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Il berlusconismo ha fatto perdere tempo all’Italia. Ha fatto perdere la testa alla sinistra. Questa è una lettera scritta il 23 aprile 2008. La sua attualità è la misura del ritardo dell’opposizione al governo Berlusconi.

di MARTINA FERRI
(Martina Ferri ha firmato questo articolo sul quotidiano Liberazione il 23 aprile 2008. Lo pubblichiamo in vista di possibili nuove elezioni politiche in Italia. Ci sembra di un’attualità dirompente, stringente, addirittura lancinante. Dalema, Bersani, Vendola, Di Pietro dovrebbero pensarci un po’ su. Ben sapendo che, come cantava Guccini, “i politici han ben altro a cui pensare”)

Come se il proiettore si fosse spento bruscamente. Come se la realtà virtuale ricreata intorno a noi fosse sparita, lasciando apparire il deserto che ci circonda. Non ci credevamo, ma vederla rappresentata, questa sinistra, ci faceva stare un po’ meglio. Non c’era, lo sapevamo bene, ma accettavamo l’illusione come un leggero calmante.

Ho scritto a Vladimir Luxuria chiedendole un motivo per votare. Nella sua risposta non ho trovato quella motivazione forte, così forte da spingermi ad avere un altro po’ di pazienza e tornare a dare fiducia alla sinistra in parlamento.

Non ho votato, e ora di che mi lamento? Come giustifico politicamente la desolazione che provo nell’immaginare la nuova distribuzione dei colori nelle camere?

Non la giustifico, ma c’è. Mi sento desolata e sconfitta, ma mi sarei sentita così in ogni caso. Tant’è.

Il mio non voto è stato un grido, un grido che voleva scuotere una forza politica che ritenevo il mio unico interlocutore possibile, che però non mi rivolgeva più la parola da molto tempo.

La sinistra non parla con me, non mi conosce, non sa e non si cura di sapere dove vivo, cosa faccio, quali sono i miei problemi e le mie aspirazioni. Come può uno sconosciuto rappresentarmi? Cosa può rappresentare di me, della mia generazione, della mia classe sociale? Può il mio unico scopo essere la conservazione di una rappresentanza di sinistra in parlamento, quando questo avrebbe solo valore formale? Perché io non avverto la sostanza di sinistra nell’arcobaleno.

Umanamente mi dispiace per le persone che si trovano mancare la terra sotto i piedi per questa bastonata sui denti che si chiama trepercento. Ma quando si è lontani dalla realtà, il risveglio fa sempre male. Mi auguro che ci sia questo risveglio, mi auguro che nei prossimi anni si smetta di cercare di interpretare i desideri dell’elettorato (desideri indotti, bisogni immaginati, come l’esigenza di sicurezza), e che si cerchi di comprendere i problemi reali delle persone, interpretandoli ed offrendo una visione possibile del mondo.

Ho bisogno di una forza politica, ma non televisiva, che mi aiuti a spiegare ai miei colleghi di lavoro, alle persone che incontro nel quartiere, sull’autobus, o in fila alla cassa ticket delle asl, che il nostro problema non sono i Rumeni, ma gli affitti alle stelle. Che il problema è il profitto e chi sfrutta in nome del profitto, e non chi si lascia sfruttare perché non ha altra scelta. Che il concetto di clandestinità non ha senso, è scientificamente indifendibile. Che discriminare i gay e le lesbiche è come riprodurre l’apartheid dell’America e di Israele. Ho bisogno di essere appoggiata, di avere una sponda, per non sentirmi emarginata nella mia città. Ho bisogno di una sinistra in parlamento, certo, ma che sia sinistra.

Non c’è più nulla di scontato. L’antifascismo, la solidarietà sostanziale, il lavoro comune per il miglioramento della vita di tutti, il rispetto delle regole che garantiscono la libertà, e la lotta per i diritti che ancora mancano. Le persone con cui ho a che fare mi guardano con gli occhi di fuori quando faccio riferimento a queste cose. L’individualismo di massa ha conquistato ogni spazio lasciato incustodito, il qualunquista è considerato quello che ci ha visto più lungo di tutti.

Ecco, io mi sento così: mi avete lasciato da sola a combattere con il mostro gretto, ignorante e aggressivo. La mia voce è stata lasciata a morire sotto le urla dell’arroganza, della miseria umana, della totale mancanza di coscienza (di classe). E non mi sono sentita aiutata da voi, nella mia militanza quotidiana nell’orrido mondo reale in cui sono costretta a vivere.

