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I consumi delle famiglie ai tempi della crisi.

(fonte:advexpress.it)

Secondo una ricerca di Gfk Eurisko, commissionata da Famiglia Cristiana, per 81 famiglie su cento in Italia non si stanno gettando le basi per il futuro. Per 69 su cento nel Paese “manca una visione condivisa sulle cose da fare”. Per 52 su cento da noi “si vive peggio rispetto agli altri Paesi europei”. “La crisi è ormai percepita non come evento passeggero, ma come un dato strutturale e le aspettative per il futuro sono decrescenti”, ha sottolineato Minoia, presidente onorario di Gfk Eurisko.

In positivo l’indagine dice che la famiglia tiene come istituzione di riferimento all’interno del Paese, conferma la propria centralità indiscussa e una salda vocazione civica, tutt’altro che corporativa o particolaristica. E’ un contenitore di valori etici e simbolici. Svolge una funzione fondamentale quale serbatoio di risorse economiche e finanziarie per costruire il futuro di figli e nipoti e costituisce un elemento di sostegno sociale determinante che spesso si fa carico di supplire delle carenze delle agenzie politiche e sociali.

Sul piano dei consumi, elaborando valori e scelte d’acquisto sempre più ragionate, innovative ed intelligenti, la famiglia italiana si conferma un interlocutore fondamentale per l’industria di marca. Dall’analisi emerge una riaffermazione proprio dei valori tipici delle grandi marche che, nonostante la congiuntura negativa, mantengono la loro attrattiva e il loro valore segnaletico a discapito dei prodotti anonimi.

La fedeltà alla marca preferita resta alta: non a caso calano sensibilmente le persone che si riconoscono nell’affermazione “una marca vale l’altra” quando si parla di qualità, valore, sicurezza. In un contesto di riduzione del potere d’acquisto dei salari, inevitabilmente, cresce l’attenzione delle famiglie per il prezzo e quindi l’attenzione per il prodotto di marca venduto in promozione.
“La crisi e la perdita del potere d’acquisto non pregiudicano il rapporto dei consumatori con le grandi marche”, conferma Minoia, “ma ne riconfigurano le modalità di accesso”. Non a caso i brand industriali generano il 70 per cento dei consumi: è il dato più alto registrato nei Paesi europei.

“Nel contesto di riscoperta e riaffermazione dei valori descritti nell’indagine di Gfk Eurisko”, rileva Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, “trova spiegazione la tenuta della Marca, anche in una fase di grave difficoltà economica delle famiglie che avrebbe potuto far temere un suo declino. E’ proprio nell’insieme dei suoi valori, non solo merceologici o mercatistici, ma anche di responsabilità e di rigore nel senso più ampio, che la marca trova forza. In sintesi, nella sua “reputazione”.

Fin qui la ricerca. C’ è da sottolineare, però un passaggio: se la marca vince nelle promozioni, cioè con un politica commerciale basata sul ribasso dei prezzi, vuol dire che la fedeltà non è dovuta alla qualità, ma alla convenienza. Per dirla in altri termini: compro quello che costa meno, se è di marca, sono più tranquillo. Se le marche riusciranno a resistere, riusciranno a difendere la la fedeltà. Fino a quando? La risposta a questa domanda, ancorché capziosa, è la fotografia molto nitida della crisi. Beh, buona giornata.

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Nuovo crollo della fiducia, i consumi sempre peggio.

(fonte: repubblica.it)

Cala a settembre la fiducia dei consumatori
Secondo i dati dell’Istat, non crescono le attese di un ritorno dei consumi. L’indice scende da 100,3 di settembre a 98,5 attuale.

La Fiducia dei consumatori è debole. A settembre l’indice continua a calare scendendo a 98,5 da 100,3 di agosto. Lo ha comunicato l’Istat. “La flessione, diffusa a tutte le componenti, è più marcata per il clima economico, il cui indice diminuisce da 70,0 a 67,8; la fiducia sulla situazione personale scende da 116,2 a 114,4”, ha spiegato l’istituto.

L’indice del clima corrente cala da 112,1 a 109,7, mentre quello relativo al complesso delle attese a breve termine segna una lieve diminuzione (da 87,5 a 87,2). Peggiorano le valutazioni, presenti e prospettiche, sulla situazione economica del Paese e della famiglia, nonché i giudizi sul bilancio familiare e sull’opportunità attuale del risparmio. Si deteriorano, seppur con intensità minore, anche le attese sull’evoluzione del mercato del lavoro.

Migliorano, per contro, le attese sul mercato dei beni durevoli e sulle intenzioni future di risparmio. I saldi dei giudizi sull’evoluzione recente dei prezzi al consumo e quelli delle previsioni sulla loro dinamica futura registrano un aumento rispetto al mese precedente. La fiducia peggiora in quasi tutte le ripartizioni e il deterioramento è particolarmente intenso nel Mezzogiorno; solo nel Nord-est si registra un lieve recupero. (Beh, buona giornata)

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La crisi? Non ne siamo ancora usciti.

«Siamo ancora dentro la crisi, e purtroppo il 2010 sarà ancora peggiore del 2009 dal punto di vista dell’occupazione: ci aspettano altri 10-12 mesi di grande sofferenza». Guglielmo Epifani, segretario generale della CGIL dixit. Ben buona giornata.

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Ripresa economica in Italia? Non ci siamo.

I dati dell’Istituto per l’anno passato, quello della recessione, fissano il Pil a -4,9%. Si tratta del dato peggiore dal 1971 (da quando è iniziata la serie storica). In particolare è stato il Pil del quarto trimestre, sceso dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti, a cogliere di sorpresa il mercato. Gli analisti contattati dall’agenzia Bloomberg avevano stimato una crescita dello 0,1%. Su base tendenziale il Pil del quarto trimestre è diminuito del 2,8%.

La diminuzione congiunturale del Pil è il risultato di una riduzione del valore aggiunto dell’industria, di una sostanziale stazionarietà del valore aggiunto dei servizi e di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura.

Confrontando con gli altri Paesi del G7, nel quarto trimestre il Pil è aumentato in termini congiunturali dell’1,4% negli Stati Uniti e dello 0,1% nel Regno Unito. In termini tendenziali, il Pil è aumentato dello 0,1% negli Stati Uniti ed è diminuito del 3,2% nel Regno Unito.

Incoraggianti invece i dati del Bollettino statistico della Banca d’Italia sul debito pubblico italiano, che nel dicembre 2009 si è attestato a 1.761,191 miliardi di euro, rispetto ai 1.784,168 miliardi segnati a novembre.

Ma non quelli sulle entrate: nel 2009 le entrate tributarie si sono attestate a quota 401,677 miliardi di euro, in calo del 2,5% rispetto ai 412,318 miliardi di euro del 2008. Tuttavia a dicembre le entrate tributarie sono tornate a crescere, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, dopo tre mesi di cali consecutivi, sempre in rapporto al mese corrispondente del 2008.

Nell’ultimo mese dell’anno le entrate si sono attestate infatti a quota 71,363 miliardi di euro, in crescita dell’1,4% rispetto ai 70,362 miliardi di dicembre 2008. Beh, buona giornata.

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Crisi della pubblicità: quella gran voglia di dire che il peggio è passato contagia anche Google.

Google registra una crescita del fatturato del 27% nel terzo trimestre del 2009, segno dell’inizio della ripresa nel mercato del search. Secondo Eric Schmidt, Ceo di Google il peggio della crisi economica sia passato.

“Nonostante vi sia ancora molta incertezza sulla velocità della ripresa, crediamo che il periodo peggiore sia finito”, ha dichiarato Schmidt. Il fatturato netto derivante dal search engine si è attestato a 1,64 miliardi di dollari, rispetto all’1,29 miliardi di un anno fa. Le revenue sono di 5,94 miliardi di dollari, ovvero a +7% sullo stesso periodo del 2008.

Il search advertising è considerato un buon indicatore del sentiment generale del mercato. L’impatto degli investimenti nel search è misurabile con precisione e proprio dai dati ottenuti Google evince che le aziende stanno ora lentamente incrementando il loro spending nel search.

Dal punto di vista di Google, la migliore performance del search segnala un ritorno alle assunzioni, alle acquisizioni e agli investimenti.

Tra le categorie ad aver registrato le performance più positive nel terzo trimestre del 2009 troveremmo: le campagne pubblicitarie per le automobile e per le assicurazioni.

Ancora in flessione invece Viaggi e Finanza. La Finanza, paragonata con un il terzo trimestre del 2008 risulterebbe particolarmente positiva. Il dato si evincerebbe da una improvvisa impennata degli investimenti, forse relativa a un momento magico della comunicazione finanziaria. Ma non è affatto detto che possa essere un indicatore duraturo della ripresa. Con buona pace delle migliori intenzioni di Eric Schmidt. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Che cosa insegna alla pubblicità italiana la manifestazione del 3 ottobre per la libertà di stampa a Roma.

Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato a Roma il 3 ottobre per la libertà di stampa in Italia. Lo hanno fatto dopo che centinaia di migliaia di cittadini avevano firmato l’appello proposto da Repubblica, il quotidiano italiano che insieme a l’Unità è stato querelato dal presidente del Consiglio dei ministri. Quello stesso quotidiano a cui era stato lanciato un anatema: non investite la vostra pubblicità nei giornali che parlano male del governo, aveva detto a più riprese il capo del Governo italiano.

Centinai di migliaia di cittadini italiani sono stati protagonisti di una presa di posizione perfettamente democratica: la libertà di stampa è un diritto inalienabile per la vita democratica della società civile in Italia; i giornali non sono un fenomeno residuale nell’era delle nuove tecnologie; anche i consumatori di messaggi pubblicitari sono titolari a tutti gli effetti del diritto di cittadinanza di essere informati in modo corretto, pluralista, libero.

La pubblicità è vissuta e si è sviluppata dentro il perimetro della libertà di informazione: chi inventa i messaggi, chi paga l’invenzione dei messaggi, chi li veicola all’interno del timone di un giornale o del palinsesto di una tv ha sempre saputo che l’autorevolezza del messaggio pubblicitario è relativa alla autorevolezza della testata giornalistica che quel messaggio edita. Quella autorevolezza ha il pilastro nella libera esercitazione della libertà di pensiero a mezzo stampa. Non ci può essere una buona tv, un buon sito internet, una buona emittente radiofonica, una buona testata giornalistica sulla carta stampata, quotidiana, settimanale o mensile se non c’è un sano principio di libertà di informazione. Senza piena libertà di informazione, non c’è neppure una proficua attività di comunicazione commerciale.

La competizione tra i media, nel marketing mix che le aziende hanno a disposizione per comunicare ai lettori-cittadini-consumatori la loro migliore offerta commerciale non ha possibilità di essere efficace se questa competizione avviene sul territorio della negazione della libertà di pensiero: chi fa bene il mestiere di informare crea media affidabili nella fedeltà alla testata, dunque affidabili come veicoli della comunicazione pubblicitaria.

In piena crisi tra i mezzi di comunicazione di massa e la pubblicità, che possiamo definire a pieno titolo la “quarta crisi”, quella stessa che colpendo i giornali e l’informazione si è aggiunta alla crisi ambientale, alla crisi energetica, alla crisi finanziaria, ebbene, quello che è successo a Roma sabato 3 ottobre è una buona notizia: la libertà di stampa fa bene ai giornali, ma fa bene anche agli inserzionisti; fa bene ai lettori, ma fa bene anche ai consumatori.

Perché tutto quello che fa bene alla democrazia fa bene a tutto e a tutti. Dunque anche alla pubblicità e ai pubblicitari. Beh, buona giornata.

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Se la pubblicità fa i conti senza l’oste: il consumatore.

Secondo l’Istat la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, praticamente invariata in termini nominali rispetto all’anno precedente (+0,2%), ma in netto calo se si tiene conto dell’inflazione

Nel 2008 la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, praticamente invariata rispetto all’anno precedente (+0,2%). Il dato emerge dall’analisi annuale dell’Istat sui consumi delle famiglie. La variazione, che tiene conto del tasso di inflazione pari al 3,3%, mette in evidenza la netta flessione della spesa in termini reali.

Lo scorso anno, la spesa per generi alimentari e bevande si è attestata sui 475 euro, circa 9 euro in più rispetto al 2007. Il risultato sembra essenzialmente dovuto alla sostenuta dinamica inflazionistica dei generi alimentari (+5,4%). Le famiglie hanno però cercato di contenere le spese: più del 40% delle famiglie ha dichiarato di aver limitato l’acquisto o di aver scelto prodotti di qualità inferiore o diversa rispetto all’anno precedente (la percentuale è del 43,4% se si considera l’acquisto di pane; il 49,2% per la pasta, il 55,7% per la carne, il 58% per il pesce e il 53,7% per frutta e verdura).

Le spese familiari per generi non alimentari passano dai 2.014 euro del 2007 ai 2.009 euro del 2008. Aumentano le spese per combustibili: la composizione percentuale rispetto al totale della spesa passa dal 4,7% del 2007 al 5,2% del 2008. L’aumento è determinato, spiega l’Istat, da un lato dalla spesa contenuta nel 2007 e dall’altro dalla sostenuta dinamica dei prezzi per combustibili nel 2008.

Analizzando la situazione a livello territoriale si riscontra una sostanziale stabilità del livello di spesa in termini nominali: nel Nord la spesa media mensile delle famiglie è stata pari a 2.810 euro (+0,5% rispetto al 2007), nel Centro a 2.558 euro (+0,7%) e nel Mezzogiorno a 1.950 euro (-1%). Beh, buona giornata.

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Crisi economica globale: a picco gli indici della fiducia dei consumatori in tutto il mondo.

(fonte: advexpress.it)

Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un minimo record, perdendo sette punti, da 84 a 77, secondo il “Nielsen Global Consumer Confidence Index”. L’ultima indagine Nielsen sulla fiducia dei consumatori a livello globale, condotta ad aprile 2009 in 50 Paesi, ha mostrato che i mercati emergenti di Russia, EAU (Emirati Arabi Uniti) e Brasile hanno accusato un enorme calo di fiducia da parte dei consumatori negli ultimi sei mesi a causa della svalutazione monetaria, dell’indebolimento dei mercati di esportazione e della caduta dei prezzi delle merci a livello globale.

“Mentre l’Europa e i mercati sviluppati hanno visto precipitare drammaticamente la fiducia dei consumatori tra maggio e ottobre 2008, i mercati emergenti di Russia e America Latina hanno accusato maggiormente il colpo negli ultimi mesi”, ha dichiarato James Russo, Vice President, Global Consumer Insights, The Nielsen Company. In Russia la fiducia dei consumatori è scesa di 29 punti (arrivando a 75 punti rispetto ai 104 di settembre ’08), dando prova del maggior calo registrato da Nielsen a livello globale. Nei principali mercati emergenti invece la fiducia di EAU e Brasile è scesa di 21 punti. L’America Latina ha dimostrato il maggior calo di fiducia dei consumatori, con una diminuzione di 15 punti (da 97 a 82), mentre in Europa e Asia-Pacifico è scesa in entrambi i casi di sette punti.

“Sei mesi fa, mentre i mercati sviluppati procedevano spediti verso l’epicentro di una recessione globale, l’America Latina rappresentava l’area geografica più ottimista del mondo – tuttavia i lunghi tentacoli della recessione globale non hanno tardato a raggiungerla”, ha aggiunto Russo. Secondo l’indagine Nielsen, la fiducia dei consumatori in Brasile è scesa da 108 a 87 punti, mentre in Argentina è scesa da 94 a 78 punti. “Sebbene sia improbabile che gli effetti della crisi globale abbiano un impatto sui consumatori dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e Latam (America Latina) simile a quello registrato nei paesi sviluppati, questi mercati stanno attualmente sperimentando un notevole rallentamento rispetto al boom e alla crescita degli ultimi anni”, ha affermato Russo.

“Verso la fine dello scorso anno, i consumatori russi hanno assunto un atteggiamento di ‘attesa’ nei confronti della difficile situazione economica globale, che da allora ha intrapreso un’inesorabile oscillazione verso il basso. La continua riduzione del prezzo del petrolio, la svalutazione monetaria e il rallentamento locale verificatosi in diversi settori hanno riportato alla memoria la crisi russa del 1998”, ha aggiunto Dwight Watson, Managing Director, The Nielsen Company, Russia.

L’Indonesia è in testa alla classifica Nielsen della fiducia dei consumatori a livello globale con 104 punti, seguita dalla Danimarca (102 punti) e dall’India (99 punti). I Paesi più pessimisti a livello mondiale secondo l’indice Nielsen sono la Corea (31 punti), seguita da Portogallo e Lettonia con 48 punti. La fiducia è precipitata in 49 Paesi su 50 – Taiwan è stato l’unico Paese a contrastare la tendenza globale, rialzando l’indice da 60 a 63 punti, ma pur sempre 14 punti sotto la media globale.

“Comunicazioni quotidiane di tagli di posti di lavoro e di calo dei profitti aziendali, fallimenti e pignoramenti, riduzione delle previsioni di PIL e di produzione hanno contribuito a diminuire la fiducia e il potere d’acquisto dei consumatori, portandoli ai livelli minimi dal dopoguerra. Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori in Medio Oriente, Africa e Nord America è diminuita rispettivamente di due e tre punti. Tuttavia, l’assenza di un’ulteriore diminuzione della fiducia dei consumatori nordamericani potrebbe dar prova dei primi cauti segnali di speranza che la recessione stia finalmente per giungere al termine.” ha dichiarato Russo.

“I risultati che stiamo osservando secondo l’ultimo indice Nielsen della fiducia dei consumatori indicano che siamo giunti, o che stiamo per giungere, verso la fine di questo ciclo economico. In particolare negli Stati Uniti, dove si stanno chiaramente ritoccando spese e risparmi e dove il 40% dei consumatori dichiara di aver quasi terminato di pagare i debiti e di iniziare a risparmiare, si sta sviluppando un atteggiamento di ottimismo dovuto alla percezione del fatto che la fine del tunnel sia vicina, e quasi il 20% prevede una ripresa entro i prossimi 12 mesi”, ha commentato Russo.

L’Europa rimane l’area geografica più pessimista con 70 punti, sette sotto la media globale; chiara indicazione del fatto che la ripresa economica in Europa avrà luogo più lentamente. Secondo l’indagine Nielsen, il 77% dei consumatori online ritiene che la propria economia sia in recessione, rispetto al 63% di sei mesi fa.

“In generale, i consumatori hanno attraversato un periodo difficile alla fine del 2008 e si sono preparati ad affrontare un periodo altrettanto arduo nella prima metà del 2009, cosa che sta puntualmente accadendo. L’unica eccezione a livello globale è la Cina, dove il 65% dei consumatori su internet non ritiene che la propria economia sia in recessione”, ha dichiarato Russo.

Tra i consumatori online a livello globale che ritengono di essere attualmente in recessione, il 52% dichiara di essersi preparato ad una recessione globale che durerà 12 mesi o più. “Un consumatore su due non è in attesa di un miracolo per una rapida ripresa; probabilmente il miglior approccio auspicabile è di rimanere fermi ma stabili”, ha dichiarato Russo. Tuttavia, non tutti sono preparati a sopportare una recessione prolungata – alcuni consumatori stanno già pianificando il loro party post-recessione. Tra i recessionisti attuali, quasi un consumatore online su cinque (23%) ritiene che il proprio Paese uscirà dalla recessione entro i prossimi 12 mesi; tale classifica è capeggiata da vietnamiti (60%) e indiani (56%).

Due consumatori danesi e olandesi su cinque ritengono anch’essi di uscire dalla recessione entro un anno, insieme ad un consumatore su tre con sede in Austria, Svezia, Norvegia, Russia, Indonesia, Israele, Messico e EAU.

Mentre la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un nuovo livello minimo, la paura della disoccupazione e l’incertezza del lavoro hanno raggiunto massimi storici. La certezza del lavoro è stata menzionata come principale preoccupazione tra i consumatori su internet in 31 dei 50 Paesi oggetto dell’indagine. La preoccupazione globale relativa alla certezza del lavoro è salita al 22% rispetto al 9% rilevato in occasione dell’ultima indagine.

“Per la prima volta in questa ricerca, il posto di lavoro è diventato una delle preoccupazioni principali della vita”, ha affermato Russo. Sei mesi fa i consumatori globali menzionavano l’economia e l’equilibrio tra vita privata e vita professionale tra le principali preoccupazioni, ma a seguito del peggioramento delle condizioni economiche, le priorità dei consumatori sono cambiate rapidamente”, ha dichiarato Russo.

“Dato il numero record di licenziamenti per esubero a livello globale in tutti i settori, la preoccupazione economica e quella sulla certezza del lavoro hanno superato ogni altra preoccupazione della vita quotidiana”, ha affermato Russo. I consumatori che hanno indicato il lavoro quale preoccupazione principale nella vita quotidiana sono situati in Cina (29%), Hong Kong (33%), India (29%), Singapore (32%), Vietnam (36%), Italia (24%), Spagna (34%), Ungheria (31%) e Messico (29%). “Questi numeri riflettono il livello di crescente preoccupazione a fronte di un mercato del lavoro in crisi in tutte le aree geografiche”, ha continuato Russo. L’incertezza del lavoro rimane una preoccupazione anche per il prossimo futuro. Un consumatore globale su cinque (26%) ha delineato prospettive di lavoro negative per i prossimi 12 mesi rispetto al 17% del mese di ottobre 2008. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro

Ecco i dati che dimostrano che chi dice che stiamo uscendo dalla crisi non sa quello che dice.

Crolla il pil dei paesi della zona-euro. Secondo L’Eurostat si è avuta una diminuzione del 4,8% nel primo trimestre 2009 su base annua, mentre la diminuzione per i paesi dell’Unione Europea è stata del 4,5%. In Italia il calo è del 5,9%.

“Germania, la più colpita”. I dati del prodotto interno lordo nel primo trimestre 2009 rispetto agli ultimi tre del 2008 hanno segnato un calo del 2,5% nell’Eurozona. Per l’Italia la contrazione è del 2,4%.L’economia più colpita è stata quella tedesca, con la Germania che ha avuto un calo del 3,8%. Male anche Spagna (-1,9%) e la Francia (-1,2%).

Polonia in controtendenza. Tra i Paesi dell’est – la cosiddetta Nuova Europa – resiste alla recessione solo la Polonia, che segnala una crescita trimestrale dello 0,4% e annuale dell’1,9%. In Lituania il calo sul trimestre precedente è del 10,5%, in Lettonia dell’11,2%. Numeri negativi anche per Estonia, Romania, Slovaccia e Ungheria.

Consumi e investimenti. L’Eurostat spiega che le spese di consumo delle famiglie hanno visto, rispetto al trimestre precedente, un calo dello 0,5% nell’eurozona e dell’1,0% nell’intera Unione Europea. Gli investimenti hanno visto una contrazione del 4,2% nell’eurozona e del 4,4% nell’Ue-27. Le esportazioni sono calate rispettivamente dell’8,1% e del 7,8%. In calo anche le importazioni, rispettivamente del 7,2% e del 7,8%.

“Inflazione zero”. Intanto Eurolandia viaggia verso un periodo di inflazione zero e si avvia ad un nuovo periodo di riduzione della crescita. Secondo un membro del board della Banca Centrale europea, l’austriaco Ewald Nowotny, “nel 2009 ci sarà una drastica contrazione del pil, mentre nel 2010 avremo molto probabilmente una crescita zero”. Poi ha aggiunto: “Nei prossimi mesi avremo un periodo di inflazione negativa che non definiremo deflazione ma piuttosto processo di disinflazione”. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Società e costume

L’Italia nella crisi:”sembrerebbe quasi la fine di una lunga fase di imborghesimento della società italiana e l’inizio, per il ceto medio, della paura di perdere terreno.”

Censis: colpiti dalla crisi la metà degli italiani, il 60% riduce i consumi-sole24ore.com
La crisi ha avuto «ripercussioni significative» su un italiano su due, ma ha consentito ai consumatori di «fare pace con l’euro».

