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3DNews/L’informazione ai tempi della “Concordia”.

di Antonio Mango

Tra falsi, rubamazzetto televisivo e super-show da salotto. La Costa Concordia ha svelato il lato B dell’informazione nazionale. Ricapitoliamo: la nave affonda, il capitano se ne va, i passeggeri si arrangiano con le scialuppe, tra cuochi filippini, eroi di giornata e navigatori già sugli scogli. La tragedia si consuma in due ore, tra le 21.42 dell’inchino omicida e le 23.00 più o meno del si salvi chi può. Segue la notte fonda dei salvataggi à la carte. Il tutto tra furiose litigate telefoniche (capitaneria vs comandante), rivelate per fornire il solito quadro melodrammatico degli italiani felloni o eroi.

Il buono (captain De Falco), il brutto (captain Schettino), il cattivo (lo scoglio assassino). Di questo si è nutrita l’informazione nazionale nelle fatidiche giornate del naufragio, arrivando tardi e male sulla colossale notizia, recuperando la défaillance con scampati e parenti incazzati, il solito psichiatra, qualcuno in divisa. Pronta la classifica della bontà o della sciaguratezza, processo già fatto, ma senza uno straccio di verifica: lo scoglio c’era o non c’era sulle carte? Boh. I circa mille addetti di bordo hanno fatto il proprio dovere o no? Boh. Il cuoco filippino era vicino alla scialuppa per caso o era lì perché queste erano le regole di addestramento? E chi lo sa. Gli ufficiali di coperta quanti erano e dov’erano, visto che sono stati trattati da desaparecidos? C’è qualcuno che lo sa? E soprattutto che cosa si sono detti il comandante e Costa crociere? E’ buio, si potrebbe dire parafrasando Schettino.

Domande senza risposta in quei momenti. Invece, ecco il piatto forte dell’informazione naufragata. Una possente bufala che circola in rete a poche ore dal disastro: un video girato nel ristorante della Concordia al momento dell’impatto, con relativo ambaradan di piatti, bicchieri e tavoli che volano. Peccato si trattasse di un video ripreso su un’altra nave, la Pacific Sea Sun in crociera tempo fa in Nuova Zelanda. Tanto bastò. Abboccano all’amo i principali Tg dell’ora di pranzo di sabato 14 e alcuni quotidiani nazionali on line. Secondo loro e per alcune ore quella era la sala ristorante della Concordia. Su Twitter, invece, il falso viene smascherato (da chi professionista dell’informazione non è) e l’errore rapidamente rimosso dalle testate imbufalate.

Com’era immaginabile si gioca un’altra importante partita tra social network e media mainstream. Mentre le tv nazionali fanno spettacolo (preceduti nella notte dalle notizie in diretta di Bbc e Cnn) e i grandi giornali si incagliano sull’ora tarda di venerdì 13 (Repubblica e Corriere sabato mattina tengono la notizia bassa) la vera informazione circola su Twetter, dove grazie agli hashtag (esempio #giglio oppure #schettino oppure #concordia) si aggregano notizie, si sbugiardano falsi, si dà subito conto della dimensione emotiva del fatto. La “cura” dell’informazione dovrebbe essere appannaggio dei professionisti dell’informazione e, invece, succede (sempre più spesso) che questi rincorrono il tempo dei social, bevendosi qualsiasi cosa che sappia di notizia.

C’è poi il rubamazzetto. Youreporter.it riceve e mette in rete le immagini girate col telefonino da naufraghi incipienti a bordo della nave. Il video va a finire su un Tg nazionale, ma il logo di chi per primo l’ha pubblicato scompare. Stavolta su internet si va, non per verificare, ma per rubacchiare.

Guelfi e ghibellini non potevano mancare e il set, ai tempi della Concordia, diventa la rete. Su FB, ore 21.08, la sorella del maître annuncia: “Tra poco passerà vicina vicina la Concordia, un salutone al mio fratello”. Quaranta minuti dopo si scatena l’inferno. Con i morti, i dispersi e la verità ancora da accertare va in scena la diatriba colpevolisti (quasi tutti) – innocentisti (amici di Meta di Sorrento, riuniti su Twetter #a sostegno di francesco schettino).

