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E’ vero: Facebook traccia tutti gli utenti.

(fonte: ilsole24ore.com)

Grazie ad altrettante interviste rilasciate da quattro manager di Facebook, gli ingegneri Arturo Bejar e Gregg Stefancik e i portavoce Andrew Noyes e Barry Schnitt, USA Today è stato in grado di ricostruire le modalità con cui in casa Zuckerberg si tracciano i Facebook-addicted negli immensi spazi della Rete. Metodi che differiscono tra loro: ce n’è uno studiato per i membri di Facebook loggati durante la navigazione, uno per quelli non loggati e uno studiato per chi non è annoverato tra gli 800 milioni di iscritti; fatto che rende ancora più inquietante il potere della piattaforma social.

Il funzionamento è tanto semplice quanto efficace: il computer o il device di un internauta, che dovesse navigare su una qualsiasi pagina offerta da Facebook, diventerebbe ospite di un apposito cookie; il quale diventa due se l’internauta è già registrato al social network, da qui parte l’attività di tracking. Ogni altra risorsa visitata che contiene plugin di Facebook (ad esempio il classico bottone “like”) viene registrata insieme alla data, l’ora e un identificativo univoco assegnato al computer. Visitando altre pagine web, quando si è eseguito il login a Facebook, vengono tracciati anche il nome utente, il proprio indirizzo email ed informazioni relative ai propri “amici”.

Ciò dà maggiore senso alla necessità di certificare il proprio pc o device quando ci si collega a Facebook da una fonte mai utilizzata in precedenza o dopo avere pulito la cache del proprio browser. I dati vengono conservati per 90 giorni e questa tecnica non è del tutto estranea a quelle adottate, ad esempio, da Google o Yahoo!, lasciando peraltro defluire tutta una serie di informazioni che possono fare gola alle agenzie di marketing o a quell’industria che basa il proprio core business sui dati personali degli internauti.

Il tema della privacy torna a bussare forte, ed è uno degli argomenti – insieme alla sicurezza – che spaccano in due il popolo del web. Le strade percorribili sono, al momento, due: o continuare ad alzare gli scudi oppure accettare questa fuga di informazioni personali come lo scotto da pagare per poter godere dei vantaggi offerti dalla Rete. Quest’ultima ipotesi è quella a più riprese sponsorizzata dalla stessa Facebook. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Facebook è meno flessibile di un coltello da cucina?

di Pasquale Barbella-3DNews, inserto di Terra, quotidiano ecologista

La disavventura in cui sono incorso come utente di Facebook (la rimozione di un ponderoso archivio di immagini, testi, video e commenti innescata dall’incomprensibile protesta di un’organizzazione di “studi della civiltà cristiana”) ha suscitato un’ampia gamma di reazioni fra coloro che ne sono venuti a conoscenza. Dichiarazioni di solidarietà, interventi critici in vari blog e nelle stesse pagine di Facebook, petizioni al suo fondatore, Mark Zuckerberg, perché si rivedano le procedure in caso di presunte infrazioni. Ma non sono mancati punti di vista più gelidi, pragmatici e neutrali. Alcuni mi hanno fatto notare che, dopotutto, io facevo un “uso improprio” di Facebook. Ero in casa d’altri, insomma, ed ero tenuto ad attenermi alle regole della casa. Un padrone di casa ha il diritto di mettere alla porta l’ospite indesiderato.

Ho riflettuto a lungo su questa osservazione, dopo aver superato le prime emozioni di chi subisce un’ingiustizia: sbigottimento, sdegno, sete di vendetta. Non sono sicuro che sia gentile, da parte del padrone di casa, cacciare dalla mensa i suoi invitati. Ma è vero che di Facebook facevo un “uso improprio”: più umanistico (nel senso meno aulico e più umile della parola) che “chattoso” («ciao cara come stai…»)

Ci sono “usi impropri” pericolosi, come quando si adopera una comune posata da cucina per accoltellare la suocera; neutri, come quando per distrazione si usa il dentifricio per deodorare l’ascella; e simpaticamente innocui, come facevo io quando caricavo su Facebook, a puntate, i miei database d’immagini, suoni e parole, perché anche altri potessero fruirne.

