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Come le favorite del papi hanno fatto carriera politica.

Le candidate di papi di Marco Lillo-L’espresso.
Ronzulli, Matera, Comi. Prima nelle residenze del Cavaliere tra escort e ballerine, poi elette al Parlamento europeo. Ecco come si sceglie la nuova classe politica La festa a villa La CertosaTutte sono passate per villa Certosa e palazzo Grazioli. Sia le bad girls, Patrizia D’Addario e Barbara Montereale, che le angeliche Licia Ronzulli, Barbara Matera e Lara Comi. Tutte hanno partecipato alle feste leggendarie del Cavaliere ma solo poche fortunate (Ronzulli, Matera e Comi) sono arrivate all’Europarlamento.

Per cinque anni avranno uno stipendio garantito di 20 mila euro con assistenti e benefit a disposizione. Mentre le due protagoniste del sexgate barese, Patrizia D’Addario e Barbara Montereale, si sono dovute accontentare di un posticino in una lista apparentata al Pdl che correva per le comunali di Bari.

Dopo aver fallito l’elezione hanno deciso di raccontare tutto a stampa e magistratura. A unire mondi così diversi in uno scenario unico però non sono stati i pm e i giornalisti ma Berlusconi in persona. È stato lui a ospitare contemporaneamente volontarie in partenza per il Bangladesh e ragazze di ritorno da una trasferta a Dubai con lo sceicco.

Nemmeno il più fervido sceneggiatore della commedia italiana avrebbe potuto immaginare a villa Certosa una comitiva che include la direttrice sanitaria destinata all’Europarlamento, Licia Ronzulli, e la mangiatrice di fuoco Siria De Fazio, più nota come la ‘lesbica del Grande fratello’. Senza controllo e senza filtro, tutte hanno avuto il privilegio di entrare nelle dimore del sultano. Le bocconiane, come Lara Comi, ma anche le escort da duemila euro a notte come Patrizia D’Addario.

Persone e storie totalmente diverse che dovevano restare distinte e che invece sono state mescolate nel gran frullatore impazzito delle candidature 2009. A imbastire questa matassa che lega insieme manager, letteronze, annunciatrici, dirigenti e stelline dei reality ha contribuito l’incapacità del premier di distinguere pubblico da privato, dovere da piacere, festa e politica. Le protagoniste delle riunioni e delle cene, con le loro bugie e i loro silenzi, hanno fatto il resto.

Paradossalmente a parlare sono le escort. Mentre le ragazze ‘serie’ restano silenziose. E se parlano dicono bugie. La migliore allieva del Cavaliere da questo punto di vista è certamente Licia Ronzulli. Questa infermiera 34enne ha raccolto oltre 40 mila preferenze nel nord-ovest grazie anche alle indicazioni che provenivano da Roma. I coordinatori locali dicevano che se non fosse stata eletta, avrebbero perso il posto.

Quando ‘L’espresso’, la settimana scorsa, le ha chiesto cosa facesse sulla barca di Berlusconi il 14 agosto 2008 con altre sei giovani che non hanno nulla a che fare con la politica, lei ha risposto: “Sbaglia, non ci sono io. Ci sono tante ragazze more. Mai stata a villa Certosa. Cado dalle nuvole”.

Finché un’altra amica e ospite del Cavaliere, Barbara Montereale, l’ha smentita su ‘Repubblica’: “A metà gennaio 2009 sono stata accolta a villa Certosa da Licia Ronzulli. È lei che organizza la logistica dei viaggi delle ragazze. Che decide chi arriva e chi parte e smista nelle varie stanze”.

Invece di dimettersi all’istante l’europarlamentare-receptionist ha vergato un comunicato per annunciare querela confermando en passant che la sua parola non vale nulla: “Più di una volta, in occasione di vacanze, sono stata ospite a villa Certosa con mio marito”. Del quale nelle foto non c’è traccia.

Prodiga di particolari sulle sue umili origini nel quartiere Baggio di Milano, sulla passione per il Milan, sul papà maresciallo dei carabinieri e sulle sue attività di volontariato, Ronzulli non ha mai spiegato perché sia stata incaricata dal premier di ricevere un tipino come Barbara Montereale, una ragazza madre di 23 anni pagata per mostrarsi carina con gli ospiti del Billionaire che non si tira indietro se c’è da accompagnare l’amica escort in trasferta sul panfilo dello sceicco.

Spedita in villa dall’imprenditore barese Giampaolo Tarantini, indagato per induzione alla prostituzione, è prima apprezzata da Emilio Fede, poi sistemata da Licia Ronzulli e infine gratificata dal Cavaliere con una busta con dentro diecimila euro. Montereale, che dice di non avere avuto rapporti sessuali con il Cavaliere, riconosce tra le ospiti del premier anche Carolina Marconi, reduce del Grande fratello, e Susanna Petrone, conduttrice del calcio su Mediaset. Ed è un’altra strana coincidenza.

Pochi mesi prima, il 14 agosto sulla barca del premier ritroviamo la Petrone accanto alla solita Ronzulli e alla futura protagonista del reality Mediaset: Siria. Tutte e tre all’epoca non erano note al grande pubblico. Pochi mesi dopo quella gita diverranno tutte famose ciascuna nel proprio settore.

Se si può sorvolare sui criteri di selezione delle reti televisive berlusconiane (Siria è stata segnalata agli autori del Gf dalla segreteria del premier) non si può fare lo stesso con le elezioni. Le candidature non sono casting e l’Europarlamento non un reality né tanto meno un luogo da escort, come farebbe pensare la storia raccontata da Patrizia D’Addario. La donna che ha passato la notte del 4 novembre 2008 sul lettone donato da Putin a Silvio Berlusconi, ha raccontato che pochi mesi dopo le sarebbe stata ventilata dal solito Tarantini una candidatura alle europee.

Nonostante non avesse mai nascosto di avere registrato le sue trasferte romane e nonostante tutti sapessero quale fosse il suo mestiere. Patrizia, dopo l’intervento di Veronica Lario, non è poi stata candidata per Bruxelles ma solo per le comunali con la lista ‘Puglia prima di tutto’, ora confluita nel Pdl.

Scelte come queste gettano un’ombra anche su candidature limpide come quella di Lara Comi. Anche lei ha avuto l’onore di essere trasportata sull’aereoFininvest in Sardegna? ‘L’espresso’ pubblica una serie di foto scattate il 14 ottobre 2006 all’aeroporto di Olbia nelle quali appare una donna mentre scende dal jet di Berlusconi a lei molto somigliante. Il contesto però è ben diverso dalle foto in barca. La ragazza è in compagnia di altre giovani azzurre e sembra diretta a una riunione politica non a una convention di veline.

Lara Comi, a 26 anni può vantare una laurea in Bocconi con il massimo dei voti e un impiego da manager alla Giochi preziosi, nessuno può accomunarla a una velina o a un’esperta di ‘logistica’. Probabilmente il presidente l’ha aiutata a raggranellare 63 mila voti perché stima questa milanista temeraria che gli si è presentata durante una partita di calcio nel giugno del 2004.

Più oscura l’origine della scintilla scoccata tra Berlusconi e Barbara Matera. L’ex annunciatrice Rai in anni non troppo lontani non stravedeva per il suo attuale mentore. Alla fine del 2003 la letteronza della Gialappa’s era diventata una delle annunciatrici di RaiUno insieme a Virginia Santjust di Teulada. In quel periodo la sua collega era legata da una relazione sentimentale (‘platonica’, dice lei) a Silvio Berlusconi e volava spesso a villa Certosa.

Nella foto pubblicata da ‘L’espresso’ a pagina 43, scattata nel settembre del 2006, si vede una ragazza in bianco che somiglia molto a Virginia scendere dall’aereo con il deputato-segretario di Berlusconi Valentino Valentini. Una scena consueta in quel periodo. Quando Virginia raggiungeva Silvio a Olbia, Barbara era costretta a coprire gli annunci del week-end su RaiUno e non poteva far visita ai genitori a Lucera, in provincia di Foggia.

In quei week end solitari si racconta anche di una breve storia sentimentale con il marito separato di Virginia, l’agente segreto Federico Armati. Da allora sono cambiate molte cose. Virginia Sanjust non è più nelle grazie del Cavaliere e non se la passa bene. Barbara Matera è fidanzata con un altro agente segreto ed è diventata la giovane promessa del Pdl.

Chissà se l’europarlamentare ricorda quei giorni lontani nei quali non lesinava critiche al Cavaliere, a Virginia e alla Rai che la trattavano da brutto anatroccolo rispetto all’amica del premier. Acqua passata. Oggi Berlusconi è dalla sua parte. Nella vita, basta sapere aspettare. (Beh, buona giornata).

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democrazia Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Popoli e politiche

Chi ha vinto e chi ha perso la partita epocale che si è giocata con le elezioni europee.

Se Marx seduce la destra di BARBARA SPINELLI-La Stampa.

Anche le destre – forse soprattutto le destre – guardano d’un tratto a Karl Marx in altro modo: l’odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt’altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l’apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l’epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo.

A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l’esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l’Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa».

In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l’era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l’anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!».

Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi.

Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione.

Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o – nell’affare Elf – l’ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d’Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese.

Infine c’è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l’estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l’autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d’espressione (Articolo21.info).

L’impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull’Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l’unico ad aver parlato in nome d’un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell’Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L’analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Il referendum di cui tutti parlano, ma nessuno sa di che si tratta.

