La campagna è visibile su http://www.consorziocreativi.com/blog
Beh, buona giornata.
Tag: consorzio creativi
Se per un buon giornalista la notizia non è che un cane ha morso un uomo, ma è che un uomo ha morso un cane, per un buon pubblicitario le cose stanno così: immaginate un mandria di
cavalli, al galoppo nella prateria. Adesso figuratevi che tra i cavalli selvaggi al galoppo ci sia una zebra. Uno si chiederebbe: che ci fa una zebra in una mandria di cavalli? Il creativo, invece, rovescerebbe la domanda: che ci fa una mandria di cavalli intorno alla zebra? Si chiama meccanismo di rovesciamento, serve a dare una notizia, sorprendendo l’ascoltatore, il telespettatore, il navigatore, il lettore.
Lo so, lo so: la pubblicità sorprendente in Italia non è di moda, anzi, si pratica il banale conformismo della ripetizione. Così che invece che di cavalli, meglio sarebbe parlare di somari.
Ma, tornando ai cavalli, mi sembra una buona metafora che possa descrivere come si fa new business, cioè si cerca di conquistare nuovi clienti nel nostro mercato della comunicazione
commerciale.
Ecco la metafora.
Non ci sono più cavalli selvaggi da domare: il mercato è saturo, non si affacciano alla comunicazione nuovi soggetti, cioè scarseggiano prodotti innovativi, nuovi territori per le marche.
Le ‘giacche blu’, cioè le multinazionali, nell’era della globalizzazione continuano a usare il 7° cavalleggeri dei grandi network: lenti, polverosi, gnucchi e scomodi, come Forte Apache.
Comandati da testoni presuntuosi e perdenti, come il generale Custer. Ma, nella speranza che la tromba suoni la carica e prima o poi “arrivano i nostri”, continuano a mandare messaggeri a Forte Apache. Quelli però stanno facendo le grandi manovre nel cortile e prima che partano in formazione da combattimento per risolvere i problemi dei coloni, pardòn, dei clienti, quelli i clienti hanno già perso lo scalpo.
Poi nel mercato italiano ci sono piccole tribù, che si rifiutano di finire nelle riserve. E allora che fanno? Siccome cavalli liberi non ce ne sono più, e avvicinarsi a Forte Apache è pericoloso e
dispendioso, allora strisciano nella prateria, aspettando il momento buono per rubare i cavalli alla tribù vicina. La quale si incazza, maledice la sfiga. E poi che fa? Striscia nella prateria, aspettando il momento buono per rubare i cavalli alla tribù vicina. Io rubo a te, che tu rubi a me. Il fatto è che a ogni scorreria, il valore della mandria rubata si assottiglia.
Forse, bisognerebbe fare come Geronimo, cioè fare un consorzio di creativi, mettere d’accordo le piccole tribù e provocare una sonora Little Big Horn e addio i generali Custer e tanti saluti ai
Forte Apache. Ma questo è tutto altro film. Beh, buona giornata.
Cappuccino&Cornetto. Lunga vita alle minoranze creative-advexpress.it
Nella sua rubrica Marco Ferri riflette sull’importanza delle minoranze creative. “Ogni mio riferimento alla pubblicità italiana, nella quale i creativi sono diventati minoranza e la creatività quasi un’eresia, rispetto al “verbo” del business senza scrupoli (e proprio per questo, spesso senza costrutto per i clienti), è assolutamente voluto, cercato, tenacemente perseguito”.
Normalmente, non la penso affatto come il cardinale Bertone. Per una serie, lunga e articolata di motivi.
Stavolta, però, devo sottolineare queste sue parole: “Normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro (…)”. Lo scrive, appunto il card. Tarcisio Bertone in una Lettera indirizzata all’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, in occasione della Giornata per l’Università Cattolica.
“Minoranze creative – spiega citando Benedetto XVI – cioè uomini che (…) hanno trovato la perla preziosa, quella che da’ valore a tutta la vita, e, proprio per questo, riescono a dare contributi decisivi”. Senza, avverte Bertone, “non si costruisce niente”.
Ogni mio riferimento alla pubblicità italiana, nella quale i creativi sono diventati minoranza e la creatività quasi un’eresia, rispetto al “verbo” del business senza scrupoli (e proprio per questo, spesso senza costrutto per i clienti), è assolutamente voluto, cercato, tenacemente perseguito. Vedere alla voce: www.consorziocreativi.com Beh, buona giornata.
di Marco Ferri-Cappuccino&Cornetto-advexpress.it
Sono state rese note le prime immagini dell”Australopithecus sediba’, il fossile di bambino ritrovato in Sud Africa, che promette di svelare il segreto dell’evoluzione umana. La scoperta è stata fatta dal professor Lee Berger dell’università di Witwatersrand a Johannesburg e potrebbe rivelarsi il sogno di ogni antropologo: ovvero aver scoperto “l’anello mancante” tra l’uomo e le scimmie.