Sono le conclusioni a cui arriva la quarta e ultima edizione del “Diario della crisi”, redatto dal Censis, secondo il quale il 47,6% degli italiani è stato «toccato concretamente» dalle difficoltà economiche, «anche se con intensità differenti: quasi il 40% ha subito perdite nei propri investimenti, mentre il 30% ha subito una riduzione del reddito». Allo stesso tempo, «circa il 60% ha cercato di ridurre i consumi, senza grandi differenze tra chi è intervenuto sulle spese in generale e chi solo su quelle voluttuarie», mentre si è ridotta ulteriormente la già modesta tendenza ad indebitarsi: il ricorso al credito al consumo è infatti sceso del 10% nei primi tre mesi dell’anno rispetto al 2008.

Il Censis sottolinea però che «uno degli effetti più imprevedibili della crisi è quello di aver avviato una fase meno risentita nel rapporto tra gli italiani e la moneta unica europea». In particolare, «il mondo dei salariati a reddito fisso ha conosciuto una piccola rivincita su tutti coloro che erano riusciti a speculare con l’euro. Grazie ad un’inflazione sostanzialmente ferma, al calo dei mutui e dei prezzi del carburante, vi è stato un recupero del potere d’acquisto di questa categoria».

Nonostante ciò, rimarca ancora il Censis, al momento resta «la confusione del ceto medio», che sta pagando la fine delle certezze passate, come la crescita costante, il welfare e la sicurezza del lavoro «specialmente per i figli». Secondo l’istituto di ricerca, «sembrerebbe quasi la fine di una lunga fase di imborghesimento della società italiana e l’inizio, per il ceto medio, della paura di perdere terreno». Una paura ancora forte, tanto che per il 68,3% degli intervistati «non è affatto vero che ormai abbiamo toccato il fondo». Per il 55% degli italiani «il soggetto pubblico non ha fatto qualcosa di concreto per famiglie e imprese», il 15% dei cittadini ha mostrato apprezzamento per il lavoro svolto da Comuni, Province e Regioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

E la crisi consumò lo shopping.

Crisi del consumo o crisi del consumismo? di Daniela Ostidich* e Cabirio Cautela*-Il Manifesto

La crisi, ci dicono alcuni ottimisti, non ultimo il nostro Ministro dell’Economia, passerà presto. Sarà anche vero – speriamo – ma l’impressione di chi per professione si confronta quotidianamente con le dinamiche del consumo, è che i riflessi di questa crisi sugli atteggiamenti delle persone non saranno passeggeri. Senza il supporto di particolari ideologie, e trasversalmente per livelli sociali e nazioni diverse, le persone sono state particolarmente colpite (psicologicamente se non finanziariamente) da una crisi che ha messo in evidenza la fragilità di una economia basata sull’acquisto del superfluo, sul precario equilibrio del crescente indebitamento, sulla velocità degli scambi e sull’idea di innovazione e crescita continua.

Ma che relazione esiste tra la crisi – che qualcuno addebita alla “finanziarizzazione” dell’economia reale – e lo shopping, argomento in precedenza bistrattato, oramai entrato nelle aule accademiche sotto domini disciplinari come la sociologia dei consumi, il marketing, l’antropologia culturale? Sicuramente lo shopping – come ci insegnano i sociologi – affascina con molteplici seduzioni le persone, sin dalle origini dell’umanità – nelle sue differenti forme – ma questo momento storico ci offre l’opportunità di analizzarlo in modo più distaccato, fermando il fotogramma e consentendo una riflessione che vada alle radici del suo significato più profondo. È un momento di lutto, insomma, che impone una riflessione seria. Per questo colpisce il modo ancora splendidamente ottimista, quasi fatalistico, e comunque sempre molto – troppo – lontano dalla realtà, con cui certi sociologi guardano al fenomeno del consumo oggi (si veda l’articolo di Vanni Codeluppi su Il Manifesto del 20 marzo 2009).

La nostra convinzione è che lo shopping si configuri come una rete, sia che lo si veda dal punto di vista dello scambio (atto/luogo di acquisto), che della destinazione (i regali, i doni, gli acquisti per altri), che negli aspetti di auto percezione e costruzione della propria identità (rispetto ad una rete sociale esterna), che nella struttura urbanistica del territorio (che diventa tramite le strutture del commercio anche rete di mobilità e direzioni di socialità). La merce è il tramite attraverso cui s’innestano, si sviluppano e si attivano reti di relazione. Attività che viviamo quotidianamente, dal lavoro, alla cura di sé, dallo sport alla mobilità sono universi reticolari di cui le merci costituiscono spesso le infrastrutture, i nodi, la materia che quelle reti abilitano, supportano, condizionano, affermano.