Ho visto sempre più fascisti parlare ad alta voce e senza vergogna. Razzisti sproloquiare contro gli immigrati, senza pudore, sull’autobus, nei bar, per la strada. Signore distinte sospirare malinconiche ripensando ai bei tempi del duce. Tutti assolutamente indisturbati facevano a pezzi il mio paese. Mentre io mi azzardavo ad esprimere i miei contenuti, venivo travolta dalla massa di voci più forti, più categoriche, più arroganti. Le voci di quelli che avevano dalla loro parte forze politiche che sdoganavano i più bassi istinti dell’italiano medio.

Mi sono sentita sola, e non ho votato perché volevo che ve ne accorgeste. Vi prego di farlo, adesso. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

No B Day, sale dal web la protesta contro il governo Berlusconi.

Il comitato “No Berlusconi Day”, nato su Facebook per iniziativa di un gruppo di blogger democratici, indice per il prossimo 5 dicembre, a Roma, una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.-nobdaysupporto@gmail.com

ILTESTO DELL’APPELLO
A noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi e riteniamo che il finto “Fair Play” di alcuni settori dell’opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia del quale risponderanno, eventualmente, davanti agli elettori. Quello che sappiamo è che Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali -come ribadito in questi giorni dalla stampa estera ce definisce la nostra “una dittatura”- e che lì non dovrebbe starci, anzi lì non sarebbe nemmeno dovuto arrivarci: cosa che peraltro sa benissimo anche lui e infatti forza leggi e Costituzione come nel caso dell’ex Lodo Alfano e si appresta a compiere una ulteriore stretta autoritaria come dimostrano i suoi ultimi proclami di Benevento.

Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa, dei suoi rapporti con mafiosi del calibro di Vittorio Mangano o di condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri.

Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte.

Per aderire alla manifestazione, comunicare o proporre iniziative locali e nazionali di sostegno o contattare il comitato potete scrivere all’indirizzo e-mail: nobdaysupporto@gmail.com
(Beh, buona giornata)

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

In piena quarta crisi, nasce in Italia un nuovo quotidiano.

di Pino Cabras – Megachip.info

Sta per nascere un nuovo quotidiano, «Il Fatto», e ha già un volume di abbonati potenziali che appare subito significativo perché sembra voler chiamare a raccolta quanto resta dei “ceti medi riflessivi” italiani.

La cosa merita un po’ di domande e alcune valutazioni. L’iniziativa sembra avere il pregio di poter durare. Come si risponde all’emergenza informativa del nostro paese dominato dall’impresario dello spettacolo che vive la sua fase più sguaiata e pericolosa? C’è un modello imprenditoriale in grado di reggere una nuova impresa nel mondo della comunicazione? Quali sono le sponde politiche?

Sono domande molto attuali, che ci poniamo in piena fase di pericolo per la libertà di parola.

Nel momento in cui sarebbe più necessario che mai poter raccontare una grande crisi, maggiore è invece la difficoltà di fare una buona narrazione e trovare gli strumenti. I media più importanti, nonostante quegli strumenti li abbiano, non li usano, essendo essi stessi troppo dentro le cause della crisi. In Italia, per giunta, questi media sono sotto schiaffo di Papi l’Insaziabile, che insiste ormai ogni giorno per indirizzare ‘pro domo sua’ le risorse pubblicitarie, che con la crisi si sono fatte sempre più scarse. Papi in sostanza che fa? Avverte gli imprenditori con tutta la sua “immoral suasion” affinché non osino finanziare i giornali scomodi. L’avvertimento è pronunciato ormai ogni volta che apre bocca in pubblico. Delimita l’area entro cui il mercato mediatico può funzionare. Per gli altri, fuori dal suo perimetro, pretende che la crisi dell’informazione, un fenomeno mondiale, li strazi più che altrove, perché a loro «bisogna chiudere la bocca».

Negli ultimi due anni, proprio durante l’esordio della grande crisi, sono nate tante iniziative fuori da quel perimetro. C’è chi ha imitato maldestramente la già dimessa Current TV di Al Gore, ma in chiave di bollettino di partito. YouDem è uno specchio perfetto della crisi verticale del Partito Democratico. Non conta quasi nulla nemmeno la cugina dalemiana, Red TV. Sono nati nuovi quotidiani a sinistra, «Terra» e «L’Altro», mentre sono stati investiti da forti trasformazioni editoriali altri quotidiani esistenti, «l’Unità» e «Liberazione». Il loro peso nella società italiana, come la capacità di raccontarla, tendono all’irrilevanza, in ciò riflettendo la dissipazione della sinistra novecentesca in Italia: anche questa è una tendenza di cui le ultime elezioni europee hanno rivelato la portata internazionale.

Ci sono poi le esperienze della Rete. In questi ultimi anni Beppe Grillo ha rafforzato il suo efficiente modello imprenditoriale in cui c’è sinergia fra il suo blog, gli spettacoli, un certo networking su temi politici, sociali e ambientali. Qualche volta l’«azienda Grillo» ha inciso sull’agenda della comunicazione, ma è difficile scalfire un modello di consumo comunicativo nel quale il 70% dei cittadini apprende tutto soltanto dalla TV. Daniele Luttazzi aveva liquidato i V-Day grillini come dei flash mob un po’ più articolati. Allo stesso modo dei flash mob, i raduni di Grillo rompevano la quotidianità, ma poi la quotidianità ritornava, e le urne del vasto blocco sociale berlusconiano si riempivano ugualmente di voti nei giorni delle elezioni. Grillo ha segnato tuttavia una tendenza, così che anche altri comunicatori hanno ricreato “modelli di business” sostenibili in cui al centro c’è internet, la grande ostetrica delle nicchie intellettuali. Anche questa è una tendenza che si manifesta su scala mondiale.

D’altronde i media non sono compartimenti stagni.
Beppe Grillo ha guadagnato il suo primo sostrato di popolarità dalla sua originaria caratura di personaggio televisivo, ha integrato questo patrimonio con lo specifico del teatro, lo ha riportato sul terreno di internet, dove ora fa ritornare anche un certo uso della grammatica delle immagini, che descriverei comunque come “televisive” in mancanza di migliori definizioni.

Si può richiamare un altro esempio di interazione fra media diversi. Marco Travaglio assieme a Elio Veltri aveva scritto un libro nel 2001, “L’odore dei soldi”, che rompeva tutti i tabù mediatici sulla biografia di Berlusconi. Un buon libro può influenzare i lettori, crescere e sedimentarsi anche quando questi lettori siano poche migliaia. Può perfino arrivare in TV. Successe anche a quel libro. Travaglio presentò il suo volume in televisione, e la rottura del tabù pervenne a milioni di persone. Il segmento di mercato librario raggiungibile dal più documentato cronista giudiziario italiano si moltiplicò fino ai suoi confini naturali potenziali, tanto che Travaglio in questo decennio è diventato una macchina mediatica in grado di sfornare decine di best-seller, al punto di dare forma a un “genere”, adoperato in varia misura anche da altri scrittori. Nascono nuove collane e perfino nuove case editrici fondate apposta da quelle più grosse per consentire più agilità ai direttori editoriali nello sfruttamento del filone. Sebbene i punti più delicati delle inchieste di Travaglio non passino se non occasionalmente in televisione, la TV è comunque una piattaforma di lancio non secondaria per l’indotto, assieme ai DVD, ai blog e, recentemente, al teatro. Adesso dunque entra in gioco anche un quotidiano.

L’idea che la televisione sia ancora il formato dominante nella comunicazione è stata invece alla base di Pandora TV, il progetto promosso a partire da un appello di noti intellettuali, giornalisti, personalità dello spettacolo, che ha visto anche Megachip spendersi in prima fila nella promozione. Come oggi spiegano i promotori nel documento in cui rilanciano il progetto, le sottoscrizioni materiali sono state finora nettamente inferiori alle attese e al numero dei firmatari. Sebbene sia «stata costruita un’agenda televisiva insolita, che ti dà l’idea di come potrebbe essere potente una TV con più mezzi, che intenda diffondere quel che qualcuno non vuole che tu sappia», si è scontato un problema più esteso, che riguarda Pandora come altre esperienze: «la profonda crisi culturale e democratica del paese, la spaccatura a sinistra tra intellettuali ormai incapaci di trovare un linguaggio comune e comuni obiettivi, un pubblico sempre più annichilito dall’agonia dell’informazione», senza tralasciare il peso della crisi economica, non certo un buon viatico per investire a fondo perduto in un bene pur essenziale come la comunicazione. Oggi stiamo tentando di riproporre il progetto, perché l’emergenza è ancora più forte di prima. Scontiamo tutta la grande difficoltà del compito, ma il terreno televisivo andrà presidiato in qualche modo.

Intanto, non trasmette ancora Europa 7, la TV generalista di Francesco Di Stefano bloccata per anni dal sistema politico italiano in barba alle leggi con accanimento bipartisan. L’ultima beffa del 2009 è stato concederle un sistema di frequenze che copre solo una minima parte del territorio nazionale. A queste condizioni, se Europa 7 partisse ora fallirebbe in sei mesi. Per la TV – medium ancora dominante – non ci sono di fatto spazi per grandi operazioni se non con disponibilità economiche immense su nuove piattaforme (Murdoch) o con operazioni “corsare” che osino informare e intrattenere rompendo gli schemi (Pandora se avesse risorse).

In questo quadro politico e mediatico nasce dunque l’iniziativa imprenditoriale denominata «Il Fatto Quotidiano», imperniata sulla diretta partecipazione nella compagine sociale di due giornalisti, Antonio Padellaro e Marco Travaglio, rispettivamente con il 22% e l’11% delle azioni, nonché di un soggetto editoriale forte, la casa editrice Chiarelettere (con il 22%), che appartiene interamente al terzo gruppo dell’editoria libraria italiana, le Messaggerie Italiane, un gruppo relativamente poco noto con questa denominazione, mentre sono molto conosciute le tante case editrici che controlla. Oltre a Chiarelettere, sono controllate infatti dalle Messaggerie anche Bompiani, Garzanti, Salani-Ponte alle Grazie, Longanesi, Vallardi, TEA, Guanda, e altre ancora, tra cui l’ultima acquisita, nel luglio 2009, la Bollati Boringhieri. Il fatturato consolidato del gruppo supera il mezzo miliardo di euro. Le copie stampate sono circa dieci milioni all’anno. L’utile registrato negli ultimi bilanci è sempre stato di poco inferiore ai sette milioni di euro. Del gruppo fa parte anche Internet Bookshop Italia (IBS), la più nota piattaforma italiana di vendita di libri on line. Si tratta dunque di un soggetto che, in base a questi e altri parametri, potrebbe ipoteticamente offrire ampie garanzie, fideiussioni e “collaterals” in grado di ridurre drasticamente il rischio d’impresa per una sua nuova iniziativa in fase di “start up”.

Nel quadro dell’operazione è stata lanciata anche una campagna di disponibilità ad abbonarsi al nuovo quotidiano, con 40mila aderenti finora persuasi dalla promessa che «non avrà padroni». È un segno di un possibile successo fra i lettori, anche se questo non dice nulla in merito alla sostenibilità del business una volta che si dovranno fare i conti con la pubblicità e i costi di distribuzione, le note dolentissime dell’attuale crisi dei quotidiani cartacei.

Un quotidiano costa e costerebbe ancora di più senza editori a reggerlo. Senza editori si hanno le mani libere e si rende conto solo ai propri sostenitori e lettori, ma si è troppo esposti ai rovesci. L’elenco dei quotidiani italiani falliti su queste premesse è lunghissimo. «Il Manifesto» è un’eccezione che sopravvive camminando sempre su un filo sottilissimo, pronto a spezzarsi.

L’operazione «Il Fatto», come abbiamo visto, è meno avventata di altre. L’editore industriale c’è.

E c’è anche l’identificazione di una missione politica ed editoriale che ha alcuni margini di espansione, una missione che vede convergere diversi soggetti.

La crisi del Partito Democratico ha concesso estese praterie elettorali all’Italia dei Valori, il partito fondato e dominato da Antonio Di Pietro. Un elettorato numeroso e smarrito osserva con avvilimento la triste parabola dei partiti che normalmente votava, e oscilla tra l’astensione e lo sguardo rivolto a progetti politici diversi (dal partito in cui detta legge Di Pietro fino a Beppe Grillo e alla spinta laica post-girotondina). Sul numero 4/2009 di «Micromega», Paolo Flores d’Arcais fa notare che tra le elezioni politiche del 2008 e quelle europee del 2009 il PD ha perso diecimila voti al giorno, mentre Italia dei Valori ne guadagnava quattromila al giorno. E la sinistra ha confermato l’incapacità di superare i quorum. Su vari candidati dipietristi è arrivato un robusto ‘endorsement’ da parte di testimonial un tempo restii a dare indicazioni di voto: ancora Grillo, ancora Travaglio. E poi il netto schierarsi di «Micromega» e altre riviste e movimenti.

