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Attualità

La bella e la bestia.

(fonte: ilmessaggero.it)

Un tentativo di corrompere una funzionaria dell’anagrafe in Marocco affinché modificasse la data di nascita di Ruby, la ragazza che, non ancora diciottenne, veniva ospitata alle feste di Arcore, e che ora è al centro del processo nel quale Silvio Berlusconi verrà giudicato per concussione e prostituzione minorile a partire dal prossimo 6 aprile. La vicenda, pubblicata oggi in esclusiva dal “Fatto”, e che potrebbe avere dei risvolti giudiziari con tanto di apertura di un’inchiesta, ha scatenato la bagarre politica, con l’Italia dei valori che protesta («Abbiamo toccato il fondo») e grida all’impeachment.

Già venerdì la Procura di Milano dovrebbe valutare se aprire un’inchiesta sul caso riportato dal quotidiano e per il quale gli stessi legali del premier hanno chiesto «che sia subito chiarito ogni particolare ». Gli avvocati hanno annunciato anche che il capo del governo ha dato loro mandato «di depositare una specifica denuncia all’autorità giudiziaria al fine di accertare la veridicità o meno» dei fatti narrati, sottolineando che il premier,«totalmente estraneo a ogni eventuale illecito comportamento», ne esce danneggiato.

A narrare quel che sarebbe accaduto lo scorso 7 febbraio a Fkih Ben Salah, il piccolo paese ai piedi dell’Atlante dove è nata Ruby, è la stessa funzionaria comunale. La donna ha raccontato che due uomini italiani, provenienti forse da Milano e accompagnati da un interprete marocchino che «lavorava in un consolato in Italia», si sono presentati da lei in ufficio e le hanno «offerto – come dice in una intervista pubblicata sul sito del Fatto – una cifra enorme in cambio della modifica del certificato di nascita di una ragazza di nome Karima El Marough.». In sostanza i due “emissari” le avrebbero promesso – pare – qualche migliaia di euro, in cambio di un “ritocco” del certificato anagrafico di Ruby, facendola invecchiare di un paio di anni, anticipando la data di nascita della ragazza dal 1° novembre 1992 al 1° novembre 1990. La funzionaria però si è rifiutata: «Io tengo al mio posto di lavoro – ha affermato – e la legge marocchina non mi consente di falsificare le età delle persone. Quelle persone cercavano di corrompermi. Ma io non ho voluto infrangere la legge».

La magistratura milanese, intanto, nelle prossime ore prenderà in esame il caso per mettere a fuoco innanzitutto la competenza territoriale a indagare, per poi eventualmente aprire un fascicolo in cui potrebbe ipotizzare il reato di istigazione alla corruzione. Che Ruby, nei mesi scorsi, avesse più volte mentito sulla sua data di nascita è un dato assodato, anche se agli atti dell’inchiesta ci sono comunque una serie di intercettazioni nelle quali emerge che la giovane, a ridosso del 1° novembre scorso, data del suo 18° compleanno, stesse aspettando quasi con ansia l’arrivo di quel giorno. Come è stato spiegato da chi ha avuto modo di leggere le carte, per lei significava diventare maggiorenne e liberarsi del fardello della vita trascorsa tra una comunità e l’altra e non doversi più preoccupare di essere ripescata per strada e rinchiusa in qualche struttura protetta. Accanto a ciò bisogna registrare che qualche giorno fa il Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, aveva riportato alcune parole pronunciate in privato dal premier: «Abbiamo la prova che Ruby è stata registrata all’anagrafe marocchina due anni dopo la sua nascita. Una prova che presenteremo durante il processo».

Gli attacchi di Pd e Idv. E mentre Niccolò Ghedini e Piero Longo chiedono che si «faccia chiarezza sulla vicenda» perché danneggia il presidente del Consiglio, il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, sostiene che «nel caso fosse vera, imporrebbe l’immediato impeachment». E poi ancora reazioni: si va da Emanuele Fiano e Luigi Zanda, parlamentari del Pd , che chiedono al governo di «dare rapida ed esaustiva risposta», ad esponenti del Pdci che parlano di «ombre inquietanti». (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

Che cosa ha combinato in Parlamento il ministro dell’Interno?

