi. Quai d’Orsay è una sintesi, non un documento storiografico.
Quando si è vissuto in un certo ambiente, sembra ancora di sentirne parlare i personaggi. Di fronte a una certa situazione, sappiamo quello che avrebbero potuto dire. Siamo in grado di farli parlare, di farli muovere. Questo non significa che le parole attribuite pretendano di essere precise: i nostri personaggi vivono una loro vita, indipendentemente da noi che li abbiamo ispirati».

Sulla somiglianza tra Taillard (il personaggio che nel libro rappresenta il primo ministro) e Villepin l’autore spiega:
«È molto divertente: se guardate da vicino, Taillard non assomiglia assolutamente a Villepin. Guardate il suo naso lungo, dritto e stretto, le sue spalle spioventi. Ma Christophe Blain ha catturato nella sua linea qualcosa di più profondo che la somiglianza fisica. E questo è vero anche per il carattere. C’è un effetto di somiglianza che nasce, paradossalmente, dalla libertà che ci siamo dati nel plasmare il suo personaggio».

E quando gli viene chiesto se avesse avuto qualche problema dopo che molti collaboratori del ministero si sono riconosciuti nei personaggi, lui risponde:
«È piuttosto divertente diventare un eroe dei fumetti, vero? Detto questo, se faccio il conto, i dodici personaggi del Quai d’Orsay sono la sintesi di una trentina di persone. Nessuno è puro. E no, ho avuto nessun problema, anzi».

Share
Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia

Addio agli 800 milioni promessi per portare la banda larga a 20 Megabit al 96% entro il 2012. Il Governo italiano non vuole lo sviluppo di Internet.

(fonte:repubblica.it)

L’annuncio è arrivato ieri da Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: “I soldi per la banda larga li daremo quando usciremo dalla crisi”. Si riferisce agli 800 milioni che il governo aveva promesso di dare da mesi nell’ambito di un progetto da 1,47 miliardi di euro: il cosiddetto “piano Romani” – da Paolo Romani, viceministro per lo Sviluppo con delega alle Comunicazioni.

Era un piano per portare la banda larga 20 Megabit al 96% della popolazione entro il 2012, e almeno i 2 Megabit alla parte restante. Attualmente il 12% degli italiani non può avere nemmeno i 2 Megabit ed è afflitta da una crescente saturazione che rallenta le connessioni degli utenti.

Negli altri Paesi europei ci sono da anni piani nazionali per portare banda larghissima a 50-100 Megabit. Al 75% delle case entro il 2014 in Germania; a 4 milioni di case nel 2012 in Francia (che investirà 10 miliardi di euro).

Ma tant’è: il Governo italiano ha deciso che il nostro Paese deve rimanere ai minimi termini per la connessione internet. A nulla sono valse le pressioni, per sbloccare quei fondi, da parte di Telecom Italia, Agcom (Autorità garante delle comunicazioni), dello stesso Romani e del ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta.

L’Italia rimane al palo, mentre l’Europa ha stimato che la banda larga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 e una crescita dell’economia europea di 850 miliardi di euro. Si noti che di quei 1,47 miliardi, questi 800 milioni sono gli unici fondi assegnati dall’attuale governo alla banda larga. Gli altri vengono da altre fonti, stanziati dal governo Prodi oppure della Comunità europea. E allora?

Zitti tutti. Gianni Letta ha comunicato che la banda larga può aspettare. Beh, buona giornta.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Stiamo uscendo dalla crisi?: “I 366 operai affermano di aver già posizionato delle bombole di gas collegate tra di loro in varie parti della fabbrica e di essere pronti a far saltare tutto se non si arriverà ad un accordo entro la fine del mese.”

Francia, operai in rivolta-“Facciamo saltare la fabbrica”-(fonte:repubblica.it)

PARIGI – Operai francesi in rivolta. I lavoratori della New Fabris di Chatellerault, nell’ovest della Francia, una fabbrica italiana di componenti automobilistici in fallimento, sono pronti ad un gesto estremo: se i gruppi Psa Peugeot Citroen e Renault – ex clienti dell’azienda – non verseranno 30mila euro di indennità ad ogni dipendente licenziato, faranno esplodere l’impianto. L’ultimatum scade il 31 luglio.

I 366 operai affermano di aver già posizionato delle bombole di gas collegate tra di loro in varie parti della fabbrica e di essere pronti a far saltare tutto se non si arriverà ad un accordo entro la fine del mese.

L’azienda, proprietà della veneta Zen, di Florindo Garro, da giugno è in liquidazione. Un centinaio di operai, in gran parte cinquantenni, resteranno senza lavoro e difficilmente ne troveranno un altro. Il valore dell’indennità richiesta è la stessa cifra che Renault e Psa avrebbero già versato a circa 200 dipendenti licenziati del gruppo Rencast, anche questo specializzato in componentistica auto.

