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Salvo, una canzone e una pistola tra la polvere e l’ombra (con aggiornamento).

di Riccardo Tavani

“Salvo” è un film di poche parole, parecchia ombra, polvere, ferraglia, ruggine. È stato meritatamente insignito a Cannes 2013 con il Gran Premio e una Menzione Speciale. Scenario la Sicilia e la lotta spietata tra cosche locali. Salvo, il protagonista del titolo, è il micidiale, efficientissimo killer di uno dei boss dominanti.

È difficile si faccia uscire qualche parola dalla bocca, sembra un muto. Non ha bisogno di pensiero, linguaggio, ma solo di una pistola, perfettamente funzionante e oliata. Lui è quella pistola. Rita, invece, la sorella di un capo-clan avverso, è realmente cieca. Conta le banconote che il fratello scarica quotidianamente in casa e ascolta sempre la struggente “Arriverà” dei Modà con Emma, canzone che da sola costituisce anche l’intera colonna sonora del film.

L’incontro tra i due fa scoccare un miracolo, che non è tanto quello esplicitamente mostrato dal racconto, quanto quello della brusca interruzione del nulla in cui stagnano le loro rispettive esistenze. Jacques Derrida nelle sue “Memorie di un cieco” spiega la relazione tra vista, accecamento e pianto, il quale è quella particolare modalità nella quale si esprime la commozione, la compartecipazione al dolore, allo strazio altrui.

Il protagonista di questo film è il simbolo di chi pur vedendo in realtà non vede proprio niente e neanche sa di non vedere. Se Rita deve riacquistare miracolosamente la vista, Salvo, al contrario deve perderla, accecarsi, per vedere finalmente qualcosa. Deve perdere, radere al suolo, fino al confine del buio il vecchio modo di percepire visivamente la realtà. Il vero miracolo al quale vuole alludere il film è proprio la perdita della vista da parte di Salvo, proprio per cominciare a intravvedere finalmente qualcosa nell’ombra impenetrabile della sua vita. Un cane eternamente al guinzaglio e abbaiante, nel cortile della squallida pensione familiare in cui dorme e consuma il pasto, diventa improvvisamente per Salvo l’immagine vera di se stesso.

Il vecchio occhio deve essere continuamente accecato per acquistarne uno nuovo che amplia l’orizzonte della mente, della coscienza e della vista. Solo che la realtà che ora percepisce il nuovo sguardo resta completamente invisibile a quello condizionato dalla cultura della cerchia cui si apparteneva. Il conflitto tra vecchio e nuovo sguardo si pone sempre in termini di inconciliabile tragicità, come già nel mito della caverna di Platone. L’uomo che ridiscende nell’ombra degli altri uomini, dopo aver visto la vera luce del mondo, sa di mettere drammaticamente in gioco la propria vita. Anche Salvo ora lo sa, ma ormai non può più sottrarsi al destino che anche inciso nel suo nome: Salvatore.

Il buio della vecchia prigione fraterna nella quale era relegata appare ora chiara a Rita, proprio attraverso quella nuova in cui la scaraventa Salvo. Un buio come mancanza, privazione della luce dei sentimenti, surrogati soltanto da quell’unica canzone continuamente ascoltata. La canzone dei Modà all’inizio dice: “Piangerai, come pioggia piangerai e te ne andrai”; poi nel nel finale del ritornello ripete: “Penserai che la vita è ingiusta e piangerai”. La luce del sentimento per Rita si esprime come acuto atto di compassione nei confronti del suo carceriere-salvatore. Scrive Derrida: “Ora, se le lacrime vengono agli occhi, se dunque possono velare anche la vista, forse rivelano nel corso di questa esperienza, un’essenza dell’occhio, in ogni caso dell’occhio degli uomini… In fondo, in fondo all’occhio, quest’ultimo non sarebbe destinato a vedere, ma a piangere.

Nel momento in cui velano la vista, le lacrime sembrano svelare il proprio dell’occhio”. La compattezza, la densità drammatica di questo film è portata all’acme proprio dalla impossibilità di una redenzione, di un riscatto finale. Eppure quel velo di pianto e compartecipazione allo strazio ce ne fanno sentire tutto il lancinante bisogno. L’occhio, come la luce di cui è simbolo, permette di vedere ma non si lascia a sua volta vedere. Il schermo del pianto come una pellicola cinematografica lo svela.
(Beh, buona giornata).

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