Con riferimento alle dichiarazioni rese dal ministro dell’Interno Maroni ieri 9 novembre al Senato in merito al caso della minorenne in oggetto, essendo stata personalmente coinvolta nella vicenda in veste di pubblico ministero della Procura per i minorenni di Milano di turno il 27 e il 28 maggio 2010, osservo che esse non corrispondono alla mia diretta esperienza”. “Poiché il ministro – prosegue la missiva – ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all’esito di specifica istruttoria, chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita”. il pm dei Minori Annamaria Fiorillo dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

I danni collaterali del bunga-bunga: lo sconcerto determinato dall’apprendere che Silvio Berlusconi ha definito parente del presidente Hosni Mubarak la minorenne marocchina Ruby.

di Maurizio Caprara per il “Corriere della Sera”

La Repubblica araba d’Egitto, Stato da decenni in ottimi rapporti con l’Italia, ha tenuto finora confinato in canali riservati lo sconcerto determinato dall’apprendere che in maggio Silvio Berlusconi ha definito parente del presidente Hosni Mubarak la minorenne marocchina Ruby.

Il fastidio per l’accostamento tra il raìs e una ragazza di costumi assai diversi rispetto all’ideale islamico di donna, per di più al fine di ottenerne il rilascio dalla polizia mentre era in ballo un’accusa di furto, va però oltre i limiti delle vie appartate della diplomazia nelle quali si ricorre spesso alla discrezione.

«Mubarak va rispettato. È un uomo corretto e perbene. Per noi non è accettabile mettere in questa situazione il nostro capo dello Stato», diceva ieri al Corriere Adel Amer, il presidente dell’Associazione egiziani di Roma e del Lazio, una comunità di circa 15 mila persone. Dal suo Paese è già stato fatto presente che Ruby non è nipote del presidente. E questo è ciò che è noto.

In casi del genere (di davvero identici non ne esistono tantissimi, in verità) il minimo è che dallo Stato potenzialmente risentito parta, come passo diplomatico, una richiesta di spiegazioni e di smentite. Per iscritto. Oppure, con o senza una nota nero su bianco, attraverso la convocazione dell’ambasciatore dell’altro Stato in questione presso uno degli uffici della capitale ospitante. Non si esclude che il risentimento possa essere comunicato con reazioni più sonore, in telefonate o colloqui piuttosto ruvidi. Che nulla di tutto questo sia stato fino a ieri annunciato non significa tra il Cairo e Roma calma piatta.

Ad Al-Masry-Al-Youm, sito del quotidiano egiziano con lo stesso nome, Amer ha anticipato che intende citare in giudizio per diffamazione il presidente del Consiglio italiano, che si rivolgerà per lettera a Giorgio Napolitano e che pensa di dover organizzare una protesta per il comportamento del capo del governo. Quanto ha fatto Berlusconi non è stato compiuto da nessuno al mondo, ha dichiarato il presidente degli egiziani di Roma e del Lazio al corrispondente di Al-Masry-Al-Youm dall’Italia, Mohamed Yossef Ismail.

Ottantadue anni, capo dello Stato da 29, ex pilota, uomo di polso che prese la guida dell’Egitto dopo che fondamentalisti islamici assassinarono il suo predecessore Anwar al-Sadat, Mubarak è un personaggio con il quale i governi italiani di vario colore hanno avuto sempre relazioni strette.

Fu per non danneggiare lui che Bettino Craxi, nel 1985, si rifiutò di consegnare agli Usa il capo del Fronte per la liberazione della Palestina Abu Abbas e i dirottatori dell’«Achille Lauro», i quali avevano ucciso l’invalido di religione ebraica Leon Klinghoffer. Per favorire un ritorno della nave senza stragi, il presidente egiziano aveva avuto un ruolo di mediatore. Craxi, allora presidente del Consiglio, preferì uno screzio con la Casa Bianca di Ronald Reagan a uno smacco per Mubarak.

Considerato un nemico dai Fratelli musulmani e anche dal terrorismo integralista musulmano, il presidente egiziano è stato presentato come «un giovanotto» da Berlusconi quando entrambi sono comparsi davanti ai giornalisti a Villa Madama, il 19 maggio scorso, in occasione della più recente tra le numerose visite di Mubarak a Roma. Tanta cordialità e tanta cortesia non erano né casuali né improvvise.

Secondo diplomatici dalla memoria lunga, il raìs del Cairo fu determinante nell’evitare che l’indignazione araba diventasse valanga e trasformasse in uno scontro tra Stati l’incidente causato da Berlusconi nel 2001 attribuendo alla civiltà occidentale una «superiorità» sull’Islam.

Anche con Romano Prodi e i suoi predecessori Mubarak ha avuto ottimi rapporti, ma con l’attuale presidente del Consiglio la cordialità è stata, almeno fino a una settimana fa, maggiore. Il caso di Ruby, comunque, è delicato non soltanto per le ragioni più evidenti.

Anche perché sui nipoti Mubarak ha motivi per non aver voglia di sentire scherzi altrui. Il 19 maggio 2009, in un ospedale di Parigi, il presidente perse il suo nipote più grande, Muhammad, stroncato a 12 anni da una malattia. Dal Cairo, in segno di lutto, la tv di Stato trasmise brani di musica sacra.