“Non lasceremo che Psa e Renault aspettino agosto o settembre per recuperare i pezzi in stock e i macchinari. Se non avremo nulla noi, non avranno nulla nemmeno loro”, ha detto Guy Eyermann, responsabile sindacale. Le richieste sono state respinte dalla Psa e dalla Renault, proprietari di componenti e macchinari che si trovano all’interno della fabbrica per un valore complessivo di quasi 4 milioni di euro. “Non sta a noi sostituirci agli azionisti”, è stata la risposta della direzione di Psa Peugeot-Citroen. I rappresentanti degli operai della New Fabris, che hanno già incontrato i responsabili del gruppo Psa la settimana scorsa, saranno ricevuti giovedì dalla Renault. I lavoratori a rischio licenziamento hanno ottenuto inoltre un incontro con il ministro dell’Industria e dell’Economia Christian Estrosi il prossimo 20 luglio.

La scorsa primavera, sotto le minacce di licenziamento, centinaia di operai avevano sequestrato i dirigenti di alcune fabbriche come la Caterpillar di Grenoble (al sud), la 3M di Pithiviers (nel centro) e l’impianto Sony nelle Landes (sulla costa atlantica). Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia

“Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani.”

Elezioni/ Berlusconi primo ma non vince: il 35 per cento non sconfigge il governo ma smentita il leader, ed è colpa sua. Le vittorie della Lega e Di Pietro, il Pd salva la pelle, la sinistra suicida, il miracolo di Casini. In Europa il giorno nero dei socialisti, il vento di destra. E quel seggio che si inchina a Noemi. di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

La sorpresa c’è stata: Berlusconi arriva primo ma non vince. Quel 35 per cento è più di quanto abbia raccolto ogni altro partito, ma è poco. E che sia per tutti, lui compreso, poco, proprio poco, è scelta, responsabilità e colpa proprio sua, di Berlusconi.

Tecnicamente è andata così: agli astenuti per stanchezza e sfinimento, malattie tipiche e in certa misura ormai croniche dell’elettorato di centro sinistra, stavolta si sono aggiunti gli astenuti per indigestione e inappetenza. Due malesseri, due indisposizioni forse momentanee e forse no che hanno colto un bel po’ di elettorato di centro destra. Indigestione da premier troppo pimpante, troppo narrante, troppo promettente, troppo tutto… E inappetenza, voglia un po’ calcolata e un po’ casuale di metterlo a moderata dieta di consensi questo premier già autoproclamatosi “santo” e non normale uomo della politica e della storia.

Tecnicamente dunque Berlusconi è stato fermato dall’astensione, stavolta dall’astensione anche della sua gente. Un danno, ma niente di più grave di un’ammaccattura. Se non fosse che altro e più grave danno ha subito Berlusconi: la smentita. I risultati infatti smentiscono non la sua forza ma la sua narrazione. Aveva narrato non solo di altre percentuali, 40 e passa per cento, aveva narrato di un’Italia pronta a risarcirlo in massa delle offese subite. Di un’Italia che faceva ressa ansiosa non per confermarlo premier ma per innalzarlo più in alto, sempre più in alto. Aveva chiesto più voti contro il Parlamento lento e inutile, contro la stampa, i giudici, contro tutto ciò che fa ragine alla sua azione salvifica del paese. Li aveva chiesti questi voti e non li ha avuti, alla sua potente narrazione crede un italiano su tre. Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani. La sua insomma è la voce più forte che c’è, ma non è la voce narrante dell’Italia.

C’è stata la vittoria, anzi ce ne sono state due. Quella della Lega e quella di Di Pietro. Sommandole, se ne deduce che il 20 per cento degli elettori vogliono, fortemente vogliono cose impossibili, sognano e chiedono choc sociali. Vogliono la fine dell’immigrazione, l’esenzione non solo dalla crisi economica ma anche dalla riconversione di abitudini sociali ed economiche senza le quali dalla crisi non si esce, l’abolizione per decreto o per frontiera della globalizzazione…Oppure la defenestrazione, l’impeachement giudiziario di Berlusconi, un “Grande Processo” che purifichi l’Italia…E’ la volontà e la voglia di un bel pezzo, anzi di due pezzi crescenti di elettorato, sono due voglie entrambe “matte”. Cioè tanto incontenibili quanto pericolose.

Non c’è stato il funerale, anzi il Pd ha salvato la pelle. Niente di più della pelle, ma tra il restare in vita e chiudere bottega c’è un mare, anzi un oceano di differenza. Sono ancora in tempo a disperderlo quel 26 per cento, quelli che guidano il Pd sono capaci anche di questo. Sarebbero anche in tempo, incredibilmente l’elettorato glielo ha dato ancora il tempo, di diventare una forza riformista davvero. Insomma hanno avuto tempo, che in politica è una forma di “denaro”.

C’è stata la sentenza: hanno disperso e buttato via il 6,5 per cento dei voti. Le due liste di sinistra si sono suicidate non per caso e non per sbaglio. La sentenza è di inaffidabilità politica e culturale, oltre che organizzativa.

C’è stata la conferma: l’Udc di Casini esiste e resiste, anzi avanza. Il centro destra non se la mangia, il centro sinistra non la scalfisce.

Dunque un’Italia alquanto diversa da come lei stessa si aspettava di essere, diversa almeno un po’, più complicata di come veniva narrata dalla versione ufficiale.

