di Aldo Garzia – il manifesto –
Negli anni del boom, l’Italia era una potenza informatica, poi il salto indietro. Oggi, Grillo usa la rete come una clava
Giornalista Rai di lungo corso (sua è l’idea iniziale del progetto di Rainews24), Michele Mezza ha il gusto della radicalità delle tesi che espone. Da anni studioso del web e della rete, autore di vari saggi sul tema, fustigatore dei ritardi che la sinistra e il sistema informativo hanno accumulato in Italia sul versante del sapere digitale, Mezza si ripresenta in libreria con “Avevamo la luna” (Donzelli, pp. 346, euro 19) che è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.
La tesi dell’autore, esplicitata già nel titolo del libro, è che c’è stato un triennio – dal 1962 al 1964, in pieno boom economico – in cui l’Italia grazie alle sue eccellenze in vari campi poteva diventare un paese d’avanguardia nel cuore dell’Europa. Da qui il viaggio compiuto dal libro e dai contenuti multimediali nei sogni dell’innovazione italiana degli anni sessanta e successivi. Grazie ai QR code, cioè ai codici a barre di seconda generazione, il lettore non solo segue il percorso sulla grande occasione mancata a iniziare dal 1962 ma può vedere e ascoltare sul sito del volume, se non vorrà leggerle su carta, le interviste a Giuseppe De Rita, monsignor Luigi Bettazzi, Elserino Piol, Antonio Pizzinato, Alfredo Reichlin, Paolo Sorbi, Claudio Martelli, testimoni o commentatori del tempo che fu.
Nel libro non mancano riferimenti all’attualità, come le dimissioni di papa Ratzinger e l’elezione di papa Francesco. Fin dallo «strillo» di copertina, il libro annuncia di occuparsi «da papa Giovanni XXIII a Papa Francesco, da Olivetti a Marchionne, da Moro a Grillo».
Ognuno può pensare a quei nomi, facendo i paragoni, come a un passo indietro o a un passo avanti nei diversi campi della religione, dell’innovazione tecnologica e della politica incapace di autocomunicazione di massa come per ora solo Beppe Grillo sa fare usando internet come una clava (Mezza analizza nel libro il fenomeno grillino).
L’autore, nelle sue ricostruzioni, operando il confronto tra ieri e oggi, punta l’indice sul sistema politico italiano che finora non ha saputo comprendere la novità del sistema digitale, così come la sinistra si è dimostrata incapace di cambiare il tradizionale paradigma che guarda al lavoro e non alle nuove forme della comunicazione. Narrando gli avvenimenti che vanno dal 1962 al 1964, Mezza ci parla della diversità di allora – quando le innovazioni tecnologiche furono comprese – rispetto alla contemporaneità.
Scrive: in quel triennio di cinquant’anni fa l’Italia fu vicina a una sorta di nuovo rinascimento. Eravamo – argomenta – la prima potenza informatica europea; il primo paese europeo, dopo Stati Uniti e Unione Sovietica, a lanciare satelliti nello spazio, tra i primi ad avviare la sperimentazione elettronucleare. Conclusione amara: eppure alla fine di quel triennio il bilancio sarà tutto negativo.
Enrico Mattei, presidente dell’Eni, muore nel 1962 in un incidente aereo che è probabilmente un attentato per stroncare il progetto dell’autonomia energetica dell’Italia. Il comparto elettronico dell’Olivetti viene svenduto alla General Electric, di conseguenza l’Italia non sarà tra i primi paesi a produrre computer (l’esperienza originale di Adriano Olivetti e la sua idea di capitalismo restano da studiare). Felice Ippolito (a capo nel Cnen in quella fase celebrity pokies, tra i maggiori fautori dell’energia nucleare) vede stroncata la sua carriera da uno scandalo all’italiana: nell’agosto 1963 alcune indiscrezioni giornalistiche sollevano dubbi sulla correttezza del suo operato aziendale. Il 3 marzo 1964 viene arrestato. Ne segue un processo che culmina con la condanna di Ippolito a 11 anni di carcere (sarà graziato due anni dopo da Giuseppe Saragat, in quel momento presidente della Repubblica).
