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Se avessimo votato col proporzionale?

di Giovanni Bronzino –

L’incertezza politica in cui versa l’Italia dopo le ultime elezioni politiche è stata da più parti addebitata al fatto che per la terza volta si è votato con le regole del cosiddetto porcellum. Nonostante per anni i partiti si fossero dichiarati quasi unanimamente d’accordi sulla necessità di una nuova legge elettorale, non si è mai riusciti a trovare un accordo che soddisfacesse tutti. Anche perché da anni il vizio d’origine è che le leggi elettorali non devono essere neutre, ma costruite su misura delle esigenze di questo o quel partito.

In verità stavolta il porcellum c’entra poco. La legge elettorale di Calderoli non ha comunque smentito la sua impressionante capacità di deformare il parlamento e la volontà del popolo sovrano secondo un bislacco sistema di sbarramenti plurimi, ma ad aver destabilizzato la relativa quiete della seconda Repubblica è stato semplicemente il fatto che il MoVimento 5 Stelle abbia preso il 25,55% dei voti validi.

Ipotizziamo che la ripartizione dei seggi alla Camera dei Deputati fosse avvenuta con la vecchia legge elettorale (ex art. 77 del DPR 361/1957) in vigore fino al 1993: un democratico proporzionale con attribuzione dei resti più alti col metodo del collegio unico nazionale e lasciando immutata la quota estero e l’uninominale della Valle d’Aosta, avremmo avuto questa situazione:

Si può notare che ci saremmo ritrovati con 5 liste extraparlamentari in meno (Rivoluzione Civile, Fare, La Destra, Grande Sud-Mpa e Die Freiheitlichen), e quindi oltre un milione e mezzo di cittadini avrebbero avuto una loro legittima rappresentanza in Aula, ma ai fini della cosiddetta governabilità sarebbe cambiato poco.

Le sinistre (Pd, Sel, Rc, Cd, Svp) avrebbero avuto 209 seggi contro i 190 delle destre (Pdl, Ln, Fd’I, Fare, La Dx, Gs-Mpa, Die Freih.) e i 66 del centro (Sc, Udc). Fatichiamo a collocare i 4 deputati Vallée d’Aoste, Maie e Usei, anche se dovrebbero essere di centro.

A fare pertanto la differenza anche con questa legge elettorale sarebbero i 161 grillini. Tuttavia la prassi del proporzionale imporrebbe in questo caso al M5s l’onere e l’onore di dover formare un governo e quindi ai grillini di doversi cercare in aula gli almeno 155 deputati necessari per formare una maggioranza. Non è una cosa da poco.

Poiché il porcellum ha dato una maggioranza d’ufficio alla coalizione di Bersani, tocca a quest’ultimo rincorrere Grillo e Casaleggio e rimanere in attesa di un sì o un no come in certi film i gladiatori sconfitti guardavano alla mano dell’imperatore per capire se avrebbero visto la luce del giorno dopo. Con un proporzionale onesto invece chi gode della massima popolarità nell’elettorato avrebbe dovuto farsi subito carico di tutto il peso dell’essere il partito più votato del paese. (Beh, buona giornata).

Se avessimo votato col proporzionale oggi sarebbe Grillo a inseguire Bersani.
Se avessimo votato col proporzionale oggi sarebbe Grillo a inseguire Bersani.

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Grillo, una vecchia novit

“A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante.”

Renato Mannheimer, sulle colonne del Corsera, ha scritto: “Come si sa, il profilo dell’elettore del M5S è in larga parte diverso da quello degli altri partiti. Si tratta di cittadini in maggior misura residenti nelle regioni del Nord, tendenzialmente giovani, con titoli di studio medio-alti, più interessati alla politica, con una più intensa lettura dei giornali e, specialmente, frequentazione di internet.” E’ da qui, infatti, che deve partire ogni analisi che voglia confrontarsi col “nuovo” fenomeno Grillo.

Per comprendere come abbia potuto prendere vita un’aggregazione, che si è andata via via assemblando sui territori, ma via web, fino all’exploit delle elezioni amministrative. Ciò che appare clamoroso non è tanto l’essere riusciti a far eleggere un proprio sindaco al Comune di Parma, ma il modo in cui questo risultato è potuto maturare. Dal web, col web, attraverso il web il M5S è riuscito non solo a intercettare, ma a dare corpo e infine una concreta prospettiva politica al movimento stesso. Un esempio di simile portata, che poi si è scatenato su scala nazionale, fino alla conquista del governo, lo si era visto con le tv e l’uso che ne ha saputo fare Berlusconi. L’uno ficcato dentro il web fino al collo, l’altro sempre davanti alle telecamere, entrambi sono riusciti a capovolgere il paradigma della rappresentanza politica attraverso il consenso elettorale.

Se fino ad allora, i partiti, espressione di ceti economici e sociali esprimevano i loro leader, con Berlusconi prima e Grillo poi si è verificato plasticamente il contrario: è il carisma del leader che intercetta gli umori di un parco consensi disponibili e su questo dà vita all’organizzazione, usando a piene mani non l’analisi politica, neppure la leva programmatica, ma direttamente gli strumenti di comunicazione con le masse, la tv e poi, appunto il web.

La strategia mediatica è tutta tattica. Berlusconi, infatti ha usato una gamba sola, la tv e il clamore mediatico delle sue manifestazioni carismatiche, e a un certo puntosi è azzoppato. Grillo, accorgendosi che un’anatra zoppa partecipa, ma non vince, a un certo punto si è scaraventato fuori dal web e ha incominciato a essere pressantemente presente sui giornali e citato con ossessione dalle tv.

E in questo, ha molto imparato da Berlusconi: spararla grossa, perché così tutti ne parlino a lungo. E’ successo, consapevolmente con la storia della mafia che “non strangola”, è successo con la storia del terrorismo che vorrebbe fermare il M5S. Berlusconi aveva scelto una precisa collocazione di destra. Grillo si colloca in una presunta terra di nessuno.

Saranno le scelte di governo delle città a tracciare il perimetro delle scelte concrete di M5S. Ma questo è un terreno squisitamente politico. Non ci si arriva con le sole astuzie della comunicazione di massa. Un conto è il potere, altro conto è un blog. Su questo terreno il marketing da solo non basta. (Beh, buona giornata).

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democrazia Popoli e politiche

Putin al potere altri 12 anni?

di Mark Franchetti* -lastampa.it

Pochi in Russia si sono sorpresi quando il primo ministro russo Vladimir Putin ha annunciato che alle elezioni di marzo intende tornare alla presidenza, una mossa che potrebbe vederlo al Cremlino fino al 2024, facendo di lui il leader con più anni al potere dai tempi di Iosif Stalin. I tempi dell’annuncio hanno colto in contropiede perfino i suoi più stretti collaboratori ma da quando Putin si è dimesso quattro anni fa e ha lasciato il suo posto al Cremlino al suo pupillo Dmitry Medvedev, tutti in Russia hanno capito due cose: che anche da premier Putin continuava a essere il vero detentore del potere e che aveva tutte le intenzioni di essere di nuovo Presidente. Fin qui tutto come previsto. Ma la reazione al trionfale «ritorno» di Putin è invece stata in qualche modo inaspettata. Le migliaia di delegati del partito pro Cremlino presenti al congresso in cui Putin ha dato l’annuncio – e che hanno assistito all’harakiri politico in diretta di Medvedev – sono scoppiati in un fragoroso applauso. La televisione di Stato russa, ovviamente, si è profusa in lodi servili. È poi anche vero che Putin – nonostante la mancanza di democrazia in Russia – è ancora genuinamente popolare tra milioni di elettori. Eppure l’umore del Paese di fronte alla prospettiva di altri 12 anni di Putin sta rivelandosi sorprendentemente pessimista. Quasi il quaranta per cento degli intervistati di un sondaggio ufficiale ha detto di essere scontento della vita in Russia e sarebbe addirittura pronto a scendere in piazza per protestare – la cifra più alta da quando Putin è salito al potere dodici anni fa. Il suo attuale tasso di popolarità, secondo Vstiom, uno dei principali istituti di sondaggio del Paese, è poco più del 40%, dimezzato rispetto al suo picco nel 2008 e il più basso da quando è diventato Presidente per la prima volta. Gli studi mostrano anche che tra i russi comuni la tolleranza per l’endemica corruzione del Paese e gli abusi di potere dei funzionari è al punto di rottura. Un altro stimato istituto di sondaggi ha avvertito che i russi credono sempre meno alle elezioni e non sono scontenti del fatto che in pratica sia il Cremlino, piuttosto che l’elettorato, a scegliere chi governa il Paese.