Le tre proposte abrogative tendono alle riforma della legge elettorale del 2005-Legge elettorale, i tre quesiti referendari di Saverio De Laura-kataweb.it
I referendum abrogativi del 2009 presentano tre quesiti, ideati per riformare la legge elettorale in vigore da dicembre 2005.

Il sistema attuale – L’attuale sistema proporzionale è corretto con premio di maggioranza, conseguibile da una singola lista o da una coalizione di liste. La lista o la coalizione più votata possono così raggiungere il 55% dei seggi della Camera. Al Senato lo stesso premio è però attribuito su base regionale. Inoltre, la legge elettorale permette l’elezione contemporanea dei candidati in più di una circoscrizione elettorale.
L’eventuale riforma – Con i primi due quesiti (modulo verde per la Camera e modulo bianco per il Senato), il comitato referendario propone di abrogare il collegamento tra liste e la possibilità di attribuire un premio di maggioranza alle coalizioni di liste. In caso di esito positivo, il premio di maggioranza verrebbe quindi attribuito alla lista singola che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. I promotori del referendum auspicano che ciò abbia l’effetto di spingere i partiti politici verso delle aggregazioni forti, sia da un punto di vista dinamico (alleanze in previsione delle elezioni), sia in termini assoluti (bipartitismo). In pratica, sulle schede per le votazioni politiche comparirebbe un solo simbolo, un solo nome (il candidato premier) ed una sola lista per ciascuna aggregazione candidata ad ottenere il premio di maggioranza.
Il terzo quesito (modulo rosso) propone l’abrogazione delle candidature multiple. L’attuale legge elettorale consente, sia per la Camera che per il Senato, che un unico soggetto si possa candidare in più di una circoscrizione elettorale. Se l’interessato risulta eletto in più circoscrizioni, può assegnare i seggi ai quali rinuncia ai primi dei candidati “non eletti” nelle liste circoscrizionali che ha rifiutato. Di fatto questa possibilità attribuisce a pochi eletti la capacità di gestire un enorme potere discrezionale da grandi elettori, scegliendo personalmente chi andrà in Parlamento. (17 aprile 2009)
I tre quesiti referendari sulla legge elettorale I Quesito – modulo colore verde: Premio di maggioranza alla lista più votata – CAMERA DEI DEPUTATI
Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30marzo 1957, n. 361 [1], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 14-bis, comma 1: “I partiti o i gruppi politici organizzati possono effettuare il collegamento in una coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Le dichiarazioni di collegamento debbono essere reciproche.”;

art. 14-bis, comma 2: “La dichiarazione di collegamento è effettuata contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14. Le dichiarazioni di collegamento hanno effetto per tutte le liste aventi lo stesso contrassegno.”;

art. 14-bis, comma 3, limitatamente alle parole: “I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.”;

art. 14-bis, comma 4, limitatamente alle parole “1, 2 e”;

art. 14-bis, comma 5, limitatamente alle parole: “dei collegamenti ammessi”;

art. 18-bis, comma 2, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14.”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “, nonché per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;

art. 83, comma 1, numero 2): “2) determina poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste collegate, data dalla somma delle cifre elettorali nazionali di tutte le liste che compongono la coalizione stessa, nonché la cifra elettorale nazionale delle liste non collegate ed individua quindi la coalizione di liste o la lista non collegata che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi;”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera a): “a) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “non collegate”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole: “, nonché le liste delle coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui alla lettera a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste di cui al numero 3), lettera a), e”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 5), limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 83, comma l, numero 6): “6) individua quindi, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui al numero 3), lettera a), le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione, nonché la lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale tra quelle che non hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi;”;

art. 83, comma 1, numero 7): “7) qualora la verifica di cui al numero 5) abbia dato esito positivo, procede, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista di cui al numero 6). A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse al riparto di cui al numero 6) per il numero di seggi già individuato ai sensi del numero 4). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ammessa al riparto per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui al numero 3), lettera b), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del numero 4);”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “varie coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono per il quoziente elettorale nazionale di cui al numero 4), ottenendo così l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alle liste della coalizione medesima. Analogamente,”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “coalizioni o”;

art. 83, comma 1, numero 9): “9) salvo quanto disposto dal comma 2, l’Ufficio procede quindi all’attribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi spettanti alle liste di ciascuna coalizione. A tale fine, determina il quoziente circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste di cui al numero 6) per il numero di seggi assegnati alla coalizione nella circoscrizione ai sensi del numero 8). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista della coalizione per tale quoziente circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali dei quozienti così ottenuti; in caso di parità, sono attribuiti alle liste con la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima, si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi ad essa attribuito ai sensi del numero 7). In caso negativo, procede alle seguenti operazioni, iniziando dalla lista che abbia il maggior numero di seggi eccedenti, e, in caso di parità di seggi eccedenti da parte di più liste, da quella che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale, proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti: sottrae i seggi eccedenti alla lista in quelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti, secondo il loro ordine crescente e nelle quali inoltre le liste, che non abbiano ottenuto il numero di seggi spettanti, abbiano parti decimali dei quozienti non utilizzate. Conseguentemente, assegna i seggi a tali liste. Qualora nella medesima circoscrizione due o più liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte decimale del quoziente non utilizzata. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi in quelle circoscrizioni nelle quali li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione e alle liste deficitarie sono conseguentemente attribuiti seggi in quelle altre circoscrizioni nelle quali abbiano le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate.”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “di tutte le liste della coalizione o”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste e”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 4: “L’Ufficio procede poi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi ad essa spettanti tra le relative liste ammesse al riparto. A tale fine procede ai sensi del comma 1, numero 7), periodi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “numero 6),”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “e 9)”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 84, comma 3: “Qualora al termine delle operazioni di cui al comma 2, residuino ancora seggi da assegnare alla lista in una circoscrizione, questi sono attribuiti, nell’àmbito della circoscrizione originaria, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora al termine di detta operazione residuino ancora seggi da assegnare alla lista, questi sono attribuiti, nelle altre circoscrizioni, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente già utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente.”;

art. 84, comma 4, limitatamente alle parole: “e 3”;

art. 86, comma 2, limitatamente alle parole: “, 3”?».

II Quesito – modulo colore bianco:

Premio di maggioranza alla lista più votata – SENATO

Volete voi che sia abrogato il Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.533 [2], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 1, comma 2, limitatamente alle parole: “di coalizione”;

art. 9, comma 3, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo del presente comma e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957.”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “, nonché, per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;

art. 16, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “. Determina inoltre la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste, data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 1): “1) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi;”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: “nonché le liste che, pur appartenendo a coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui al numero 1), abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste e”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 17, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 17, comma 3: “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito positivo, l’ufficio elettorale regionale individua, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi. Procede quindi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto, tra le liste ammesse, dei seggi determinati ai sensi del comma 1. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto per il numero di seggi già individuato ai sensi del comma 1, ottenendo così il relativo quoziente elettorale di coalizione. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista ammessa al riparto per il quoziente elettorale di coalizione. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 2), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del comma 1.”;

art. 17, comma 4, limitatamente alle parole: “alla coalizione di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole: “alle coalizioni di liste e”;

art. 17, comma 6: “Per ciascuna coalizione l’ufficio procede al riparto dei seggi ad essa spettanti ai sensi dei commi 4 e 5. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista per quest’ultimo quoziente. La parte intera del risultato così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da attribuire a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alla lista per la quale queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale.”;

art. 17, comma 8: “Qualora una lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati nella circoscrizione regionale e non sia quindi possibile attribuire tutti i seggi ad essa spettanti, l’ufficio elettorale regionale assegna i seggi alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora due o più liste abbiano una uguale parte decimale del quoziente, si procede mediante sorteggio.”;

art. 17-bis, limitatamente alle parole: “e 6”;

art. 19, comma 2: “Qualora la lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati in una circoscrizione e non sia quindi possibile attribuirle il seggio rimasto vacante, questo è attribuito, nell’àmbito della stessa circoscrizione, ai sensi dell’articolo 17, comma 8.”».

III Quesito – modulo colore rosso:

Abrogazione candidature multiple

Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30marzo 1957, n. 361 [3], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 19, limitatamente alle parole: “nella stessa”,

art. 85.

(Beh, buona giornata).

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“Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani.”

Elezioni/ Berlusconi primo ma non vince: il 35 per cento non sconfigge il governo ma smentita il leader, ed è colpa sua. Le vittorie della Lega e Di Pietro, il Pd salva la pelle, la sinistra suicida, il miracolo di Casini. In Europa il giorno nero dei socialisti, il vento di destra. E quel seggio che si inchina a Noemi. di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

La sorpresa c’è stata: Berlusconi arriva primo ma non vince. Quel 35 per cento è più di quanto abbia raccolto ogni altro partito, ma è poco. E che sia per tutti, lui compreso, poco, proprio poco, è scelta, responsabilità e colpa proprio sua, di Berlusconi.

Tecnicamente è andata così: agli astenuti per stanchezza e sfinimento, malattie tipiche e in certa misura ormai croniche dell’elettorato di centro sinistra, stavolta si sono aggiunti gli astenuti per indigestione e inappetenza. Due malesseri, due indisposizioni forse momentanee e forse no che hanno colto un bel po’ di elettorato di centro destra. Indigestione da premier troppo pimpante, troppo narrante, troppo promettente, troppo tutto… E inappetenza, voglia un po’ calcolata e un po’ casuale di metterlo a moderata dieta di consensi questo premier già autoproclamatosi “santo” e non normale uomo della politica e della storia.