Il blob dell’informazione nazionale non poteva che trovare il suo acme nella tre-giorni vespiana con naufraghi rivestiti e truccati a dovere per il salotto, un ufficiale (medico) che non riesce a dire la sua, l’onnipresente psichiatra col maglioncino colorato e un compiaciuto e malinconico sorriso del conduttore per l’immagine clou della serata: la gemella Costa Serena, che passa accanto al Giglio e al relitto della Concordia. La vita continua. E pure le notizie-salotto di Vespa. (Beh, buona giornata).

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Berlusconi e Letta, Pier Ferdinando Casini, il cardinale Tarcisio Bertone segretario di Stato, Cesare Geronzi e Mario Draghi: tutti a cena da Vespa per salvare il Governo.

Berlusconi a casa Vespa con Bertone presente chiede aiuto a Casini per tamponare l’emorragia finiana
Bruno Vespa con l’occasione di festeggiare i suoi 50 anni di giornalismo giovedì 8 luglio ha organizzato una cena a casa sua che come spesso accade quando c’è di mezzo lui, si è trasformata in qualcosa di più. Tra gli invitati c’erano Berlusconi e Letta, Pier Ferdinando Casini, il cardinale Tarcisio Bertone segretario di Stato, Cesare Geronzi e Mario Draghi.-blitzquotidiano.it

Cosa ci facevano insieme il primo collaboratore del Papa, il governatore della Banca d’Italia e il presidente di Generali? Assistevano all’ultimo tentativo del Cavaliere di evitare lo sfarinamento della sua maggioranza, iniettando forze fresche – quelle dei centristi di Pier Ferdinando Casini – in un momento di grande difficoltà.

Il premier appare da subito deciso a tentare l’affondo finale. Anche la cornice – da Bertone, rappresentante del Vaticano a Geronzi, custode del nuovo assetto finanziario italiano – sembra creata apposta per accerchiare Casini, pronto a mettere tutto sul piatto pur di imbarcare “Pier Ferdinando” e lasciare a terra quel “traditore” di Fini. La presenza del segretario di Stato vaticano, agli occhi del premier, dovrebbe rendere più “ragionevole” il cattolico Casini.

Una convinzione tratta dai contatti con i vertici d’Oltretevere, per i quali Letta aveva ricevuto un incarico preciso. Così, dopo un vago richiamo alle “comuni radici del Ppe”, il Cavaliere aggiunge: “Pier, noi apparteniamo alla stessa famiglia, i nostri elettori sono gli stessi. Cosa ci fai in quella compagnia di giro? Il tuo posto è alla guida del paese accanto a me. Se solo volessi potresti fare il vicepresidente del Consiglio, saresti il numero due del governo. Sceglieresti tu il successore di Scajola e magari potreste avere anche la Farnesina”.

Il premier ha assoluto bisogno di tamponare l’emorragia finiana: di cedere alle richieste del presidente della Camera non lo prende nemmeno in considerazione. Anzi, sta provando a sfilare a Fini tutti gli interlocutori dell’ex leader di An, compreso Francesco Rutelli.

“Fini ti ha già fregato una volta – ricorda Berlusconi a Casini – ha detto che rompeva con me e poi è corso a fare il Pdl lasciandoti da solo. Se tornassi con noi nessuno potrebbe dirti niente”. Ma il leader dell’Udc, nonostante molti dei suoi non aspettino altro, anche stavolta delude il suo interlocutore. E non è solo la volontà di non farsi utilizzare contro Fini, prestandosi all’accusa di trasformismo parlamentare. Casini i suoi 39 deputati sarebbe anche disposto a concederli, ma solo in cambio di un “forte segnale di discontinuità” rispetto all’attuale maggioranza. Un “cambio di passo” che non potrebbe che essere marcato da una “crisi di governo” e dalle conseguenti dimissioni del premier.

“Non posso semplicemente aggiungermi a voi – spiega dunque al Cavaliere – perché vorrebbe dire rinnegare tutto quello che abbiamo detto e fatto finora. Non si può cambiare la base parlamentare del governo senza tornare al Quirinale e noi non facciamo la ruota di scorta, mi dispiace”.

Altra cosa sarebbe se si presentasse un nuovo governo: “Silvio, a guidarlo saresti sempre tu, ma sarebbe una nuova maggioranza per un nuovo programma. Riforme difficili, anche impopolari, da fare insieme per uscire dalla crisi. In questo caso potremmo anche valutare l’ipotesi”. Bertone ascolta in silenzio e non si intromette.

Berlusconi appare teso, protesta. “Io non posso aprire una crisi al buio, come puoi chiedermi questo? Dovrei ammettere che abbiamo fallito e invece stiamo facendo e abbiamo fatto tanto”.

Nella cena casa Vespa, Berlusconi non fa cenno a quello che realmente lo agita. Poi, riferendo della serata a più di un ministro il premier confessa: “Se si apre una crisi di governo la palla passa al Quirinale. Come faccio a fidarmi?”. Lo spettro che lo scuote è la possibilità di un ritorno ad un governo istituzionale come fu quello di Dini nel 1995 o quelli del ‘92 del dopo Tangentopoli.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

L’offensiva mediatica di Gianfranco Fini. La politica in Italia è bassa cucina.

Fini:”Non sono presidente per un cadeau di Berlusconi”-rainews24.it

‘Non sono presidente della Camera in ragione di un concorso vinto o di un cadeau del Presidente del Consiglio”. Gianfranco Fini lo mette in chiaro poco dopo essersi seduto sulla poltrona di pelle bianca di ‘Porta a Porta’ per una lunga intervista con Bruno Vespa che e’ un difficile esercizio di politica.

“Non ho intenzione di divorziare o di litigare, a patto che si rispettino le mie opinioni”, dice rivolto alla pubblica opinione anche per mettere subito sui giusti binari la questione dei suoi rapporti con Silvio Berlusconi, dopo la burrascosa direzione di una settimana fa. E poi e’ tutto un gioco di frizione tra la volonta’ di non compromettere una pax politica e quella di rivendicare il diritto di dire sempre come la pensa. Orgogliosamente Fini dice al premier, convitato di pietra della puntata, che alla Presidenza della Camera pensa di essere arrivato “per una storia politica che e’ quella di una destra senza bava alla bocca”. E aggiunge: “Non ho nessuna intenzione di dimettermi e fino alla noia, finche’ saro’ Presidente, difendero’ le prerogative del Parlamento”.

“Mi spiace doverlo ricordare – torna sulla lite in direzione -, ma Berlusconi non puo’ dirmi ‘se vuoi fare politica devi dimetterti da presidente della Camera’. Vespa ribatte: ‘Credo intendesse dire che doveva dimettersi da presidente della Camera se voleva fare una corrente’. Qui Fini stoppa il conduttore piccato: ‘A me non e’ parso, direttore. E comunque credo che quello che e’ accaduto lo abbiano visto in tanti”.

La puntata tocca l’acme quando Fini rivela ironico di aver ricevuto “la solidarieta’ del fratello del direttore” dopo l’attacco odierno del ‘Giornale’ di Feltri. “Non e’ stato un incidente – affonda l’ex leader di An – E comunque o non legge i giornali (Berlusconi ndr.) o non si capisce perche’ solo oggi la solidarieta’. Quindi uno sdegnato attacco contro il giornalismo “che sguazza nel fango, per non citare la materia organica che rese famoso Cambonne” e che “va oltre la decenza” infangando le persone sul piano familiare, cosi’ come fa anche la politica.

Ma Fini e’ teso anche quando deve mettere in chiaro che non accettera’ che Italo Bocchino sia usato come vittima sacrificale e sfiduciato dal capogruppo vicario del Pdl. “Si puo’ essere sfiduciati in ragione di addebiti – si butta avanti Fini -. Cosa si puo’ addebitare a Bocchino? Di aver sabotato il gruppo? Di aver organizzato qualche imboscata? Non si puo’ addebitarglielo. Viene rimproverato perche’ si ritrova su posizioni del Presidente dalla Camera. E’ questa la ragione? Se e’ questa, altro che partito dell’amore, se si inizia a tagliare teste”.