E, in quella che alcuni stanno già definendo la fuga dei cervelli, secondo gli ultimi sondaggi almeno il 40% dei russi di età compresa tra i 18 e i 24 anni vorrebbe emigrare. Ripeto, milioni di russi saranno felici di votare per Putin, ma qualcosa sta cambiando. La scorsa settimana un’immagine ritoccata del premier ha fatto il giro della rete russa – mostrandolo vecchio e decrepito, sovrapposto a un ritratto di Leonid Breznev, il leader sovietico il cui regno durò 18 anni, fino alla morte, e che è generalmente associato a un periodo di profonda stagnazione. Quelli che non appoggiano il ritorno di Putin sentono che ha perso un’occasione unica per passare alla storia come un grande statista che, riportata la stabilità in Russia, ha passato il testimone a un leader più giovane, moderno e illuminato. I membri delle élite liberali si ritengono traditi da Medvedev, che nel corso degli ultimi due anni li ha indotti a credere che si sarebbe candidato a un secondo mandato. Spiegando la sua decisione di non farlo, il Presidente russo ha detto che Putin era più popolare di lui. Di fronte ai crescenti problemi economici aggravati dalla prospettiva di una seconda crisi finanziaria globale, pare che il Cremlino sia molto allarmato per la potenziale minaccia di disordini sociali. «Non c’è dubbio che la squadra di Putin sia preoccupata per l’aumento del malcontento popolare», ha detto un ex assistente del prossimo Presidente della Russia. «Come ogni sistema autoritario è estremamente suscettibile agli sbalzi d’umore tra la popolazione, soprattutto quando quasi la metà si dice pronta a scendere in piazza. Una dimostrazione di decine di migliaia basterebbe per spaventare chi è al potere. Il pericolo è che Putin, non appena tornato al Cremlino, faccia alcune concessioni, ma allo stesso tempo dia un ulteriore giro di vite, per esempio cercando di limitare le critiche su Internet».

In netto contrasto con la televisione di Stato, il Web in Russia è libero e vitale. Blogger e giornalisti criticano Putin di continuo e scrivono apertamente della corruzione tra le élite. Utente appassionato di Internet e Twitter che lascia raramente il suo ufficio senza il suo i-Pad, il Presidente Medvedev è stato visto da molti come un garante della libertà del Web russo. I liberali temono che Putin, che utilizza di rado Internet, preferisce scrivere a mano ed è considerato molto meno liberale del suo protetto, cerchi di reprimere il Web per frenarne il crescente impatto che sta avendo sulla società russa. Una fonte che gode di buoni contatti al Cremlino sostiene che l’arresto e il processo a Hosni Mubarak hanno molto impressionato Putin e hanno influenzato la sua decisione di ritornare Presidente. «L’ho personalmente sentito imprecare contro i traditori che hanno rovesciato Mubarak – dice la fonte -. Gli eventi della Primavera araba hanno solo rafforzato il suo istinto a non fidarsi di nessuno, nemmeno di Medvedev». Il governo Putin ha aumentato in modo significativo le pensioni e la spesa sociale nel tentativo di smorzare le critiche e migliorare le condizioni di vita. Ma la stabilità economica del Paese è fortemente dipendente dagli alti prezzi del petrolio. Negli ultimi dieci anni poco o niente è stato fatto per modernizzare le infrastrutture fatiscenti della Russia e diversificarne l’economia. Una caduta dei prezzi del petrolio comporterebbe per la Russia l’impossibilità di far quadrare il suo bilancio. La disoccupazione e l’inflazione sono destinate a salire e questo alimenterà il malcontento. Oligarchi come Mikhail Prokhorov, il terzo uomo più ricco della Russia, e personaggi di spicco come Anatoly Chubais, l’architetto delle riforme economiche liberali nel 1990, ed ex della squadra del Cremlino ai tempi di Boris Eltsin, hanno parlato di un futuro tenebroso e del rischio di terremoti tra le forze politiche. La questione principale tra i cremlinologi è come sarà Putin durante il prossimo mandato da Presidente – il Putin che è stato finora o, come alcuni credono e vogliono sperano, un nuovo leader illuminato che sorprenderà anche i suoi critici. Il portavoce di Putin che lavora con il leader russo da dodici anni, la settimana scorsa ha sorpreso molti rilasciando una rara intervista a un canale tv indipendente su Internet, parlando con insolita franchezza.

Dmitry Peskov innanzitutto ha ammesso che, almeno tra le élite privilegiate di Mosca, il ritorno di Putin raccoglie molte critiche: «Dobbiamo spiegarci meglio», ha detto. Quindi, con un’inattesa confessione, Peskov ha confermato che un recente filmato assai ridicolizzato, in cui Putin, indossata una muta, si tuffava in un sito archeologico marino e ne riemergeva dopo qualche minuto tenendo trionfalmente in mano due antichi vasi greci recuperati dopo migliaia di anni a una profondità di soli due metri e perfettamente puliti – era effettivamente una messa in scena – anche se la televisione di Stato l’aveva pedissequamente riportato come una vera scoperta. Un segnale della nuova Russia di Putin? Forse, o forse no. Solo il tempo lo dirà. Per ora il momento di sincerità ha solo confermato che in Russia le cose non sono sempre esattamente quello che sembrano. (Beh, giornata).

*corrispondente da Mosca del Sunday Times di Londra traduzione di Carla Reschia

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Attualità democrazia Leggi e diritto

PierFerdi Casini fa come Forrest Gump. Ma non si ricorda che “stupido è chi lo stupido fa”.

Casini: “Stupida la Trani-opposizione”. Santoro: “In Usa sarebbe Watergate”-blitzquotidiano.il

Pierferdinando Casini, leader dell’Udc, dice che: “Ci sono stupidi all’opposizione”. Non tutti, ma troppi. “Stupidi” quelli che si esaltano e si eccitano per l’inchiesta di Trani, “stupidi” perché non vedono che così offrono a Berlusconi una campagna elettorale che prima non aveva. “Stupidi” con l’aggravante della recidiva perché è più o meno da venti anni che va così: Berlusconi fa la vittima, la sua gente si innervosisce e mobilita e lui raccoglie voti con il secchio e la pala.

Ha ragione Casini, c’è uno “stupido eterno” in campagna elettorale ed abita all’opposizione? Indizi a favore della tesi di Casini ci sono. Due cortei sabato 20 a Roma, obiettivo Piazza San Giovanni e titolo già scritto: “Un milione con Berlusconi”. Ci saranno tutti i ministri e perfino carri allegorici. La Russa la chiama la “Festa della democrazia”. Democrazia da difendere dai “comunisti e dai pubblici ministeri”. Democrazia va ripetendo tre volte al giorno sempre uguale in ogni Tg Berlusconi in persona. Con alle spalle il simbolo elettorale del Pdl il premier annuncia e ripete: “Non vogliono farci parlare dei nostri successi…Vogliono impedirci di votare…Vogliono spiarci al telefono…Un piano ben congegnato…”.

E’ una trama, una sinfonia di campagna elettorale che prima di Trani Berlusconi non aveva. Prima la musica era: tangenti in Lombardia, una, due, dieci volte. E tangenti alla Protezione civile. E Pdl che impiccia e pasticcia con le sue liste. E Tremonti che non ha una lira per abbassare le tasse. E disoccupati che crescono e avanzano. Crescono e avanzano anche i ricchi ma questo in campagna elettorale meglio non dirlo.

Dopo Trani Berlusconi può provare a scuotere i suoi alla riscossa. Dopo Trani può raccontare che ogni volta che si vota i magistrati d’accordo con la sinistra lo accusano e indagano: il complotto. Complotto che se c’è, deve essere davvero “stupido”, infatti accuse, incriminazioni e processi non sono mai costati a Berlusconi neanche un voto. Se il complotto lo fanno per motivi politici ed elettorali devono davvero essere stupidi come zucchine.

Ma non è “stupida”, anzi è drammaticamente banale l’osservazione di Michele Santoro: “In America sarebbe stato Watergate”. In America fu Watergate e cioè dimissioni di un presidente perché quel presidente aveva dato incarico e preteso che pubblici ufficiali controllassero e condizionassero i luoghi e le mosse dell’avversario politico.

Quando si seppe il presidente non poté resistere al suo posto per democratica legge e popolare volontà. In Italia il presidente rivendica la sua fatica e il suo affanno per chiudere trasmissioni televisive, trova naturale e legittimo ordinare e pretendere che sia fatto. Trova disdicevole solo essere ascoltato mentre lo fa. In America sarebbe Watergate e non è “stupido” dirlo e pensarlo. Forse è “stupido” pensare che l’Italia sia l’America o possa mai esserlo. Ma, se così è, è “stupida” l’opposizione e “furbo” il paese?

“Stupida” o meglio stupefacente è la circostanza per cui sembrano elezioni Berlusconi contro Santoro. Sciocchi se non proprio “stupidi” sono argomenti pur di successo in campagna elettorale come quello di Gasparri: “L’inchiesta di Trani serviva a bilanciare lo scandalo della sinistra in Puglia sulla Sanità”. E’ arrivata infatti anche questa: l’arresto per tangenti dell’ex vice di Vendola, del Pd Frisullo. Che magistrati sono questi che arrestano uno di sinistra sotto elezioni? Magistrati “stupidi” che non sanno quello che fanno visto che la sera prima il premier aveva smascherato il piano nazionale della magistratura contro la destra?

Il premier ci dice che saremmo “stupidi” a non vedere il suo meraviglioso ed efficace governo e la odiosa malignità della sinistra e dei pubblici ministeri. L’opposizione ci invita a non commettere la “stupidità” di considerare normale la Rai zittita, il premier che chiama i Carabinieri contro Santoro, l’economia che langue. Instupiditi più che stupidi andiamo tutti verso l’appuntamento elettorale. (Beh, buona giornata).

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Adesso è chiaro perché Berlusconi ha gestito in modo arrogante lo scandalo liste nel Lazio: sapeva che Polverini era comunque perdente. Ma così facendo ha solo peggiorato le cose.