Nel mondo, l’Italia è per l’Egitto il secondo partner economico. Nell’Unione Europea, il primo. Per le esportazioni egiziane, costituiamo il secondo mercato di sbocco. Il prossimo vertice bilaterale tra i due governi è previsto per il 2011. Non mancherà il tempo per cercare rattoppi e compensazioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Quel pasticciaccio brutto di via Fatebenefratelli: il bunga-bunga nella Questura di Milano.

La catena delle verità mancate . Ecco i sei punti rimasti oscuri, di LUIGI FERRARELLA-corriere.it

Una falsità certa. Un’altra affermazione o non corrispondente al vero o confinante con la sciatteria. Un rimpallo di versioni. Una controversia procedurale. Un ritardo. E una inadempienza. Sono questi i sei nodi della notte tra il 27 e il 28 maggio in cui una 17enne marocchina, scappata da una comunità protetta di Messina e rivelatasi in seguito una delle ospiti delle feste di Berlusconi ad Arcore sulle quali in estate deporrà ai pm, fu portata alle ore 19 in Questura per essere identificata di fronte a un’accusa di furto di 3 mila euro, e dopo due telefonate da Palazzo Chigi ai dirigenti della polizia ambrosiana uscì alle 2 di notte provvisoriamente affidata alla consigliere regionale pdl Nicole Minetti, anziché a una comunità per minorenni.

La bugia su Mubarak
Una delle poche certezze, paradossalmente, è diventata proprio la circostanza che all’inizio pareva più incredibile: gli stessi funzionari di polizia hanno infatti confermato che alle 11 di sera il presidente del Consiglio telefonò al capo di gabinetto della Questura, tramite il cellulare del suo caposcorta, per chiedere informazioni su una minore presente in quegli uffici: ragazza che – affermava Berlusconi – gli era stata segnalata come parente del presidente egiziano Mubarak, prospettando che perciò sarebbe stato opportuno evitare di trasferirla in una struttura di accoglienza, suggerendo fosse affidata piuttosto a persona di fiducia, e informando che a questo scopo sarebbe presto arrivata in Questura il consigliere regionale Minetti, disposta a prendersene cura. A cascata, la menzogna sulla parentela con il presidente Mubarak venne man mano riversata dalla polizia anche al pm di turno alla procura dei minorenni, Annamaria Fiorillo. Senza essere corretta neppure quando, ad identificazione avvenuta, sarebbe dovuta balzare agli occhi l’incongruenza tra le due nazionalità.

Non c’era o c’era posto
Questura e Viminale oggi ribadiscono che l’iniziale ordine del pm di portare la minorenne in una comunità protetta non sarebbe stato eseguibile perché la polizia aveva verificato che nelle comunità per minori contattate non vi era in quel momento disponibilità di accoglienza. Un agente, nello specifico, attesta di aver fatto un giro di telefonate ma di essersi sentito rispondere che ci sarebbe stato posto solo per qualche ragazzo, e niente invece per una ragazza. Il Corriere, con un giro di telefonate ieri, ha però rintracciato almeno quattro strutture «storiche» nel settore a Milano, che avrebbero avuto posto anche per una ragazza e che comunque non furono mai chiamate quella notte. O c’è stato un falso oppure, magari sotto pressione delle telefonate tra funzionari innescate da quella di Berlusconi, c’è stata una ricerca carente o sfortunata.

Il consenso del pm
Controverso è se il pm dei minori al telefono abbia dato a voce alla funzionaria di polizia, diversamente da un primo orientamento, il consenso a che la ragazza, se identificata con certezza con un documento, fosse provvisoriamente affidata all’adulta preannunciata da Berlusconi e comparsa in Questura a mezzanotte come «delegata per la presidenza del Consiglio»: e cioè la consigliere regionale Nicole Minetti, ex ballerina in tv e igienista dentale del premier, che in marzo l’aveva imposta nel listino sicuro di Formigoni per le elezioni del Pirellone. Benché ora il pm Fiorillo rifiuti di rispondere a domande, e il suo capo Monica Frediani dichiari che «per la mia Procura posso parlare solo io e io non voglio parlare per non partecipare a indebite ingerenze», asserite altre «fonti giudiziarie» veicolano infatti una versione divergente: e cioè che il pm non avrebbe dato l’autorizzazione ad affidare la giovane identificata alla Minetti, né avrebbe raggiunto con la polizia alcuna intesa in questo senso. Ma se il pm tace ufficialmente, altre persone riferiscono che a loro avrebbe detto di non poter ricordare con esattezza il contenuto delle telefonate quella notte. Non avrebbe più visto il fascicolo giacché il relativo rapporto di polizia arrivò alla Procura dei minorenni solo il 14 giugno, e non a lei ma (in base alle regole interne di assegnazione) a un altro pm di turno. E il 14 giugno la 17enne aveva già fatto in tempo a risparire, essere ritrovata e riaffidata stavolta a una comunità.

Nicole Minetti (Imagoeconomica)
I documenti
La questione se fosse stata o meno compiuta una identificazione certa, presupposto dell’eventuale via libera all’affidamento alla Minetti, sembra trovare risposta in un passo del rapporto del 28 luglio dei due agenti del commissariato Monforte. Già si sapeva che la comunità di Messina, dalla quale la 17enne si era allontanata, aveva risposto alla polizia di avere una copia dei documenti della ragazza ma di poterli inviare via fax la mattina seguente. Gli agenti, però, attestano due cose in più: e cioè che poi «all’identificazione della ragazza si addiveniva col codice univoco ottenuto mediante il fotosegnalamento e la copia del documento pervenuto dalla struttura di Messina». Se dunque resta prudenzialmente da capire se l’espressione «pervenuto» si riferisse a un invio di documenti materialmente già avvenuto oppure solo dato per certo il giorno dopo, come identificazione a tutti gli effetti vale però già il «codice univoco», cioè la combinazione di cifre e lettere assegnata a una persona fotosegnalata che si ritrova nei riscontri dei precedenti fotodattiloscopici.

Il fascicolo sul furto
Che del resto anche in Procura dei minorenni ci sia stata qualche battuta a vuoto lo testimonia una circostanza collaterale: solo questa settimana, per una serie di disguidi emersi ora con la notorietà del caso, la 17enne è stata indagata per il sospetto furto che l’aveva portata in Questura cinque mesi fa il 27 maggio, formalmente denunciato dalla presunta derubata non quella notte ma giorni dopo.

Gli obblighi di Minetti
Da chiarire resta il successivo comportamento della Minetti, oggi indagata con Lele Mora e Emilio Fede per favoreggiamento della prostituzione (come sempre scritto in questi giorni, e non per sfruttamento come invece comparso ieri per un refuso tipografico). Dalla Questura alle 2 di notte Minetti uscì come provvisoria affidataria della minorenne, «con l’obbligo di tenerla a disposizione del pm e vigilare sul suo comportamento». Ma poi non ospitò a casa la 17enne, che invece fu trovata a casa di una brasiliana arrivata in Questura con la Minetti: la stessa che dice al Corriere di aver avvisato lei il premier che la 17enne fosse finita in Questura, e dalla quale dopo 9 giorni (in una violenta lite) la minorenne si dirà «malmenata» e «indotta a prostituirsi». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche Società e costume

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare la politica misteriosamente scomparsa in Italia?

In omaggio alla Festa del Cinema di Roma, e soprattutto in omaggio e solidarietà piena alla protesta sul “red carpet”delle maestranze del cinema italiano contro i tagli alla Cultura, questo articolo titola con la citazione di un famoso film di Ettore Scola:”Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”

In un’epoca in cui si celebrano le gesta del Cavaliere, tanto simpatico e spiritoso da intrattenerci con le sue vecchie e triviali barzellette dal calor razzista, dal sapor sessista, dalla banalità omofoba, e forse dalla demenza senile a proposito di tribù africane che sodomizzano i malcapitati col rito del bunga-bunga, codesta citazione filmica ci sembra, ahinoi!, pertinente.

Tanto più che secondo Emilio Fede, – che con l’impresario Lele Mora è uno dei protagonisti dei fatti giudiziari relativi alla minorenne marocchina, un’ inchiesta penale che potremmo intitolare “l’inchiesta bunga-bunga”- l’ interpretazione autentica della barzelletta del Cavaliere sarebbe che è proprio Sandro Bondi, Ministro della cultura, il bersaglio della protesta dei cineasti italiani, uno dei personaggi della storiella in questione, assieme a Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. Insomma, dopo Gianni e Pinotto, i fratelli De Rege, Stanlio e Ollio , Ric e Gian, (Lele Mora&Fabrizio Corona) abbiamo un’altra coppia comica: Bunga&Bunga.

Il film di Scola ha un finale commovente: la tribù africana insegue fino alla spiaggia lo stregone fuggiasco (Nino Manfredi che, nella parte di Titino, altro non era che un ciarlatano che si faceva credere un potente sciamano), e intona verso la nave che avrebbe riportato Titino in Italia una litania ritmica, che alle orecchie di Titino sembrava suonare: “Titì non ce lascià”. Titino non resisterà allo strazio, e tuffandosi ritornerà a nuoto dalla tribù, unica, vera e genuina sponda affettiva.