Pura constatazione: si sta formando una galassia di “intellettuali organici” a un progetto, che trova sempre più stabili occasioni di convergenza e luoghi di interazione. La definizione gramsciana di “intellettuale organico”, dal punto di vista metodologico, parte dal fatto che ogni intellettuale è militante; legato in modo “organico” a un gruppo sociale, a una formazione sociale, e riproduce costantemente, perfino inconsciamente, un certo quadro di interessi; senza che questo si traduca necessariamente in una posizione partitica blindata. Un quotidiano che s’inserisse in questo contesto magari non sarebbe un “organo” di partito, ma sarebbe naturalmente “organico” a una proposta politica in divenire.

Per via delle dinamiche elettorali in corso, le liste dell’Italia dei Valori-Di Pietro sono diventate un campo gravitazionale in grado di ricomporre e attrarre con una certa forza quella parte di opposizione che intende consistere in sé e per sé e vuole difendere la Costituzione sotto scacco. Quella parte sa bene che Di Pietro sui contenuti – adottati con disinvoltura a tratti cinica – interviene con la prontezza di un vero “imprenditore del consenso”: realizza “affari politici” in tempi che un tipico esponente del PD non realizzerebbe mai, e lo fa in modi sostanziali e spregiudicati. Questa opposizione in fieri è talmente consapevole di alcuni difetti costitutivi dell’«azienda Di Pietro» che fa di tutto per enfatizzare le possibili correzioni promesse dal capo del partito.
Travaglio ha scritto ad esempio qualche riga di coinvolto e partecipe incoraggiamento nei confronti dei modesti segnali di cambiamento nello statuto del partito, finora corazzato in modo proprietario nelle mani del furbo Tonino.
Flores D’Arcais intervista Di Pietro con lo stesso tono partecipe, chiedendogli – già nello speranzoso titolo del dialogo su «MicroMega» – «cosa vuol fare l’IDV da grande?»

Di Pietro ha un disegno. Nell’aprire parzialmente la sua macchina politica alla galassia degli intellettuali, allarga la classe dirigente e punta a un raddoppio dei consensi. Cioè un partito del 16%. Il che forse corrisponde al numero di elettori che vedono al primo posto la questione della legalità sopra tutti gli altri temi. Di fronte all’afasia del PD è una prospettiva plausibile, tanto più verosimile quanto più il progetto si dimostri in grado di captare in modo più strutturato i famosi “ceti medi riflessivi”, per svariati motivi non più rappresentabili dal PD. Per una tale strutturazione la presenza nell’area di un giornale quotidiano – ancorché non finanziato dal partito – potrebbe essere un pezzo importante del mosaico.
I vari media hanno raggi d’azione diversi, imprimono effetti sulla realtà che non derivano solo dal numero di persone raggiunte direttamente, ma pure dall’influenza che possono esercitare su gruppi particolari, sulle élite, su strati di cittadini particolarmente attivi che a loro volta interagiscono con altri.

Al mosaico mancano alcuni pezzi.

Innanzitutto quale sarà il peso delle questioni internazionali, così centrali per capire le emergenze ambientali ed economiche di oggi? I quotidiani italiani su questo fronte non hanno informato bene, per usare un eufemismo. Quale sarà l’analisi degli scenari di guerra? Il foglio di Travaglio & C. saprà liberarsi dagli schemi dei dinosauri della Guerra Fredda su molte decisive questioni? Questo non lo sappiamo ancora, ed è un tema altrettanto fondamentale quanto quello della legalità interna.

Un altro pezzo del mosaico è la questione del pubblico di riferimento per l’informazione. Un quotidiano, quando le cose riescono bene, fa riflettere il caro vecchio “homo legens”. E magari gli dà strumenti per agire e contare, specie se si trova in posizioni in cui decide. Un articolo che lascia un buco informativo ai giornali che ignorano i fatti fa sempre rumore e li mette in una posizione scomoda. Tuttavia quel quotidiano da solo non raggiungerà il nuovo “homo videns”, che rappresenta la maggioranza dei cittadini. Posto che – per le ragioni prima accennate – aumentano le convergenze fra segmenti comunicativi diversi (quotidiani, rete, TV) rimane un incombenza per chi vuole rafforzare l’informazione libera: è quella di non smarrire l’importanza di un percorso per immagini e contenuti di tipo televisivo.