Regionali Lazio, sondaggio Ipsos. Bonino vince anche a “liste pari”: 50 a 48%-blitzquotidiano.it

Emma Bonino è in vantaggio su Renata Polverini nella corsa alla presidenza della Regione Lazio: la candidata del centrosinistra è infatti davanti alla sua rivale appoggiata dal centrodestra nel sondaggio sulle previsioni di voto effettuato dall’istituto Ipsos. Il dato interessante è che, stando al sondaggio, la Bonino vincerà sia se la lista del Pdl di Roma e provincia rimarrà esclusa, sia se la stessa lista dovesse essere riammessa: nel primo caso il gradimento della Bonino si attesta al 52% contro il 47% della Polverini; nel secondo caso, la Bonino dovrebbe ottenere il 50,5% delle preferenze contro il 48,5% della rivale.

In caso di esclusione della lista del Pdl, i partiti che otterrebbero maggiori vantaggi sono ovviamente gli altri che appoggiano la Polverini: la Lista Renata Polverini passerebbe dal 4,8 al 16%, La Destra di Storace andrebbe dal 2,5 al 4,2%, l’Udc dal 4,5 al 7,5%. Molti elettori del centrodestra probabilmente non andrebbero a votare o si troverebbero in difficoltà: il numero degli elettori che rimarrebbero a casa, sommato a quello degli incerti, salirebbe dal 41,6% a 47,2%.

Un altro dato può aiutare a fornire una spiegazione a questo fenomeno: il 45% degli elettori del Pdl sono fermamente convinti che “la legge è uguale per tutti” e che “se ci sono irregolarità le liste devono essere escluse”. Dunque il “pasticcio” del Lazio potrebbe aver “deluso” molti sostenitori pidiellini.

Nel centrosinistra, la Bonino si dimostra una candidata più “forte” della coalizione che sostiene: infatti in una competizione con la lista pdl i partiti a sostegno della Bonino otterrebbero il 49,6% (rispetto al 50,5% dell’esponente radicale). Se il Pdl rimanesse fuori, i partiti di centrosinistra otterrebbero il 51,6%, rispetto al 52% del candidato a governatore.

In base ai risultati del sondaggio Emma Bonino si presenta come un candidato molto competitivo: una possibile spiegazione potrebbe essere la capacità del leader dei radicali di “racimolare” i voti degli “scontenti” della sinistra. Ma leggendo i dati dello studio Ipsos si scopre invece che la Bonino è molto apprezzata negli ambienti cattolici: tra i “praticanti assidui” il 37% voterebbe per la Bonino, mentre la Polverini (appoggiata anche dall’Udc) non andrebbe oltre il 30% di gradimento.

Per quanto riguarda i temi più cari agli elettori, al primo posto si piazza il lavoro, prioritario per il 53% del campione preso in esame. Segue col 22% la sanità. E proprio sulla sanità, gli elettori “premiano” la Bonino: il candidato del centrosinistra è ritenuto più preparato in materia dal 28% degli elettori, contro il 18% che ritiene più competente la Polverini. Tuttavia il 62% dei laziali pensa che di questo tema si sia parlato troppo poco in campagna elettorale: la pensa così il 70% degli elettori della Bonino e il 53% di chi voterà la Polverini.

Infine, il sondaggio ha esaminato il giudizio degli elettori sull’operato dell’amministrazione in carica: il 46% è soddisfatto, il 45% no. Sono soddisfatti il 55% degli elettori del centrosinistra (la coalizione che governa attualmente la regione), ma la percentuale sale al 69 tra gli elettori del Pd. Invece tra gli elettori del Pdl “solo” il 35% giudica positivamente il lavoro svolto dall’attuale giunta: la percentuale “vola” però al 49% se si considerano gli elettori di tutti i partiti a sostegno della Polverini. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Dopo le elezioni, Berlusconi è un’anatra zoppa.

Il Cavaliere in frenata di MASSIMO GIANNINI-Repubblica.

L’Italia monocolore può attendere. L’Italia azzurra dalle Alpi alla Sicilia per ora esiste solo nei sogni del presidente del Consiglio. Le elezioni amministrative ci consegnano un Paese palesemente spostato a destra, ma non irrimediabilmente votato al berlusconismo. Da questo voto esce, ancora una volta, un’Italia divisa, frammentata e spaccata in due metà. Il Pdl cresce sul territorio ma non sfonda. Il sogno plebiscitario di Berlusconi svanisce nelle trame oscure della sua personale “Velinopoli”. L’onda alta e lunga del berlusconismo si infrange sugli scogli di Casoria e sulle spiagge di Bari. Il Cavaliere ha dichiarato vittoria, ma subito dopo è tornato a parlare della sua vera ossessione – che gli ha fatto perdere voti – ripetendo le accuse di “attacchi eversivi” a Repubblica.

C’è un dato quantitativo, che conferma il mancato sfondamento. E qui il giudizio non può prescindere dai dati di partenza, che erano già di per sé eccezionali. Il centrosinistra si presentava a queste amministrative forte del risultato clamoroso e irripetibile del 2004: aveva vinto 51 province e 26 comuni capoluogo, contro le 9 e 6 rispettivamente conquistate dal centrodestra. Cinque anni dopo, il 6 giugno scorso il centrodestra aveva avviato una promettente rimonta, vincendo il primo turno e battendo il centrosinistra 26 a 14 nelle province e 9 a 5 nei comuni capoluogo.

Quindici giorni dopo, il centrosinistra re-inverte la tendenza, vincendo i ballottaggi e superando il centrodestra 15 a 7 nelle province e 12 a 4 nei comuni. Il quadro complessivo di questo voto locale, dunque, ci consegna un sostanziale pareggio: la maggioranza in carica prevale in 33 province e in 13 comuni, mentre l’opposizione mantiene 29 province e 17 comuni capoluogo. Non proprio un Paese governato ovunque dal monocolore azzurro, insomma. Piuttosto, e ancora una volta, un Paese trasversalmente tagliato a metà, e fortemente polarizzato tra due schieramenti “anelastici”, che scambiano flussi nel perimetro interno senza mai valicare quello esterno.

Ma c’è anche un dato qualitativo, che non può essere sottovalutato. Province e comuni capoluogo non si possono solo contare: vanno anche “pesati”. Anche da questo punto di vista, benché il Pdl abbia strappato al Pd la provincia di Milano e di Venezia, non si può parlare di “marcia trionfale” del centrodestra. Al Nord il Pd perde terreno, ma mantiene qualche presidio importante: Padova tra i comuni, ma poi anche Torino, Alessandria, Belluno e Rovigo tra le province. Al Centro il Pdl espugna Ascoli e Prato dopo 63 anni, ma nell’insieme la ex “zona rossa” della dorsale appenninica, tra comuni e province, resta saldamente in mano al Pd: da Firenze a Ferrara, da Bologna a Forlì, da Rimini a Parma, da Rieti a Fermo. La stessa cosa vale per il Sud, dove il Pdl conquista Lecce, ma il Pd si riconferma da Bari a Brindisi, da Crotone a Cosenza. Detto altrimenti: al Popolo delle Libertà non riescono più i clamorosi cappotti alla siciliana di qualche tempo fa, mentre al Partito democratico, almeno per ora, sembra evitato lo spettro di vedersi immiserito a quella “Lega dell’Appennino” più volte preconizzata da Tremonti.

Certo, in questo esito ha giocato un ruolo fondamentale l’astensionismo, che si è rivelato la vera novità di una velenosa e accidiosa stagione elettorale italiana. Un astensionismo che prima di tutto ha finito di uccidere il referendum sulla legge elettorale, con il tasso di partecipazione più basso della storia repubblicana, frutto delle troppe strumentalizzazioni cui i quesiti sono stati sottoposti, oltre che della consueta, abusata distorsione dello strumento referendario compiuto in questi decenni. E poi ha condizionato fortemente anche il voto amministrativo: quanti leghisti se ne saranno andati al mare, preferendo l’affondamento del referendum contro la porcata di Calderoli al sostegno del candidato dell’alleanza di centrodestra? Sta di fatto che l’ennesimo fallimento della consultazione popolare impone un ripensamento dell’istituto: se vogliamo salvare questa importante forma di democrazia diretta, piuttosto, eliminiamo il quorum ed alziamo di molto la soglia della raccolta delle firme. Ma di questo ci sarà tempo e modo per discutere. Sul piano politico, questo ciclo di voto si presta ad almeno due considerazioni di fondo.

La prima riguarda la maggioranza. O meglio, il premier. Sembra incredibile, a poco più di un anno dal trionfo del 13 aprile 2008, che aveva consacrato il Cavaliere come uno “statista” baciato dal consenso e aveva cementato una maggioranza con numeri “bulgari” in Parlamento. Eppure è accaduto: la metamorfosi si è compiuta. Il cigno è già un’anatra zoppa. Vulnerata dalla sua stessa, tragica esondazione egotistica, prima ancora che dalla sua drammatica inazione politica. La sovrapposizione delle europee e delle amministrative fotografa la vera novità della fase: l’insuccesso, l’appannamento, la crisi del Cavaliere. Sancita dalle preferenze, che si fermano a quota 2 milioni e 700 mila con la somma dei voti dei due ex partiti (Forza Italia ed An) mentre raggiunsero quota 2 milioni e 900 mila nel 1994 e nel 1999, quando a votarlo era solo il suo partito personale.

Palesata dai consensi a livello locale, e soprattutto a Bari, che per ovvi motivi (l’inchiesta sulle feste nelle dimore berlusconiane) era diventato un test pilota, quasi un referendum. Ebbene, tutto dimostra quanto era già evidente da tempo, e quanto solo i vacui replicanti del premier si ostinavano a non vedere: il torbido terremoto a sfondo sessuale che fa vacillare le mura di Villa Certosa e di Palazzo Grazioli ha un contenuto politico incancellabile, e un impatto sociale innegabile. A destra lo hanno ammesso persino antichi sodali dell’uomo di Arcore, come Marcello Dell’Utri, e lucidi intellettuali vicini al presidente della camera Fini, come Alessandro Campi. Solo i ventriloqui del Re Travicello come Bondi, Cicchitto o Gasparri si ostinano a negare questa evidenza.

