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Il Presidente, il professore e i giovani.

Tanto scipito è stato il discorso di fine anno, che si cerca ora di dargli un qualche sapore. Così, il professor Guido Crainz si è lanciato oltre le trincee del realismo politico alla disperata difesa del discorso del presidente Mattarella. Egli scrive su Repubblica:
“ (…) nella guerra che terminò un secolo fa, ha ricordato, i diciottenni di allora — i «ragazzi del ’99» — andarono a morire nelle trincee, oggi possono dare al Paese non la loro vita ma il loro voto. Possono «essere protagonisti della vita democratica».

I ragazzi del ’99 non furono protagonisti, ma vittime sacrificali di una politica di rapina territoriale, detta “irredentismo”, mandate letteralmente al macello dalla monarchia sabauda, ma anche da una classe politica vecchia e istupidita dal nazionalismo. Quel bagno di sangue immane non battezzò una nuova e più florida epoca, ma spianò la strada al Fascismo, abbondantemente foraggiato da chi – Casa Savoia in testa – temeva che il dopoguerra favorisse il nascente movimento operaio italiano. Il professore Crainz queste cose le sa bene, tuttavia si è lasciato trasportare da una specie di “storicismo all’acqua di rose”, pur di difendere la debole tesi del Presidente Mattarella.

Infatti, Crainz ne è cosciente, al punto di sostenere che “di nuovo la storia aiuta però a ricordare che l’incertezza e la preoccupazione per il futuro, così presenti oggi, non hanno segnato invece altre fasi storiche, pervase da un’idea positiva di progresso.”
È vero. I giovani che aderirono alla Resistenza furono il motore non solo della Liberazione, ma di un vento nuovo che spazzò via, in un colpo solo, occupanti, fascisti e la monarchia corrotta, dando quella spinta alla democrazia del nostro paese, scrivendo pagine di riscatto e riscossa, la cui sintesi è tutt’ora leggibile negli articoli della nostra Costituzione.
Però, stranamente Crainz si è dimenticato di ricordarcelo.

Tuttavia, ci dice finalmente con chiarezza che le difficoltà reali del paese non hanno impedito “ né hanno segnato i primi decenni della nostra storia repubblicana, quando vi era la convinzione che i figli avrebbero avuto un futuro migliore dei padri: fu questa convinzione a farci superare gli anni durissimi del dopoguerra, e poi le asprezze di una modernizzazione che impose anche costi e sacrifici (soprattutto per i più deboli)”.

Vorrei ricordare ai lettori la sostanza di ciò che qui afferma il professor Crainz. Furono i giovani i protagonisti della battaglia per l’attuazione della riforma agraria nel sud, contro i quali si scatenò la violenza mafiosa. Il presidente Mattarella sa bene cosa sia la mafia, che prima di arrivare a colpire gli uomini delle istituzioni, aveva fatto stragi e assassini tra contadini, dirigenti sindacali, militanti politici.

Furono i giovani a battersi contro le “gabbie” salariali, mettendo le basi per la contrattazione collettiva che diede vita ai contratti di lavoro nazionali.

Furono i giovani a dare vita alle grandi battaglie sindacali nel triangolo industriale del nord ovest; furono i giovani a fare delle proteste studentesche del ‘68 non solo un volano di libertà e uguaglianza a fianco della classe operaia, ma anche una formidabile forza di cambiamento nei costumi, nella cultura, nelle relazioni famigliari e nei rapporti tra i sessi, introducendo l’idea dell’estensione dei diritti civili. Senza il protagonismo politico e sociale dei giovani, oggi non avremmo leggi che tutelano il lavoro, le donne, la malattia, le differenze di genere, ecc.

L’Italia cambiò contro il volere dell’establishment a guida democristiana, ma anche oltre le aspettative e l’immaginario politico e sociale della sinistra parlamentare. E qui i giovani divennero un problema politico, che in Italia spesso ha portato a soluzioni di “ordine pubblico”, modo nel quale fu trattato il movimento del ’77, che poneva il problema del reddito, oltre l’organizzazione del lavoro.

È la questione di oggi, a cui però ieri si rispose con la violenza di Stato, accompagnata dalla “scomunica” della sinistra che sedeva in Parlamento, la quale non solo permise la degenerazione dello scontro, ma tentò di gestirla con la repressione assurta a ragion di Stato.

Tra l’altro ci sono amnesie colpevoli. La generazione dei “ragazzi del 1999” è venuta al mondo in contemporanea con il movimento “no global”, nato a Seattle proprio nel 1999. Ma fatto a pezzi a forza di botte e torture al G8 di Genova nel 2001. Il Presidente queste cose dovrebbe ricordarle, perché proprio in quell’anno fu rieletto in Parlamento nelle liste della Margherita.

Ovviamente, il professor Crainz queste cose le sa bene, avendole non solo studiate e insegnate, ma anche vissute. Ed ecco che stupisce la sua difesa d’ufficio del discorso del presidente Mattarella. Tra l’altro, sia detto con grande amarezza, evocare il ruolo dei giovani a poche ore dall’aver permesso di rimandare ancora il diritto di cittadinanza a 815 mila bambini e ragazzi nati in Italia ha avuto il sapore si una gaffe imperdonabile.

Credo sia sbagliato il parallelo storico con i “ragazzi del ’99”; sia retorica fine a sé stessa chiedere ai ragazzi del 1999 di fare qualcosa per salvare il salvabile.

Siamo noi che dobbiamo fare qualcosa per salvare la loro generazione dallo sfacelo nel quale li abbiamo cacciati, (basti prendere in esame il tasso di disoccupazione giovanile). Uno sfacelo che rischia di essere – come ho già avuto modo di dire in un’altra occasione – una Caporetto democratica che incombe nelle prossime elezioni, disfatta il cui sentore si è avvertito nelle stesse parole del Presidente.

La “chiamata alle armi” dei diciottenni rischia di trasformarsi in un bagno di sangue virtuale, in cui veder naufragare non solo la fiducia nella politica –già da tempo bell’e affogata- quanto la stessa fiducia nella cultura democratica, cui tra differenza, scontri e accesi contrasti abbiamo fin qui comunque contribuito per generazioni.

La retorica del macello.

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Attualità democrazia Lavoro

Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Si è dimenticato le comunità religiose diverse dalla Chiesa Cattolica. Ha fatto sociologia, invece che politica sul vero grande problema del 2010: la disoccupazione, il nocciolo della crisi. Ma si è ricordato di fare eccessive aperture al berlusconismo. Peccato.

IL TESTO INTEGRALE
Messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Roma, 31 dicembre 2009

Buona sera a voi che siete in ascolto.

Nel rivolgervi, mentre sta per concludersi il 2009, il più cordiale e affettuoso augurio, vorrei provarmi a condividere con voi qualche riflessione sul difficile periodo che abbiamo vissuto e su quel che ci attende.

Un anno fa, molto forte era la nostra preoccupazione per la crisi finanziaria ed economica da cui tutto il mondo era stato investito. La questione non riguardava solo l’Italia, ma avevamo motivi particolari di inquietudine per il nostro paese.

Oggi, a un anno di distanza, possiamo dire che un grande sforzo è stato compiuto e che risultati importanti sono stati raggiunti al livello mondiale : non era mai accaduto nel passato, in situazioni simili, che i rappresentanti degli Stati più importanti, di tutti i continenti, si incontrassero così di frequente, discutessero e lavorassero insieme per cercare delle vie d’uscita nel comune interesse, e per concordare le decisioni necessarie.

Proprio questo è invece accaduto nel corso dell’ultimo anno. L’Italia – sempre restando ancorata all’Europa – ha dato il suo apprezzato contributo, con il grande incontro del luglio scorso a L’Aquila, e ha per suo conto compiuto un serio sforzo.

Dico questo, vedete, guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro paese. Perché, lo so bene, abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza. Nello stesso tempo, nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità, da parte delle imprese, delle famiglie, del mondo del lavoro.

Perciò guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno.

Non posso tuttavia fare a meno di parlare del prezzo che da noi, in Italia, si è pagato alla crisi e di quello che ancora si rischia di pagare, specialmente in termini sociali e umani.

C’è stata una pesante caduta della produzione e dei consumi; ce ne stiamo sollevando; si è confermata la vocazione e intraprendenza industriale dell’Italia; ma ci sono state aziende, soprattutto piccole e medie imprese, che hanno subìto colpi non lievi; e a rischio, nel 2010, è soprattutto l’occupazione. Si è fatto non poco per salvaguardare il capitale umano, per mantenere al lavoro forze preziose anche nelle aziende in difficoltà, e si è allargata la rete delle misure di protezione e di sostegno; ma hanno pagato, in centinaia di migliaia, i lavoratori a tempo determinato i cui contratti non sono stati rinnovati e le cui tutele sono rimaste deboli o inesistenti; e indubbia è oggi la tendenza a un aumento della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile.

Vengono così in primo piano antiche contraddizioni, caratteristiche dell’economia e della società italiana. Dissi da questi schermi un anno fa: affrontiamo la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo, facendo i conti con le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo – dalla crisi deve e può uscire un’Italia più giusta. Ebbene, questo è il discorso che resta ancora interamente aperto, questo è l’impegno di fondo che dobbiamo assumere insieme noi italiani.