Lo scheletro ritrovato comprende un bacino e arti interi che possono rivelare se la nuova specie camminava in posizione verticale o su quattro zampe. Le ossa delle mani potrebbero invece fornire il primo indizio in merito a quando gli esseri umani abbiano imparato la capacità di tenere i primi attrezzi in pietra.
Siamo invece ancora in attesa di scoprire l’anello mancante tra un CEO della pubblicità italiana e la realtà del mercato della comunicazione commerciale.
A lungo si è pensato che l’anello mancante fosse la creatività. Ma siccome alle Agenzia di pubblicità italiane attualmente manca “l’anello mancante” si aspettano ulteriori sviluppi. Magari “in controtendenza con l’andamento del mercato”. Il fatto è che se dell”Australopithecus sediba’ viveva nell’Età della Pietra, questi qui vivono nell’era dei “Culi di Pietra”. Beh, buona giornata.
CENSIS E MEDIA La crisi seleziona:su i prodotti gratuiti e i social network-di FRANCESCO PICCIONI, Il Manifesto
Il messaggio batte il /medium/, McLuhan non abita più questo mondo.
L’ottavo rapporto del Censis sulla comunicazione («I media tra crisi e metamorfosi») registra e tematizza i cambiamenti più rilevanti nell’arco degli ultimi 10 anni. E decreta, in parte, «la rivincita dello spettatore», che non accetta più di esser preda dell’«ipnotismo televisivo» e passa all’«azione diretta».
I diversi media diventano relativamente indifferenti, di fronte a una ricerca di informazione e socializzazione (sia pure virtuale) che vede il singolo teso a soddisfare i propri interessi saltando a pie’ pari la mediazione del produttore di contenuti. Almeno all’apparenza, perché – nell’indescrivibile quantità di informazioni disponibili – «risulta sempre più difficile cogliere il confine tra verità e finzione, tra eventi del mondo reale e prodotti della fantasia».
Questo individuo-agente, infatti, è a sua volta un prodotto. Di un lungo processo sociale di «affermazione del primato del soggetto», per un verso, della disponibilità a basso costo delle tecnologie digitali, per l’altro. In ogni caso, rappresenta solo una metà della società italiana, per lo più giovanile o con buoni livelli di istruzione; che convive con una quota altrettanto rilevante di «vittime del /digital divide/», escluse per età, reddito o formazione dall’uso di questi media. Ma entrambe le metà convergono nel momento in cui solo un soggetto è chiamato a garantire la «verificabilità» delle informazioni: la tv. La ricerca conferma che «ad orientare le scelte di voto della grande maggioranza degli italiani sono i telegiornali delle tv generaliste nazionali».
La conclusione è solo apparentemente paradossale, perché l’effettiva totale libertà individuale – nel reperimento delle informazioni secondo una personale scala di priorità, nella formazione dell’opinione – si scontra con due limiti ineliminabili: l’individuale /capacità di discernere/ (cultura, livelli di istruzioni, esperienza) e l’/attendibilità/ delle informazioni (comunque «confezionate» da altri).
Proprio la modalità di fruizione dei contenuti digitali (rapide, spesso casuali, im-mediate) brucia quello che Giuseppe De Rita chiama «il prefisso ‘ri’ (riflettere, ritornare, ripensare)», identificato da sempre come «il fondamento della cultura». Tradotto: nella giungla delle informazioni digitali ci si muove senza più una guida. Finché non la si ritrova sullo schermo che tutto riunisce: quello televisivo.
La crisi economica ha accelerato questi processi. Creando ora anche un /press divide/, una massa crescente di persone che ha eliminato la stampa su carta dalla propria «dieta mediatica»: il 39,3%. Non solo analfabeti di ritorno, ma anche giovani e adulti istruiti. Se infatti il numero di quanti usano internet si è stabilizzato (47%, crescerà ormai solo con il normale «tasso di sostituzione generazionale»), si è intensificato il suo utilizzo a scapito della stampa (dal 6 al 12,9%) – e persino della /free press/ – con i quotidiani che hanno visto calare le vendite del 15% in soli due anni. Soprattutto, la crisi ha favorito «l’espansione dei mezzi gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento». O meglio, ha favorito quei media che permettono di avere il massimo di servizi informativi col minimo di costi economici.