Con l’età che avanza, agli interessi e agli hobby di sempre se n’è aggiunto un altro, insidioso, quasi ossessivo: sono diventato un addict del FileMaker Pro, un meraviglioso software che mi consente di riordinare non solo le collezioni di libri, CD e DVD, ma anche di dare una sistematina alle poche cose che ho imparato dalla vita. Temo lo smarrimento della memoria più della morte stessa. E sopravvivo in un mondo che tende a rimuovere le nozioni e gli insegnamenti del passato, anche recente e recentissimo. Non è banale nostalgia: chi è così pazzo da rimpiangere una giovinezza senza doccia e senza frigorifero? È che diventa difficile interpretare il presente e i segni del futuro, se non li si raffronta con i loro antefatti. Si dice che i vecchi hanno la testa nel passato remoto: balle. I vecchi sono la categoria più interessata al futuro, perché sanno che domani potrebbe essere l’ultimo giorno e si preoccupano di cosa gli succederà.

Ancor prima dei social network, il web nel suo insieme mi conquistò per la sua natura di sconfinato database. Ho usato (impropriamente) Facebook per convogliare, selezionandoli un po’ dai miei modesti giacimenti e moltissimo dal web, contenuti che avessero un qualche senso storico oltre che ludico, “insiemi” culturali che avessero qualche affinità con le mie passioni e i miei sentimenti, allo scopo di condividerli con persone vicine o del tutto sconosciute. Mi sono reso conto che Facebook non è la piattaforma ideale per questo genere di perversione. Ora sono più lucido, anche se deluso. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

E se Facebook fosse una patacca anche per le aziende?

Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 milioni di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutti provenienti dalla pubblicità, attraverso un contratto esclusivo con Microsoft. Però, il caso Barbella, il famoso pubblicitario italiano censurato da Facebook, dimostra che Facebook è così tenero, che si taglia con un grissino.

Il più importante e profittevole social network del mondo globale inciampa malamente su una segnalazione di un misterioso gruppazzo di invasati catto-fascisti, pre-conciliari. Perché lo hanno fatto non si sa. Forse la spiegazione è nella famosa storiella dello scorpione e della rana. Lo scorpione ucciderà la rana che lo traghettava attraverso il fiume, semplicemente perché è nella sua natura. Entrambi moriranno affogati.

Facebook ha inventato un grande business, basato sul protagonismo virtuale delle persone: la raccolta dei dati personali ha il vantaggio delle loro facce. Facebook, appunto.

Ma il business di Facebook non prevede i pensieri delle persone. Contempla solo e soltanto la quantità, per questo ha acquisito valore, per questo raccoglie pubblicità, cioè una montagna di soldini, senza fare niente che non sia: venite, venite, accalcatevi, scambiatevi le vostre chiacchiere, intanto vi preleviamo i dati, vi somministriamo pressione pubblicitaria. Voi chattate, e noi incassiamo.

Facebook non vuole persone, ha bisogno di corpi, con le loro faccette sorridenti. Per Facebook nessuno creda di possedere un qualche residuo di diritto di cittadinanza. Facebook ha superato l’idea antica di esseri umani, titolari di diritti, Facebook è oltre quella roba vecchia, tipo la democrazia, i diritti umani, le costituzioni, la cittadinanza. Tu non sei un cittadino, sei un “friend”. Facebook è così moderna che è il modernismo fatto tecnologia: voi non siete esseri pensanti, capricciosi, individualisti, emotivi, generosi, coraggiosi, idealisti. No. Voi siete consumatori. E allora, prendetevi tutto quello che la merce vi offre. Questa è la felicità, godetevela e non rompete le palle: sennò, fuori dal mondo dei social network, fuori da Facebook.

Pasquale Barbella, uomo colto, intellettuale prestato alla pubblicità è incappato proprio su Facebook. Ha toccato con mano che cos’è la dittatura commerciale, ai tempi del commercio globale, al tempo dei social network. La sua indignazione è genuina, quanto genuino è l’inganno proposto dall’idea che i social network avrebbero potuto allargare gli orizzonti della libertà di espressione.

Ma il caso Barbella pone un problema alle grandi imprese che investono budget pubblicitari su Facebook: se il sistema è così fragile da essere penetrato da un piccola banda di squinternati, che affidabilità può avere Facebook per il loro business? Meditate, direttori del marketing, meditate.Beh, buona giornata.

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Facebook ridà il passaporto a Barbella. Ma il giallo Advertown non è ancora risolto.

Facebook fa un passo indietro nella vicenda del bavaglio a Pasquale Barbella. Come è noto Facebook, su segnalazione di un certo Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, aveva chiuso il gruppo Advertonw, una pagina diretta da Barbella e altri creativi pubblicitari italiani, una pagina che raccoglieva annunci pubblicitari, una sorta di archivio della buona pubblicità in Italia e nel mondo.

Alle ore 10.04.44 GMT di oggi 14 settembre il Facebook Team italiano ha comunicato a Barbella il ripristino del suo account. Attualmente Barbella può rientrare nelle pagine che ha creato su Facebook. Tutte tranne Advertown, la pagina incriminata. “Ritengo – ma non ne ho le prove – che le proteste inoltrate da più parti al FB Team abbiano sortito questo effetto, e ringrazio tutti gli amici e i colleghi che si sono interessati alla vicenda”, ha detto Pasquale Barbella.

A questo punto la palla passa al Cenacolo. Intervistato ieri da ADVexpress Giuseppe Passalacqua, socio del Cenacolo aveva dichiarato “Non era nostra intenzione oscurare l’intero gruppo, abbiamo semplicemente seguito la procedura indicata dal social network per segnalare il nostro dissenso. Il nostro obiettivo era semplicemente eliminare dalla rete soltanto la pagina in questione”.

Se questo è vero, il signor Passalaqua ha il dovere di indicare la pagina ‘incriminata’, di modo che Barbella e i suoi colleghi possano rimuoverla e Advertown essere subito ripristinato. Solo così sarà chiaro che si trattava di ‘dissenso’ e non di atto proditorio di rappresaglia. E’ l’unico modo per chiudere questa bizzarra quanto opaca vicenda.

“Rimane aperto il “dossier Cenacolo”-ha detto infatti Barbella – una brutta storia che spero trovi prima o poi un perché”. Insomma, finché Advertown rimarrà chiuso, la questione resterà aperta. Beh, buona giornata.

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Un botta e risposta sul caso Facebook vs Barbella.

A proposito di “Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella”, ricevo da Hans-Rudolf Suter, uno dei fondatori della mitica STZ, la seguente lettera:

“Marco ci fa un grande favore perché riassume in poche righe i dispersi e numerosi commenti sull’argomento. Dissento.
Facebook è gratis e conta 500 milioni di utenti, nel maggio di questo anno ha avuto 130 mio di visitatori unici. E’ una società privata (il fondatore Zuckerberg possiede il 24%) ha 1400 impiegati e fatturerà questo anno circa un miliardo di dollari, quasi tutto proveniente da pubblicità attraverso un contratto esclusivo con Microsoft.

Mi sembra ovvio che Facebook non può rispondere del contenuto pubblicato dai suoi membri. Mi sembra anche che non deve esercitare alcun controllo preventivo sul contenuto. Perché se questo dovrebbe essere necessario per legge (tipo responsabilità dell’editore), nessuna piattaforma per socialmedia sarebbe concepibile.
Come la mettiamo invece con insulti, denigrazioni, bugie, truffe una volta che sono pubblicate?
Se la cosa è grave la si denunci alla magistratura. Altrimenti la si segnali a facebook che sospende il membro. La parti in conflitto si diano da fare per risolvere il problema. Ci manca solo un altro circuito giudiziario, quello di Facebook.
E’ comunque prudente usare Facebook come un luogo dove creare lo stimolo per visitare un blog o un sito che non è così fragile.

Infine aggiungo che ho telefonato al Signor Passalaqcua (quello del sito cristiano che ha denunciato Pasquale) che prima ha negato di esistere e poi ha detto che avrebbe risposto, ma non oggi, che doveva sentire altri durante il weekend, che avrebbero risposto lunedì. La voce era quello di un vecchietto spaventato. Spero non in conseguenza dei miei modi non sempre urbani.
Saluti
Hans Suter Interpretive Manager STZ pubblicità.”

Qui di seguito la risposta alle obiezioni di Suter:

Caro Hans,
mi pare ci siano due questioni semplici: la prima è che chiunque riceva una sanzione, ha il diritto di sapere perché. Faccio un esempio: se ricevo una multa per una contravvenzione al codice della strada, ho diritto di sapere quale articolo ho violato. Un divieto di sosta? Un passaggio col rosso? Nessuno accetterebbe un generico “per violazione del codice della strada”.

La seconda questione è che non si capisce perché, dopo aver chiuso Advertown, a Barbella sia stato inibito l’accesso alle altre sue pagine. E’ come se, siccome ho preso una multa, io non possa neppure più salire su un’auto.

Detto questo, ti segnalo che i signori del Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, che hanno promosso l’azione contro Barbella, scrivono sul loro sito: “Quali fedeli testimoni del pensiero mordiniano e dell’autentica Tradizione non possiamo che dissociarci ed condannare fermamente quelle persone che divulgano queste sacre tematiche nei social network.
Abbiamo trovato riferimenti al nostro cenacolo e al nostro sito in FACEBOOK. Diffidiamo chiunque intraprenda queste iniziative, peraltro non autorizzate, che sono opposte alla nostra natura”.

Mi pare evidente chi è che ce l’abbia con i social network. Non certo Barbella, che di Facebook è un utilizzatore. Dico questo perché Facebook scrive a uno degli amministratori di Advertown, Massimo Gaustini: “Se credi che abbiamo commesso un errore nel rimuovere questi contenuti, ti preghiamo di contattare direttamente la controparte per risolvere la questione(…).Firmato: Giulia, User Operations Facebook.

Insomma Barbella per essere “riammesso” in Facebook deve avere il beneplacido di una organizzazione che ritiene Facebook e i social network “iniziative opposte alla nostra natura.” Non ti sembra che tutta la vicenda sia un tantinello strampalata? Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella?

La censura ha sempre qualcosa di comico. Ma stavolta siamo al grottesco: Facebook, il social network per eccellenza, molto usato per fini pubblicitari censura i pubblicitari. Roba da far venire la pelle d’oca anche a un uovo sodo. Ecco i fatti: Pasquale Barbella, notissimo pubblicitario italiano, circa un anno fa apre una pagina su Facebook, intitolata Advertown. Su questa pagina, come una sorta di archivio collettivo, vengono pubblicati annunci e campagne pubblicitarie che hanno fatto la storia dell’advertising mondiale. Ad uso e consumo di studenti di scuole di pubblicità e di giovani creativi che lavorano nelle agenzie di pubblicità italiane, Barbella e altri pubblicitari di lungo corso, stimolavano la pubblicazione di esempi di comunicazione commerciale, un modo di tener viva la “memoria storica” della buona pubblicità.

Una iniziativa innocua, se volete ingenua, niente di più di quello che si è visto negli annual, cioè quei libri compilativi che raccolgono campagne premiate come le migliori. Una iniziativa lodevole, se non altro perché metteva a disposizione buoni esempi di pubblicità, una nicchia di fruitori che contava circa 700 “friends”, come vengono chiamati da Facebook coloro che si iscrivono e partecipano alla pagina in questione. Se non che il 31 agosto scorso, Barbella, fondatore di Advertown e altri “amministratori”, tra cui Massimo Guastini, Andrea Concato e Luigi Montaini, tutti pubblicitari di fama, ricevono un “Facebook Warning”: «Abbiamo disabilitato il tuo profilo poiché ci è stato segnalato da terzi che trasgrediva o violava i suoi diritti.».

Ma di che cosa stiamo parlando, se si tratta di una raccolta “storica” di annunci pubblicitari, pubblicati nel passato? Qualche erede di un pubblicitario americano o inglese si è irritato? Qualche grande azienda non ha gradito si pubblicassero annunci pubblicitari con il loro marchio, senza magari aver chiesto il permesso?
Macché, niente di tutto questo. Contattata Facebook, Barbella viene informato proprio da Facebook che una organizzazione che risponde all’indirizzo cenacolo@tradizionecattolicimordini.it ha chiesto la rimozione di Advertown. A parte che andare sul sito di questi signori sembra di finire nelle pagine di Dan Brown, la domanda è: perché? Facebook non fornisce spiegazioni, ma invita Barbella a trovare una composizione con cenacolo@tradizionecattolicimordini.it: se loro danno il permesso, la pagina Advertown potrà essere ripristinata.

Dalla comicità si è passati al grottesco, ma ecco che si affaccia la farsa: Facebook ritiene violate le sue regole, però non dà spiegazioni, ma anzi indica i responsabili della richiesta di cancellazione. Inutile dire che Barbella scrive ai signori di cenacolo@tradizionecattolicimordini.it, i quali si sono fin qui guardati bene dal rispondere.
Insomma, uno aderisce a un social network, ma è soggetto al veto di una organizzazione politico-religiosa esterna al social network medesimo. Ma né Facebook né cenacolo@tradizionecattolicamordini.it danno alcuna spiegazione.

Se dalla comicità si è passati al grottesco, e dal grottesco alla farsa, arriva infine il sopruso: il 9 settembre scorso Facebook chiude a Barbella ogni accesso alla pagina di base (“Pasquale Barbella”) e a tutti i gruppi tematici da lui fondati (musica, arte, letteratura, cinema, fotografia, attualità politica, satira politica). Insomma, prima a Pasquale Barbella è stato messo il bavaglio, e subito dopo è stato espulso, come indesiderabile dal “mondo” Facebook: attualmente, gli altri possono accedere alle “sue”pagine di Facebook, lui no. Roba da matti.

Perché Facebook ha messo il bavaglio a Pasquale Barbella non si sa, non si può sapere. L’unico fatto certo è che cenacolo@tradizionecattolicamordini.it ordina, Facebook esegue. Con tanti saluti alla libertà di espressione del più famoso social network nell’era dei new media. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

2010, fuga da Facebook.

di Marco Ferri-3Dnews, inserto di cultura, spettacolo e comunicazione di Terra, quotidiano ecologista.

Facebook non è per niente creativo. Non produce assolutamente nulla. Tutto quello che fa è mediare relazioni che si sarebbero allacciate in ogni caso.

“Io disprezzo Facebook. Questa azienda statunitense di enorme successo si descrive come «un servizio che ti mette in contatto con la gente che ti sta intorno». Ma fermiamoci un attimo. Perché mai avrei bisogno di un computer per mettermi in contatto con la gente che mi sta intorno? Perché le mie relazioni sociali debbono essere mediate dalla fantasia di un manipolo di smanettoni informatici in California? Che ha di male il baretto?”, scriveva qualche anno fa di Tom Hodgkinson, noto scrittore inglese, sulle pagine di The Guardian.
Secondo Tom Hodgkinson ,Facebook è un progetto ben foraggiato, e le persone che stanno dietro il finanziamento, un gruppo di capitalisti “di rischio” della Silicon Valley, hanno un’ideologia ben congegnata che sperano di diffondere in tutto il mondo. Facebook è una delle manifestazioni di questa ideologia, un’espressione di un particolare tipo di liberalismo neoconservatore

Malgrado il progetto sia stato concepito inizialmente dalla star da copertina Mark Zuckerberg, il vero volto che sta dietro Facebook è il quarantenne venture capitalist della Silicon Valley e filosofo “futurista” Peter Thiel
Thiel è considerato da molti nella Silicon Valley e nel mondo del venture capital a stelle e strisce come un genio del liberismo. Ma Thiel è più di un semplice capitalista scaltro e avido. Infatti è anche un filosofo “futurista” e un attivista neocon. Filosofo laureato a Stanford, nel 1998 fu tra gli autori del libro The Diversity Myth [Il Mito della Diversità, ndt], un attacco dettagliato all’ideologia multiculturalista e liberal che dominava Stanford. In questo libro sosteneva che la “multicultura” portava con sé una diminuzione delle libertà personali.
Thiel è membro di TheVanguard.org, un gruppo di pressione neoconservatore basato su internet.

Internet è un’immensa attrattiva per i neocon come Thiel, perché promette, in un certo senso, libertà nelle relazioni umane e negli affari, libertà dalle noiose leggi nazionali, dai confini nazionali e da altre cose di questo genere
«Con Facebook Ads, i nostri marchi possono diventare parte del modo di comunicare e interagire degli utenti su Facebook», disse Carol Kruse vicepresidente della sezione marketing interattivo globale, gruppo Coca Cola.
“Condividere” è la parola in lingua di Facebook che sta per “pubblicizzare”. Chi si registra a Facebook diventa un girovago che parla delle reclame di Blockbuster o della Coca Cola, e tesse le lodi di questi marchi agli amici. Stiamo assistendo alla mercificazione delle relazioni umane, l’estrazione di valore capitalistico dall’amicizia?