La seconda considerazione riguarda l’opposizione. O meglio, il Pd. Il risultato in Puglia, e nelle altre zone dove è stato possibile l’accordo con l’Udc, dimostra che il dialogo con il centro di Casini è forse l’unica via per tentare una riapertura del gioco politico. Per provare a scongelare i due blocchi contrapposti, in una ricomposizione difficile ma forse non impossibile. Nei ballottaggi l’Udc ha adottato la politica dei due forni: in 7 province si è alleato con il centrosinistra, in 10 con il centrodestra. La stessa cosa ha fatto nei comuni, firmando un’alleanza con la sinistra in 3 casi, e con la destra in 7. L’epilogo di questo opportunismo neo-democristiano di Casini dimostra che, dove è stato possibile, l’alleanza con la sinistra ha premiato. E avrebbe premiato persino a Milano, se fosse andato in porto l’accordo per sostenere Penati. Anche questo, in vista del congresso di ottobre che a questo punto non sarà un funerale, impone una seria riflessione, che può utilmente incrociare anche un ragionamento sulla riforma della legge elettorale: in queste condizioni un ritorno sul modello tedesco, proporzionale con la soglia di sbarramento, potrebbe essere una soluzione da valutare, vista anche la disponibilità teorica della Lega.

L’Italia che esce dal voto non è bipartitica, ma resta bipolare. Anche di questo occorrerà tener conto, per definire il profilo di un’opposizione che, mai come ora, ha il dovere di riprofilarsi e di ripresentarsi al Paese come un’alternativa seria, vera, credibile. Di fronte al “complottismo” e alle “teorie cospiratorie” che lui stesso alimenta, il Cavaliere tradisce uno “stile paranoico” (raccontato a suo tempo da Richard Hofstadter) che non promette nulla di buono. Le “scosse” al governo e alla maggioranza sono arrivate. Non c’entravano le spallate giudiziarie. C’entra la politica. E per lui è persino peggio. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Pd, ultima fermata. Parola di Romano Prodi.

di Romano Prodi-Il Messaggero
Due sono le lezioni che arrivano ai partiti di centrosinistra dalle recenti elezioni: una lezione per l’Europa ed una per l’Italia. Riguardo all’Europa la batosta complessiva dei socialisti è stata troppo ampia e diffusa per non obbligare a ripensare al semplice interrogativo se essi siano in grado di fare avanzare da soli il complesso compito del riformismo europeo.

I dubbi nascono anche dal fatto che questa diffusa disfatta avviene in un momento di grave crisi economica con profondi disagi concentrati soprattutto nelle categorie tradizionalmente rappresentate dagli stessi partiti socialisti, a partire dai lavoratori di più basso livello e dai precari.

Qualche anno fa l’idea di pensare ad una nuova alleanza fra i progressisti (chiamata forse troppo pomposamente ulivo mondiale) era stata scartata come una proposta fuori dalla storia. Ho paura che quest’idea nella storia ci debba ritornare, almeno per aiutare a rielaborare le proposte che i diversi partiti socialisti hanno presentato ai loro elettori. E ci debba ritornare con una forte e coraggiosa politica europea. Abbiamo infatti assistito ad elezioni europee nelle quali le tesi degli euroscettici erano chiarissime, mentre le voci dei filo-europei erano flebili e non si concretizzavano in proposte precise.

La lezione per il centrosinistra italiano è altrettanto chiara, anche se maggiormente scontata in quanto i danni della frammentazione si erano già resi evidenti nelle precedenti contese elettorali.

Per il Partito Democratico in particolare il risultato, soprattutto mettendolo a confronto con le cattive previsioni e con il relativo flop del Pdl,è stato abbastanza buono da garantire la durata del partito stesso. Ma è stato abbastanza cattivo per obbligare a quel grande dibattito ideologico e programmatico di cui un nuovo partito ha assolutamente bisogno. E che è finora mancato. Insomma la lezione europea e la lezione italiana si intrecciano fra di loro e rendono necessario un rinnovamento radicale. /Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Società e costume

L’intervista all’ex fidanzato della fanciulla che chiama papi il premier: un colpo durissimo al consenso in vista delle elezioni.

Parla Gino, l’ex fidanzato della ragazza di Portici. La prima telefonata del Cavaliere: “Sono colpito dal tuo viso angelico”. “Così papi Berlusconi entrò nella vita di Noemi” di GIUSEPPE D’AVANZO e CONCHITA SANNINO-la Repubblica

NAPOLI – Il 14 maggio Repubblica ha rivolto al presidente del consiglio dieci domande che apparivano necessarie dinanzi alle incoerenze di un “caso politico”. Veronica Lario, infatti, ha proposto all’opinione pubblica e alle élites dirigenti del Paese due affermazioni e una domanda che hanno rimosso dal discreto perimetro privato un “affare di famiglia” per farne “affare pubblico”. Le due, allarmanti certezze della moglie del premier – lo ricordiamo – descrivono i comportamenti del presidente del Consiglio: “Mio marito frequenta minorenni”; “Mio marito non sta bene”.

Al contrario, la domanda posta dalla signora Lario – se ne può convenire – è crudamente politica e mostra le pratiche del “potere” di Silvio Berlusconi, pericolosamente degradate quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate “veline” senza altro merito che un bell’aspetto e l’amicizia con il premier, legami nati non si sa quando, non si sa come. “Ciarpame politico” dice la moglie del premier.
Silvio Berlusconi non ha ritenuto di rispondere ad alcuna delle domande di Repubblica.

E, dopo dieci giorni, Repubblica prova qui a offrire qualche traccia e testimonianza per risolvere almeno alcuni dei quesiti proposti. Per farlo bisogna raggiungere Napoli, una piccola fabbrica di corso San Giovanni e poi un appartamento, allegramente affollato di amici, nel popolare quartiere del Vasto a ridosso dei grattacieli del Centro Direzionale. Sono i luoghi di vita e di lavoro di Gino Flaminio.

Gino, 22 anni, operaio, una passione per la kickboxing, è stato per sedici mesi (dal 28 agosto del 2007 al 10 gennaio del 2009) l'”amore” di Noemi Letizia, la minorenne di cui il premier ha voluto festeggiare il diciottesimo anno in un ristorante di Casoria, il 26 aprile. Gino e Noemi si sono divisi, per quel breve, intenso, felice periodo le ore, i sogni, il fiato, le promesse. “Quando non dormivo da lei a Portici – è capitato una ventina di volte – o quando lei non dormiva qui da me, il sabato che non lavoravo mi tiravo su alle sei del mattino per portarle la colazione a letto; poi l’accompagnavo a scuola e ci tornavo poi per riportarla indietro con la mia Yamaha. Lei qualche volta veniva a prendermi in fabbrica, la sera, quando poteva”.

Gino Flaminio è in grado di dire quando e come Silvio Berlusconi è entrato nella vita di Noemi. Come quel “miracolo” (così Gino definisce l’inatteso irrompere del premier) ha cambiato – di Noemi – la vita, i desideri, le ambizioni e più tangibilmente anche il corpo, il volto, le labbra, gli zigomi; in una parola, dice Gino, “i valori”. Il ragazzo può raccontare come quell’ospite inaspettato dal nome così importante che faceva paura anche soltanto a pronunciarlo nel piccolo mondo di gente che duramente si fatica la giornata e un piatto caldo, ha deviato anche la sua di vita. Quieto come chi si è ormai pacificato con quanto è avvenuto, Gino ricorda: “Mi è stato quasi subito chiaro che tra me e la mia memi non poteva andare avanti. Era come pretendere che Britney Spears stesse con il macellaio giù all’angolo…”.

È utile ricordare, a questo punto, che il primo degli enigmi del “caso politico” è proprio questo: come Berlusconi ha conosciuto Noemi, la sua famiglia, il padre Benedetto “Elio” Letizia, la madre Anna Palumbo?
A Berlusconi è capitato di essere inequivocabile con la Stampa (4 maggio): “Io sono amico del padre, punto e basta. Lo giuro!”. Con France2 (6 maggio), il capo del governo è stato ancora più definitivo. Ricordando l’antica amicizia di natura politica con il padre Elio, Berlusconi chiarisce: “Ho avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori. Questo è tutto”.

Un affetto che il presidente del consiglio ha ripetuto ancor più recentemente quando ha presentato Noemi “in società”, per così dire, durante la cena che il governo ha offerto alle “grandi firme” del made in Italy a Villa Madama, il 19 novembre 2008: “È la figlia di miei cari amici di Napoli, è qui a Roma per uno stage” (Repubblica, 21 maggio). All’antico vincolo politico, accenna anche la madre di Noemi, Anna: “[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista”.

Berlusconi, qualche giorno dopo (e prima di essere smentito da Bobo Craxi), conferma. “[Elio] lo conosco da anni, è un vecchio socialista ed era l’autista di Craxi”. (Ansa, 29 aprile, ore 16,34). Più evasiva Noemi: “[Di come è nato il contatto familiare] non ricordo i particolari, queste cose ai miei genitori non le ho chieste”. (Repubblica, 29 aprile). Decisamente inafferrabile e chiuso come un riccio, il padre Elio (ha rifiutato di prendere visione di quest’ultima ricostruzione di Repubblica). Chiedono a Letizia: ci spiega come ha conosciuto Berlusconi? “Non ho alcuna intenzione di farlo” (Oggi, 13 maggio).