Tecnicamente dunque Berlusconi è stato fermato dall’astensione, stavolta dall’astensione anche della sua gente. Un danno, ma niente di più grave di un’ammaccattura. Se non fosse che altro e più grave danno ha subito Berlusconi: la smentita. I risultati infatti smentiscono non la sua forza ma la sua narrazione. Aveva narrato non solo di altre percentuali, 40 e passa per cento, aveva narrato di un’Italia pronta a risarcirlo in massa delle offese subite. Di un’Italia che faceva ressa ansiosa non per confermarlo premier ma per innalzarlo più in alto, sempre più in alto. Aveva chiesto più voti contro il Parlamento lento e inutile, contro la stampa, i giudici, contro tutto ciò che fa ragine alla sua azione salvifica del paese. Li aveva chiesti questi voti e non li ha avuti, alla sua potente narrazione crede un italiano su tre. Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani. La sua insomma è la voce più forte che c’è, ma non è la voce narrante dell’Italia.

C’è stata la vittoria, anzi ce ne sono state due. Quella della Lega e quella di Di Pietro. Sommandole, se ne deduce che il 20 per cento degli elettori vogliono, fortemente vogliono cose impossibili, sognano e chiedono choc sociali. Vogliono la fine dell’immigrazione, l’esenzione non solo dalla crisi economica ma anche dalla riconversione di abitudini sociali ed economiche senza le quali dalla crisi non si esce, l’abolizione per decreto o per frontiera della globalizzazione…Oppure la defenestrazione, l’impeachement giudiziario di Berlusconi, un “Grande Processo” che purifichi l’Italia…E’ la volontà e la voglia di un bel pezzo, anzi di due pezzi crescenti di elettorato, sono due voglie entrambe “matte”. Cioè tanto incontenibili quanto pericolose.

Non c’è stato il funerale, anzi il Pd ha salvato la pelle. Niente di più della pelle, ma tra il restare in vita e chiudere bottega c’è un mare, anzi un oceano di differenza. Sono ancora in tempo a disperderlo quel 26 per cento, quelli che guidano il Pd sono capaci anche di questo. Sarebbero anche in tempo, incredibilmente l’elettorato glielo ha dato ancora il tempo, di diventare una forza riformista davvero. Insomma hanno avuto tempo, che in politica è una forma di “denaro”.

C’è stata la sentenza: hanno disperso e buttato via il 6,5 per cento dei voti. Le due liste di sinistra si sono suicidate non per caso e non per sbaglio. La sentenza è di inaffidabilità politica e culturale, oltre che organizzativa.

C’è stata la conferma: l’Udc di Casini esiste e resiste, anzi avanza. Il centro destra non se la mangia, il centro sinistra non la scalfisce.

Dunque un’Italia alquanto diversa da come lei stessa si aspettava di essere, diversa almeno un po’, più complicata di come veniva narrata dalla versione ufficiale.

E l’Europa? Stanca, illusa, nervosa. Ai governi e ai partiti socialdemocratici non crede più e anzi di loro non sa più tanto bene che farsene. Paga dazio Zapatero, anche se in fondo resiste, l’Spd tedesca si avvia a mollare il governo, il Labour inglese è annichilito, i socialisti francesi sembrano un vecchio partito comunista. Tengono invece i governi di centro destra nei paesi sociallmente più solidi. In quelli di fragile e recente democrazia invece avanza la destra estrema. Ci si soprende che i ceti popolari e anche il ceto medio sotto la pressione della crisi economica guardino a destra. Non è però un fenomeno nuovo, anzi è una costante della storia. E’ un’Europa stanca di dover cambiare, infinitamente stanca di dover correre il rischio che invece gli americani accettano. Illusa di poter restare come sta. Nervosa perchè in realtà non sa a chi chiedere la garanzia dell’immobilità.

Ultima nota, marginale, casalinga e mortificante: quel seggio dove Noemi arriva scortata dai vigili urbani e dalle forze dell’ordine, l’energumeno che spinge via gli altri elettori in attesa, il presidente di seggio che chiude la porta in faccia ai comuni cittadini perchè i vip stanno votando. Piccola, grande scena di un’Italia servile per vocazione, civilmente ignorante e cafona. Una scena triste e avvilente, ma questa, almeno questa, non è certo colpa di Berlusconi. In quel seggio un’Italia eticamente “meridionale” si è mostrata com’è, al naturale. (Beh, buona giornata).

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Elezioni europee: i voti veri tradiscono i risultati percentuali. Chi ha perso, chi non ha vinto, chi ha vinto ma non ce l’ha fatta.

(fonte corriere.it)

Il calo dei votanti è stato brutale: 65,04% degli aventi diritto al voto alle Europee 2009 rispetto all’80,5% alla Camera dei deputati alle politiche dell’aprile 2008. Un crollo di oltre di oltre 15 punti percentuali, che si è tramutato in un calo secco dei voti effettivi ottenuti dai vari partiti. Con alcune eccezioni, che riguardano Lega Nord, Italia dei valori e, soprattutto, le due liste della sinistra radicale che, proprio a causa del fatto di presentarsi divise non sono riuscite a raggiungere la soglia minima del 4% che permetteva di eleggere deputato all’Europarlamento.

CHI PERDE – Il Popolo delle libertà ha avuto 3.100.000 voti in meno rispetto alle Politiche 2008.
Peggio per il Partito democratico: un calo di 4.420.000 voti, che scendono però a -3.700.000 voti se si scorpora il risultato ottenuto dai radicali, che nel 2008 si presentavano all’interno del Pd
Un calo limitato (130 mila voti in meno) anche per l’Udc.

CHI VINCE – Chi ottiene il maggiore balzo in avanti sono le sinistre radicali: 840 mila voti in più sommando i voti di Rifondazione comunista e Comunisti italiani con quelli di Sinistra e libertà (che raggruppo gli scissionisti di Vendola, i Verdi e i socialisti). Queste liste si erano presentate insieme nel 2008 ottenendo in tutto 1,15 milioni di voti.
Grande balzo in avanti dell’Italia dei valori, che incrementa i voti di 820 mila unità.
La Lega Nord, che ottiene un grande successo in termini percentuali alle Europee, aumenta in realtà solo di 100 mila unità i voti ottenuti alle Politiche. Beh, buona giornata.

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Berlusconi, l’unico vero sconfitto. Diffidate delle imitazioni.

Tra i credenti perso il 20% in un mese. Crisi di immagine. E il premier ora teme uno choc sul G8
di Federico Verderami-corriere.it

È allarme rosso nel Pdl. Altro che 25 aprile, al­tro che pacificazione naziona­le, altro che dialogo e riforme condivise. Da domani maggio­ranza e opposizione contribui­ranno ognuna per la propria parte a rendere ancora più alto il muro che le tiene separate. Perché ormai è chiaro quale te­ma terrà banco in Parlamento fino all’estate, è sulla giustizia che si sfideranno i due schiera­menti. Berlusconi ha invitato il suo Guardasigilli a prepararsi per uscire allo scoperto, sapen­do che Bossi si comporterà da «alleato leale», dopo aver otte­nuto quanto chiedeva: la legge delega sul federalismo fiscale. E siccome al momento non ci sono le condizioni per un ta­volo bipartisan dove discutere sulle modifiche alla Carta costi­tuzionale, il Cavaliere vorreb­be sfruttare questi due mesi di lavoro parlamentare per porta­re a casa il nuovo testo sulle in­tercettazioni e la riforma del processo penale. Era questo il piano prima delle elezioni, ma il risultato delle urne lo conse­gna indebolito e sarà più com­plicato in questo modo dar bat­taglia.

Eppure lo scontro inizierà già domani alla Camera, dove si voterà la mozione del Pd che chiede l’abolizione del «lodo Alfano». Per l’ennesima volta sarà come ripiombare in un passato che non è mai alle spal­le, se è vero che si intravedono le ombre di ulteriori e clamoro­si colpi di scena giudiziari. Da tempo voci preoccupate ali­mentano i colloqui riservati dell’inner circle berlusconia­no, nuovi fantasmi si muove­rebbero nel triangolo delle pro­cure di Milano, Napoli e Paler­mo, con il Cavaliere — e non solo lui — nel mirino. È un’ipoteca politica che gra­va anche sul G8 dell’Aquila, do­ve Berlusconi teme «una sgra­devole sorpresa» come quella del ’94. È una questione che co­munque ieri sera è rimasta ai margini delle prime analisi sul voto.

A preoccupare i dirigenti del Pdl, semmai, è stato l’azzar­do del premier, che tenendo al­tissima l’asticella del risultato in campagna elettorale aveva prodotto un’aspettativa molto ambiziosa. Anche troppo. «Quota 40» era la soglia, inve­ce non solo è sceso sotto quel limite, ha ripiegato anche ri­spetto alle Politiche. Una scon­fitta. Nessuno lo immaginava nel Pdl, dove si è avvertito un sen­so di smarrimento, più di quanto ne avesse prodotto la sfuriata di Berlusconi qualche ora prima, irritato per la «pessi­ma organizzazione» dell’ulti­ma manifestazione a Milano: «C’era pochissima gente». Quella convention è stata em­blematica perché ha dato l’idea di un partito che stenta a decollare. In fondo, quando il premier sostiene di esser stato «forzato» a candidarsi, disvela la fragilità del Pdl.