Troppe misteriose coincidenze finiscono per incidere sulla storia del dopoguerra italiano. Dice Giuseppe De Rita, tuttora presidente del Cnel, nell’intervista concessa a Mezza, che dopo quei fatti l’Italia inizia a essere un «paese eterodiretto». E non si deve dimenticare nell’elenco dei fatti e misfatti di quel periodo che nel 1964 fu sventato il cosiddetto «Piano Solo», il tentativo di colpo di Stato che ebbe come protagonista Giovanni De Lorenzo, generale dell’Arma dei carabinieri. L’Italia che cambiava tumultuosamente, diventando realtà industriale, faceva paura all’interno e all’esterno dei nostri confini.
Secondo Mezza, dopo gli episodi riguardanti Mattei, Olivetti e Ippolito, la politica non seppe recuperare il terreno irrimediabilmente perduto nell’appuntamento con l’innovazione pur iniziando nel novembre 1963, con il primo governo guidato da Aldo Moro, l’esperienza delle coalizioni di centrosinistra che portano per la prima volta i socialisti di Pietro Nenni al governo. Se però l’Italia può essere definito paese eterodiretto, i ritardi non sono solo «endogeni» ma «indotti». Con questa chiave interpretativa è facile spiegare i «misteri» degli anni successivi: le bombe a piazza Fontana nel 1969, le bombe ai treni e le altre stragi (è stata solo esperienza italiana istituire una commissione parlamentare d’indagine sulle stragi), fino al rapimento e alla tragica uccisione di Moro, che segnano la fine di un’epoca politica. Quando in Italia il cambiamento è vicino e possibile, accade sempre qualcosa d’imprevisto che fa cambiare il tragitto che conduce all’innovazione sociale e politica.
Nel libro c’è, infine, una rilettura originale degli atti del convegno che l’Istituto Gramsci dedicò nel 1962 alle «tendenze del capitalismo italiano». Mezza è convinto che in quell’occasione per la prima volta la sinistra comunista analizzò i fenomeni del capitalismo americano come anticipatori delle trasformazioni che sarebbero arrivate ben presto a casa nostra mentre il Pci giudicava ancora «straccione» il capitalismo italiano e quindi bisognoso di aiuto per compiere un pieno sviluppo delle forze produttive. La relazione di Bruno Trentin, in quel convegno gramsciano, analizzò le trasformazioni indotte dal taylorismo nel ciclo produttivo e la nascita di nuove figure sociali quali i manager e i tecnici.
Nel dibattito, Giorgio Amendola usò un intervento di Lucio Magri, in quell’anno appena trentenne, per polemizzare con chi parlava di neocapitalismo e di società dei consumi nascenti anche in Italia. Proprio in quel dibattito del 1962 molti studiosi hanno datato la nascita della sinistra comunista che poi verrà definita «ingraiana» e che nel 1969, per decisione di un gruppo di suoi esponenti, darà vita al mensile il manifesto diretto da Rossana Rossanda e Lucio Magri.
Ma questa è un’altra storia, anche se la scelta del titolo Avevamo la luna da parte di Mezza sembra una risposta – inconsapevole? – a quel Volevo la luna che è il titolo dell’autobiografia di Pietro Ingrao uscita qualche anno fa da Einaudi (per l’ex presidente della Camera, la luna era l’utopia di un comunismo realizzabile senza le storture della modellistica sovietica).
Mezza conclude: la luna ce l’avevamo a portata di mano e ce la siamo lasciata sfuggire. Da qui la scelta efficace della copertina del suo libro che ripropone un fotogramma del film Il sorpasso di Dino Risi (anno di produzione 1962, pieno boom per l’Italia uscita dalla guerra). Raffigura un cinico Vittorio Gassman sorridente a bordo della sua Lancia Sport decapottabile, inconsapevole che da lì a pochi istanti sta per perdere la vita in un incidente insieme al suo compagno di viaggio Jean-Louis Trintignant. Metafora efficace per descrivere ciò che accadrà al boom economico italiano nel suo appuntamento con l’innovazione.(Beh, buona giornata).