Gino ascolta questa noiosa tiritera con un sorriso storto sulle labbra, che non si sa se definire avvilito o sardonico. C’è un attimo di silenzio nella stanza al Vasto, un silenzio lungo, pesante come d’ovatta, rispettato dagli amici che gli stanno accanto; dalla sorella Arianna; dal padre Antonio; dalla madre Anna. È un silenzio che si fa opprimente in quella cucina, fino a un attimo prima rumorosa di risate e grida. La madre, Anna, si incarica di spezzarlo: “Quando un giorno Gino tornò a casa e mi disse che Noemi aveva conosciuto Berlusconi, lo presi in giro, non volli chiedergli nemmeno perché e per come. Mi sembrava ridicolo. Berlusconi dalle nostre parti? E che ci faceva, Berlusconi qui? Ripetevo a Gino: Berlusconi, Berlusconi! (gonfia le guance con sarcasmo). Un po’ ne ridevo, mi sembrava una buffonata di ragazzi”.

Gino la guarda, l’ascolta paziente e finalmente si decide a raccontare:
“I genitori di Noemi non c’entrano niente. Il legame era proprio con lei. È nato tra Berlusconi e Noemi. Mai Noemi mi ha detto che lui, papi Silvio parlava di politica con suo padre, Elio. Non mi risulta proprio. Mai, assolutamente. Vi dico come è cominciata questa storia e dovete sapere che almeno per l’inizio – perché poi quattro, cinque volte ho ascoltato anch’io le telefonate – vi dirò quel che mi ha raccontato Noemi. Il rapporto tra Noemi e il presidente comincia più o meno intorno all’ottobre 2008. Noemi mi ha raccontato di aver fatto alcune foto per un “book” di moda. Lo aveva consegnato a un’agenzia romana, importante – no, il nome non me lo ricordo – di quelle che fanno lavorare le modelle, le ballerine, insomma le agenzie a cui si devono rivolgere le ragazze che vogliono fare spettacolo. Noemi mi dice che, in quell’agenzia di Roma, va Emilio Fede e si porta via questi “book”, mica soltanto quello di Noemi. Non lo so, forse gli servono per i casting delle meteorine. Il fatto è – ripeto, è quello che mi dice Noemi – che, proprio quel giorno, Emilio Fede è a pranzo o a cena – non me lo ricordo – da Berlusconi. Finisce che Fede dimentica quelle foto sul tavolo del presidente. È così che Berlusconi chiama Noemi. Quattro, cinque mesi dopo che il “book” era nelle mani dell’agenzia, dice Noemi. È stato un miracolo, dico sempre. Dunque, dice Noemi che Berlusconi la chiama al telefono. Proprio lui, direttamente. Nessuna segretaria. Nessun centralino. Lui, direttamente. Era pomeriggio, le cinque o le sei del pomeriggio, Noemi stava studiando. Berlusconi le dice che ha visto le foto; le dice che è stato colpito dal suo “viso angelico”, dalla sua “purezza”; le dice che deve conservarsi così com’è, “pura”. Questa fu la prima telefonata, io non c’ero e vi sto dicendo quel che poi mi riferì Noemi, ma le credo. Le cose andarono così perché in altre occasioni io c’ero e Noemi, così per gioco o per convincermi che davvero parlava con Berlusconi, m’allungava il cellulare all’orecchio e anch’io sentii dalla sua voce quella cosa della “purezza”, della “faccia d’angelo”. E poi, una volta, ha aggiunto un’altra cosa del tipo: “Sei una ragazza divina”. Berlusconi, all’inizio, non ha detto a Noemi chi era. In quella prima telefonata, le ha fatto tante domande: quanti anni hai, cosa ti piacerebbe fare, che cosa fanno tua madre e tuo padre? Studi? Che scuola fai? Una lunga telefonata. Ma normale, tranquilla. E poi, quando Noemi si è decisa a chiedergli: “Scusi, ma con tutte queste domande, lei chi è?”, lui prima le ha risposto: “Se te lo dico, non ci credi”. E poi: “Ma non si sente chi sono?”. Quando Noemi me lo raccontò, vi dico la verità, io non ci credevo. Poi, quando ho sentito le altre telefonate e ho potuto ascoltare la sua voce, proprio la sua, di Berlusconi, come potevo non crederci? Noemi mi diceva che era sempre il presidente a chiamarla. Poi, non so se chiamava anche di suo, non me lo diceva e io non lo so. Lei al telefono lo chiamava papi tranquillamente. Anche davanti a me. Magari stavamo insieme, Noemi rispondeva, diceva papi e io capivo che si trattava del presidente. Quando ho assistito ad alcune telefonate tra Berlusconi e Noemi, ho pensato che fosse un rapporto come tra padre e figlia. Una sera, Emilio Fede e Berlusconi – insieme – hanno chiamato Noemi. Lo so perché ero accanto a lei, in auto. Ora non saprei dire perché il presidente le ha passato Emilio Fede, non lo so. Pensai che Fede dovesse preparare dei “provini” per le meteorine, quelle robe lì”. (Ieri, a tarda sera, durante Studio Aperto, Fede ha affermato di aver conosciuto la nonna di Noemi. Repubblica ha chiesto a Gino se, in qualche occasione, Noemi avesse fatto cenno a questa circostanza. “Mai, assolutamente”, è stata la risposta del ragazzo).

“Comunque, quella sera, sentii prima la voce del presidente e poi quella di Emilio Fede – continua Gino – Non voglio essere frainteso o creare confusione in questa tarantella, da cui voglio star lontano. Nelle telefonate che ho sentito io, Berlusconi aveva con Noemi un atteggiamento paterno. Le chiedeva come era andata a scuola, se studiava con impegno, questa roba qui. Io però ho cominciato a fuggire da questa situazione. Non mi piaceva. Non mi piaceva più tutto l’andazzo. Non vedevo più le cose alla luce del giorno, come piacevano a me. Mi sentivo il macellaio giù all’angolo che si era fidanzato con Britney Spears. Come potevo pensare di farcela? Gliel’ho detto a Noemi: questo mondo non mi piace, non credo che da quelle parti ci sia una grande pulizia o rispetto. Mi dispiaceva dirglielo perché io so che Noemi è una ragazza sana, ancora infantile che non si separa mai dal suo orsacchiotto, piccolo, blu, con una croce al collo, “il suo teddy”. Una ragazza tranquilla, semplice, con dei valori. Con i miei stessi valori, almeno fino a un certo punto della nostra storia”.

Intorno a Gino, questo racconto devono averlo già sentito più d’una volta perché ora che il ragazzo ha deciso di raccontare a degli estranei la storia, la tensione è caduta come se la famiglia, i vicini di casa, gli amici già l’avessero sentita in altre occasioni o magari a spizzichi e bocconi. C’è chi si distrae, chi parlotta d’altro, chi parla al telefono, chi si prepara a uscire per il venerdì notte. Gino sembra non accorgersene. Non perde il filo e a tratti pare ricordare, ancora una volta, a se stesso come sono andate le cose.

“Ho cominciato a distaccarmi da Noemi già a dicembre. Però la cosa che proprio non ho mandato giù è stata la lunga vacanza di Capodanno in Sardegna, nella villa di lui. Noemi me lo disse a dicembre che papi l’aveva invitata là. Mi disse: “Posso portare un’amica, un’amica qualunque, non gli importa. Ci saranno altre ragazze”. E lei si è portata Roberta. E poi è rimasta con Roberta per tutto il periodo. Io le ho fatto capire che non mi faceva piacere, ma lei da quell’orecchio non ci sentiva. Così è partita verso il 26-27 dicembre ed è ritornata verso il 4-5 gennaio. Quando è tornata mi ha raccontato tante cose. Che Berlusconi l’aveva trattata bene, a lei e alle amiche. Hanno scherzato, hanno riso… C’erano tante ragazze. Tra trenta e quaranta. Le ragazze alloggiavano in questi bungalow che stavano nel parco. E nel bungalow di Noemi erano in quattro: oltre a lei e a Roberta, c’erano le “gemelline”, ma voi sapete chi sono queste “gemelline”? Penso anche che lei mi abbia detto tante bugie. Lei dice che Berlusconi era stato con loro solo la notte di Capodanno. Vi dico la verità, io non ci credo. Sono successe cose troppo strane. Io chiamavo Noemi sul cellulare e non mi rispondeva mai. Provavo e riprovavo, poi alla fine mi arrendevo e chiamavo Roberta, la sua amica, e diventavo pazzo quando Roberta mi diceva: no, non te la posso passare, è di là – di là dove? – o sta mangiando: e allora?, dicevo io, ma non c’era risposta. Per quella vacanza di fine anno, i genitori accompagnarono Noemi a Roma. Noemi e Roberta si fermarono prima in una villa lì, come mi dissero poi, e fecero in tempo a vedere davanti a quella villa tanta gente – giornalisti, fotografi? – , poi le misero sull’aereo privato del presidente insieme alle altre ragazze, per quello che mi ha detto Noemi… Al ritorno, Noemi non è stata più la mia Noemi, la mia alicella (acciuga, ndr), la ragazza semplice che amavo, la ragazza che non si vergognava di venirmi a prendere alla sera al capannone. A gennaio ci siamo lasciati. Eravamo andati insieme, prima di Natale, a prenotare per la sua festa di compleanno il ristorante “Villa Santa Chiara” a Casoria, la “sala Miami” – lo avevo suggerito io – e già ci si aspettava una “sorpresa” di Berlusconi, ma nessuno credeva che la sorpresa fosse proprio lui, Berlusconi in carne e ossa. Ci siamo lasciati a gennaio e alla festa non ci sono andato. L’ho incontrata qualche altra volta, per riprendermi un oggetto di poco prezzo ma, per me, di gran valore che era rimasto nelle sue mani. Abbiamo avuto il tempo, un’altra volta, di avere un colloquio un po’ brusco. Le ho restituito quasi tutte le lettere e le foto. Le ho restituito tutto – ho conservato poche cose, questa lettera che mi scrisse prima di Natale, qualche foto – perché non volevo che lei e la sua famiglia pensassero che, diventata Noemi Sophia Loren, io potessi sputtanarla. Oggi ho la mia vita, la mia Manuela, il mio lavoro, mille euro al mese e va bene così ché non mi manca niente. Certo, leggo di questo nuovo fidanzato di Noemi, come si chiama?, che non s’era mai visto da nessuna parte anche se dice di conoscerla da due anni e penso che Noemi stia dicendo un sacco di bugie. Quante bugie mi avrà detto sui viaggi. A me diceva che andava a Roma sempre con la madre. Per dire, per quella cena del 19 novembre 2008 a Villa Madama mi raccontò: “Siamo stati a cena con il presidente, io, papà e mamma allo stesso tavolo”. Non c’erano i genitori seduti a quel tavolo? Allora mi ha detto un’altra balla. Quella sera le sono stati regalati una collana e un bracciale, ma non di grosso valore. E il presidente ha fatto un regalo anche a sua madre. Sento tante bugie, sì, e comunque sono fatti di Noemi, dei suoi genitori, di Berlusconi, io che c’entro?”.