E l’Europa? Stanca, illusa, nervosa. Ai governi e ai partiti socialdemocratici non crede più e anzi di loro non sa più tanto bene che farsene. Paga dazio Zapatero, anche se in fondo resiste, l’Spd tedesca si avvia a mollare il governo, il Labour inglese è annichilito, i socialisti francesi sembrano un vecchio partito comunista. Tengono invece i governi di centro destra nei paesi sociallmente più solidi. In quelli di fragile e recente democrazia invece avanza la destra estrema. Ci si soprende che i ceti popolari e anche il ceto medio sotto la pressione della crisi economica guardino a destra. Non è però un fenomeno nuovo, anzi è una costante della storia. E’ un’Europa stanca di dover cambiare, infinitamente stanca di dover correre il rischio che invece gli americani accettano. Illusa di poter restare come sta. Nervosa perchè in realtà non sa a chi chiedere la garanzia dell’immobilità.

Ultima nota, marginale, casalinga e mortificante: quel seggio dove Noemi arriva scortata dai vigili urbani e dalle forze dell’ordine, l’energumeno che spinge via gli altri elettori in attesa, il presidente di seggio che chiude la porta in faccia ai comuni cittadini perchè i vip stanno votando. Piccola, grande scena di un’Italia servile per vocazione, civilmente ignorante e cafona. Una scena triste e avvilente, ma questa, almeno questa, non è certo colpa di Berlusconi. In quel seggio un’Italia eticamente “meridionale” si è mostrata com’è, al naturale. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Lavoro

E’ ufficiale: in Italia stipendi da fame.

Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse. Con un salario netto di 21.374 dollari, l’Italia si colloca al 23/o posto della classifica dei 30 paesi dell’organizzazione di Parigi. Buste paga più pesanti non solo in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia, ma anche Grecia e Spagna. E’ quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato.

La classifica riguarda il salario netto annuale di un lavoratore senza carichi di famiglia. E’ calcolato in dollari a parità di potere d’acquisto. Gli italiani guadagnano mediamente il 17% in meno della media Ocse. Salari italiani penalizzati anche se il raffronto viene fatto con la Ue a 15 (27.793 di media) e con la Ue a 19 (24.552). Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Animali Leggi e diritto Media e tecnologia

Chi non ha il telefonino è un sospetto terrorista.

Chi possiede un telefonino è rintracciabile in ogni momento e in ogni luogo. Chi non ce l’ha evidentemente nasconde qualcosa.
da ZEUS News – www.zeusnews.com
La comodità che deriva dall’avere un cellulare è innegabile: si può raggiungere tutti e da tutti essere raggiunti in qualunque momento. Il prezzo di questa flessibilità? Lasciare che qualcuno conosca tutti i nostri spostamenti.

Ogni telefonino è sempre rintracciabile: non solo – per i modelli più evoluti – grazie al Gps integrato, ma per tutti tramite le celle che costituiscono la rete di telefonia mobile.

Grazie alle leggi sulla data retention (specialmente quelle approvate nel Regno Unito, che seguono la direttiva europea entrata in vigore lo scorso 15 marzo) la polizia può facilmente avere accesso a questi dati se ritiene di averne bisogno nel corso delle indagini: i gestori sono tenuti a conservarli (insieme a quelli relativi alle comunicazioni) per 12 mesi.

Questa situazione, poco piacevole per chiunque ami difendere la propria privacy, scatena un ulteriore meccanismo perverso: se tutti coloro che hanno il cellulare sono rintracciabili – potrebbero ragionare le autorità – e se praticamente tutti hanno un cellulare pur sapendo ciò, quei pochi che ne sono privi evidentemente nascondo qualcosa di sospetto.

Che questo ragionamento non sia frutto di fantasia è provato da almeno due casi, uno accaduto in Germania e l’altro in Francia.

Nel primo caso, quattro persone sono state arrestata con l’accusa di far parte di gruppi terroristici: per due di questi – Andrej Homl e Matthias B., insegnanti universitari – l’iscrizione nel registro degli indagati è avvenuta perché durante le loro lezioni avrebbero usato “frasi e parole chiave usate dai gruppi militanti” e perché non avrebbero portato con sé il cellulare a un incontro considerato cospiratorio.

Il caso francese è ancora – a suo modo – più buffo: nove persone sono state arrestate perché accusate di “associazione a delinquere connessa a iniziative di stampo terroristico”. Gli indizi? Vivevano in una fattoria in campagna, a Tarnac, e gestivano una drogheria, senza possedere alcun cellulare.

“Hanno adottato i metodi della clandestinità. Non usano mai il telefonino. Hanno reazioni amichevoli con persone che potrebbero avvertirli della presenza di stranieri” ha spiegato il Ministro dell’Interno parlando dell’arresto.

Se questo è l’indirizzo preso dalle forze dell’ordine dell’Unione Europea – che già in Inghilterra come in Irlanda viaggia verso il controllo totale delle comunicazioni – converrà tenersi stretti i cellulari: una banale dimenticanza potrebbe costare una notte in guardina. (Beh, buona giornata).

http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=10061

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: