di Luciano Gallino, la Repubblica, 11 novembre 2010
La rivolta degli studenti inglesi e le manifestazioni di massa contro i tagli delle pensioni in Francia o quella promossa dalla Fiom a Roma in difesa del lavoro possono essere lette come un primo tentativo di difendere dall’Europa il modello sociale europeo. Un’espressione che suona un po’ astratta, ma è ricca di significati concreti. Essa vuol dire infatti pensioni pubbliche non lontane dall’ultima retribuzione; un sistema sanitario accessibile a tutti; scuola pubblica gratuita e università a costo minimo; un esteso sistema di diritti del lavoro, e molte altre cose ancora. Negli ultimi cinquant’anni il modello sociale europeo ha migliorato la qualità della vita di decine di milioni di persone ed ha permesso loro di credere che il destino dei figli sarebbe stato migliore di quello dei genitori.
Ora il modello sociale europeo è sotto attacco nientemeno che da parte dell’Europa. Tutti sostengono che è necessario tagliare tutto: pensioni, sanità, scuola, università, salari, diritti. Il motivo lo ha spiegato il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. In un articolo apparso sul “Financial Times” nel luglio scorso, il cui titolo suonava “è tempo per tutti di stringere la cinghia”, egli scriveva che per sostenere la “sfera finanziaria” è stato accollato ai contribuenti Ue il rischio di dover sborsare 4 trilioni di euro (cioè quattromila miliardi: quasi tre volte il Pil dell’Italia) tra ricapitalizzazioni, garanzie e acquisto di titoli tossici.
Il “sillogismo di Trichet” dice: voi cittadini vi siete indebitati per trilioni di euro al fine di salvare dalla crisi il settore finanziario; chi contrae debiti deve ripagarli; dunque voi dovete rinunciare a trilioni di spesa pubblica per consolidare il bilancio degli stati. Il che significa tagliare pensioni, sanità, scuola, università, diritti. Già un mese prima il nuovo governo liberal-conservatore del Regno Unito aveva deciso di ridurre del 60 per cento gli investimenti governativi, di tagliare 600.000 posti nel settore pubblico e triplicare le tasse universitarie (portandole da 3.000 a 9.000 sterline).
I governi d’Europa danno la colpa a un’accoppiata infernale: il deficit crescente dei bilanci pubblici indotto dai costi eccessivi dello stato sociale, e la parallela diminuzione delle entrate fiscali causata dalla crisi. Nessuna delle due giustificazioni sta in piedi. Il deficit medio dei bilanci pubblici nei paesi della zona euro era appena dello 0,6 per cento del Pil nel 2007. Nel 2010 risulta aumentato di 11 volte, toccando il 7 per cento.
Colpa di un eccesso di spesa sociale? Certo che no.
Nel periodo indicato essa è stabile o in diminuzione. Semmai colpa della crisi finanziaria. Quanto alle entrate, sono diminuite prima della crisi a causa della forte riduzione delle tasse di cui hanno beneficiato soprattutto i patrimoni e i redditi più alti. In Francia, ad esempio, un rapporto presentato all’Assemblea a fine giugno 2010 lamentava che a causa delle “massicce riduzioni” delle imposte, susseguitesi dall’anno 2000 in poi, le entrate fiscali del bilancio dello stato hanno subito perdite valutabili tra i 100 e i 120 miliardi di euro.
Nel quadro dell’attacco che i governi di destra d’Europa – magari con etichetta socialista, come quello di Zapatero – stanno portando al modello sociale europeo, il governo italiano appare del tutto allineato e coperto. Taglia alla grossa la spesa sociale in modi diretti e indiretti, tra cui la drastica riduzione dei trasferimenti agli enti locali. Per di più il paese Italia è messo assai peggio degli altri. Gli italiani non possono infatti contare su sussidi di disoccupazione che toccano l’80% della retribuzione e possono durare per anni, o su ampi e solidi servizi alle famiglie, come avviene in Danimarca. Né su un reddito minimo garantito come hanno i francesi. E tantomeno ricevono gli alti salari inglesi o tedeschi, che almeno quando uno lavora permettono di reggere meglio le riduzioni dei servizi sociali.
L’attacco dell’Europa al proprio modello sociale non è soltanto iniquo, è pure cieco, perché apre la strada a una lunga recessione. Meno scuola e meno università significano avere entro pochi anni meno persone capaci di far fronte alle esigenze di un’economica innovativa e sostenibile. Infrastrutture sgangherate costano miliardi solo in termini di tempo. Servizi sociali in caduta libera vogliono dire meno occupazione sia tra chi li presta, sia tra chi vorrebbe disporne per poter lavorare.
A una generazione intera la quale va incontro a pensioni che per chi ha la fortuna di decenni di lavoro stabile stanno scendendo verso la metà dell’ultima retribuzione, è arduo chiedere di pagare la crisi una seconda volta. Ma l’attacco al modello sociale europeo è anche peggio della vocazione al suicidio economico che tradisce. Significa ferire gravemente uno dei maggiori fondamenti dell’identità europea, quello che forse giustifica più di ogni altro l’esistenza della Ue. (Beh, buona giornata).