Quindi sì all’Adsl e alla tv a pagamento (con boucquet che coprono tutti gli interessi familiari, dal calcio ai cartoon, ai serial); sì ai cellulari, ma solo nelle versioni /basic/ (telefonate e sms); sì soprattutto alla radio (+12,4%), che copre in buona parte i bisogni di ben 13 milioni di pendolari. Sopravvivono i libri, ma molto ci sarebbe da dire sullo «spessore» di quelli che «vendono». La tv, si diceva, raggiunge proprio tutti (98%); ma via web ha triplicato gli adepti in due anni. L’ampliamento delle scelte possibili fa della rete il medium ideale di chi vuole «agire». Lo svluppo impetuoso dei /social network/ (Facebook, YouTube, Messenger, ecc) risponde a un’esigenza di socializzazione attiva che è già una reazione all’isolamento individuale.
Ma cambia radicalmente anche il modo di pianificare il marketing (qualsiasi produttore professionale di contenuti, in rete, sopravvive solo grazie alla raccoltà pubblicitaria). Il fenomeno era «preesistente alla crisi economica, che però lo ha sottolineato».
Per Marco Ferri, del Consorziocreativi, «è il momento di capovolgere il paradigma, e lo devono comprendere anche le imprese: quando decidono un budget prima si devono comprare una buona idea, e poi vedere come veicolarla, non viceversa». Vale anche per i quotidiani: «chi indovina la nuova formula fa bingo, gli altri…». (Beh, buona giornata)
Creativi anti-crisi: arriva l’agenzia di pubblicità di nuova generazione-di Jacopo Orsini-ilmessaggero.it
Uno dei fondatori lo definisce un «aggregatore di capacità». Una struttura leggera, «senza spargimento di costi», in grado di svolgere tutte le attività di comunicazione commerciale. Ma anche un «fornitore di idee» che le aziende potranno poi gestire con la loro struttura di pubblicità. Si chiama Consorzio creativi ed è un nuovo modo di concepire l’agenzia di pubblicità ai tempi della crisi.
«Le aziende hanno grandi difficoltà ad avere rapporti con le agenzie, che con la crisi si sono impoverite e annaspano», dice Marco Ferri, uno dei fondatori di Consorzio creativi. Il ciclone che ha investito l’economia mondiale infatti non ha risparmiato la pubblicità. I grandi marchi hanno tagliato fortemente gli investimenti (-16% nei primi nove mesi dell’anno secondo i dati di Nielsen Media Research) e anche le agenzie sono state costrette a ridurre costi e personale per non soccombere. Da qui l’idea di creare una nuova organizzazione più snella, senza i costi delle grandi holding, con l’ambizione di rivoluzionare il settore.
Il gruppo è composto da una rete di professionisti, tutti con parecchi anni di esperienza alle spalle (con Ferri i fondatori sono Paolo Del Bravo, Fabrizio Sabbatini, Agostino Reggio, Francesca Schiavoni e Paolo Costa). Un desk a Roma, un altro in fase di apertura a Milano. Via le strutture gerarchiche e burocratizzate dei grandi nomi del settore, ecco gruppi di lavoro che si creano intorno ai progetti concordati con le aziende e si sciolgono subito dopo. E attenzione concentrata soprattutto sui settori in via di sviluppo, come le energie rinnovabili.
Ma la crisi, inevitabilmente, dopo aver fatto crollare le vendite, modificherà anche il modo di comunicare e di fare pubblicità. Non capire che il mondo è cambiato, sarebbe rischioso anche per i pubblicitari. «Il nosto compito non è solo riempire di prodotti le case dei consumatori – spiega ancora Ferri -. La comunicazione commerciale deve informare in maniera corretta e non intrattenere trastullando». (Beh, buona giornata).
Il settimanale L’espresso del 29.ottobre 2009 scrive, a firma di F:S.:
Creativi on demand. Si definisce la “prima agenzia di nuova generazione”. Senza “spargimento di costi” e leggera nella struttura, nessuna piramide di gerarchie, ma orizzontale nei rapporti: è Consorzio Creativi, a Roma e a Milano. Una novità per dare risposta alla crisi economica che ha investito anche la pubblicità: a fronte di ogni briefing ricevuto o concordato col cliente, si forma un gruppo di lavoro, che segue tutte le fasi del progetto. Concluso il lavoro, il gruppo si scioglie, per riformarsi a una nuova richiesta (www. consorzio creativi.com).
Beh, buona giornata.