Un’ultima considerazione. Ho usato più volte in modo intercambiabile i termini informazione e comunicazione. In realtà la comunicazione è un fatto molto più ampio dell’informazione.
Si fa bene a essere sensibili al tema dell’informazione. Ma questa è una componente sottile di tutta la corrente dei messaggi, in cui prevalgono le concezioni del mondo date da intrattenimento e pubblicità. La grande manipolazione dei media ha certo come ingrediente di base l’inganno informativo nonché la scomparsa dei fatti e delle domande scomode, ma il grosso di essa si compie nel resto della comunicazione, ampiamente fruita dalla maggioranza dei cittadini.

Il nuovo quotidiano aprirà qualche finestra in più davanti alla coscienza democratica dell’Italia e perciò mi auguro che possa avere successo, intanto che però mi pongo il problema di fondo, ancora irrisolto: come aprire le porte e finestre più importanti, come varcare la soglia delle stanze in cui si decide la vera colonizzazione delle menti, per immagini ed emozioni. (Beh, buona giornata)

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Attualità democrazia

“Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani.”

Elezioni/ Berlusconi primo ma non vince: il 35 per cento non sconfigge il governo ma smentita il leader, ed è colpa sua. Le vittorie della Lega e Di Pietro, il Pd salva la pelle, la sinistra suicida, il miracolo di Casini. In Europa il giorno nero dei socialisti, il vento di destra. E quel seggio che si inchina a Noemi. di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

La sorpresa c’è stata: Berlusconi arriva primo ma non vince. Quel 35 per cento è più di quanto abbia raccolto ogni altro partito, ma è poco. E che sia per tutti, lui compreso, poco, proprio poco, è scelta, responsabilità e colpa proprio sua, di Berlusconi.

Tecnicamente è andata così: agli astenuti per stanchezza e sfinimento, malattie tipiche e in certa misura ormai croniche dell’elettorato di centro sinistra, stavolta si sono aggiunti gli astenuti per indigestione e inappetenza. Due malesseri, due indisposizioni forse momentanee e forse no che hanno colto un bel po’ di elettorato di centro destra. Indigestione da premier troppo pimpante, troppo narrante, troppo promettente, troppo tutto… E inappetenza, voglia un po’ calcolata e un po’ casuale di metterlo a moderata dieta di consensi questo premier già autoproclamatosi “santo” e non normale uomo della politica e della storia.

Tecnicamente dunque Berlusconi è stato fermato dall’astensione, stavolta dall’astensione anche della sua gente. Un danno, ma niente di più grave di un’ammaccattura. Se non fosse che altro e più grave danno ha subito Berlusconi: la smentita. I risultati infatti smentiscono non la sua forza ma la sua narrazione. Aveva narrato non solo di altre percentuali, 40 e passa per cento, aveva narrato di un’Italia pronta a risarcirlo in massa delle offese subite. Di un’Italia che faceva ressa ansiosa non per confermarlo premier ma per innalzarlo più in alto, sempre più in alto. Aveva chiesto più voti contro il Parlamento lento e inutile, contro la stampa, i giudici, contro tutto ciò che fa ragine alla sua azione salvifica del paese. Li aveva chiesti questi voti e non li ha avuti, alla sua potente narrazione crede un italiano su tre. Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani. La sua insomma è la voce più forte che c’è, ma non è la voce narrante dell’Italia.

C’è stata la vittoria, anzi ce ne sono state due. Quella della Lega e quella di Di Pietro. Sommandole, se ne deduce che il 20 per cento degli elettori vogliono, fortemente vogliono cose impossibili, sognano e chiedono choc sociali. Vogliono la fine dell’immigrazione, l’esenzione non solo dalla crisi economica ma anche dalla riconversione di abitudini sociali ed economiche senza le quali dalla crisi non si esce, l’abolizione per decreto o per frontiera della globalizzazione…Oppure la defenestrazione, l’impeachement giudiziario di Berlusconi, un “Grande Processo” che purifichi l’Italia…E’ la volontà e la voglia di un bel pezzo, anzi di due pezzi crescenti di elettorato, sono due voglie entrambe “matte”. Cioè tanto incontenibili quanto pericolose.