Il punto è che Berlusconi re­sta l’unico attaccante, l’uomo panino, il collettore di consen­si. Fino al 25 aprile, infatti, quando ancora macinava gli avversari, quando si sentiva ed era «il presidente di tutti gli ita­liani », il Pdl veleggiava tra il 43-45%. Il Cavaliere appariva un dominus della politica ita­liana capace di proiettare la sua forza anche a livello inter­nazionale, prefigurando il Pdl come primo partito del Ppe e ipotecando persino la presiden­za dell’Europarlamento. Poi è cambiato tutto.

La crisi d’immagine è iniziata cinque settimane fa, il tarlo del sospet­to su Noemi, la ragazza di Caso­ria che lo chiama «papi», ha iniziato a minare il suo rappor­to con l’opinione pubblica, che aveva toccato il suo picco stori­co nel giorno della festa della Liberazione, quel «76%» di fi­ducia che lo stesso premier aveva definito «imbarazzan­te». Da allora è precipitato nei numeri personali. Una crepa si è aperta soprattutto con l’elet­torato cattolico: per i sondaggi­sti, in meno di un mese, c’è sta­to un crollo di venti punti per­centuali, concentrati sui cre­denti praticanti. E con lui ha preso a calare anche il Pdl. Berlusconi a quel punto ha capito di essere in affanno e do­po aver giocato la competizio­ne con la Lega si è aggrappato a Bossi. Nel Pdl c’è chi contesta le sue ultime sortite, perché non si possono cedere Kakà al Real e il Veneto alla Lega a po­chi giorni dal voto.

La sconfit­ta si fa cocente, paradossal­mente passa in secondo piano il fatto che si sia allargata la for­bice con il Pd. Resta la botta. È tutto da vedere se cambie­rà la strategia del Cavaliere, è certo che già prima delle urne il premier si era preparato a ri­solvere i casi politici aperti, riannodando i rapporti con il governatore siciliano Lombar­do e anticipando di voler lascia­re a un leghista la candidatura in Veneto alle prossime regio­nali. Berlusconi mirava (e mi­ra) a spegnere i focolai d’incen­dio per garantirsi un percorso parlamentare sicuro sui prov­vedimenti che gli stanno più a cuore, in modo poi da concen­trarsi su un G8 che non sarà fa­cile, vista la freddezza con cui la Casa Bianca tiene i rapporti con l’Europa intera. Immagi­narsi con l’Italia di un Cavalie­re che si è indebolito.

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Attualità democrazia Società e costume

“L’Italia ospita quest’anno il summit del G8, dove si discuterà di maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E’ un importante membro della Nato. Fa parte dell’eurozona, che è confrontata dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell’Italia”.

l Times: “Cade la maschera del clown”.Libération: “Lo scandalo è alle calcagna”
dal corrispondente ENRICO FRANCESCHINI-repubblica.it

Uno scandalo che non riguarda più solo gli italiani, ma anche i paesi partner dell’Italia, nell’Unione Europea, nella Nato, nel G8 che l’Italia si prepara ad ospitare. E’ questo il severo giudizio di un editoriale del Times di Londra sulla vicenda che ruota da settimane attorno a Silvio Berlusconi, al suo rapporto con la 18enne Noemi Letizia, alle feste in Sardegna e al divorzio con la moglie Veronica Lario. E non è solo il Times a occuparsi ancora una volta di questa storia, che la stampa inglese sta seguendo con particolare attenzione: ci sono nuovi articoli anche sul Financial Times, sul Daily Telegraph, sull’Independent.

“Cala la maschera del clown”, s’intitola l’editoriale del Times, il secondo su questa vicenda dopo quello altrettanto duro del 18 maggio, pubblicato al primo posto fra i tre commenti del giorno nella pagina degli editoriali. “La qualità del governo Berlusconi non è una questione privata”, afferma il sottotitolo. “L’aspetto più sgradevole del comportamento di Silvio Berlusconi non è che è un pagliaccio sciovinista, né che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o perfino, assurdamente, come candidate al parlamento europeo”, comincia l’articolo. “Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli tratta l’opinione pubblica italiana. Il senile dongiovanni può trovare divertente agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e fare commenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati. Ma quando vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo sfidano a spiegare legami che come minimo suscitano dubbi, la maschera del clown cala. Egli minaccia quei giornali, invoca la legge per difendere la propria ‘privacy’, pronuncia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi melodrammaticamente promette di dimettersi se si scoprisse che mente”.

Il Times riconosce che la vita privata di Berlusconi è appunto un affare privato, ma osserva che, come è si è dovuto rendere conto Bill Clinton, scandali e alti incarichi pubblici non vanno d’accordo. “Molti potrebbero dire che l’Italia non è l’America, che l’etica puritana degli Stati Uniti non ha mai dominato la vita pubblica italiana, e che pochi italiani si scandalizzano davanti ai donnaioli. Ma questo è un ragionamento insensato e condiscendente. Gli italiani comprendono quanto gli americani cosa è accettabile e cosa non lo è. E, come gli americani, giudicano spregevole il cover-up”.

L’editoriale del quotidiano londinese nota quindi che pochi media in Italia possono fare simili affermazioni, senza timore di un castigo. “A suo merito, la Repubblica ha continuamente sollevato domande al primo ministro sulla sua relazione con Noemi Letizia, e alla maggior parte di queste domande non ci sono state risposte soddisfacenti. Quando e dove egli ha conosciuto la famiglia della ragazza? Mr. Berlusconi chiese di avere fotografie da un’agenzia di modelle per iniziare i contatti con la signorina Letizia? Che cosa c’è di vero sulle notizie di party con decine di giovani donne nella sua villa in Sardegna? Mr. Berlusconi ha promesso di spiegare tutto in parlamento. Ma non ha certo riassicurato i suoi critici con la sua iniziativa per bloccare la pubblicazione di 700 fotografie che potrebbero mostrare cosa succedeva a quei party. Né lo aiuta il suo sventurato ministro degli Esteri, che ha provato a difenderlo sottolineando che l’età per il consenso (a rapporti sessuali, ndr.) in Italia è 14 anni, come se ciò fosse rilevante”.

Qualcuno potrebbe dire, si conclude l’editoriale, che tutto ciò non riguarda i forestieri. Ma gli elettori italiani, alla vigilia delle elezioni europee, dovrebbero riflettere sul modo in cui è guidato il loro governo, sui candidati selezionati per Strasburgo e sul livello di sincerità del premier. E la faccenda “riguarda anche altri”, afferma il Times. “L’Italia ospita quest’anno il summit del G8, dove si discuterà di maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E’ un importante membro della Nato. Fa parte dell’eurozona, che è confrontata dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell’Italia”.

Il Times pubblica anche una lunga corrispondenza dall’Italia, intitolata “Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di giovani donne in bikini a un party nella sua villa”. Un articolo sul Financial Times, invece, osserva che “l’ondata di gossip” e “l’odore di scandalo” intorno a Berlusconi distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica italiana da questioni ben più gravi, come le cattive notizie sull’andamento dell’economia italiana.

Una corrispondenza sul Daily Telegraph afferma che “gli alleati di Berlusconi mettono nel mirino la moglie” per il divorzio, con la rivelazione che Veronica Lario avrebbe un partner da tempo, fatta da Daniela Santanché sul quotidiano Libero. E l’Independent riporta le pesanti critiche fatte dal premio Nobel per la letteratura Josè Saramago, che hanno spinto la casa editrice Einaudi, “parte dell’impero Modandori di Berlusconi”, a non pubblicare il suo ultimo libro, che descrive tra l’altro il primo ministro come “un delinquente”.

Francia. Il quotidiano Libération dedica la copertina alla vicenda: “Lo scandalo alle calcagna” e nelle due pagine interne: “Rivelando la tresca il quotidiano Repubblica ha fatto vacillare la popolarità del presidente del consiglio. E’ una battaglia portata avanti nel nome di una certa concezione dell’interesse pubblico”.

Spagna. Il quotidiano El Pais torna a trattare la questione in una corrispondenza da Roma: “L’opposizione italiana chiede a Berlusconi che spieghi in parlamento se abbia portato nell’organizzazione elettorale del partito i suoi invitati delle feste private in Sardegna” e si chiede: “Berlusconi utilizza gli aerei ufficiali dello stato Italiano per portare gli artisti, ballerine e veline a Villa Certosa? Ha fatto uso improprio dei beni dello stato? È l’ultimo capitolo del Naomigate che ha trasformato l’Italia in un manicomio semplicemente portando allo scoperto l’abitudinaria mescolanza tra vita privata e pubblica di Berlusconi e la sua tendenza a conquistarsi amici e amiche dell’ambiente televisivo portandoli in quello politico”.

Sferzante il pezzo della Vanguardia: “La campagna elettorale per le Europee continua in Italia, astrusa e noiosissima, incapace di competere quanto a contestazioni, incanto mediatico, spessore del tema con la vita personale della stella più sgargiante della politica italiana degli ultimi quindici anni: Silvio Berlusconi. Nelle cerchia del potere si parla più di questa commediola che delle vicende poltico-continentali a Bruxelles. A volte diverte. La maggior parte delle volte preoccupa ed esaurisce tanta banale frivolezza”.

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Attualità democrazia

Elezioni europee 2009: che succede a sinistra?

di Antonio Funiciello-Liberal

Secondo tutti sondaggi recenti, il nuovo partito della sinistra non supererà Io sbarramento. Questo metterebbe in grande difficoltà i leader

ROMA, Sinistra e libertà non ce la fa. I sondaggi sono impietosi e la danno ferma tra il 2% e il 3%: i voti in uscita dal Pd sono tutti per Di Pietro e Rifondazione, così che alla seconda versione di quello che fu l’Arcobaleno (vedi Politiche 2008) non restano che briciole. I fattori di debolezza si sommano inesorabili.