Le parole di Gino Flaminio appaiono genuine, confortate dalle foto, dalla memoria degli amici (che hanno le immagini di Noemi e Gino sui loro computer), da qualche lettera, dai ricordi dei vicini e dei genitori, ma soprattutto dall’ostinazione con cui il ragazzo per settimane si è nascosto diventando una presenza invisibile nella vita di Noemi. Repubblica lo ha rintracciato con fatica, molta pazienza e tanta fortuna nella fabbrica di corso San Giovanni dove tutti i suoi compagni di lavoro conoscono Noemi, la storia dell’amore perduto di Gino. Compagni di lavoro che – fino alla fine – hanno provato a proteggerlo: “Gino? E chi è ‘sto Gino Flaminio?” e Gino se ne stava nascosto dietro un muro.

La testimonianza del ragazzo consente di liquidare almeno cinque domande dalla lista di dieci che abbiamo proposto al capo del governo. La ricostruzione di Gino permette di giungere a un primo esito: Silvio Berlusconi ha mentito all’opinione pubblica in ogni passaggio delle sue interviste. Nei giorni scorsi, come quando disse a France2 di aver “avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori”. O ancora ieri a Radio Montecarlo dove ha sostenuto di essersi addirittura “divertito a dire alla famiglia, di cui sono amico da molti anni, che non desse risposte su quella che è stata la nostra frequentazione in questi anni”. Come di cartapesta è la scena – del tutto artefatta – disegnata dalle testate (Chi) della berlusconiana Mondadori.

Il fatto è che Berlusconi non ha mai conosciuto Elio Letizia né negli “anni passati”, né negli “ambienti socialisti”. Mai Berlusconi ha discusso con Elio Letizia di politica e tantomeno delle candidature delle Europee (Porta a porta, 5 maggio). Berlusconi ha conosciuto Noemi. Le ha telefonato direttamente, dopo averne ammirato le foto e aver letto il numero di cellulare su un “book” lasciatogli da Emilio Fede. Poi, nel corso del tempo, l’ha invitata a Roma, in Sardegna, a Milano.
Le evidenti falsità, diffuse dal premier, gli sarebbero costate nel mondo anglosassone, se non una richiesta di impeachment, concrete difficoltà politiche e istituzionali. Nell’Italia assuefatta di oggi, quella menzogna gli vale un’altra domanda: perché è stato costretto a mentire? Che cosa lo costringe a negare ciò che è evidente? È vero, come sostiene Noemi, che Berlusconi ha promesso o le ha lasciato credere di poter favorire la sua carriera nello spettacolo o, in alternativa, l’accesso alla scena politica (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile)? Dieci giorni dopo, ci sono altre ragionevoli certezze. È confermato quel che Veronica Lario ha rivelato a Repubblica (3 maggio): il premier “frequenta minorenni”. Noemi, nell’ottobre del 2008, quando riceve la prima, improvvisa telefonata di Berlusconi ha diciassette anni, come Roberta, l’amica che l’ha accompagnata a Villa Certosa. La circostanza rinnova l’ultima domanda: quali sono le condizioni di salute del presidente del Consiglio? (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Il terremoto in Abruzzo e il “Decreto Abracadabra”: propaganda elettorale sulle disgrazie dei terremotati?

I trucchi del “decreto abracadabra”ricostruzione diluita in 23 anni di MASSIMO GIANNINI-la Repubblica.

Impegni solenni, progetti altisonanti. Garantiti dalle solide certezze del presidente del Consiglio. Ma se scorri il testo del provvedimento, ti accorgi che lì dentro di veramente solido c’è poco e niente.

Tutto balla, in quello che è già stato ribattezzato il “Decreto Abracadabra”. Le cifre, innanzitutto. Dopo il Consiglio dei ministri straordinario del 23 aprile, Berlusconi e Tremonti avevano annunciato uno stanziamento di 8 miliardi per la ricostruzione dell’Abruzzo: 1,5 per le spese correnti e 6,5 in conto capitale. A leggere il decreto 39, si scopre che lo stanziamento è molto inferiore, 5,8 miliardi, ed è spalmato tra il 2009 e il 2032. Di questi fondi, 1,152 miliardi sarebbero disponibili quest’anno, 539 milioni nel 2010, 331 nel 2011, 468 nel 2012, e via decrescendo, con pochi spiccioli, per i prossimi 23 anni. Da dove arrivano queste soldi? Il governo ha spiegato poco. Il premier, ancora una volta, ha rivendicato il merito di “non aver messo le mani nelle tasche degli italiani”. Il ministro dell’Economia si è fregiato di aver reperito le risorse “senza aumentare le accise su benzina e sigarette, senza aumenti di tasse, ma spostando i fondi da una voce all’altra del bilancio”.

Il “Decreto Abracadabra” non aiuta a capire. Il capitolo “Disposizioni di carattere fiscale e di copertura finanziaria” dice ancora meno. Una prima, inquietante cosa certa (come recita l’articolo 12, intitolato “Norme di carattere fiscale in materia di giochi”) è che la ricostruzione in Abruzzo sarà davvero un terno al lotto: 500 milioni di fondi dovranno arrivare, entro 60 giorni dal varo del decreto, dall’indizione di “nuove lotterie ad estrazione istantanea”, “ulteriori modalità di gioco del Lotto”, nuove forme di “scommesse a distanza a quota fissa”. E così via, giocando sulla pelle dei terremotati. Un “gioco” che non piace nemmeno agli esperti del Servizio Studi del Senato: “La previsione di una crescita del volume di entrate per l’anno in corso identica (500 milioni di euro) a quella prevista a regime per gli anni successivi – si legge nella relazione tecnica al decreto – potrebbe risultare in qualche modo problematica”.

Una seconda, inquietante cosa certa (come recita l’articolo 14, intitolato “Ulteriori disposizioni finanziarie”) è che altre risorse, tra i 2 e i 4 miliardi di qui al 2013, dovranno essere attinte al Fas, il Fondo per le aree sottoutilizzate, che dalla Finanziaria in poi è diventato un vero Pozzo di San Patrizio, dal quale il governo pompa denaro per ogni emergenza, senza che si capisca più qual è la sua vera dotazione strutturale.
E questo è tutto. Per il resto, la copertura finanziaria disposta dal decreto è affidata a fonti generiche e fondi imprecisati: dai soldi dell’Istituto per la promozione industriale (trasferiti alla Protezione civile per “garantire l’acquisto da parte delle famiglie di mobili ad uso civile, di elettrodomestici ad alta efficienza energetica, nonché di apparecchi televisivi e computer”) al trasferimento agli enti locali dei mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti.

A completare il gioco di prestigio contabile, non poteva mancare il solito, audace colpo a effetto, caro ai governi di questi ultimi anni: altri fondi (lo dice enfaticamente il comma 4 dell’articolo 14) potranno essere reperiti grazie alle “maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, anche internazionale, derivanti da futuri provvedimenti legislativi”. Insomma, entrate scritte sull’acqua. A futura memoria. E a sicura amnesia.

Ma non è solo l’erraticità dei numeri, che spaventa e preoccupa nel “Pacchetto Ricostruzione”. A parte gli interventi d’emergenza, ci sono altri due fronti aperti e dolenti per le popolazioni locali. Un fronte riguarda l’edificazione delle case provvisorie (“a durevole utilizzazione”, secondo la stravagante formula del decreto) che dovrebbero garantire un tetto ad almeno 13 mila famiglie, pari a un totale di 73 mila senza tetto attualmente accampati nelle tendopoli. I fondi previsti per questi alloggi (nessuno ancora sa se di lamiera, di legno o muratura) ammonterebbero a circa 700 milioni. Ma 400 risultano spendibili quest’anno, 300 l’anno prossimo.