Ma il presidente della Camera, anche sui presidenti di commissione a lui vicini, non vuole credere che “Berlusconi pensi ad epurazioni”. Ne’ accetta che inizi la “caccia alle streghe” addebitando ai finiani la battuta d’arresto del governo, oggi andato sotto alla Camera su un emendamento del Pd al ddl Lavoro. Fini e’ tranchant quando afferma “E’ imbecille dire che lavoro per la sinistra” e smentisce ogni ipotesi ribaltonista dicendo degli avversari “Quando si e’ in fase di disperazione politica, ci si attacca a tutto cio’ che passa. Si augurano che io faccia qualcosa contro il governo centrodestra, ma io lavoro perche’ sia piu’ efficace, non per farlo cadere. Cosa sperano?”.

Nel mirino anche i retropensieri nel centrodestra: “Un patto sulle riforme non puo’ essere considerato l’anticamera dell’ammucchiata anti-Berlusconi. Anche se su alcune riforme si puo’ ragionevolemente arrivare ad una convergenza”. Cosi’, punto per punto, l’ex leader di An ribadisce le ‘tesi’ della storica direzione “nel cui documento finale il partito sembrava un impaccio, una parentesi”. Spiegando che esiste “differenza tra governare e comandare”, Fini ribadisce che “elezioni anticipate sarebbero da irresponsabili” e che lui lavora “non a logorare il governo ma a rinforzare esecutivo e Pdl. “Il logoramento – va avanti propositivo – nessuno lo vuole -. Berlusconi lavorera’ per un chiarimento e per evitare il logoramento. Io faro’ lo stesso”. Pero’ insiste su un federalismo fiscale del quale siano chiari i costi, su una riforma della giustizia che “non denigri i magistrati, baluardo di liberta’, e non crei sacche di impunita”‘, su un presidente del Consiglio che non dica certe cose su Saviano “perche’ sarebbe come dire che Camus con ‘La peste’ ha fatto l’untore”.

Fini chiede rapporti “improntati al massimo della correttezza” con le istituzioni, Colle in testa, insiste per un “sereno confronto” e nega si possa parlare di “tregua armata”, perche’ non c’e’ guerra in corso ma solo “una fase nuova”, dove e’ possibile dissentire senza essere bollato di tradimento. E a Vespa che gli chiede di riassumere in un titolo, Fini replica: “Guardi che se appare uno che si fa suggerire da me le cose, in questo momento rischia di avere problemi”.
(Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Berlusconi ordina, Rai esegue.

“Zitti, si vota”: resta il divieto di politica in Rai. Il Cda si spacca sul “bavaglio”-blitzquotidiano.it

Metà “Ponzio Pilato delle istituzioni” e metà “legionario della maggioranza politica”, il Consiglio d’amministrazione della Rai ha confermato con cinque voti contro quattro lo stop ai talk show politici durante il periodo pre-elettorale. Confermata, quindi, la decisione dei giorni scorsi nonostante la sentenza del Tar che, venerdì 12 marzo, aveva definito illegittimo il blocco per le televisioni private. E nonostante l’Autorità delle Telecomunicazioni avesse invitato la Rai a comportarsi di conseguenza. C’è dunque la campagna elettorale, tra due settimane si vota e in Rai c’è appeso il cartello: “Qui si chiacchiera di tutto ma non di politica”.

Metà “Ponzio Pilato” perché i consiglieri di amministrazione nominati dal centro destra hanno fatto finta di non decidere. Non hanno riacceso Ballarò, Porta a Porta, Annozero e Ultima Parola. Però si sono “lavati le mani” anche della responsabilità diretta di tenerle spente queste trasmissioni. Hanno votato che “deve decidere la Commissione di vigilanza parlamentare sulla Rai”. Mentre questa decide, la campagna elettorale sarà finita o quasi. Metà “legionari”, perché si trattava di non contraddire la voglia chiara ed esplicita del premier di non vederle più quelle trasmissioni. Possibilmente mai più, in mancanza di meglio almeno per un mese.

I consiglieri Rai Rodolfo De Laurentiis, Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten affidano ad una nota le ragioni del loro no alla ribadita sospensione dei talk show: «Esprimiamo il nostro voto contrario perché si tratta di una decisione dilatoria che non sana la forzatura di interpretazione del regolamento compiuta quando a maggioranza fu decisa la sospensione di quattro trasmissioni di approfondimento».