Tutto ciò diventa ancora più fondante in epoche di crisi dove la rete è ancora di salvezza.

In questa visione la “merce” è accesso a reti di relazioni e svela qualcosa del momento storico in quanto ne incarna – almeno in parte – i miti e le preoccupazioni.

La visione più interessante del consumo attuale è quella che lo definisce “liquido”; di merce quindi che appare anch’essa “liquida”, nel senso in cui la intende Zygmunt Bauman: acquista valore per perderlo immediatamente dopo l’acquisto, destino seguito dallo stesso acquirente – “liquido” – che è spinto a livelli di consumo ulteriori dal fatto di spartire con l’oggetto dei suoi desideri – momentanei – la stessa caduca appetibilità.

Se cerchiamo invece le radici più profonde, e quindi più umane, e più vere, delle merci, ci si rende conto come non tutto è riducibile a liquidità. Esistono infatti – ed è impossibile negarlo, se non disegnando una società ben diversa dalla realtà – anche dei consumi “solidi”, con contenuti valoriali ben radicati nelle necessità delle persone: la mela acquistata e mangiata per fame, il regalo fatto o ricevuto da chi si ama – e consumi “gassosi”, che pur non scambiando merci materiali si strutturano su scambi di informazioni, conoscenze, esperienze. Come definire, altrimenti azioni che pur sempre rientrano nella categoria dei consumi come quelli legati alle community e ai social network sul web?

La complessità dello shopping è tale da non poterla semplificare in variabili prospettiche o sottili: è elemento politico – da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Insomma, ci sembra di dover lanciare un appello, sfruttando proprio questo momento economico caratterizzato da una straordinaria crisi che riguarda proprio i consumi. Innanzitutto che per la tensione verso l’interpretazione delle tendenze future non si dimentichi l’analisi della bieca realtà, considerando tutte le dimensioni che lo shopping riveste nella quotidianità delle persone.

Lo shopping in quanto attivatore di reti, per il tramite di merci, è oggetto d’analisi poliedrico che richiede un intervento congiunto di quei domini disciplinari che studiano fenomeni reticolari: le scienze sociali, il design dei servizi, l’urbanistica. La dimensione esperienziale è sicuramente importante e rivelatrice ma non può avocare a sé solamente la capacità di dare significato all’atto del consumo.

In secondo luogo che per amore della materia (la sociologia dei consumi) non ci si scordi di chi consumare non può. L’inferno dei consumi esiste – che Codeluppi se ne renda conto: purtroppo, non è una visione apocalittica che fa dire a Censis che il 13% degli italiani (2008) sono sotto la soglia di povertà. Ed è questo il punto cruciale che segna il salto della crisi – da congiunturale a strutturale – come direbbero gli economisti “vecchia maniera”. Il sistema attuale non solo non garantisce a certi strati sociali l’acquisizione materiale di merci; ma a ciò si aggiunge l’impossibilità di attivare, attraverso gli acquisti, quelle reti (sociali, logistiche, commerciali, relazionali) che sono alla base del funzionamento del sistema di scambio capitalistico. Chi non consuma non accede e non attiva reti relazionali, dirette e derivate, che vivono per il tramite delle merci acquistate.E’ compito di chi governa i sistemi economici e di distribuzione dei redditi garantire questo diritto di accesso – definibile anche in termini di dignità della persone – ma è anche compito di chi studia i consumi tener conto che non è eticamente e metodologicamente proponibile proporre una lettura del sociale che partendo dal presupposto che lo shopping sia rivelatore di dinamiche condivise neghi la rilevanza (o non riconosca l’esistenza) anche di coloro che accesso al consumo non hanno.(Beh, buona giornata).

* Co-autori di “Hell-Paradise Shopping”, L’inferno e il paradiso degli acquisti e del consumo, Franco Angeli, 2009

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