Questo, a dispetto del giuramento solenne rinnovato dal Cavaliere a “Porta a Porta” di due giorni fa, fa pensare che l’impegno di una “casetta” a tutti gli sfollati entro ottobre, o comunque prima del gelo invernale, andrà inevaso. Quasi la metà di loro (secondo il timing implicito nella ripartizione biennale dei fondi) avrà un tetto non prima della primavera del prossimo anno.

Un altro fronte, persino più allarmante, riguarda la ricostruzione delle case distrutte. Il governo ha annunciato “un contributo pubblico fino a 150 mila euro (80 mila per la ristrutturazione di immobili già esistenti), a condizione che le opere siano realizzate nel rispetto della normativa antisismica”.

Basterà presentare le fatture relative all’opera da realizzare, e a tutto il resto penserà Fintecna, società pubblica controllata dal Tesoro, che regolerà i rapporti con le banche. Detta così sembra facilissima. Il problema è che quei 150 mila euro nel decreto non ci sono affatto. Risultano solo dalle schede tecniche che accompagnano il provvedimento. E dunque, sul piano legislativo, ancora non esistono. Non basta. Sul totale dei 150 mila euro, il contributo statale effettivo sarà pari solo a 50 mila euro. Altri 50 mila saranno concessi sotto forma di credito d’imposta (dunque sarà un risparmio su somme da versare in futuro, non una somma incassata oggi da chi ne ha bisogno) e altri 50 mila saranno erogati attraverso un mutuo agevolato, sempre a carico della famiglia che deve ricostruire, che dunque potrà farlo solo se ha già risparmi pre-esistenti. Se questo è lo schema, al contrario di quanto è accaduto per i terremoti dell’Umbria e del Friuli, i terremotati d’Abruzzo non avranno nessuna nuova casa ricostruita con contributo a fondo perduto. Anche perché nelle schede tecniche del decreto quei 150 mila euro sono intesi come “limite massimo” dell’erogazione. Ciò significa che lo Stato declina l’impegno a finanziare la copertura al 100% del valore dell’appartamento da riedificare.

Nel “Decreto Abracadabra”, per ora, niente è ciò che appare. Man mano che si squarcia la cortina fumogena della propaganda, se ne cominciano ad accorgere non solo i “soliti comunisti-sfascisti” dell’opposizione come Pierluigi Bersani (che accusa l’esecutivo di trattare gli aquilani come “terremotati di serie B”), ma anche amministratori locali come Stefania Pezzopane, o perfino presidenti di Confindustria come Emma Marcegaglia, che l’altro ieri a L’Aquila ha ripetuto “qui servono soldi veri”. C’è un obbligo morale, di verità e di responsabilità, al quale il governo non può sfuggire. Lo deve agli abruzzesi che soffrono, e a tutti gli italiani che giudicano. L’epicentro di una tragedia umana non può essere solo il palcoscenico di una commedia politica.

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Attualità democrazia

Tutto pur di distogliere gli elettori dalla gravità della crisi economica. Anche “Carrozze metrò solo per milanesi”.

fonte: repubblica.it

Una volta c’erano i posti riservati alle donne, agli anziani o agli invalidi. Ora il deputato della Lega Matteo Salvini propone le carrozze del metrò “per soli milanesi”. Il capogruppo del Carroccio nel comune di Milano sceglie piazza della Scala e la presentazione dei candidati milanesi della Lega per lanciare la sua provocazione. Lo dice da leghista convinto e “da milanese che prende il tram”.

Le critiche non sono tardate ad arrivare da entrambi gli schieramenti. Il primo a sollevarle è stato un politico della stessa coalizione di Salvini, Aldo Brandirali del Pdl: “L’unico modo per applicare la proposta del deputato è mettere stelle sul petto, di diversi colori, a seconda della razza”. Gli ha fatto eco il capogruppo del Pd a palazzo Marino Pierfrancesco Majorino, imperativo contro il collega: “E’ una proposta da Ku Klux Klan. Che il sindaco butti fuori la Lega dalla giunta”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

Dopo le critiche dei vescovi, la grande paura di Berlusconi: ecco quello che dirà stasera a Porta a Porta. Ma non era una fatto privato?

da repubblica.it
Sul caso Noemi Letizia: “Se avevo qualcosa da nascondere sarei stato un pazzo ad andare li”
E giura sull’autenticità delle foto del party: “Se non ci credete chiedetelo ai camerieri”
Berlusconi: “Tutte calunnie della sinistra e non è vero che frequento minorenni”

Silvio Berlusconi di nuovo all’attacco dell’opposizione e dei giornali, sulla vicenda della separazione chiesta dalla moglie Veronica Lario: “E’ tutta colpa della sinistra e della sua stampa – dichiara, nel corso della registrazione di Porta a porta – che non riescono ad accettare la mia popolarità al 75%. E, visto anche lo stato in cui la sinistra è ridotta, ha cominciato con attacchi personali fondati sulla calunnia”.

In particolare, è sui rapporti con Noemi Letizia e la sua famiglia che il presidente del Consiglio si difende a spada tratta: “E’ una menzogna che frequento minorenni. Il padre di quella ragazza mi aveva chiamato perchè voleva un appuntamento con me e voleva parlarmi: queste cose usciranno domani in un intervista a Chi”.

Da qui le accuse al nostro giornale, che per primo ha rivelato la partecipazione del Cavaliere alla festa dei diciotto anni della ragazza: “Repubblica, sempre Repubblica, aveva fatto un titolo in cui sottendeva una mia frequentazione con una ragazza, che facendo quel giorno diciott’anni fino al giorno prima era minorenne”. E sul fatto che Veromica abbia annunciato la sua intenzione di divorziare sempre su Repubblica, dichiara che “non è stata una cosa casuale e non dico altro”.

Berlusconi respinge al mittente anche i dubbi, circolati oggi su molti blog e siti internet, sull’autentictà delle foto della festa, in possesso del settimanale Chi, fatte vedere in anteprima dal tg di Italia1 Studio aperto: “Mandino un giornalista al ristorante e domandino ai cuochi e ai camerieri se quelle foto sono false. La pervicacia con cui le gazzette della sinistra continuano a dire falsità è sorprendente. Se avessi avuto qualcosa da nascondere, andare a quella festa sarebbe stato folle”. Poi la domanda: “Sarei stato così pazzo da andare in una situazione simile se qualcuno poteva pensare che ci fosse qualcosa di piccante nel rapporto tra il presidente del Consiglio e una ragazza di diciotto anni?”.

Il premier racconta: “Francamente non mi aspettavo questa tempesta, anche se falsificazioni di certa stampa in passato hanno portato a problemi. Già in passato si disse che avevo detto ad una ragazza ‘ti sposerei’ e invece io avevo detto ‘sei proprio una ragazza per bene, sei proprio da sposare'”. Il riferimento è ai suoi complimenti a Mara Carfagna, che avevano provocato la famosa lettera di Veronica al nostro quotidiano, nel 2007.

Insomma, Berlusconi ripete la teoria del complotto, in cui anche la consorte sarebbe caduta: “Tutto falso – attacca – tutto nato dalla trappola in cui anche mia moglie purtroppo è caduta. Le veline sono inesistenti. Sono un’assoluta falsità”. E rifacendosi proprio al giorno in cui le liste per le Europee sono state definitivamente varate, dice: “Sono stato impegnato dalla mattina alla 8 fino alla sera a Varsavia. Non ho avuto modo di levare qualsiasi nome”. La “sforbiciata” agli elenchi è stata fatta, ammette; ma solo perché si doveva ridurre da 100 a 72 candidati, e “sono state eliminate sia uomini che donne. La questione veline è il contrario di quanto la mia formazione politica abbiamo cercato di portare in politica: noi vogliamo rinnovamento e anche persone non ‘sgradevoli’ e non è un male”.

Infine, sui rapporti con la Lario, il premier ripete quanto già dichiarato ai giornali: “Il divorzio deve essere una vicenda privata; ma lei dovrebbe riconoscere il suo errore. Le voglio ancora un mare di bene”. E tra gli errori, spiega, c’è anche l’aver dichiarato che lui non ha partecipato alle feste di diciott’anni dei figli: ”Luigi mi ha detto di non aver fatto la festa. Per Barbara ho sostenuto finanziariamente la sua festa che si è svolta a Las Vegas, gli invitati erano in maschera del ‘700 veneziano”. Quanto a Eleonora, la terza, ”non si ricordava neanche che aveva fatto una festa”. (Beh,buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro

Dopo il G20 di Londra, il G8 in Italia serve a niente. Infatti, diventa uno spot elettorale per il governo italiano.

Il G8 si terrà all’Aquila. Il Consiglio dei ministri, riunito nel capoluogo abruzzese, ha deciso di spostare la sede della riunione degli otto Grandi della Terra, prevista per luglio, dall’isola della Maddalena, in Sardegna, all’Aquila.

“La decisione politica è stata presa – ha detto il ministro per le Infrastrutture Altero Matteoli – ora naturalmente il presidente del Consiglio deve consultare tutti i capi di Stato” invitati. La proposta raccoglie già i consensi, anche se cauti, del Pd e dei sindacati.