Secondo i consiglieri «l’ordinanza del Tar sulla delibera dell’Agcom e l’invito della stessa Autorità di Garanzia a riconsiderare la delibera assunta dal Cda -avrebbero dovuto indurre la Rai a ricollocare in palinsesto da subito gli approfondimenti informativi. Siamo tra l’altro convinti che la conferma della sospensione rende concreto il rischio per l’Azienda di sanzioni». Il presidente della Rai Garimberti si dice “amareggiato”. Gentiloni del Pd parla di “suicidio aziendale”.

Per rivedere trasmissioni come Porta a Porta di Bruno Vespa, AnnoZero di Michele Santoro, Ballarò di Giovanni Floris e L’Ultima Parola di Gianluigi Paragone, quindi, occorrerà aspettare che siano passate le elezioni regionali, quando parlar di politica nella tv pubblica non farà più alcun “danno di informazione”. E’ stata proprio l’equazione tra informazione e comunicazione politica a portare all’annullamento delle trasmissioni. Equazione respinta dal Tar ma voluta fortemente dalle forze di maggioranza e dai radicali. Equazione che ha portato a sostenere che le regole valide per le Tribune Politiche sono le stesse che devono valere per una trasmissione giornalistica. Non la par condicio ha spento la politica in Rai, ma l’uso improprio della par condicio. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

“Gli abruzzesi hanno preso il decreto, lo hanno letto, lo hanno studiato, e hanno scoperto che quasi metà di loro passerà l’inverno in tenda e che il soldi delle case ci saranno solo a metà”.

Terremoto Abruzzo/ Non ci sono le case, mancano i soldi: solo promesse di cartapesta
di Alessandro Duchi-blitzquotidiano.
Pezzo a pezzo, la cartapesta del mito ricostruzione abruzzese viene giù.

Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi aveva esordito alla grande, con una regia perfetta: nascosto dietro una gigantografia di se stesso in maglioncino blu e sorriso rilassato, che faceva da sfondo al salotto di Bruno Vespa convocato d’emergenza in luogo del consiglio dei ministri, dava ordini a destra e a manca, compreso al ministro dell’interno Roberto Maroni, cui Berlusconi ingiungeva: domattina voglio 1.500 pompieri all’Aquila.

Chi ha una minima idea, e per questo basta leggere i giornali, del tempo che ci vuole a spostare un reparto incluse le truppe d’assalto aviotrasportate americane, per non dire una semplice pattuglia di vigili urbani quando uno li chiama, sa bene che l’eordine era impossibile da eseguire, a meno che non fosse stato già dato ore prima e ripetuto in tv solo per la delizia degli spettatori.

Berlusconi aveva capito che il terremoto era una grande occasione di campagna elettorale, un mega spot gratuito, con i costi di produzione a carico del contribuente: la chiave era dare l’impressione che tutto era sotto controllo, che la macchina dello stato girava come un diesel, per la prima volta dal 1870, meglio anche di come girava quando c’era l’altro Lui, quello dei treni in orario; perché ora c’è un altro Lui, che non è un maestro elementare,ex caporale, ma è laureato e uno degli imprenditori di maggioiri genio e successo della storia d’Italia.

Quello che i pubblicitari chiamano “pay off”, il messaggio finale, era: italiani, dormite tranquilli, non disturbate il manovratore, votatelo e dategli quel 51% dei suffragi che gli permetterà di fare ancor meglio.

Il primo intoppo è venuto con Michele Santoro, il quale, con i suoi modi che non sono studiati per generare simpatia, ha dimostrato una banalità: che mentre all’Aquila tutto girava al meglio, bastava allontanarsi di qualche chilometro per scoprire che c’erano ritardi, che i mezzi di aiuto lasciavano a desiderare, che c’era gente che si lamentava. Gli abruzzesi sono gente di montagna, dura, orgogliosa, grandi lavoratori, testa bassa, denti stretti. I lamenti erano critiche e osservazioni puntuali, precise.

Le spiegazioni erano semplici, ma Berlusconi ha perso la testa, dando una prova di come un liberale del profondo nord può mutare se i voti lo sostengono. Se in quel momento avesse avuto la maggioranza assoluta, Santoro, se ancora fosse stato a libro paga Rai (aveva tra l’altro appena vinto una causa per una precedente estromissione, sempre ordinata da Berlusconi), sarebbe stato cacciato; l’ordine dei giornalisti, meravigliosa invenzione di Benito Mussolini che nemmeno Stalin è stato capace di uguagliare, lo avrebbe convocato, ammonito e espulso.