Recentemente, il fondatore Mark Zuckerberg ha fatto una sorta di mea culpa sulla privacy policy di Facebook.” Sono stati commessi troppi errori in tema di privacy”, ha scritto nero su bianco Zuckerberg in un articolo apparso sul Washington Post.

Ma forse la verità sta nel fatto che milioni di utenti si sono stancati di essere “prigionieri”di Facebook. Infatti, il 31 maggio si prepara la giornata di “evasione di massa”, indetta da QuitFacebookDay.com.
Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Società e costume

Per uscire dai social network, un suicidio (virtuale).

Stanco dei social network? Ecco la “macchina per il suicidio virtuale”-lastampa.it
Già commessi 900 “suicidi”. Ma Facebook blocca il sito: «Viola la privacy»

Un sito Internet che consente di commettere un «suicidio» virtuale, cancellando totalmente il profilo di un utente sui social network è stato bloccato da Facebook, che ha ottenuto anche la sua iscrizione nella lista dei siti pericolosi per la sicurezza dei navigatori.

Suicidemachine.org, che ha per titolo «The Web 2.0 Suicide Machine», consente di cancellare tutti i «profili succhia-energia nelle reti sociali», «eliminare tutti falsi amici virtuali», e «farla finita con il vostro alterego Web 2.0», spiegano i realizzatori sull’home page, precisando che il servizio funziona attualmente con Facebook, Myspace, Twitter e LinkedIn e che in 52 minuti riesce a fare automaticamente ciò che manualmente richiederebbe oltre nove ore.

Secondo Facebook, però il servizio viola i termini sulla privacy e le regole del social network quando accede e scarica i dati degli utenti per cancellarne i profili e l’azienda si riserva il diritto d’agire legalmente nell’immediato futuro. La “macchina per il suicidio virtuale”, che finora è stata utilizzata, secondo quanto riportano sul sito, da 892 navigatori, 500 dei quali utenti di Facebook, eliminando 58.401 amicizie virtuali e cancellando più di 230 mila “cinguettii” da Twitter, ha risposto lanciando una petizione per chiedere l’esclusione del suo indirizzo Internet dai siti banditi.

La «macchina» non è però l’unico sito di questo tipo ad aver attirato gli strali di Facebook. Il social network aveva infatti già inviato una lettera di diffida a Seppukoo.com, che permette ai suoi utilizzatori di commettere un “karakiri” informatico in puro stile giapponese. «Come il seppuku riabilita l’onore del samurai, così seppukoo.com si impegna a liberare il corpo digitale», recita un’avvertenza sul sito che in home page, accanto alle foto e ai nomi degli utilizzatori più recenti, reca anche l’avvertimento che è sotto attacco da parte di Facebook. Anche l’accesso da Facebook a seppukoo.com è stato bloccato dal social network, ma il sito ha finora negato ogni addebito, in particolare per le accuse di phishing. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

No B Day, sale dal web la protesta contro il governo Berlusconi.

Il comitato “No Berlusconi Day”, nato su Facebook per iniziativa di un gruppo di blogger democratici, indice per il prossimo 5 dicembre, a Roma, una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.-nobdaysupporto@gmail.com

ILTESTO DELL’APPELLO
A noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi e riteniamo che il finto “Fair Play” di alcuni settori dell’opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia del quale risponderanno, eventualmente, davanti agli elettori. Quello che sappiamo è che Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali -come ribadito in questi giorni dalla stampa estera ce definisce la nostra “una dittatura”- e che lì non dovrebbe starci, anzi lì non sarebbe nemmeno dovuto arrivarci: cosa che peraltro sa benissimo anche lui e infatti forza leggi e Costituzione come nel caso dell’ex Lodo Alfano e si appresta a compiere una ulteriore stretta autoritaria come dimostrano i suoi ultimi proclami di Benevento.

Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa, dei suoi rapporti con mafiosi del calibro di Vittorio Mangano o di condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri.

Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte.

Per aderire alla manifestazione, comunicare o proporre iniziative locali e nazionali di sostegno o contattare il comitato potete scrivere all’indirizzo e-mail: nobdaysupporto@gmail.com
(Beh, buona giornata)

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