Anzitutto un leader, Nichi Vendola, che non indovina una mossa.
Prima manda a quel paese in diretta televisiva Gasparri, poi scrive una lettera a tutti i leader dell’opposizione per un fronte comune contro il rischio democratico berlusconiano e nessuno gli risponde. Tranne il capo dei comunisti Ferrero, contro cui Vendola ha perso l’ultimo congresso di
Rifondazione: una risposta che suona come una beffa. Gli altri dirigenti sinistri e liberi non si muovono meglio e vivono con inquietudine l’attesa della sconfitta. Ieri Fabio Mussi si è rivolto direttamente agli ex elettori dei Ds con un appello accorato, cercando di irretire a sé chi nel Pd non si sente a casa. I Verdi restano i più perplessi. Oltre alla infausta leadership di Pecoraro Scanio, hanno riposto in soffitta anche il loro simbolo, perdendo un richiamo identitario che forse da solo avrebbe ottenuto lo stesso risultato che farà tra due settimane Sinistra e libertà. Paolo Cento, già sottosegretario all’Economia a favore della decrescita, è tra i più perplessi della strategia elettorale del nuovo cartello, tanto che ha chiesto ufficialmente meno riunioni e più iniziative di piazza.

Meno riunioni, certo.
Perché Sinistra e libertà non riesce a darsi una guida unitaria e per ogni decisione si ritrova costretta a riunire le quattro componenti che le hanno dato vita: i mussiani ex Ds, i socialisti che furono di Boselli, i Verdi che furono di Pecoraro Scanio e i rifondaroli scissionisti. Riunioni occupate a litigare su tutto: dalle questioni macropolitiche, alle faccende di bottega come l’applicazione del manuale Cencelli su chi mandare in televisione. Una babele che si riflette sui media e nel dibattito politico e rappresenta una zavorra pesantissima da scaricare prima e dopo il voto.

Già, perché dopo il 7 giugno, che fine farà Sinistra e libertà?
Le divisioni interne di oggi attengono molto al destino che arriderà al cartello elettorale nella torrida estate che lo attende. E’ noto il teorema del vignettista Sergio Staino, in lista con Vendola ma fondatore e iscritto del Pd, per cui la propria candidatura in Sinistra e libertà servirebbe in realtà per rafforzare i democratici. A tutti è sembrata una boutade. Eppure rivela la trama su cui si giocheranno i destini della formazione dopo il mancato scavalcamento dello sbarramento del 4%, ovvero il rapporto politico col Pd.
Se è vero che la lista di Ferrero e Diliberto, comunque andrà, avrà un futuro, lo stesso non si può dire per i dirigenti di Sinistra e libertà.
Domenica scorsa Franceschini ha auspicato che coloro che, tra questi, vengono dalla vicenda dell’Ulivo rientrino presto nel Pd. In Sinistra democratica, l’anima mussiana dei fuoriusciti diessini, ci pensa ormai più d’uno. Anche perché l’idea di fare la minoranza moderata di una formazione di estrema sinistra è meno allettante di quella di fare la minoranza estrema di un partito di centrosinistra moderato. Anche i socialisti di Nencini sono su questa lunghezza d’onda. I Verdi paiono, invece, intenzionati a rilanciare il loro autonomismo con un irrigidimento ideologico del loro credo ambientalista.
Più difficile da decifrare la sorte di Vendola e dei pochi che per lui hanno lasciato Rifondazione, anche se è probabile che molti torneranno con Ferrero, lasciando Nichi a presiedere la Puglia ancora per qualche mese.
Fino a quando il Pd non gli darà il benservito, scegliendosi per il centrosinistra un altro candidato presidente per le regionali del 2010. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il premier ha deciso: faccio campagna elettorale per le europee. Allarme sondaggi?

AGI-Roma, 21:21

EUROPEE: BERLUSCONI, VOTO A PICCOLI SPRECATO; A PD E’ AL BUIO
Silvio Berlusconi, dagli schermi di E’Tv, fa un appello ai cittadini a votare per il Pdl alle elezioni europee di giugno. Perche’, spiega, se il Pdl otterra’ molti consensi potra’ “incidere sulle decisioni” assunte a Bruxelles. Quindi, “serve un voto compatto per il Pdl – insiste – mentre tutti i voti dati ai piccoli partiti sono voti sprecati perche’ non raggiungeranno lo sbarramento del 4%”. Ma non bisogna votare nemmeno la sinistra, “perche’ i voti a sinistra sono voti al buio” in quanto “la sinistra e’ divisa su tutto, e’ senza una guida e senza un programma”. E poi, “la dice tutta il fatto che il Pd non ha nemmeno ancora deciso in quale gruppo si siedera’. Quindi, ha gia’ deciso che non contera’ nulla in Europa”. Per questo, ribadisce Berlusconi, “anche il voto a sinistra non avra’ seguito, non arrivera’ a difendere gli interessi degli italiani”.(Beh, buona giornata).

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democrazia Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi economica, il convitato di pietra delle elezioni europee.

DOVE MORDE LA CRISI IN EUROPA di Jean Pisani-Ferry -lavoce.info
Col passare dei mesi la crisi nata negli Stati Uniti è diventata sempre più europea. Basta guardare i dati. Eppure, le risposte sono scarse, come se si faticasse a prendere coscienza dell’enormità del disastro. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un programma di rilancio dell’economia che per ampiezza supera di gran lunga i piani europei. In gioco c’è la credibilità dell’Unione Europea. Le elezioni per il Parlamento europeo avrebbero potuto essere la buona occasione per un dibattito approfondito su molti temi cruciali. Peccato non sia stata colta in nessun paese.

Diciotto mesi fa, la crisi nata dai mutui subprime sembrava essere solo americana e si discuteva degli effetti che avrebbe avuto sul resto del mondo. Ma, col passare dei mesi, è divenuta sempre più europea. Basta osservare alcuni dati.

UN CONFRONTO DI DATI

1. La produzione industriale è diminuita, rispetto ai massimi livelli raggiunti, del 18 per cento nella zona euro contro il 13 per cento negli Usa. Nell’aprile 2008, il Fmi prevedeva, per il 2009, un tasso di crescita dello 0,6 negli Stati Uniti e dell’1,2 nella zona euro. Oggi, prevede un calo del Pil del 2,8 negli Usa e del 4,2 in Europa. Altre previsioni sono dello stesso tenore. Anche se gli indicatori avanzati suggeriscono che la ripresa è prossima in Francia, in Italia e nel Regno Unito, la recessione rischia di essere più forte in Europa.

2. Nell’ambito della zona euro, Spagna e Irlanda sono alle prese con una depressione immobiliare che, nel caso dell’Irlanda, è ulteriormente aggravata dal tracollo bancario. L’anno prossimo il tasso di disoccupazione spagnolo toccherà il 20 per cento. I tassi di interesse sui titoli di Stato, che fino all’anno scorso erano ovunque quasi gli stessi, sono ora molto diversi gli uni dagli altri. La Grecia, conosciuta per la sua negligenza in fatto di finanze pubbliche, e l’Irlanda, il cui debito pubblico triplicherà in tre anni, chiedono prestiti a due punti percentuali di tasso di interesse in più rispetto alla Germania.In queste condizioni, non c’è più solo da chiedersi se possa avvenire una crisi finanziaria in uno Stato della zona euro, ma di chi – tra Fmi e i suoi partner – potrà soccorrerlo al bisogno

3. L’Europa centrale e orientale vive una violenta crisi, probabilmente della stessa portata di quella asiatica del 1998. A parte la Polonia, che probabilmente soffrirà solo di una moderata recessione, gli altri Stati della regione, la cui crescita si basava principalmente sul risparmio straniero, sono colpiti in pieno dal mancato afflusso di capitali esteri. I paesi baltici, quest’anno, vedranno una caduta della produzione del 10 per cento, l’Ungheria e la Romania del 5 per cento. La Lettonia, seguendo il programma del Fmi, si è impegnata a ridurre i salari e la spesa pubblica, con intervento rispetto al quale la politica deflazionistica di Laval – nella Francia degli anni Trenta – era all’acqua di ros

4. Il Fmi ha appeno rivisto le sue stime sulle perdite delle banche e sulla necessità di capitali freschi. Stima che, nel periodo 2007-2010, le banche europee (zona euro e Gran Bretagna) subiranno perdite per 1.200 miliardi di dollari dei loro attivi, contro i 1.050 negli Stati Uniti. Ma soprattuto, rispetto a questo ammontare, le banche europee hanno accertato a oggi perdite per 260 miliardi di dollari (meno di un quarto) contro i 510 miliardi degli Stati Uniti. Le banche europee, dunque, dovrebbero ricapitalizzare per 500 miliardi di dollari, quelle statunitensi per 275 miliardi. In poche parole, le banche europeee hanno ancora due terzi del cammino di fronte a loro, mentre quelle americane sono sono già a metà strada. Alcuni ministeri del Tesoro europei contestano tali cifre, ma non hanno finora saputo darne altre. Del resto quello che le valutazioni dell’Fmi sottolineano è proprio la totale assenza di valutazioni comuni sulla situazione, da parte degli europei. I mercati finanziari ne hanno ovviamente tratto le conseguenze: i titoli delle banche europee sono scesi in borsa molto più di quelli delle banche americane.

