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I satrapi del neo-liberismo promettono lacrime, sangue e bugie.

Dopo l’eurobailout,di Pino Cabras-megachipdue.info

Chissà perché le borse hanno gioito così tanto, dopo l’annuncio dei 750 miliardi di euro approvati nel pieno dell’emergenza della speculazione.
Chissà perché i titoli delle banche si apprezzavano più degli altri.
Sarà perché le banche avevano ormai qualcuno che si impegnava a comprare i loro crediti inesigibili.

La Banca Centrale Europea è ora disposta a creare moneta dal nulla con regole nuove pur di salvarli, banche e banchetti.
Il crescendo di allarmi sui debiti sovrani ha una base autentica, di certo. Quei debiti abnormi ci sono, perché gli Stati si sono sovraccaricati di compiti spesso contraddittori, insostenibili, gravati da corruzioni e clientele portate a consumare oggi le risorse di domani.

Meno autentico è il momento in cui l’allarme viene esasperato. Sono stati gli speculatori a scegliere i tempi e i modi: le iene assaltavano gli gnu più isolati e più piccoli, rendendo un servizio alle bestie più grandi e malate, ma ancora capaci di nascondere il loro stato. Dosando gli allarmi dove volevano i predatori, i tassi di interesse per i titoli di stato greci dovevano salire vertiginosamente e il loro rating precipitare appena sopra il valore della carta straccia: così era facile comprarli a man bassa, con la convenienza nel medio termine di lucrare interessi doppi o tripli rispetto a pochi mesi fa. Stesso meccanismo contro Portogallo e Spagna: profezie che minacciavano di autoadempiersi, nel fragile gioco della finanza sempre basata sulle aspettative.

A coprire gli azzardi dei corsari globali è stata ora definitivamente trascinata la costruzione europea nel suo insieme.
In teoria la finanza dovrebbe lubrificare l’economia sottostante, avrebbe lì la sua giustificazione residua. Invece l’«economia della truffa» in cui siamo sempre più avvitati ha cambiato da molto tempo ragione sociale. La finanza è totalmente diseconomica, succhia risorse dall’economia reale, tosa oltre l’intollerabile i contribuenti, è una bomba a tempo contro qualsiasi infrastruttura della vita civile di interi popoli. La solita cerchia che comprende Goldman Sachs e altre volpi a guardia del pollaio beneficia di questo ulteriore salto del debito e consolida la sua dittatura sulle linfe finanziarie del mondo.

Gli Stati sono stati spinti negli ultimi due anni verso i limiti estremi della loro capacità d’indebitarsi e di sciupare i bilanci. Negli esempi più vistosi, come il debito USA o quello britannico (proprio a casa di chi ci insulta come PIGS) è evidente che i debiti sono oltre la soglia della possibilità di ripagarli. Si possono inventare avvitamenti della spirale sempre più sofisticati, si può fare ad esempio questo “upgrade” europeo, con la BCE che compra l’inacquistabile, ma qualcuno pagherà. Data la dimensione del debito che va a rivelarsi, si pagherà per decenni.

Intanto che i sistemi politici e i mondi sindacali – poiché non hanno un pensiero alternativo all’altezza – evocheranno a lungo come un mantra il miraggio della crescita, dovranno invece da subito fare i conti con il suo contrario, la decrescita.
La decrescita è già in campo. Per ora è congelata, quel tanto che dà respiro ancora ai predatori finanziari, pronti però ad approfittare fra breve della nuova corsa ai differenziali d’interesse fra economie irrimediabilmente ingolfate ed economie appena più in salute.

Le lacrime e sangue imposte dai banchieri degraderanno la base contributiva e perciò le finanze pubbliche, sempre meno in grado di fronteggiare l’aumento della disoccupazione e della integrazione dei redditi di chi è costretto a sospendere il lavoro.

I 750 miliardi del “bailout” all’euro sono una cifra enorme, decisa in un weekend. Dovrebbe valere la pena stanziarli per un obiettivo in grado di coincidere con interessi profondi dei popoli coinvolti. A ben pensarci, però, questa cifra servirà solo a tenere in piedi un sistema che avrebbe senso se facesse il suo mestiere, cioè dare credito a chi fa impresa, ma che invece ne fa un altro: scremare risorse in favore di un gruppo di criminali legalizzati. Loro, i protagonisti principali della crisi delle finanze private, hanno passato il testimone alle finanze pubbliche. Il sistema bancario ombra non si taglia nulla. Gli Stati taglieranno stipendi e scuole, come già fanno, e molto molto altro.

Ogni tanto un Obama, una Merkel o un Sarkozy promettono sfracelli contro i padroni di Wall Street. Ma dopo un po’ si sbracano e offrono altra liquidità, a botte di centinaia di miliardi. Verranno ripagati con totale ingratitudine da Soros a dagli altri filantropi del suo stampo. Perché questi prima si fanno salvare, poi – autodefinendosi come «i Mercati» – pretenderanno che gli Stati si dimostrino meno cicale e più formiche, con i soliti tagli e le solite ricette da massacro sociale che funzioneranno come le patologie iatrogene, malattie di cui credono di essere la cura. L’erario si assottiglierà fino a fornire il pretesto per rinnovati allarmi-insolvenza.

A quel punto, la cura proposta per il disastro provocato dalle banche e dalle tecnocrazie finanziarie sarà: più banche e più tecnocrazie.