Per anni si è creduto che per convincere i consumatori bastasse dire tante volte la stessa cosa, non importava che cosa. Sono stati investiti milioni e milioni di euro tra passaggi televisivi, annunci stampa, radiocomunicati, banner, manifesti. Poi la crisi ha raggelato i grp’s, mentre i coefficenti di penetrazione (con rispetto parlando) si sono ammosciati: c’è la crisi, non si possono più buttare i soldi nel ripetere.
Gli editori, gli inserzionisti, i centri media e le agenzie di pubblicità sono nel panico: sono crollati gli investimenti pubblicitari. Che fare? Forse è giunto il momento per la pubblicità di dire cose importanti, dirle così bene che non c’è bisogno di ripeterle, ripeterle, ripeterle. Cioè di spendere, spendere, spendere.
E scoprire che una buona idea è un moltiplicatore del budget di pubblicità. Quelli abituati alla mediocrità della ripetizione sono andati in crisi, perché non corrispondono alle attuali esigenze del mercato della comunicazione commerciale. Quelli costano troppo, sono presuntuosi, non valgono la spesa.
Non ci sono più scuse, non ci sono alternative: dalla crisi dei consumi si esce rompendo l’ordalia della quantità, riscoprendo il talismano della qualità del messaggio commerciale.
La qualità fa bene a chi la vede (il consumatore), a chi la paga (l’inserzionista), a chi la rende pubblica (gli editori), a chi la fa. Ma è proprio qui che casca l’asino: chi la fa oggi non la sa più fare. Le vecchie agenzie di pubblicità sono anatre zoppe. Urge sangue nuovo, urge l’agenzia di nuova generazione. La pubblicità italiana ha bisogno di una trasfusione di idee. Beh, buona giornata.
www.consorziocreativi.com
Cambiare si deve. A un anno dall’inizio della più grande crisi economica globale, nasce Consorzio Creativi, la concreta risposta alla crisi di sistema della pubblicità italiana. Nasce per produrre saving e generare valori di comunicazione sostenibili nel tempo. Nasce con la struttura più leggera sul mercato, col più rilevante reparto creativo in Italia e con una spiccata capacità commerciale e manageriale. Consorzio Creativi nasce per gestire la crisi, per sostenere i consumi, per aiutare i marchi italiani a essere protagonisti della ripresa economica.
La fotografia della pubblicità italiana. La pubblicità italiana è in crisi. Crisi di strutture, crisi di uomini, crisi di idee. Non è una critica, non è una polemica: è un dato di fatto.
C’è chi sostiene si tratti di uno stop momentaneo, dovuto alla situazione economica e finanziaria del nostro Paese. Altri parlano della necessità di un fisiologico ricambio, come è avvenuto in diversi periodi. In realtà siamo a vera e propria chiusura di un ciclo. L’economia di gran parte delle agenzie di pubblicità operanti in Italia è legata a filo doppio all’economia globale: si tratta di strutture di proprietà di holding finanziarie americane, inglesi, francesi e giapponesi quotate in Borsa. Grandi clienti internazionali hanno nell’ultimo periodo operato forti ridimensionamenti dei loro budget pubblicitari. Nello stesso tempo, i network internazionali chiedono aumenti delle revenue alle unit locali, per compensare le perdite previste sui fatturati worldwide.
Il paradosso che stritola le agenzie di pubblicità italiane: da un lato la crisi taglia i budget, dall’altro esige più fatturato. La risposta che hanno dato i manager della pubblicità italiana è semplice, prevedibile, scontata: quando tagliare i costi delle spese generali non basta, si ricorre all’espulsione delle persone, per rimpiazzarle con professionalità a basso costo. Che tipo di qualità si riesca poi a garantire alle aziende passa in secondo piano rispetto alla necessità di salvare il salvabile dei propri conti.
La forma-agenzia tradizionale non corrisponde più alla realtà delle imprese italiane. Stritolata dalle incombenze finanziarie, inaridita di talenti, appesantita dalla burocrazia interna, legata mani e piedi alle logiche dei quartier generali internazionali, l’agenzia tradizionale non ha più sottomano strumenti interpretativi, e di conseguenza organizzativi per raccogliere le nuove sfide. In assenza di una credibile e organica alternativa, le aziende italiane sono costrette a utilizzare le grandi agenzie multinazionali, i cui profitti vengono consolidati negli Usa, in Uk, in Francia o in Giappone.
Consorzio Creativi: la novità è nella discontinuità. Discontinuità significa tornare a ciò che di basico chiede oggi il mercato della comunicazione commerciale, della pubblicità: qualità, flessibilità, economicità. La qualità è la missione di chi produce le idee, la flessibilità e l’economicità è il talento nell’organizzazione del lavoro.(….). Beh, buona giornata.