Tutti questi fattori sono, del resto, interdipendenti. Se l’Europa va peggio degli Stati Uniti, ciò dipende sia dal fatto di essere maggiormente esposta al commercio mondiale, sia dal fatto che alla crisi mondiale si aggiungono le sue crisi interne, sia infine dalla brutta situazione delle sue banche. Se l’Europa dell’Est è in crisi è perché i suoi sbocchi europei si sono chiusi e le banche occidentali non le fanno più credito. Se l’Austria è in allarme per le sue banche, dipende dalla sua forte esposizione in Europa centrale. E così via. La difficoltà consiste non nello sbrogliare la matassa delle cause, cosa in fondo facile, bensì nel trovare risposte e soluzioni.

MANCANO LE RISPOSTE

Tuttavia, le risposte europee sono scarse, come se si faticasse a prendere coscienza dell’enormità del disastro. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un programma di rilancio dell’economia su due anni, la cui ampiezza supera di gran lunga i piani europei, anche tenendo conto della differenza di misura dei sistemi pubblici e dei loro effetti di stabizzazione automatica. La Federal Reserve americana, da parte sua, ha azzerato i tassi di interesse e si è lanciata in un programma d’acquisto di attivi finanziari pubblici e privati. In Europa, ci si muove con maggiore cautela e in maniera esitante, sia da parte degli Stati, sia da parte della Bce, che ha abbassato i suoi tassi col contagocce ed è solo parzialmente impegnata nelle operazioni di “alleggerimento quantitativo”. Persino nel settore in cui la sua politica è meno convincente, vale a dire quello della crisi bancaria, Barack Obama ha perlomeno sottoposto tutte le grandi banche al medesimo stress test. In Europa, ogni paese si affanna a dichiarare che le proprie banche sono in condizioni migliori di quelle degli Stati vicini.

Difficile spiegare questa differenza di atteggiamento. Infatti, non solo in Europa la congiuntura è più negativa e il bisogno di capitali da parte delle banche più forte, ma l’economia è assai più dipendente dal settore bancario. Per ogni dieci euro di indebitamento delle aziende non-finanziarie, nove euro sono rappresentati da prestiti bancari nella zona euro, contro i sette del Regno Unito e i sei degli Stati Uniti. In altri termini, molte aziende americane riescono ad aggirare un sistema bancario deficitario, emettendo titoli di debito sul mercato dei capitali (anche a costo che sia la Fed stessa ad acquistare quei titoli), mentre in Europa, soprattutto nella zona euro, ciò è permesso solo alle grandi aziende.

UNA SFIDA ESISTENZIALE

Sostanzialmente, l’Unione Europea è sottoposta a una sfida esistenziale, sfida che invece non si pone per gli Stati Uniti. Sono in gioco infatti sia la sua credibilità in quanto istituzione sia quella coesione costruita con un faticoso processo di integrazione.

È in gioco la sua credibilità, perché è proprio in situazioni come queste che i cittadini valutano la qualità di un sistema politico. Gli europei si ricorderanno sicuramente, per decenni, ciò che avranno appreso durante questa crisi acuta e il loro atteggiamento futuro nei confronti dell’istituzione dipenderà da come essa ha reagito. Ora, se è vero che nell’ottobre 2008, di fronte al rischio di crollo del sistema finanziario, i paesi della zona euro e la Gran Bretagna si sono coordinatiper fornire una risposta comune e che qualche settimana più tardi, con il pericolo incombente della recessione, hanno convenuto di lanciare programmi comuni di risanamento finanziario, è anche vero che l’attuazione dei programmi è stata a dir poco disomogenea. In generale, resta il dubbio se un sistema edificato per tempi “di pace”sia altrettanto valido per quelli “di guerra”. Come è chiaro dal Patto di Stabilità stesso, il sistema di governo europeo si basa proprio sull’idea che una politica comune prudente serva a evitare le crisi, ma non prevede una capacità istituzionale di gestirle, qualora sopravvengano.

Persino due pilastri dell’integrazione europea, quali il mercato unico e l’allargamento ad altri Stati membri, ne risultano scossi. Come ha detto Charles Goodhart, sappiamo adesso che le banche “vivono globali, ma muoiono nazionali”, perché solo gli Stati-nazione possiedono i mezzi per intervenire, onde evitare il loro fallimento. E quando gli Stati forniscono il loro appoggio alle banche, si aspettano in contropartita che esse concedano crediti alle famiglie e alle aziende nazionali, non a quelle dei paesi vicini. Ciò mina le fondamenta di un mercato unico costruito sull’ipotesi che le banche del futuro ignorino le frontiere. Per quanto riguarda l’allargamento dell’Unione, se ne rimette in questione l’opportunità per via della battuta d’arresto di un modello di crescita che, in molti paesi dell’Est, si basava sulla domanda di capitali esteri per finanziare gli investimenti. Ma la richiesta di sicurezza che oggigiorno si è impossessata dei mercati internazionali dei capitali minaccia la stabilità dei nuovi paesi membri e fa dubitare che, in un prossimo futuro, possano convergere ai livelli di benessere dei paesi occidentali. Come risposta, l’Unione ha incrementato le risorse disponibili per il sostegno finanziario dell’Europa centro-orientale, ma è contraria a intraprendere strategie regionali ed esita sull’allargamento della zona euro.

La posta in gioco è quindi altissima. Tuttavia, con una presidenza attualmente tenuta da un paese in cui è caduto il governo e una Commissione che presa tra i due fuochi del Trattato attuale e quello in corso di ratifica, termina il suo mandato senza sapere quando sarà sostituita, la guida dell’Unione Europea è semi-vacante.Quanto alle elezioni per il Parlamento europeo, che avrebbero potuto essere la buona occasione per dibattere su tutti questi problemi, si presentano come un avvenimento di debole intensità politica. È un vero peccato. Il 2009 passerà alla storia come l’anno delle occasioni perdute? (Beh, buona giornata).

Traduzione dal francese di Daniela Crocco

* Il testo in lingua originale è pubblicato su Telos.

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Popoli e politiche Pubblicità e mass media

Pubblicità e politica: uno spot che è tutto un programma.

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Attualità democrazia Popoli e politiche

Ai partiti italiani impegnati nella campagna elettorale dell’Europa gli importa un fico.

L’Europa e i nostri figli: stando da soli si esce dalla storia/ di Romano Prodi-ilmessaggero.it
Potremmo ancora continuare nell’elencare i punti di forza di questo grande protagonista del nuovo mondo globalizzato.

Eppure dobbiamo fermarci perché, in questo mondo, l’Europa non è attore ma, nonostante le cifre della sua economia, un semplice spettatore.

Le grandi decisioni internazionali ci vedono assenti o irrilevanti, anche quando si tratta di problemi che sono a noi vicini per geografia o per interessi, come è stato il caso del Kossovo. Per questo motivo, dopo infiniti dibattiti, è iniziato negli scorsi anni un processo di riforma delle istituzioni europee fondato sulla premessa fondamentale ed inconfutabile che l’Europa non può ottenere risultati ambiziosi se non passando attraverso riforme altrettanto ambiziose. Il processo è partito, ha dato vita ad una Costituzione, bocciata però dal referendum francese, e quindi al trattato di Lisbona, ora fermo a metà strada per il no dell’Irlanda.

Eppure il trattato di Lisbona contiene alcune ovvie indispensabili proposte innovative, come la fine di una ridicola rotazione semestale della presidenza dell’Unione, un inizio di coordinamento della politica estera, un presidente della Commissione eletto dal Parlamento e una pur minima riduzione delle decisioni da prendere all’unanimità.

Si tratta di passi in avanti concreti ma ancora insufficienti per giocare un ruolo da protagonista perché in tutti i numerosi campi in cui è prevista l’unanimità, la paralisi europea è destinata a durare. Eppure il voto irlandese ci impedisce di compiere anche questi piccoli passi in avanti.

Sarebbe tuttavia ingiusto addossare le colpe solo all’Irlanda: lo spirito europeo si è ovunque affievolito e perfino i tre grandi protagonisti della prima Europa, cioè Germania, Francia e Italia pensano più ai loro problemi interni che non ai grandi risultati che potrebbero ottenere lavorando insieme.

Naturalmente non si tratta solo di mettersi d’accordo sulle nuove regole di decisione, ma di convenire su alcune priorità senza le quali l’Europa non può funzionare, come la dotazione di risorse adeguate per affrontare le sfide comuni quali la sufficienza energetica, i cambiamenti climatici e le disparità fra Paesi e Continenti. Per vincere queste sfide la dimensione nazionale è del tutto inadeguata. Per rendersi conto di tutto questo non occorre essere raffinati politologi o economisti: basta dare un’occhiata ad un mappamondo. Eppure stiamo andando a votare senza che si sia ancora aperto un minimo di dibattito sul ruolo che vogliamo dare all’Europa nel mondo.

La preparazione elettorale è esclusivamente dedicata alla politica nazionale e all’influenza che i risultati delle urne avranno sui futuri equilibri politici interni. Continuiamo correttamente a ripetere che senza una politica continentale usciremo solo per ultimi dalla crisi economica ma, nello stesso tempo, non vogliamo dare alle istituzioni comunitarie la forza per prendere le necessarie decisioni.

Ogni giorno assistiamo a gridi di allarme per lo strapotere europeo e non vogliamo ammettere che il costo di tutte le politiche dell’Unione (compresa la politica agricola, gli aiuti alle regioni più povere e il costo della burocrazia) è inferiore all’uno per cento del Prodotto Lordo Europeo.