Parere positivo da Londra e Washington. “La decisione spetta all’Italia e la Gran Bretagna assicura piena disponibilità”, fa sapere un portavoce di Downing Street, Lynn Eccles. Sulla stessa linea le reazioni da Washington, per l’alto valore simbolico e la commozione per la tragedia che ha colpito l’Abruzzo. Beh buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

E Obama inventò l’e-democracy.

di Lorenzo Montagna, commercial director Yahoo! Italia

Tutto il percorso che ha portato Barack Obama alla 44ma presidenza degli Stati Uniti, dalle primarie alla candidatura ufficiale, dall’Election Day all’Inauguration Day, è stato caratterizzato da un nuovo approccio ai media, in particolar modo internet. Usando le sue stesse parole, un ‘cambiamento’ totale che rivoluzionerà per sempre il rapporto tra web, politica e democrazia. Sicuramente Obama non è stato il primo personaggio politico ad affacciarsi al web, ma è quello che l’ha fatto con più convinzione e maggiore determinazione.

L’epoca pre-Obama è caratterizzata dall’uso non mirato e marginale del web per fare propaganda politica. Si restava, comunque, nell’ambito di una comunicazione one- to-many, dove i commenti (se presenti) restavano senza risposta e la partecipazione era inesistente. Ecco, la partecipazione. Il merito di Obama (e del suo staff) è stato passare dalla comunicazione al dialogo, allargando la possibilità di partecipazione prima a pochi gruppi di sostenitori e poi, a macchia d’olio, a un intero partito, a un paese, al mondo.

Obama ha sicuramente tratto vantaggio dal web, ma è vero anche il contrario. La sua elezione ha fatto da traino a un media che aveva bisogno della consacrazione al di fuori della cerchia degli addicted. Aveva bisogno di uno shock, di un evento che dimostrasse a tutti le sue straripanti potenzialità di aggregazione e di interattività. Così come lo sbarco sulla Luna nel 1969 fu determinante per l’affermazione della tv, 40 anni dopo l’elezione di Obama lo è per internet: un’esperienza aggregante che un’intera generazione ricorderà di aver vissuto soprattutto online.

L’Obama-mania è culminata il 20 gennaio con l’Inauguration Day, un evento che ha messo a dura prova la resistenza del mezzo e che ha fatto registrare un incredibile boom di contatti. Yahoo! Notizie, per esempio, negli USA è stato visitato da più di 9 milioni di utenti unici (1), piazzandosi al terzo posto tra i portali di news e confermandosi un punto di partenza ideale per informarsi in rete, mentre su Flickr (2) 3.439 utenti hanno seguito live la cerimonia caricando più di 13.500 foto direttamente da Washington o dedicate all’evento. Così il tanto citato ‘popolo della rete’ è stato definitivamente sdoganato passando da nicchia a opinion maker, allargando il proprio bacino a tutti coloro i quali volevano sentirsi parte della rivoluzione in corso. Ecco perché, al di là dell’importanza storica, l’elezione di Obama sarà ricordata come uno degli eventi più coinvolgenti della storia. Questa è anche l’opinione dei nostri utenti che recentemente hanno collocato l’evento subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle e la morte di Giovanni Paolo II in un sondaggio lanciato da Yahoo! Notizie (3).

Obama ha capito per primo il vero funzionamento della rete intesa non più come vetrina espositiva, ma finalmente come un intreccio di connessioni e ne ha sfruttato appieno le potenzialità del buzz. Tutto ciò che Obama ha detto, fatto e pensato durante la campagna elettorale è stato condiviso attraverso le più famose piattaforme del web. Non mostrato, ma condiviso. Le 53.526 foto caricate sul suo account Flickr sono state viste e commentate milioni di volte, ma non sono rimaste un fenomeno confinato alla rete, sono state riprese da tutti i siti, le televisioni e i giornali del mondo.

Il segnale che qualcosa sta cambiando, e che internet sta passando da media di nicchia a comun denominatore di molti, è il passo deciso verso forme di e-democracy concrete.

Alcune pubbliche amministrazioni, le più lungimiranti, stanno aprendo canali di interazione con i cittadini, altre si limitano alla messa in rete di documenti o alla digitalizzazione di procedure.

Alcuni personaggi politici stanno aprendo canali video e incentrando le proprie campagne sull’online.

Obama docet e sull’onda del suo successo segnalerei la campagna di comunicazione del ‘Plan E’, la soluzione alla crisi economica messa a punto dal governo Zapatero. Un lastminute website chiaro e funzionale dove il premier e i ministri spagnoli spiegano con video e immagini i piani del governo per uscire dalla crisi. È assente la parte ‘2.0’ di interazione e commento, ma è apprezzabile il tentativo d’importazione del modello web-centrico USA. (Beh, buona giornata).

Note:

1 Fonte: Nielsen Online , NetView Custom Analysis, 22 gennaio 2009

2 http://www.flickr.com/groups/inauguration2009/

3 Coinvolti più di 6.000 votanti. I risultati sono su http://it.notizie.yahoo.com/sondaggi/42319-risultati-wv.html

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Attualità Leggi e diritto

Il “piano casa” potrebbe aiutare l’economia o la campagna elettorale del premier?

ROMA, 17 marzo (Reuters) – Il progetto di un piano casa annunciato dal governo potrebbe essere di stimolo all’economia ma la portata è incerta ferma restando l’esigenza che il provvedimento rispetti l’ambiente e i piani urbanistici.

Lo ha detto oggi il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nel corso di una audizione parlamentare.

Il governatore ha poi sollecitato la messa a punto di una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali pur prendendo atto dei interventi finora realizzati.

“Il governo ha anche annunciato di avere allo studio provvedimenti per facilitare l’ampliamento degli edifici residenziali e ridurre i contributi di costruzione. Modalità, contenuti e tempi di eventuali interventi non sono ancora noti. Una semplificazione degli adempimenti e una riduzione degli oneri potrebbe avere effetti di stimolo. La complessità della materia, la presenza di competenze concorrenti fra Stato e regioni, la necessità di congegnare l’intervento in modo da preservare ambiente naturale ed equilibrio urbanistico ne rendono però incerta la portata da un punto di vista congiunturale”, si legge nel testo pronunciato dal governatore.

Il governo porterà al prossimo consiglio dei ministri un pacchetto di misure sull’edilizia che dovrebbero prevedere anche un decreto legge. La possibilità di intervenire con decretazione d’urgenza sarà anche discussa oggi dal governo in un prenzo con il presidente della Repubblica.

Silvio Berlusconi ha annunciato nei giorni scorsi l’intenzione di varare una legge quadro che consentirà di ampliare le abitazioni del 20% di cubatura e di abbattere, per ricostruire con un ampliamento fino al 30%, gli edifici vecchi. Il premier ha detto esplicitamente che preferirebbe agire per decreto. Il piano ingloba anche lo stanziamento di 550 milioni per l’edilizia popolare.

Secondo il presidente del Consiglio i lavori edilizi da slobbcare con il piano ammontano a circa 60 miliardi.

Sugli interventi a favore di chi perde o sospende il lavoro a causa della crisi in corso, Draghi ha detto: “Il governo ha esteso temporaneamente a gran parte delle tipologie di lavoratori atipici la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali; ulteriori miglioramenti sono stati definiti la scorsa settimana. Il finanziamento di questi interventi è stato di recente ampliato grazie all’intesa tra Stato e Regioni. Questi provvedimenti sono opportuni. Resta però l’esigenza di impostare fin da ora una riforma complessiva”.

Il governo grazie all’accordo con le Regioni ha stanziato 9 miliardi per gli ammortizzatori sociali per il biennio 2009-2010. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Il “Piano casa” è un trucco per fare delle prossime elezioni un plebiscito a favore del premier.

Non c’è bisogno di arzigogolare troppo sull’ultima uscita del premier in materia di edilizia, come fanno dall’opposizione. Non è una misura anticrisi. Non è una proposta politica. Non è una visione del futuro. Non è neppure una legge contro l’ambiente.

E’ semplicemente il comizio di apertura della campagna elettorale per le prossime amministrative, che si svolgeranno insieme alle europee. Come tutti sanno le norme in materia di edilizia privata sono di appannaggio dei regolamenti comunali, provinciali e regionali. Permettere agli enti locali l’aumento del 20% delle cubature delle abitazioni private significa mettere gli interessi privati contro le esigenze pubbliche di tutela ambientale.

Che è un altro modo per dire: la tua regione, la tua provincia, il tuo comune non ti permette di violare le norme vigenti? Io cambio la legge, tu voti per me, così puoi fare quello che ti serve, compreso sanare l’abuso edilizio già in essere. E’ un colpo basso, in pieno stile berlusconista. La prova generale è andata in scena in Sardegna. Ha funzionato. Perché allora non sperimentarla su scala nazionale?

Il premier vuole stravincere la prossima scandenza elettorale: si candiderà capolista alle europee e lo farà fare ai ministri del suo governo (nessuno di loro è elegibile, ma che importa, il trucco funzionerà lo stesso). Poi ha trovato il modo di destabilizzare le amministrazioni locali governate dal centrosinistra: il ballo del mattone.

Quello che si sta preparando per il 6 e 7 Giugno, quando si voterà per le europee e insieme per le amministrative non è una elezione normale, ma la ricerca spasmodica del premier di un plebiscito a suo favore. Potrebbe essere l’unico governante europeo che non paga pegno per la crisi economica, ma che anzi aumenta a tal punto i consensi, tanto da non avere davanti nessun ostacolo politico, costituzionale, amministrativo per portare a compimento la completa presa del potere. Così stanno le cose. Beh, buona giornata.

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