Nell’Italia odierna, Silvio Berlusconi, il potente sciamano della politica, della finanza, della tv, della monnezza, del potere è incappato di nuovo in uno scandalo sessuale. Una metafora dell’impotenza affettiva.

Per la gioia della signora Veronica Lario, che dopo l’ennesima rottura delle trattative per raggiungere soddisfacenti accordi economici per il divorzio, conquista una nuova freccia al suo arco.

Per la disperazione della democrazia di un Paese che non sa più se ridere o piangere delle gesta del Cavaliere. E allora, dovremmo tutti insieme intonare una litania propiziatoria, per liberarci di questa noiosa ordalia: “ Cavaliè, te ne vuoi andà”. Gli italiani, grati, ringrazierebbero. Beh, buona giornata,

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Attualità democrazia

Bunga-bunga.

di PIERO COLAPRICO e GIUSEPPE D’AVANZO-repubblica.it

Alla questura di Milano, nello stanzone del “Fotosegnalamento”, c’è solo Ruby R., marocchina. Dire “solo” è un errore, perché Ruby è molto bella e non si può non guardarla. Se ne sta sulla soglia, accanto alla porta, e attende che i due agenti in camice bianco eseguano il loro lavoro, ma è come se occupasse l’intera stanza. E’ il 27 maggio di quest’anno, è passata la mezzanotte e i poliziotti hanno già fatto una prova: la luce bianca, accecante, funziona alla perfezione. La procedura è rigorosa, nei casi in cui un minorenne straniero viene trovato senza documenti: finiti gli accertamenti sull’identità, se non ha una casa o una famiglia, sarà inviato, dopo aver informato la procura dei minori, in una comunità. È quel che gli agenti si preparano a fare, perché Ruby ha diciassette anni e sei mesi (è nata l’11 novembre del 1992) e all’indirizzo che ha dato, in via V., non ha risposto nessuno. Era anche prevedibile: ci abita un’amica che, dice Ruby, è una escort e se ne sta spesso in giro. All’improvviso, il silenzio dello stanzone si rompe. Una voce si alza nel corridoio. E, alquanto trafelata, appare una funzionaria. Chiudete tutto e mandatela via!, è il suo ordine categorico. Gli agenti sono stupiti. L’altra, la funzionaria, è costretta a ripetere: basta così, la lasciamo andare, fuori c’è chi l’aspetta!

Non è che le cose vanno sempre in questo modo, in una questura. La ragazza non ha i documenti. Per di più, il computer ha sputato la sua sentenza: l’anno prima Ruby si è allontanata – era il maggio del 2009 – da una casa famiglia a Messina, dove vivono i suoi. Anche il motivo per cui è finita in questura non è una bazzecola: è accusata di un furto che vale i due stipendi mensili dei poliziotti.

Le cose sono andate così. Qualche sera prima, una ragazza che ama la discoteca, Caterina P., va in un locale con due amiche. Ballano sino a tardi. Quando lasciano il “privé”, si ritrovano insieme a Ruby R. e tutt’e quattro s’arrangiano a casa di Caterina. La mattina dopo, mentre Ruby dorme come un sasso, o così sembra, le tre amiche vanno a fare colazione al bar sotto casa. Al rientro, Ruby non c’è più, e chi se ne importa. Ma mancano anche tremila euro da un cassetto e qualche gioiello. Caterina maledice se stessa. Non sa da dove sia piovuta quella ragazzina, non sa dove abita, non sa dove cercarla. Il caso l’aiuta. Il 27 maggio il sole è tramontato da un pezzo e Caterina passeggia in corso Buenos Aires, quando intravede Ruby in un centro benessere. Chiama subito il 113 e accusa la ladra. La volante Monforte è la più vicina e la centrale operativa la spedisce sul posto. Ruby viene presa e accompagnata al “Fotosegnalamento”. Con una storia come questa, ancora tutta da chiarire, come si fa a lasciarla andare?

Gli agenti lo chiedono alla funzionaria. La funzionaria scuote il capo. Dice: di sopra (dove sono gli uffici del questore) c’è il macello, Pietro Ostuni (è il capo di gabinetto) ha già chiamato un paio di volte e vedete (il telefono squilla) ancora chiama. E’ la presidenza del Consiglio da Roma. Dicono di lasciare andare subito la ragazza, pare che questa qui sia la nipote di Mubarak, non ci vogliono né fotografie, né relazioni di servizio. Tutti adesso guardano la ragazza. “E chi è Mubarak?”, chiede un agente. Il presidente egiziano, spiega con pazienza la funzionaria. Che intanto risponde all’ennesima telefonata del capo di gabinetto, per poi dire: forza ragazzi, facciamo presto, Ostuni ha detto a Palazzo Chigi che la ragazza è già stata mandata via.