Invece di ragionare sui fatti e di discutere quanto e come si deve spendere e si deve decidere a livello europeo, si preferisce usare Bruxelles come caprio espiatorio per tutte le cose che non vanno nel nostro Paese. Queste contraddizioni non sono certo solo italiane: esse sono comuni a quasi tutti i Paesi europei. Questi Paesi, tuttavia hanno almeno l’astuzia di inviare al parlamento di Strasburgo persone che, per esperienza, padronanza linguistica e conoscenze specifiche, difendono con continuità ed efficacia i propri interessi. Un primo sguardo alle liste dei candidati ci dice invece che i nostri partiti si sono solo marginalmente posto questo problema.

Per cui, se l’elettore non sarà abilissimo nelle sue scelte, non saremo nemmeno in grado di difendere i nostri elementari interessi nazionali.

Abbiamo ancora quattro settimane di tempo per prepararci a scrivere la nostra preferenza nel modo che riterremo più adatto a raggiungere i nostri obiettivi. Mi permetto tuttavia di consigliare agli elettori, prima di recarsi in cabina, di dare ancora un’occhiata al mappamondo per vedere quanto siamo piccoli noi e quanto sono grandi gli altri. Un altro esercizio utile, che noiosamente ripeto in ogni occasione in cui parlo dell’Europa, è quello di ripensare per un attimo alla storia dell’Italia. Ai tempi del Rinascimento (cioè al tempo della prima globalizzazione) gli Stati italiani primeggiavano in ogni campo, dall’arte della guerra, alle scienze, dalla tecnologia all’architettura, dalla filosofia alla finanza. Non abbiamo avuto la capacità politica di metterci assieme e l’Italia è per sempre scomparsa dai grandi protagonisti della storia mondiale. Oggi per i singoli Paesi europei (Francia, Germania e Gran Bretagna compresi) la situazione è del tutto identica. Rimanendo soli si esce dalla storia. Prima di andare a votare è quindi bene pensare anche a quello che succederà ai nostri figli. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Save the Private Silvio: Dell’Utri cerca un diversivo per distogliere l’attenzione dall’amico Silvio, nei guai con la moglie e con il consenso elettorale (soprattutto dei cattolici, duemilioni dei quali potrebbero non più votare il Cavaliere).

“Le veline laureate e preparate politicamente sono di gran lunga più apprezzabili di alcune telegiornaliste che non conoscono l’italiano”. Ma soprattutto Benito Mussolini non fu “un dittatore spietato e sanguinario”, perse la guerra perchè fu “troppo buono”, fu “blando” sulle leggi razziali e, infine, i repubblichini furono “i partigiani di destra”, perché lottarono per un ideale. Sono alcune delle dichiarazioni del senatore del Pdl Marcello dell’Utri, intervistato da Klaus Davi per il programma Klauscondicio. Dell’ Utri cerca un diversivo per distogliere l’attenzione dall’amico Silvio, nei guai con la moglie e con il consenso elettorale. I vecchi trucchi funzioneranno ancora? Riuscirà il Cavaliere a riconquistare la fiducia di un paio di milioni di elettori cattolici, per niente ben disposti ad accettare l’idea di un secondo divorzio dell'”unto del Signore”? Beh, buona giornata.

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Attualità

Dall’olio di ricino ai sottaceti: dopo la nipotina del Duce, rischiamo di mandare al Parlamento europeo il pronipote del re che firmò le Leggi razziali.

Il ritorno del Re cipollino
di BRUNO GAMBAROTTA da lastampa.it

Altezza serenissima, permetta a un suddito devoto di salutare il suo “Discorso di Torino” come l’inizio del riscatto dei Savoia. Spero che la facciano parlare dal palco di piazza San Carlo, di fronte al monumento di Emanuele Filiberto, l’illustre antenato di cui Lei porta il nome.

I suoi precettori avranno trovato il tempo, fra un tango e una milonga, di spiegarle che Emanuele Filiberto è raffigurato nell’atto di rimettere la spada nel fodero dopo aver vinto, il 10 agosto 1557, la battaglia di San Quintino. Lei, che ha vinto la ben più cruenta battaglia del televoto, sarà raffigurato mentre ripone nella sacca gli scarpini da ballo.

In quella stessa piazza San Carlo abitava il conte Vittorio Alfieri che nel 1778 si rifugiò a Firenze per non sottoporre le sue tragedie alla censura di Vittorio Amedeo III; fosse ancora vivo, alla notizia che lei scende in campo, Alfieri tornerebbe di corsa, non per scrivere un’altra tragedia, ma una farsa. Principe, in Europa l’attende un compito gravoso: la battaglia per difendere i suoi amati sottaceti dalla concorrenza sleale di quelli dell’Est.

Gli spagnoli diedero al suo antenato il soprannome di “testa di ferro”; lei, se vincerà la sua battaglia, sarà “testa di cetriolo”, o “re cipollino”, a scelta. Dopo il conte Verde e il conte Rosso, suoi antenati, avremo in lei il conte Fucsia.

P.S. Durante la campagna elettorale raccomandi al suo illustre genitore di non usare il telefono. Non si sa mai, qualcuno potrebbe essere in ascolto.Vittorio Emanuele II Nato a Torino, in palazzo Carignano, nel 1820. Re di Sardegna, e dal 1861 al 1878, primo re d’Italia. Regnò a Torino fino al 1864, quando la capitale fu trasferita a Firenze. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Confindustria vuole un’Europa “che metta al centro l’impresa”.

Crisi/ Confindustria lancia il Manifesto ‘Per un’Europa più forte’ -affariitaliani.it

Confindustria chiama l’Europa a raccolta contro la crisi. E lo fa con un Manifesto ‘Per un’Europa più forte’ stilato in vista delle elezioni europee del 6-7 giugno. L’organizzazione degli industriali guidata da Emma Marcegaglia vorrebbe un’Europa più forte, più compatta, in grado di superare la crisi difendendo la coesione interna e mettendo al centro l’impresa, “unico baluardo valido nella recessione globale”.

“Solo un’Europa più compatta – spiega Emma Marcegaglia che ha elaborato il documento con la regia di Andrea Moltrasio, vicepresidente Confindustria per l’Europa – può far fronte alla crisi e alle sfide che dobbiamo affrontare nei prossimi anni: sfide immediate, come la crisi economica e finanziaria in atto, e di medio lungo termine, come quelle rappresentate dai cambiamenti climatici, dall’invecchiamento della popolazione, dai fenomeni migratori.

Un’Europa forte sulla scena mondiale – continua – è un’ Europa che riesce a portare avanti con successo una politica fondata sui due pilastri del libero commercio e della concorrenza leale. E un’ Europa forte è ugualmente un’Europa che mette l’impresa al centro della sua azione e che riscopre il valore del suo tessuto produttivo, unico al mondo”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Il Ministero dell’Interno ammette 79 simboli per le prossime elezioni europee. In principio erano 93.

Per raggiungere la soglia del 4% con lo stesso simbolo si presenta la Lista dei comunisti, formata da Prc-Pdci-Socialismo 2000-Consumatori uniti (sarà l’unica lista delle schede elettorali a correre sotto l’insegna della falce e del martello). Il Viminale dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità

Onna è diventata un palcoscenico per autorità: “Andiamo a portare una corona alla lapide dei martiri del ’44. Ieri c’è stato l’omaggio visto nelle tv di mezzo mondo, ma noi abitanti non eravamo invitati. Siamo costretti ad andare oggi, il giorno dopo l’anniversario”.

“Tutti qui, dal premier al Papa
ma Onna non è uno spot tv”
dal nostro inviato JENNER MELETTI-repubblica.it

Berlusconi durante la cerimonia del 25 aprile a Onna
L’AQUILA – La strada di sassi bianchi taglia il prato, al fianco di una stalla distrutta. Supera un dosso, arriva in un altro prato, coperto da un’enorme pedana metallica. “Ecco, questo è l’eliporto. Sabato è sceso qui Berlusconi, domani arriva il Papa. Elicotteri che atterrano a Onna, chi se lo sarebbe mai immaginato.

La strada bianca è stata costruita proprio per arrivare a questo prato”. Benedetto XVI farà trenta passi, per salire sulla papamobile. Non si sa ancora se attraverserà il paese distrutto o se guarderà le rovine da “via Geremia Properzi, sacerdote-teologo”. Entrerà nella tendopoli, per un breve incontro con i terremotati. “Stavolta, almeno – dice Gianfranco Busilacchio, del direttivo del comitato Onna Onlus – vedremo in faccia il nostro ospite. Con il presidente del Consiglio siamo stati tenuti lontano da tutto”.

La pioggia continua ad allagare le tendopoli, in questa terza domenica dopo il terremoto. Sembra di vivere in due mondi diversi e lontani. Da una parte operai, vigili del fuoco e volontari che lavorano sotto l’acqua per montare palchi e alzare transenne per l’arrivo del Papa; dall’altra operai, vigili e volontari che aiutano chi vive nel fango e cerca di raggiungere una mensa o un gabinetto.

Non c’è rabbia, nelle parole di Gianfranco Busilacchio e degli altri del comitato. “Ma gli occhi per vedere li abbiamo. Per otto giorni i vigili del fuoco, che sono bravissimi, hanno lavorato soprattutto per preparare le visite di Berlusconi e del Papa. Hanno puntellato la chiesa, così il Santo Padre la può vedere ancora in piedi. Un lavoro inutile, perché poi sarà abbattuta. Hanno costruito la strada e l’eliporto. Hanno preparato anche un piccolo campanile, con le campane recuperate fra le macerie, a fianco del tendone della nuova chiesa. Tutto bello. Ma nelle tende si vive malissimo. Gli anziani e chi cammina con difficoltà non riesce ad entrare in bagno. Venga a vedere”.