Berlusconi ha perso la testa perché una piccola macchietta, sotto specie di una trasmissione che non è certo nelle corde della maggioranza degli italiani, e che sarebbe passata sconosciuta ai più se Berlusconi non avesse fatto il diavolo a quattro che ha fatto, gli è schizzata sullo sparato bianco della festa della ricostruzione.

Poi via con i funerali, momento culminante del cordoglio nazionale.

Poi l’assurda pretesa di portare i capi degli otto paesi più ricchi e potenti del mondo in Abruzzo per la già programmata, in Sardegna, riunione di settembre. C’è da prevedere che sarà una catastrofe, e anche una um,iliazione per i poveri abruzzesi esibiti come scimmie allo zoo davanti a decine di migliaia di stranieri al seguito dei potenti della terra.

Infine, gli italiani tornavano alla vita normale, e anche gli abruzzesi della costa si rivolgevano ai loro affari quotidiani, e anche gli abruzzesi del terremoto cercavano di recuperare un minimo di normalità, confidando nelle promesse del Politico numero uno. In quel momento prendeva il via la gestazione del piano per la ricostruzione.

Si era parlato prima di dodici miliardi di euro, scesi a otto ma finanziati non con nuove tasse e imposte, ma con una serie di spostamenti di voci del bilancio, cosa possibile visto che nell’enorme massa di soldi che la macchina dello stato macina, otto miliardi sono poca cosa e ci sono notevoli quantità di soldi che non sono utilizzati.

Ma si era anche parlato, da parte di Berlusconi, di tempi e scadenze. L’impegno più importante riguardava le case: quelle provvisorie, necessarie per togliere gli abruzzesi dalla precarietà delle tende, quelle definitive, che ciascun terremotato si sarebbe costruito sulle macerie della vecchia distrutta o dove più avrebbe gradito, purché sempre, rigorosamente antisismiche.

Berlusconi aveva rinnovato le sue promesse non più tardi di martedì sera, 5 maggio, in Tv, nel solito salotto di Vespa, davanti alla nazione,convocata col pretesto del bilancio di un anno del suo governo, ma interessata soprattutto a sentire la sua versione della sua privata vicenda matrimoniale, tra Veronica, Noemi e le veline.

Incaute affermazioni, clamorosamente smentite. Ora dall’Abruzzo comincia a trapelare la verità sulla ricostruzione. L’Italia è un paese approssimativo, dove dei documenti si leggono solo i titoli, se si leggono. Andiamo per slogan, votiamo per emozioni e quindi siamo esposti a promesse e imbonimenti di ogni genere. Non ci dobbiamo buttare troppo giù, peraltro, perché se pensiamo che gli americani hanno votato George Bush e i francesi Nicolas Sarkozy, allora il nostro Berlusconi è un gigante, purtroppo per lui anche nel volere essere sempre il primo della classe, anche quando non ha studiato.

Gli abruzzesi, però, sono gente seria. Hanno preso il decreto, lo hanno letto, lo hanno studiato, e hanno scoperto che quasi metà di loro passerà l’inverno in tenda e che il soldi delle case ci saranno solo a metà.

È a questo punto che un grande pezzo del fondale di cartapesta, stile western di Hollywood anni ‘50, è venuto giù. Il governo può insistere nelle sue illusioni. C’è ancora tempo per rimediare, siamo in primavera, piani alternativi si possono elaborare, i bisogni elementariu degli abruzzesi possono essere affrontati. Berlusconi, se ci si applica Lui personalmente, ha genio e inventiva per fare le cose bene.

Se no, chiunque ci sia al governo, il potere poltico ancora una volta avrà dimostrato di essere permeato dello stesso spirito sabaudo – borbonico di sempre, che tanto male ci ha fatto. E la scarsa fiducia dei cittadini nello stato, che Berlusconi ha eroicamente cercato di ricostruire, magari personalizzando un po’ troppo, ma con la carta pesta invece che con il cemento. Scenderà ancore di più. E sarà male per tutti. (Beh, buona giornata).

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