Non c’è stato il funerale, anzi il Pd ha salvato la pelle. Niente di più della pelle, ma tra il restare in vita e chiudere bottega c’è un mare, anzi un oceano di differenza. Sono ancora in tempo a disperderlo quel 26 per cento, quelli che guidano il Pd sono capaci anche di questo. Sarebbero anche in tempo, incredibilmente l’elettorato glielo ha dato ancora il tempo, di diventare una forza riformista davvero. Insomma hanno avuto tempo, che in politica è una forma di “denaro”.

C’è stata la sentenza: hanno disperso e buttato via il 6,5 per cento dei voti. Le due liste di sinistra si sono suicidate non per caso e non per sbaglio. La sentenza è di inaffidabilità politica e culturale, oltre che organizzativa.

C’è stata la conferma: l’Udc di Casini esiste e resiste, anzi avanza. Il centro destra non se la mangia, il centro sinistra non la scalfisce.

Dunque un’Italia alquanto diversa da come lei stessa si aspettava di essere, diversa almeno un po’, più complicata di come veniva narrata dalla versione ufficiale.

E l’Europa? Stanca, illusa, nervosa. Ai governi e ai partiti socialdemocratici non crede più e anzi di loro non sa più tanto bene che farsene. Paga dazio Zapatero, anche se in fondo resiste, l’Spd tedesca si avvia a mollare il governo, il Labour inglese è annichilito, i socialisti francesi sembrano un vecchio partito comunista. Tengono invece i governi di centro destra nei paesi sociallmente più solidi. In quelli di fragile e recente democrazia invece avanza la destra estrema. Ci si soprende che i ceti popolari e anche il ceto medio sotto la pressione della crisi economica guardino a destra. Non è però un fenomeno nuovo, anzi è una costante della storia. E’ un’Europa stanca di dover cambiare, infinitamente stanca di dover correre il rischio che invece gli americani accettano. Illusa di poter restare come sta. Nervosa perchè in realtà non sa a chi chiedere la garanzia dell’immobilità.

Ultima nota, marginale, casalinga e mortificante: quel seggio dove Noemi arriva scortata dai vigili urbani e dalle forze dell’ordine, l’energumeno che spinge via gli altri elettori in attesa, il presidente di seggio che chiude la porta in faccia ai comuni cittadini perchè i vip stanno votando. Piccola, grande scena di un’Italia servile per vocazione, civilmente ignorante e cafona. Una scena triste e avvilente, ma questa, almeno questa, non è certo colpa di Berlusconi. In quel seggio un’Italia eticamente “meridionale” si è mostrata com’è, al naturale. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Elezioni europee 2009: che succede a sinistra?

di Antonio Funiciello-Liberal

Secondo tutti sondaggi recenti, il nuovo partito della sinistra non supererà Io sbarramento. Questo metterebbe in grande difficoltà i leader

ROMA, Sinistra e libertà non ce la fa. I sondaggi sono impietosi e la danno ferma tra il 2% e il 3%: i voti in uscita dal Pd sono tutti per Di Pietro e Rifondazione, così che alla seconda versione di quello che fu l’Arcobaleno (vedi Politiche 2008) non restano che briciole. I fattori di debolezza si sommano inesorabili.

Anzitutto un leader, Nichi Vendola, che non indovina una mossa.
Prima manda a quel paese in diretta televisiva Gasparri, poi scrive una lettera a tutti i leader dell’opposizione per un fronte comune contro il rischio democratico berlusconiano e nessuno gli risponde. Tranne il capo dei comunisti Ferrero, contro cui Vendola ha perso l’ultimo congresso di
Rifondazione: una risposta che suona come una beffa. Gli altri dirigenti sinistri e liberi non si muovono meglio e vivono con inquietudine l’attesa della sconfitta. Ieri Fabio Mussi si è rivolto direttamente agli ex elettori dei Ds con un appello accorato, cercando di irretire a sé chi nel Pd non si sente a casa. I Verdi restano i più perplessi. Oltre alla infausta leadership di Pecoraro Scanio, hanno riposto in soffitta anche il loro simbolo, perdendo un richiamo identitario che forse da solo avrebbe ottenuto lo stesso risultato che farà tra due settimane Sinistra e libertà. Paolo Cento, già sottosegretario all’Economia a favore della decrescita, è tra i più perplessi della strategia elettorale del nuovo cartello, tanto che ha chiesto ufficialmente meno riunioni e più iniziative di piazza.