Per entrare in un gabinetto o in una doccia bisogna salire due gradini alti, in ferro. “Questi sono servizi che arrivano dall’Iraq, erano usati dai nostri militari in missione. Bisogna avere vent’anni, essere giovani e aitanti, per entrare qui. Tutti gli altri sono esclusi”. Ci sono anziani che non riescono a lavarsi da tre settimane.

Prima il presidente del Consiglio, poi il Papa. E subito dopo inizieranno i lavori per il G8. “Onna è diventata un simbolo – dice Vincenzo Angelone, che fa parte della Onlus – ed è giusto che qui arrivino le persone importanti. Ma dovevano mandare altri vigili e altri militari, per costruire ciò che serve a questi “eventi”. A noi i vigili servono per recuperare una foto o un maglione nelle nostre case e per rendere umana la vita in tenda”.

C’è una piccola cerimonia, alle ore 15. “Tutti qui, dal premier al Papa
ma Onna non è uno spot tv”
dal nostro inviato JENNER MELETTI

Berlusconi durante la cerimonia del 25 aprile a Onna
L’AQUILA – La strada di sassi bianchi taglia il prato, al fianco di una stalla distrutta. Supera un dosso, arriva in un altro prato, coperto da un’enorme pedana metallica. “Ecco, questo è l’eliporto. Sabato è sceso qui Berlusconi, domani arriva il Papa. Elicotteri che atterrano a Onna, chi se lo sarebbe mai immaginato.

La strada bianca è stata costruita proprio per arrivare a questo prato”. Benedetto XVI farà trenta passi, per salire sulla papamobile. Non si sa ancora se attraverserà il paese distrutto o se guarderà le rovine da “via Geremia Properzi, sacerdote-teologo”. Entrerà nella tendopoli, per un breve incontro con i terremotati. “Stavolta, almeno – dice Gianfranco Busilacchio, del direttivo del comitato Onna Onlus – vedremo in faccia il nostro ospite. Con il presidente del Consiglio siamo stati tenuti lontano da tutto”.

La pioggia continua ad allagare le tendopoli, in questa terza domenica dopo il terremoto. Sembra di vivere in due mondi diversi e lontani. Da una parte operai, vigili del fuoco e volontari che lavorano sotto l’acqua per montare palchi e alzare transenne per l’arrivo del Papa; dall’altra operai, vigili e volontari che aiutano chi vive nel fango e cerca di raggiungere una mensa o un gabinetto.

Non c’è rabbia, nelle parole di Gianfranco Busilacchio e degli altri del comitato. “Ma gli occhi per vedere li abbiamo. Per otto giorni i vigili del fuoco, che sono bravissimi, hanno lavorato soprattutto per preparare le visite di Berlusconi e del Papa. Hanno puntellato la chiesa, così il Santo Padre la può vedere ancora in piedi. Un lavoro inutile, perché poi sarà abbattuta. Hanno costruito la strada e l’eliporto. Hanno preparato anche un piccolo campanile, con le campane recuperate fra le macerie, a fianco del tendone della nuova chiesa. Tutto bello. Ma nelle tende si vive malissimo. Gli anziani e chi cammina con difficoltà non riesce ad entrare in bagno. Venga a vedere”.

Per entrare in un gabinetto o in una doccia bisogna salire due gradini alti, in ferro. “Questi sono servizi che arrivano dall’Iraq, erano usati dai nostri militari in missione. Bisogna avere vent’anni, essere giovani e aitanti, per entrare qui. Tutti gli altri sono esclusi”. Ci sono anziani che non riescono a lavarsi da tre settimane.

Prima il presidente del Consiglio, poi il Papa. E subito dopo inizieranno i lavori per il G8. “Onna è diventata un simbolo – dice Vincenzo Angelone, che fa parte della Onlus – ed è giusto che qui arrivino le persone importanti. Ma dovevano mandare altri vigili e altri militari, per costruire ciò che serve a questi “eventi”. A noi i vigili servono per recuperare una foto o un maglione nelle nostre case e per rendere umana la vita in tenda”.

C’è una piccola cerimonia, alle ore 15. “Andiamo a portare una corona alla lapide dei martiri del ’44. Ieri c’è stato l’omaggio visto nelle tv di mezzo mondo, ma noi abitanti non eravamo invitati. Siamo costretti ad andare oggi, il giorno dopo l’anniversario”.

I cartelli del Comune, nelle strade che passano accanto alla tendopoli di piazza d’Armi, annunciano “Divieto di sosta con rimozione forzata” dalle ore 6 alle ore 15 di martedì per “Corteo papale”. Nunzio S., 70 anni, non sa dove portare la sua Ritmo con il lunotto rotto coperto da un telo di plastica. “L’altra notte, quando è venuta una mezza alluvione, sono venuto a dormire in macchina”.

La preparazione del piazzale della Finanza per la visita papale è già una prova di G8. Centinaia di uomini al lavoro per piazzare sbarramenti, allargare la sala stampa (500 giornalisti), organizzare la sicurezza. Per il G8 i giornalisti saranno 3.000, gli uomini della sicurezza 16.000. “Il terremoto – dice Silvio Paolucci, segretario regionale del Pd – non è un set pubblicitario.

Come si può organizzare un G8 quando in cinque mesi devi trovare casa a 50.000 persone?”. Naturalmente la sinistra è spaccata. “Berlusconi – sostiene la presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, pure lei del Pd – ha detto che il vertice mondiale sarà qui e adesso lo deve fare davvero. Lo Stato deve essere capace di organizzare questo incontro internazionale e allo stesso tempo gestire le tende alluvionate”.

All’Isola del caffè, all’inizio del centro storico, una signora legge il giornale. “Berlusconi si chiede già come “abbellire” la scuola della Finanza per il G8? Fossero questi, i problemi”. Sembra una domenica normale. Poi la signora si mette a piangere. “Venivo sempre qui, alla festa. Una pasta e un caffè. Ma poi tornavo a casa mia, non in una tenda”.

I cartelli del Comune, nelle strade che passano accanto alla tendopoli di piazza d’Armi, annunciano “Divieto di sosta con rimozione forzata” dalle ore 6 alle ore 15 di martedì per “Corteo papale”. Nunzio S., 70 anni, non sa dove portare la sua Ritmo con il lunotto rotto coperto da un telo di plastica. “L’altra notte, quando è venuta una mezza alluvione, sono venuto a dormire in macchina”.

La preparazione del piazzale della Finanza per la visita papale è già una prova di G8. Centinaia di uomini al lavoro per piazzare sbarramenti, allargare la sala stampa (500 giornalisti), organizzare la sicurezza. Per il G8 i giornalisti saranno 3.000, gli uomini della sicurezza 16.000. “Il terremoto – dice Silvio Paolucci, segretario regionale del Pd – non è un set pubblicitario.

Come si può organizzare un G8 quando in cinque mesi devi trovare casa a 50.000 persone?”. Naturalmente la sinistra è spaccata. “Berlusconi – sostiene la presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, pure lei del Pd – ha detto che il vertice mondiale sarà qui e adesso lo deve fare davvero. Lo Stato deve essere capace di organizzare questo incontro internazionale e allo stesso tempo gestire le tende alluvionate”.

All’Isola del caffè, all’inizio del centro storico, una signora legge il giornale. “Berlusconi si chiede già come “abbellire” la scuola della Finanza per il G8? Fossero questi, i problemi”. Sembra una domenica normale. Poi la signora si mette a piangere. “Venivo sempre qui, alla festa. Una pasta e un caffè. Ma poi tornavo a casa mia, non in una tenda”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Botte da orbi tra Franceschini e Di Pietro per aggiudicarsi il favore degli astensionisti di sinistra.

Il Pd seguirà “criteri di serietà. Faremo quello che fanno tutti i paesi europei: manderemo a Bruxelles soltanto persone che resteranno fino alla fine della legislatura a svolgere il loro lavoro nell’interesse del paese, non imbrogliando gli elettori per dimettersi un minuto dopo essere stati eletti”. Così Dario Franceschini, in un’intervista al Tg3, ribadisce la linea del suo partito a proposito delle candidature per le prossime elezioni europee di giugno.

Ma il segretario del Pd non si riferisce soltanto al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, capolista alle europee, ma anche al leader dell’Idv, Antonio Di Pietro: “Non mi riferisco solo a Berlusconi. Gli italiani sono stanchi di politici che dicono cose e nei comportamenti fanno l’opposto. Mi riferisco purtroppo anche a Di Pietro – osserva – che per i suoi elettori e’ diventato un simbolo di legalità e intransigenza e poi alle elezioni europee fa la stessa scelta di Berlusconi: si candida in un posto in cui non potrà stare nemmeno un minuto perché incompatibile per legge. Facendo così tradisce i suoi elettori”.

“Anche noi dell’Italia dei Valori manderemo al Parlamento europeo coloro che rimarranno fino alla fine e che svolgeranno un lavoro nell’interesse del Paese. Ma noi, a differenza del Pd, faremo di più: ci opporremo ai candidati Berlusconi e Bossi con tutte le forze perché essi, in quanto leader, sono espressione di un partito. Chi dirige il partito di vera opposizione ha il dovere di candidarsi per offrire una valida alternativa agli elettori. Lasciamo, dunque, a Franceschini e ai suoi la pilatesca scelta di ‘armiamoci e partite’ di ben altra memoria”. Così il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, risponde all’attacco del leader del Pd, Dario Franceschini. Beh, buona giornata.

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