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La cifra della comunicazione delle cifre.

Durante i mesi duri e bui della grande crisi economica che ha sconvolto il mondo globalizzato, la tendenza a tenere nascosti i dati preoccupanti è stata palese, per certi versi sfacciata. Lo hanno fatto i governi, figuriamoci se non lo dovevano fare le agenzie di pubblicità. Certo, ci sono stati anche momenti grotteschi: ‘in controtendenza con l’andamento del mercato’ si citavano risultati a due cifre, contemporaneamente si mandavano via persone, però, coerentemente, anche i tagli sono stati a due cifre.

Qualche settimana fa, ho letto una dichiarazione del CEO di un’agenzia italiana, il quale sosteneva di aver chiuso il 2009 con un + 50%, nonostante la sua agenzia non avesse fatto alcuna nuova acquisizione nel corso dell’anno. Sono rimasto di sasso: il nostro eroe deve aver finalmente inventato la pietra filosofale, quella che gli alchimisti hanno cercato inutilmente per tutto il Medio Evo, quella, per intenderci che si credeva potesse ‘creare’ l’oro. Complimentoni. Chissà che marca di alambicchi ha usato.

Comunque, poiché siamo nella stagione delle trimestrali, cominciano a circolare i dati relativi ai primi tre mesi dell’anno. Siccome va sempre e comunque di moda ‘l’ottimismo’ vedremo rispuntare segni più. Che però non sono del tutto veri. Cito a memoria la trimestrale di un noto network, potrei sbagliare di qualche decimale: a fronte di una chiusura 2009 negativa del 8,4%, il noto network in questione dichiara un +1,5 nei primi tre mesi del 2010. Urca, dirà qualcuno, che bravi. E no, cari miei: o nella notte di Capodanno tra il 2009 e il 2010, magicamente si sono recuperati 8,4 punti di svantaggio, per poi salire a 1,5, oppure, quel +1,5 va semplicemente sottratto al l’8,4. Risultato? Chiuso l’anno con- 8,4 si riparte da +1,5, cioè da -7,3.

Certo questi trucchetti di tipo cosmetico vengono fatti anche dai ministri dell’Economia dei paesi sottoschiaffo per la crisi. In Italia, per esempio, l’anno si chiude con un rapporto deficit-Pil a -5,5%. Siccome c’è chi sostiene che nel 2010 ci potrebbe essere una ripresa dello 0,5, vorrà dire che invece che -5,5, il risultato sarà di -5%. Dice: però non è carino dirlo così all’opinione pubblica. Meglio dirgli che c’è una crescita, piuttosto che una riduzione delle perdite. Fate un po’ come volete, ma, come diceva Totò, ‘è la somma che fa il totale’. Beh, buona giornata.

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“Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, a maggio il debito pubblico ha raggiunto quota 1.752 miliardi e 188 milioni di euro. Di mese in mese, si macinano nuovi record negativi, che riportano i conti pubblici verso il baratro dei primi anni ’90 quando sfiorammo, allegramente inconsapevoli, la bancarotta argentina.”

di Massimo Giannini-repubblica.it
Corri che ti passa, consiglia il “Wall Street Journal” a chi sente i morsi della crisi, e soprattutto a chi ha perso il lavoro. Ma per gli italiani è un po’ più difficile. Provateci voi, a correre con un fardello di quasi 30 mila euro sulle spalle. Perché a tanto ammonta il debito che ciascun cittadino del Belpaese, suo malgrado, contrae e si porta appresso dalla culla alla bara.

Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, a maggio il debito pubblico ha raggiunto quota 1.752 miliardi e 188 milioni di euro. Di mese in mese, si macinano nuovi record negativi, che riportano i conti pubblici verso il baratro dei primi anni ’90 quando sfiorammo, allegramente inconsapevoli, la bancarotta argentina.

Per un debito che esplode, ci sono le entrate che implodono: anche a maggio l’ennesima contrazione del 3,2 per cento, il che vuol dire che sono andati in fumo, da un anno all’altro, oltre 5 miliardi di euro.

Crisi economica, certamente. Calo dei gettiti derivante dalla contrazione delle attività produttive, senz’altro. Ma anche, ormai è chiaro, aumento dell’evasione fiscale, incentivata da una dissennata politica del doppio binario: bastone minacciato (attraverso improbabili Global Legal Standard e inverificabili chiusure ai paradisi tributari) e carota assicurata (attraverso scudi che nascondono condoni e semplificazioni che si traducono in esenzioni).

E in queste condizioni noi dovremmo correre? Può funzionare in America, forse. Il “Wall Street Journal”, appunto, ha fatto una curiosa inchiesta. Mettendo in parallelo i risultati delle grandi maratone internazionali e gli andamenti dell’economia, ha scoperto che nelle fasi di crisi più acuta, come quella che stiamo vivendo e che è iniziata nel 2008, le performance degli atleti sono state assai migliori che in passato. La tesi è che il disoccupato ha più tempo per allenarsi, e in qualche caso è anche meno stressato del corridore che lavora e deve difendere quotidianamente il posto dalle minacce della recessione.

La tesi è suggestiva, ma per noi tutt’altro che consolatoria. Con questi drastici peggioramenti nei saldi della finanza pubblica e con questi chiari di luna sulla congiuntura, che promette un settembre nero per molte imprese a corto di ordini e di liquidità, la corsa non è una risorsa. Serve un premier che ricominci a occuparsi del governo del Paese, più che dell’organizzazione delle sue nottate. Serve un ministro che ricominci a occuparsi più dell’economia, e un po’ meno della filosofia. “Qualcuno con cui correre” era il titolo di un bellissimo libro di David Grossman di qualche anno fa. Non vorremmmo scoprirci ad essere una moltitudine, nell’autunno caldo che verrà. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il capolinea del governo Berlusconi.

(fonte: blitzquotidiano.it)
A Berlusconi non far sapere…ma la crisi bussa tre volte in un giorno solo. Alla porta del suo governo ma, quel che più importa, anche alla porta di casa nostra. Come il premier, anche ciascuno di noi preferisce tenerla fuori dell’uscio, ignorare i rintocchi, aspettare che si stufi e si stanchi di importunarci. Però la crisi non se ne va, anzi bussa, tre volte in un giorno.

La prima volta suona per chi i soldi li ha: 102 miliardi di quotazioni azionarie come si dice “in fumo” in un giorno. Miliardi che un giorno vanno e un giorno vengono, non è il caso di farne un dramma. E poi riguarda appunto chi ha azioni e chi ce l’ha più tra la gente normale? Solo i matti.

Se non fosse che le Borse sentono odore di bruciato. Dopo settimane e mesi di risalita perché annusavano la fatidica uscita dalla crisi, adesso sono giorni che si vende, si vende. Si vende perché non si crede che molte aziende, quelle che fabbricano cose e non finanza ce la facciano ad arrivare a fine anno. A leggere tra le righe delle cronache dei giornali si vede che molte chiusure per ferie quest’anno rischiano di essere chiusure e basta. Storie di piccole aziende, comunque la prima bussata è per investitori e azionisti, il più di noi può non sentirla.

La seconda bussata riguarda chi lavora a stipendio e a salario. Un po’ di più, parecchia più gente. La seconda bussata dice che in Europa la disoccupazione è arrivata al 9,5 per cento. Altissima. Traduzione: chi ha un lavoro rischia di perderlo, chi non ce l’ha un lavoro è quasi sicuro che non lo trova. Almeno fino al 2010, arrivarci al 2010.

La terza bussata è per i nostri figli e nipoti: il deficit dello Stato italiano nei primi tre mesi dell’anno ha viaggiato a quota 9,3 per cento della ricchezza prodotta. Una volta il tre per cento era il limite, il 4 segnale d’allarme. Ora quel nove e passa dice che lo Stato si indebita sempre più e pagheranno i figli e i nipoti nei prossimi anni e decenni. Tasse? Non ce ne sarà bisogno: sarà una tassa chiamata inflazione ad asciugare l’alluvione del debito.

Tre colpi alla porta in un solo giorno, uno per chi i soldi li ha, uno per chi vive di lavoro, l’altro per il futuro delle famiglie. Meglio non sentirli, accendiamo la tv. Beh, buona giornata.

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A Confindustria non piace più il governo Berlusconi.

Confindustria: pil 2009 a -4,9% ripresa “faticosa” nel 2010
Emma Marcegaglia: “Senza un cambiamento strutturale nessuna ripresa per 5 anni”
Confindustria: pil 2009 a -4,9% ripresa “faticosa” nel 2010-Repubblica

Nel 2009 il prodotto interno lordo in Italia si contrarrà del 4,9%. E’ la stima del centro studi di Confindustria che ha tagliato le precedenti previsioni che, a marzo, parlavano di un calo del 3,5%. Un quadro in cui l’occupazione continua a calare. L’economia dovrebbe tornare a crescere dello 0,7% nel 2010 ma la ripresa sarà “ripida” e l’Italia “vi si inerpicherà faticosamente”. Quanto al debito pubblico, crescerà dal 105,7% del pil nel 2008 al 114,7% nel 2009, fino a toccare nel 2010 il 117,5%. Sulla questione interviene anche il presidente Emma Marcegaglia: “Ci sono timidi segnali di ripresa, ma davanti abbiamo mesi molto difficili ed è assolutamente necessario varare le riforme strutturali altrimenti usciremo dalla crisi con un tasso di crescita molto basso e ci vorranno 5 anni per tornare ai livelli di prima”.

Il calo dei consumi. Nel 2009 i consumi si ridurranno dell’1,9%, accelerando il calo dello 0,9% che si è avuto nel 2008. Torneranno a crescere nel 2010 ( 0,7%) grazie a “una maggiore fiducia sostenuta dalla ripresa economica e a un reddito disponibile reale in aumento dell’1,2% dopo la riduzione dell’1,6% subita nel 2009”.

L’uscita dalla crisi. “Indicare ‘exit strategy’ dalla crisi con troppo anticipo – avverte Confindustria – rischia di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato di stabilizzazione delle aspettative”.

Allarme occupazione. Nei due anni tra il primo trimestre del 2008 e il primo del 2010, la recessione causerà la perdita di circa un milione di unità di lavoro (tra posti di lavoro e cassa integrazione). Il Centro studi di Confindustria sottolinea che il tasso di disoccupazione arriverà quest’anno all’8,6% e nel 2010 al 9,3%, “livello che non veniva più toccato dal 2000”.

Le mancate riforme. Secondo Confindustria, “lo stato sociale è insostenibile”. Nel presentare i dati, il direttore del Centro studi, Luca Paolazzi, ha rimarcato che “le mancate riforme hanno costi enormi e al contempo offrono gigantesche opportunità: facendo leva su infrastrutture, istruzione, pubblica amministrazione e liberalizzazioni il pil italiano può guadagnare almeno il 30% nei prossimi 20 anni”.

Le “cura” Marcegaglia. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ribadisce la necessità di agire subito per permettere al paese di tornare a crescere. Gli ambiti da riformare indicati dal numero uno di viale dell’Astronomia sono l’istruzione, le infrastrutture e la giustizia. Ma anche il sistema finanziario necessita di una rivoluzione, dando attuazione al Sace, il fondo di garanzia e la cassa depositi e prestiti, e spingendo sulle liberalizzazioni: “Ci sono ancora interi settori dove il mercato non ha spazio sufficiente e c’è tutt’ora una concorrenza sleale”

Le reazioni. Dure le critiche dell’opposizione. “Le stime di Confindustria smentiscono le bufale propinate dal governo Berlusconi e confermano ciò che il partito democratico ripete da mesi: sulla crisi l’esecutivo non ha mai avuto il polso della situazione”. Lo afferma Sergio D’Antoni, responsabile per il Mezzogiorno del Pd e vicepresidente della commissione Finanze della Camera. “Con l’alibi del debito pubblico, il ministro Giulio Tremonti non ha fatto assolutamente nulla per sciogliere i nodi strutturali che impediscono la ripresa del paese”. Interventi a sostegno delle zone deboli, infrastrutture, aiuti alle piccole e medie imprese, più tutela ai precari. Queste, per D’Antoni, “le priorità disattese dal governo”. (Beh, buona giornata).

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Toh, il ministro Tremonti si è accorto che l’Italia è nella crisi fino al collo.

(da sole24ore.com)

Anno nero per l’economia italiana nel 2009. Il Pil è previsto in calo del -4,2%, ben oltre le ultime previsioni e in linea con il recente Word Economic Outlook del Fondo monetario internazionale.

È quanto stima il Tesoro nella Relazione unificata sulla finanza pubblica. Timidi segnali di ripresa solo l’anno prossimo, quando la crescita del Prodotto interno lordo tornerà positiva a +0,3%. «Nel 2009 – si legge nel documento – il Pil è stimato contrarsi del 4,2%, 2,2 punti percentuali in meno rispetto alla stima indicata nell’Aggiornamento del programma di stabilità dello scorso febbraio (-2%). Il profilo trimestrale prospetta una modesta ripresa a partire dal secondo trimestre del prossimo anno. Nel periodo 2010-2011 il Pil è proiettato crescere dello 0,7%».

Secondo la relazione del Tesoro è destinato a salire, come previsto, anche il debito pubblico: si attesterà quest’anno al 114,3% del Pil, per poi salire ancora al 117,1% l’anno prossimo e a 118,3% nel 2011. Il Tesoro ha rivisto quindi le stime in aumento: secondo le previsione contenute nell’Aggiornamento del Patto di stabilità interno, pubblicate a febbraio, il debito/Pil era visto quest’anno al 110,5%, l’anno prossimo a 112% e nel 2011 a 111,6 per cento.

In aumento, ovviamente, anche il rapporto deficit/Pil. Nel 2009, secondo le previsioni contenute nella Relazione unificata sulla finanza pubblica, il disavanzo si attesterà al 4,6% del Pil, superiore di 0,9 punti percentuali rispetto alla stima elaborata a febbraio nell’Aggiornamento del Patto di stabilità interno (3,7%). Il livello di indebitamento nel 2010 si attesterà sullo stesso livello del 2009, per iniziare a scendere a partire dal 2011, anno in cui dovrebbe collocarsi al 4,3 per cento.

Le prospettive economiche globali, si legge nel documento, «si sono deteriorate negli ultimi mesi», ma allo stesso tempo «sono aumentati gli sforzi tanto dei governi nazionali quanto degli organismi e delle sedi sovranazionali». Ora, quindi, «si guarda con qualche speranza alla possibilità di rallentamento dell’attuale fase di crisi». Il rallentamento della crisi – spiega ancora il ministero – «dipende da fattori numerosi e variabili: dal ristabilimento di un’adeguata crescita a livello mondiale alla conservazione del commercio mondiale; dal miglioramento della situazione occupazione fino a una nuova spinta verso il progresso sociale». (Beh, buona giornale).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Popoli e politiche

Secondo Fmi l’Italia è nei guai fino al collo. Con buona pace del populismo di Berlusconi e i trucchetti contabili del rag.Tremonti.

Notizie pessime per l’Italia. Nel nostro Paese, dopo un 2009 di profonda recessione, non ci sarà crescita positiva nemmeno nel 2010 con un fortissimo appesantimento dei conti pubblici e del debito.

Secondo il Fondo Monetario internazionale (Fmi) di Washington quest’anno l’Italia registrerà un calo del Pil del 4,4%, che sarà seguito da un altro calo, dello 0,4%, nel 2010. Le stime sono sostanzialmente in linea con quelle stilate alla fine di marzo dall’Ocse (pari rispettivamente a -4,3% e a -0,4%) ma decisamente più pessimistiche di quelle presentate dal governo in occasione dell’aggiornamento del programma di stabilità (-2% e +0,3%).

In Italia il deficit di quest’anno salirà a livelli molto superiori rispetto a quelli richiesti dal trattato di Maastrich (5,4%) per poi salire ancora al 5,9% l’anno prossimo. Importanti anche le ricadute sul debito pubblico che, in rapporto al Pil, cresce dal 105,8% del 2008 al 115,3% per poi salire ancora al 121,1% nel 2010 e al 129,4% nel 2014.

Per il nostro Paese gli spazi per politiche di stimolo dell’economia proprio alla luce del suo elevato debito pubblico sono “quasi inesistenti”. Notizie nere anche per il lavoro con un forte aumento del tasso di disoccupazione che dal 6,8% della forza lavoro del 2008 salirà quest’anno all’8,9% per passare al 10,5% nel 2010. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Popoli e politiche

Crisi globale: “Le frettolose dichiarazioni di Berlusconi alimentano il sospetto che anche gli 8 miliardi annunciati trionfalmente a metà febbraio siano soldi finti.”

di TITO BOERI da La Repubblica

AL TERMINE dell’ ennesimo deludente vertice della Ue, Berlusconi ha trovato modo di chiudere ogni spiraglio all’ ipotesi di un accordo con l’ opposizione per varare la riforma degli ammortizzatori sociali. M ENTRE così l’ inconcludenza dei leader europei aggrava la crisi, il nostro Presidente del Consiglio sceglie di farne pagare il conto ai disoccupati che sono oggi privi di alcuna tutela.