L’ultimo affaire o scandalo che investe Silvio Berlusconi nasce dunque tra il primo piano e il piano terra di via Fatebenefratelli 11, in una notte di fine maggio. Ha come protagonista una minorenne, senza documenti, accusata di furto. E come canovaccio ha una stravaganza: la ragazza viene liberata per l’energica pressione di Palazzo Chigi, che sostiene sia “la nipote di Hosni Mubarak”. Che cosa c’entra la presidenza del Consiglio con una “ladra”? E perché qualcuno a nome del governo mente sulla sua identità? Quali sono stati gli argomenti che hanno convinto la questura di Milano a insabbiare un’identificazione, in ogni caso a fare un passo storto? Le anomalie di quella notte non finiscono, perché ora entra in scena un nuovo personaggio. Attende Ruby all’ingresso della questura.

E’ Nicole Minetti e ha avuto il suo momento di notorietà quando, igienista dentale di Silvio Berlusconi, a 25 anni è stata candidata con successo al Consiglio regionale della Lombardia. Nicole sa del “fermo” di Ruby in tempo reale da un’amica comune. Fa un po’ di telefonate, anche a Roma, e si precipita all’ufficio denunzie. Chiede di vedere la ragazza. Pretende di portarsela via. Dice che Ruby ha dei problemi e lei se ne sta occupando come una sorella maggiore, ma non riesce a superare il primo cortile della questura. Soltanto quando Palazzo Chigi chiamerà il capo di gabinetto, la situazione si farà fluida e il procuratore dei minori di turno, interpellato al telefono, autorizzerà l’affidamento di Ruby a Nicole e – ora sono quasi le tre del mattino del 28 maggio – le due amiche si possono finalmente allontanare.

Che cosa succede dopo lo spiegherà Ruby, ma in un interrogatorio che avviene due mesi più tardi: a luglio, quando l’affaire sminuzzato in questura si materializza. Prima al tribunale dei minori e, subito dopo, alla procura di Milano, dinanzi al pool per i reati sessuali. Una volta in strada Nicole, sostiene Ruby, chiama Silvio Berlusconi: è stato Silvio a dirle di correre in questura; è stato Silvio a raccomandarsi di tenerlo informato e di chiamare appena la cosa si fosse chiarita. Ora che è finita l’emergenza, Nicole spiega, ride alle carinerie del premier e poi passa il telefono direttamente a Ruby. Silvio mi dice così: non sei egiziana, non sei maggiorenne, ma io ti voglio bene lo stesso. Da allora non l’ho più visto, ma in questi mesi ci siamo sentiti ancora per telefono.

Ora bisogna spiegare quali sono i rapporti di Ruby con Silvio Berlusconi e non è facile, perché il loro legame viene ricostruito in un’indagine giudiziaria che deve chiarire (lo ha fatto finora soltanto parzialmente e in modo non esaustivo o definitivo) quando la giovanissima Ruby dice il vero e quando il falso. E’ un’inchiesta (l’ipotesi di reato è favoreggiamento della prostituzione) in cui il premier non è indagato, anche se gli indagati ci sono e sono tre: Lele Mora, Nicole Minetti, Emilio Fede. Anzi, il premier potrebbe diventare addirittura parte lesa, perché prigioniero di un ricatto, vittima di una calunnia o addirittura perseguitato da un’estorsione.

Per evitare gli equivoci molesti disseminati in questi giorni, conviene dire subito che dinanzi ai pubblici ministeri Ruby esclude di aver fatto sesso con il capo del governo. Come confessa di aver mentito a Berlusconi: gli ho detto di avere ventiquattro anni e non diciassette. Nicole sapeva che ero minorenne e poi anche Lele, Lele Mora, lo ha saputo. Ruby però racconta delle sue tre visite ad Arcore, delle feste in villa e delle decine di giovani donne famose o prive di fama – molte escort – che vi partecipano. La minorenne fa entrare negli atti giudiziari un’espressione inedita, il “bunga bunga”. Viene chiamata in questo modo l’abitudine del padrone di casa d’invitare alcune ospiti, le più disponibili, a un dopo-cena erotico. “Silvio (lo chiamo Silvio e non Papi come gli piacerebbe essere chiamato) mi disse che quella formula – “bunga bunga” – l’aveva copiata da Gheddafi: è un rito del suo harem africano”.