Ma come riuscirvi? Guardando con coraggio alla realtà nei suoi aspetti più critici, ponendo mano a quelle riforme e a quelle scelte che non possono più essere rinviate, e facendoci guidare da grandi valori: solidarietà umana, coesione sociale, unità nazionale.

Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto maggiori problemi: le coppie con più figli minori, le famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte anche in Parlamento ci dicono che nel confronto internazionale, elevato è in Italia il livello della disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi “atipici”, comunque temporanei.

Le condizioni più critiche si riscontrano nel Mezzogiorno e tra i giovani. Sono queste le questioni che richiedono di essere poste al centro dell’attenzione politica e sociale, e quindi dell’azione pubblica. L’economia italiana deve crescere di più e meglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale. E perché cresca in modo più sostenuto l’Italia, deve crescere il Mezzogiorno, molto più fortemente il Mezzogiorno. Solo così, crescendo tutta insieme l’Italia, si può dare una risposta ai giovani che s’interrogano sul loro futuro.

C’è una cosa che non ci possiamo permettere: correre il rischio che i giovani si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi, di avere un’occupazione e una vita degna nel loro, nel nostro paese. Ci sono nelle nuove generazioni riserve magnifiche di energia, di talento, di volontà: ci credo non retoricamente, ma perché ho visto di persona come si manifestino in concreto quando se ne creino le condizioni.

Ho visto la motivazione, ho visto la passione di giovani, tra i quali molte donne, che quest’anno mi è accaduto di incontrare nei laboratori di ricerca; la motivazione e l’orgoglio dei giovani specializzati che sono il punto di forza di aziende di alta tecnologia; la passione e l’impegno che si esprimono nelle giovani orchestre concepite e guidate da generosi maestri. E penso alla motivazione e alla qualità dei giovani che si preparano alle selezioni più difficili per entrare in carriere pubbliche come la magistratura.

Certo, sono queste le energie giovanili che hanno potuto prendere le strade migliori; e tante sono purtroppo quelle che ancora si dibattono in una ricerca vana. Ma ho fiducia nell’insieme delle nuove generazioni che stanno crescendo; a tutti i giovani la società e i poteri pubblici debbono dare delle occasioni, e in primo luogo debbono garantire l’opportunità decisiva di formarsi grazie a un sistema di istruzione più moderno ed efficiente, capace di far emergere i talenti e di premiare il merito.

Più crescita, più sviluppo nel Mezzogiorno, più futuro per i giovani, più equità sociale. Sappiamo che a tal fine ci sono riforme e scelte da non rinviare: proprio negli scorsi giorni il governo ne ha annunciato due su temi molto impegnativi, la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma fiscale. La prima è chiamata in particolare a dare finalmente risposte di sicurezza e tutela a coloro che lavorano in condizioni di estrema flessibilità e precarietà.

La riforma annunciata per il fisco, è poi assolutamente cruciale; in quel campo, è vero, non si può più procedere con “rattoppi”, vanno presentate e dibattute un’analisi e una proposta d’insieme. E in quel dibattito si misurerà anche una rinnovata presa di coscienza del problema durissimo del debito dello Stato. Intanto, il Parlamento si è impegnato a riordinare la finanza pubblica con la legge sul federalismo fiscale e a regolarla con un nuovo sistema di leggi e procedure di bilancio. Due riforme già votate, su cui il Parlamento è stato largamente unito.

E vengo alle riforme istituzionali, e alla riforma della giustizia, delle quali tanto si parla. Ho detto più volte quale sia il mio pensiero; sulla base di valutazioni ispirate solo all’interesse generale, ho sostenuto che anche queste riforme non possono essere ancora tenute in sospeso, perché da esse dipende un più efficace funzionamento dello Stato al servizio dei cittadini e dello sviluppo del paese. Esse dunque non sono seconde alle riforme economiche e sociali e non possono essere bloccate da un clima di sospetto tra le forze politiche, e da opposte pregiudiziali.

La Costituzione può essere rivista – come d’altronde si propone da diverse sponde politiche – nella sua Seconda Parte. Può essere modificata, secondo le procedure che essa stessa prevede. L’essenziale è che – in un rinnovato ancoraggio a quei principi che sono la base del nostro stare insieme come nazione – siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia di opposizione.

Ho consigliato misura, realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una condivisione quanto più larga possibile, come ha di recente e concordemente suggerito anche il Senato. Voglio esprimere fiducia che in questo senso si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili recriminazioni e contrapposizioni.