Meno riunioni, certo.
Perché Sinistra e libertà non riesce a darsi una guida unitaria e per ogni decisione si ritrova costretta a riunire le quattro componenti che le hanno dato vita: i mussiani ex Ds, i socialisti che furono di Boselli, i Verdi che furono di Pecoraro Scanio e i rifondaroli scissionisti. Riunioni occupate a litigare su tutto: dalle questioni macropolitiche, alle faccende di bottega come l’applicazione del manuale Cencelli su chi mandare in televisione. Una babele che si riflette sui media e nel dibattito politico e rappresenta una zavorra pesantissima da scaricare prima e dopo il voto.

Già, perché dopo il 7 giugno, che fine farà Sinistra e libertà?
Le divisioni interne di oggi attengono molto al destino che arriderà al cartello elettorale nella torrida estate che lo attende. E’ noto il teorema del vignettista Sergio Staino, in lista con Vendola ma fondatore e iscritto del Pd, per cui la propria candidatura in Sinistra e libertà servirebbe in realtà per rafforzare i democratici. A tutti è sembrata una boutade. Eppure rivela la trama su cui si giocheranno i destini della formazione dopo il mancato scavalcamento dello sbarramento del 4%, ovvero il rapporto politico col Pd.
Se è vero che la lista di Ferrero e Diliberto, comunque andrà, avrà un futuro, lo stesso non si può dire per i dirigenti di Sinistra e libertà.
Domenica scorsa Franceschini ha auspicato che coloro che, tra questi, vengono dalla vicenda dell’Ulivo rientrino presto nel Pd. In Sinistra democratica, l’anima mussiana dei fuoriusciti diessini, ci pensa ormai più d’uno. Anche perché l’idea di fare la minoranza moderata di una formazione di estrema sinistra è meno allettante di quella di fare la minoranza estrema di un partito di centrosinistra moderato. Anche i socialisti di Nencini sono su questa lunghezza d’onda. I Verdi paiono, invece, intenzionati a rilanciare il loro autonomismo con un irrigidimento ideologico del loro credo ambientalista.
Più difficile da decifrare la sorte di Vendola e dei pochi che per lui hanno lasciato Rifondazione, anche se è probabile che molti torneranno con Ferrero, lasciando Nichi a presiedere la Puglia ancora per qualche mese.
Fino a quando il Pd non gli darà il benservito, scegliendosi per il centrosinistra un altro candidato presidente per le regionali del 2010. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Botte da orbi tra Franceschini e Di Pietro per aggiudicarsi il favore degli astensionisti di sinistra.

Il Pd seguirà “criteri di serietà. Faremo quello che fanno tutti i paesi europei: manderemo a Bruxelles soltanto persone che resteranno fino alla fine della legislatura a svolgere il loro lavoro nell’interesse del paese, non imbrogliando gli elettori per dimettersi un minuto dopo essere stati eletti”. Così Dario Franceschini, in un’intervista al Tg3, ribadisce la linea del suo partito a proposito delle candidature per le prossime elezioni europee di giugno.

Ma il segretario del Pd non si riferisce soltanto al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, capolista alle europee, ma anche al leader dell’Idv, Antonio Di Pietro: “Non mi riferisco solo a Berlusconi. Gli italiani sono stanchi di politici che dicono cose e nei comportamenti fanno l’opposto. Mi riferisco purtroppo anche a Di Pietro – osserva – che per i suoi elettori e’ diventato un simbolo di legalità e intransigenza e poi alle elezioni europee fa la stessa scelta di Berlusconi: si candida in un posto in cui non potrà stare nemmeno un minuto perché incompatibile per legge. Facendo così tradisce i suoi elettori”.

“Anche noi dell’Italia dei Valori manderemo al Parlamento europeo coloro che rimarranno fino alla fine e che svolgeranno un lavoro nell’interesse del Paese. Ma noi, a differenza del Pd, faremo di più: ci opporremo ai candidati Berlusconi e Bossi con tutte le forze perché essi, in quanto leader, sono espressione di un partito. Chi dirige il partito di vera opposizione ha il dovere di candidarsi per offrire una valida alternativa agli elettori. Lasciamo, dunque, a Franceschini e ai suoi la pilatesca scelta di ‘armiamoci e partite’ di ben altra memoria”. Così il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, risponde all’attacco del leader del Pd, Dario Franceschini. Beh, buona giornata.

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