Ruby è stata interrogata un paio di volte a luglio, è però in un interrogatorio in agosto che esplicitamente comincia a raccontare meglio i suoi rapporti con Berlusconi, Fede, Mora e Nicole Minetti. Conviene darle la parola. Sostiene Ruby che poco più di un anno fa – era ancora in Sicilia – conosce il direttore del Tg4. Emilio Fede è il presidente e il protagonista della giuria di un concorso di bellezza. Come già è accaduto nell’autunno del 2008 con Noemi Letizia, il giornalista, 79 anni, è amichevole e affettuoso con Ruby. Si dà da fare per il suo futuro, presentandole Lele Mora. Le dice che Lele l’avrebbe potuta aiutare, se avesse avuto voglia di lavorare nel mondo dello spettacolo. Non è che la minorenne rimugini più di tanto quest’idea che estenua e tormenta quante ragazzine senz’arte né parte. E’ un’opportunità, non vuole perderla. Taglia la corda. Arriva a Milano. Cerca subito Lele.

Per cominciare, Mora la indirizza in un disco-bar etnico, ospitato in un sotterraneo sulla via per Linate. Ruby è una cubista. Dice: niente di trascendentale, anzi, la cosa più eccentrica che faccio è la danza del ventre, che ho imparato da mia madre. Dal quel cubo colorato, Milano è ancora più magnifica e scintillante. Manca tanto così alla trasformazione di Ruby R.. Ancora uno o due passi e la sua vita può farsi concretamente fortunatissima, soprattutto se c’è di mezzo il frenetico attivismo di Emilio Fede.

E’ il 14 febbraio, giorno di San Valentino. Ruby ha 17 anni e novantacinque giorni. Arriva a Milano dalla povertà e dalle minestre della comunità. In quel giorno, dedicato agli innamorati, entra ad Arcore, a Villa San Martino: è un bel colpaccio, per chi a tutti gli effetti può essere definita una “scappata di casa”. La minorenne la racconta, più o meno, così: mi chiama Emilio e, dice, ti porto fuori. Non so dove, non mi dice con chi o da chi. Passa a prendermi con un auto blu. Salgo, filiamo via scortati da un gazzella dei carabinieri verso Arcore. Non entriamo dal cancello principale, dove c’erano altri carabinieri, ma da un varco laterale. Vengo presentata a Silvio. E’ molto cortese. Ci sono una ventina di ragazze e – uomini – soltanto loro due, Silvio ed Emilio.
(Ruby fa i nomi delle ospiti. C’è intero il catalogo del mondo femminile di Silvio Berlusconi: conduttrici televisive celebri o meno note, star in ascesa, qualcuna celeberrima, starlet in declino, qualche velina, più di una escort, due ministre, ragazze single e ragazze in apparenza fidanzatissime, e Repubblica non intende dar conto dei nomi).

A Ruby quel mondo da favola resta impresso, anche per un piccolo dettaglio davvero degno di Cenerentola. Cenammo, ricorda, ma non rimasi a dormire. Dopo cena, andai via. Alle due e mezza ero già a casa. Con un abito bianco e nero di Valentino, con cristalli Swarovski, me l’aveva regalato Silvio. La seconda volta, continua il racconto di Ruby, vado ad Arcore il mese successivo. Andai con una limousine sino a Milano due, da Emilio Fede, e da lì, con un’Audi, raggiungemmo Villa San Martino. Silvio mi dice subito che gli sarebbe piaciuto se fossi rimasta lì per la notte. Lele mi aveva anticipato che me lo avrebbe chiesto. Mi aveva anche rassicurato: non ti preoccupare, non avrai avance sessuali, nessuno ti metterà in imbarazzo. E così fu. Cenammo e dopo partecipai per la prima volta al “bunga bunga”. (Questo “gioco”, onomatopeico e al di là del senso del grottesco, viene descritto da Ruby agli esterrefatti pubblici ministeri milanesi con molta vivezza, addirittura con troppa concreta vivezza. Si diffonde nelle modalità del sexy e maschilista cerimoniale che è stato raccontato da Mu’ammar Gheddafi e importato tra le risate ad Arcore. Ruby indica che cosa si faceva e chi lo faceva – un lungo elenco di nomi celebrati e popolari, in televisione o in Parlamento).

Io, continua Ruby, ero la sola vestita. Guardavo mentre servivo da bere (un Sanbitter) a Silvio, l’unico uomo. Dopo, tutte fecero il bagno nella piscina coperta, io indossai pantaloncino e top bianchi che Silvio mi cercò, e mi immersi nella vasca dell’idromassaggio. La terza volta che andai ad Arcore fu per una cena, una cosa molto ma molto più tranquilla. Quando arrivai Silvio mi disse che mi avrebbe presentata come la nipote di Mubarak. A tavola c’erano – sostiene – Daniela Santanché, George Clooney, Elisabetta Canalis.