“La riforma costa circa un punto e mezzo di pil, è finanziariamente insostenibile”: questo il giudizio lapidario di Berlusconi, che ha voluto così reagire alla disponibilità offerta dal neo-segretario del Pd, Dario Franceschini, a sostenere in Aula una riforma organica degli ammortizzatori sociali. Il fatto che il premier si sia sentito in dovere di intervenire da Bruxelles, ai margini di una riunione che aveva ben diverso ordine del giorno, dimostra che, per la prima volta in questa legislatura, è stata l’ opposizione a dettare l’ agenda dell’ esecutivo.

Il messaggio recapitato da Bruxelles era probabilmente diretto a quanti nell’ esecutivo, come il ministro Brunetta, avevano chiesto al Pd di mettere le carte sul tavolo, formulando proposte più concrete di quelle avanzate da Franceschini sabato a Bari, che aveva genericamente parlato di un “assegno ai disoccupati”. In verità una riforma che estenda ai lavoratori del parasubordinato (oggi privi di qualsiasi protezione) la copertura dei sussidi ordinari di disoccupazione e che ne allunghi la durata per i lavoratori dipendenti delle piccole e medie imprese (oggi esclusi dall’ accesso alle ben più generose Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, indennità di mobilità e, infine, mobilità lunga) costerebbe anche meno di quegli 8 miliardi che il governo ha più volte dichiarato di aver già messo a disposizione di un allargamento della platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali.

A differenza degli interventi in deroga che il governo intende finanziare con questi 8 miliardi, la riforma avrebbe solo un costo una tantum. Dal secondo anno in poi, infatti, l’ erogazione dei sussidi verrebbe finanziata dai contributi di lavoratori e datori di lavoro a favore del fondo che eroga i sussidi. Anche questo costo iniziale per le casse dello Stato, inevitabile nella fase di messa a regime di una nuova assicurazione, è limitato.

Ci sono tante diverse ipotesi allo studio, ma alcune di queste, quelle che prevedono interventi sui soli parasubordinati (identificati come lavoratori con un unico committente) costano attorno ai 4-5 miliardi di euro, la metà delle risorse che il Governo sostiene di avere già in mano.

L’ allungamento della duratae irrobustimento dei sussidi ordinari di disoccupazione (oggi durano mediamente cinque mesi e pagano 23 euro al giorno) costerebbe altri quattro miliardi. Quindi i soldi per la riforma ci sarebbero già tutti o quasi.

Le frettolose dichiarazioni di Berlusconi alimentano perciò il sospetto che anche gli 8 miliardi annunciati trionfalmente a metà febbraio siano, come tanti altri soldi messi virtualmente sul piatto dal governo dall’ inizio della crisi (a partire dai 120 miliardi elargiti sulla carta da Tremonti a Washington nell’ ottobre scorso), dei soldi finti.

Si tratterebbe, in altre parole, di una generica disponibilità delle Regioni a mettere a disposizione questi fondi solo per misure di estensione della Cassa integrazione sul loro territorio, come avvenuto sin qui. In effetti, se si dovessero davvero utilizzare le risorse oggi attribuite dal Fondo sociale europeo alle Regioni per finanziare sussidi ai disoccupati, si dovrebbe attuare un massiccio trasferimento di risorse (stimato da Paolo Manasse su lavoce. info in circa un miliardo di euro) dal Mezzogiorno alle Regioni del Nord, dove la maggioranza dei disoccupati è concentrata.

Importante notare che le risorse per i fondi in deroga sono state utilizzate sin qui, con il concorso delle Regioni, quasi solo in proroga, vale a dire estendendo la durata (soprattutto della Cassa integrazione ordinaria) a chi già vi accedeva e non offrendo assistenza a chi non aveva niente. La ragione è semplice: quando è la politica a decidere a chi dare e a chi no, i beneficiari sono sempre i lavoratori delle grande aziende, la cui ristrutturazione o chiusura fa notizia, al contrario di quanto accada per i milioni di microimprese che alimentano la nostra struttura produttiva. Il 14 febbraio scorso, il ministro del Lavoro Sacconi, dopo aver raggiunto l’ accordo con le Regioni, aveva annunciato: «Non è la riforma degli ammortizzatori sociali, ma forse qualcosa di più».

Con le parole di ieri di Berlusconi sappiamo che questo “qualcosa di più” non sarà certo riservato né ai lavoratori delle piccole imprese, né ai quattro e più milioni di lavoratori temporanei oggi presenti in Italia. (Beh, buona giornata).

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