Il nuovo slancio di cui ha bisogno l’Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicuro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi. Valori di solidarietà: e il paese, in effetti, se ne è mostrato ricco in quest’anno segnato da eventi tragici e dolorosi, da ultimo sconvolgenti alluvioni. Se ne è mostrato ricco stringendosi con animo fraterno alle popolazioni dell’Aquila e dell’Abruzzo colpite dal terremoto, o raccogliendosi commosso attorno alle famiglie dei caduti in Afganistan, e come sempre impegnandosi generosamente in molte buone cause, quelle del volontariato, della fattiva e affettuosa vicinanza ai portatori di handicap, ai più poveri, agli anziani soli, e del sostegno alla lotta contro le malattie più insidiose di cui soffrono anche tanti bambini.

E’ necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari: penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca.
Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia, nei modi e nei limiti stabiliti, per svolgere un onesto lavoro o per trovare rifugio da guerre e da persecuzioni: le politiche volte ad affermare la legalità, e a garantire la sicurezza, pur nella loro severità, non possono far abbassare la guardia contro razzismo e xenofobia, non possono essere fraintese e prese a pretesto da chi nega ogni spirito di accoglienza con odiose preclusioni. Anche su questo versante va tutelata la coesione, e la qualità civile, della società italiana.

Qualità civile, qualità della vita: aspetti, questi, da considerare essenziali per valutare la condizione di una società, il benessere e il progresso umano. Contano sempre di più fattori non solo di ordine materiale ma di ordine morale, che danno senso alla vita delle persone e della collettività e ne costituiscono il tessuto connettivo.

E’ necessario che si riscoprano e si riaffermino valori troppo largamente ignorati e negati negli ultimi tempi. Più rispetto dei propri doveri verso la comunità, più sobrietà negli stili di vita, più attenzione e fraternità nei rapporti con gli altri, rifiuto intransigente della violenza e di ogni altra suggestione fatale che si insinua tra i giovani.

Considero importante il fatto che nel richiamo alla solidarietà e ai valori morali incontriamo la voce e l’impegno di religiosi e di laici, della Chiesa e del mondo cattolico. Così come nel discorso su una nuova concezione dello sviluppo – che tenga conto delle lezioni della crisi recente e dell’allarme per il clima e per l’ambiente – ritroviamo l’ispirazione e il pensiero del Pontefice. Vedo egualmente sentita da quel mondo l’esigenza dell’unità della nazione italiana.

In realtà, non è vero che il nostro paese sia diviso su tutto: esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica. Tensioni che è mio dovere sforzarmi di attenuare. E’ uno sforzo che mi auguro possa dare dei frutti, come è sembrato dinanzi a un episodio grave, quello dell’aggressione al Presidente del Consiglio: si dovrebbero ormai, da parte di tutti, contenere anche nel linguaggio pericolose esasperazioni polemiche, si dovrebbe contribuire a un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico.
Io posso assicurarvi che sono deciso a perseverare nel mio impegno per una maggiore unità della nazione : un impegno che richiede ancora tempo e pazienza, ma da cui non desisterò.

Anche perché nulla è per me come Presidente di tutti gli italiani più confortante che contribuire alla serenità di tutti voi. Mi hanno toccato le parole del comandante di un contingente dei nostri cari militari impegnati in missioni all’estero. Mi ha detto – dieci giorni fa in videoconferenza per gli auguri di Natale – che lui e i suoi “ragazzi” traggono serenità dai miei messaggi quando gli giungono attraverso la televisione.

Sì, hanno bisogno di maggiore serenità tutti i cittadini in tempi difficili come quelli attuali, lavoratori, disoccupati, giovani alle prese con problemi assillanti, quanti sono all’opera per rilanciare la nostra economia, e quanti servono con scrupolo lo Stato, in particolare le forze armate chiamate a tutelare la pace e la stabilità internazionale, o le forze dell’ordine che combattono con crescente successo le organizzazioni criminali.

E a questo bisogno debbono corrispondere tutti coloro che hanno responsabilità elevate nella politica e nella società.

Serenità e speranza sento di potervi trasmettere oggi. Speranza guardando all’Italia che ha mostrato di volere e saper reagire alle difficoltà. Speranza guardando al mondo, per quanto turbato e sconvolto da conflitti e minacce, tra le quali si rinnova, sempre inquietante, quella del terrorismo. Speranza perché nuove luci per il nostro comune futuro sono venute dall’America e dal suo giovane Presidente, sono venute da tutti i paesi che si sono impegnati in un grande processo di cooperazione e riconciliazione, sono venute dalla nostra Europa, che ha scelto di rafforzare, con nuove istituzioni, la sua unità e rilanciare il suo ruolo, offrendo l’esempio della nostra pace nella libertà.

Questo è il mio messaggio e il mio augurio per il 2010, a voi italiane e italiani di ogni generazione e provenienza che salutate il nuovo anno con coloro che vi sono cari o lo salutate lontano dall’Italia ma con l’Italia nel cuore.

Ancora buon anno a tutti.

(Beh, buona giornata)

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