Dice il vero, Ruby? O mente? E’ il rovello degli investigatori. Che hanno un quadro appena abbozzato sotto gli occhi: giovani donne, che Ruby definisce escort, sono contattate dal trio Lele, Emilio e Nicole per partecipare alle feste di Villa San Martino, dove qualche volta i party si concludono con riti sessuali che sono adeguatamente ricompensati dal capo del governo, con denaro contante o gioielli. Quanto è credibile il racconto di Ruby? Per venirne a capo, l’inchiesta deve innanzitutto dimostrare che la minorenne abbia davvero conosciuto Silvio Berlusconi e sia stata davvero ad Arcore. Ruby offre quel che le appaiono incontrovertibili conferme.
Mostra i gioielli avuti in regalo da Silvio Berlusconi: croci d’oro, collane, orecchini, orologi e orologi con brillanti (Rolex, Bulgari, Dolce&Gabbana, ma anche altri dozzinali con la scritta “Meno male che Silvio c’è” o con lo stemma del Milan), haute couture, un’auto tedesca. Ruby sostiene di aver ricevuto dal capo del governo più di 150mila euro (in contanti e in tre mesi) e soprattutto una promessa: Silvio assicurò che mi avrebbe comprato un centro benessere e mi invitò a dire in giro che ero la nipote di Mubarak. Così avrei potuto giustificare le risorse che non mi avrebbe fatto mancare.

Non c’è dubbio che ci sia un’incongruenza: nonostante la leggendaria generosità di Berlusconi, tanto denaro contante, tanti gioielli e promesse appaiono sproporzionati all’impegno di tre soli incontri. Ma qualche riscontro diretto alle parole di Ruby é stato afferrato. Il suo telefonino cellulare il 14 febbraio è “posizionato” nella “cella satellitare” di Arcore. Un paio di gioielli in suo possesso – è vero anche questo – sono stati acquistati da Silvio Berlusconi. Le indagini hanno accertato anche quanto rasentava l’incredibile: e cioè che le giovani donne ospiti di Villa San Martino, come alcuni degli indagati, usano, nei loro colloqui, l’espressione gergale e arcoriana del “bunga bunga”.

Sono conferme ancora insufficienti? Il capo del governo e gli indagati sono a conoscenza dell’indagine fin da quella prima notte di maggio in questura e la monitorano passo passo. Il premier, descritto molto inquieto, ha affidato a Nicolò Ghedini la controffensiva. Da settimane accade questo. Una segretaria di Palazzo Chigi convoca le giovani ospiti del premier in un importante studio legale di via Visconti di Modrone per affrontare, con Ghedini, la questione delle “serate del presidente”. Le ospiti di Villa San Martino non si sorprendono dell’invito, prendono nota con diligenza dell’ora e dell’indirizzo. Sono indagini difensive che, come è accaduto in altre occasioni – per il caso d’Addario, ad esempio – vorranno dimostrare che Silvio Berlusconi non ha nulla di cui vergognarsi; che quelle serate non hanno nulla di indecente o peccaminoso; che quella ragazza, la Ruby, è soltanto una matta o, forse peggio, una malandrina che sta ricattando il premier, magari delusa nel suo avido sogno di facile ricchezza.

Nonostante la sua contraddittoria provvisorietà, questa storia non ha solo a che fare con l’inchiesta giudiziaria, forse già compromessa da un’accorta fuga di notizie. Sembra più importante osservare ciò che si scorge di politicamente interessante: Berlusconi c’è “ricascato”. E qui incrociamo una questione che non ha nulla a che fare con il giudizio morale (ognuno avrà il suo), ma con la responsabilità politica. Dopo la festa di Casoria e le rivelazioni degli incontri con Noemi Letizia allora minorenne, dopo la scoperta della cerchia di prosseneti che gli riempie palazzi e ville di donne a pagamento, come Patrizia D’Addario, questo nuovo progressivo disvelamento della vita disordinata del premier, e della sua fragilità privata, ripropone la debolezza del Cavaliere. Il tema interpella, oggi come ieri, la credibilità delle istituzioni. Il capo del governo è ritornato a uno stile di vita che rende vulnerabile la sua funzione pubblica. Le sue ossessioni personali possono esporlo a pressioni incontrollabili.

Qualsiasi ragazzina o giovane donna che ha frequentato i suoi palazzi e ville e osservato le sue abitudini può, se scontenta, aggredirlo con ricatti che il capo del governo è ormai palesemente incapace di prevedere. Dove finiscono o dove possono finire le informazioni e magari le registrazioni e le immagini in loro possesso (Ruby racconta che spesso “le ragazze” fotografavano con i telefonini gli interni di Villa San Martino)? Quante sono le ragazze che possono umiliare pubblicamente il capo del nostro governo? È responsabile esporre il presidente del Consiglio italiano in situazioni così vulnerabili e pericolose per la sicurezza dell’istituzione che rappresenta? (Beh, buona giornata).

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