Loro infatti non si espongono e non appariranno. La faccia esposta alla rabbia dei defraudati sarà quella dei Papandreu di turno, dei politici sempre meno votati e meno legittimati (già dilaga l’astensionismo alle urne), mentre le facce di bronzo, le lingue di legno e i culi di pietra dei Goldman Draghi irradieranno il rassicurante tepore della tecnofinanza.

Quei 750 miliardi decisi nel weekend dal Consiglio Economia e Finanza dell’Unione Europea non servono dunque agli interessi profondi dei popoli coinvolti. Per poter servire avrebbero dovuto essere accompagnati da misure drastiche di altro tenore: abolire i derivati, punire con mandati di cattura internazionali chi pratica le tecniche ribassiste, chi usa gli algoritmi per le speculazioni da realizzare in frazioni di secondo e tutto il casinò delle sofisticherie tecnofinanziarie che usurpano la parola «mercati». L’Europa doveva semplicemente ricollocare tutto ciò sotto la fattispecie «truffa».

Non sarebbe stato uno scandalo nazionalizzare le banche. E anziché promettere in caso di necessità l’acquisto dei bond dalle banche, gli Stati avrebbero dovuto dotarsi della possibilità di acquistarli direttamente. Il boss della Goldman Sachs, il signor Lloyd Blankfein, avrebbe così abbassato la cresta, specie se gli fosse arrivato anche un simpatico avviso che gli spiegasse di non mettere piede in Europa per i prossimi 50 anni.

La globalizzazione avrebbe avuto una svolta equilibratrice. Così però non è stato.

Il re neoliberista è nudo. E dobbiamo urlarlo con forza. Le sue ricette non hanno legittimità, né possono più proclamarci che “There Is No Alternative”. La TINA è finita. Prima la politica lo capirà, meglio sarà. I partiti che in questi anni hanno solo provato a temperare con retorica compassionevole l’agenda neoliberista non l’hanno ancora capito. Ma in giro si muovono altri spettri, che parlano di un’altra politica e un’altra economia. (Beh, buona giornata).

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Cosa sta succedendo all’economia europea/7.

(fonte: repubblica.it)
Dopo la maratona di ieri, durata oltre dieci ore, i ministri delle Finanze dell’Unione europea hanno trovato l’accordo per un piano salva-euro che potrebbe raggiungere i 720 miliardi. L’intesa è per 500 miliardi di aiuti europei cui si aggiungerà una cifra non precisata del Fondo monetario internazionale che secondo la presidenza di turno spagnola della Ue potrebbe arrivare a 220 miliardi. Al fondo non parteciperà la Gran Bretagna: “Voglio essere chiaro, la proposta di creare un fondo per la stabilità dell’euro è una faccenda che riguarda i paesi dell’Eurogruppo”, ha detto il titolare delle Finanze di Londra, Alistair Darlin.

Oggi volano le Borse dopo l’accordo sul piano anti-speculatori e l’annuncio che anche le banche centrali interverranno sui mercati. Piazza Affari si è impennata fin dall’apertura e sale di oltre il 7%. In avvio ben 16 titoli dell’indice Ftse non riuscivano a fare prezzo per eccesso di scostamento. A beneficiare soprattutto il settore bancario, più penalizzato nelle sedute della scorsa settimana dalle vendite. Unicredit e Intesa salgono di oltre il 15 e oltre il 14%, rialzi a due cifre anche per Mediobanca e Popolare di Milano.

Lisbona guadagna oltre l’8%, seguita da Bruxelles con oltre il 7,5. Oltre il 7 anche Parigi, seguita da Amsterdam (5%) e Francoforte e Londra oltre il 4. Atene è balzata di oltre 7 punti percentuali in apertura.

Forse più ancora che dalle decisioni dell’Ecofin il maxi-rimbalzo è provocato dall’annuncio che anche le banche centrali intervengono per sostenere la stabilità finanziaria. La Banca centrale europea, subito dopo la fine della riunione dei 27 a Bruxelles da Francoforte ha annunciato “misure eccezionali” sul mercato dei titoli di Stato e su quello dei cambi. L’intento, è scritto in un comunicato, è “di mettere fine alle disfunzioni” che sono state riscontrate dopo l’esplosione della crisi greca. Altra misura è stata concertata con la Fed, e le banche centrali di Canada, Inghilterra, Svizzera alle quali si è poi aggiunta quella giapponese. In sostanza i banchieri centrali hanno riattivato il meccanismo di scambio delle divise (swap) per facilitare l’approviggionamento in dollari delle banche della zona euro.

Misure necessarie, secondo la Bce, per fare fronte “alle gravi tensioni osservate sui mercati finanziari”. Buona la reazione dell’Euro che torna ad 1,30 nel cambio con il dollaro dopo che nei giorni scorsi era sceso sotto quota 1,26. “Il fondo rafforzerà e proteggerà l’euro, ma i problemi vanno affrontati alla radice” rafforzando la disciplina di bilancio” commenta il cancelliere tedesco Angela Merkel.

La prima Borsa a chiudere, dopo gli interventi di Ue, Fmi e banche centrali è stata quella di Tokyo: l’indice Nikkei chiude a +1,30% dopo due sessioni in calo. (Beh, buona giornata).

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Il capolinea del governo Berlusconi.

(fonte: blitzquotidiano.it)
A Berlusconi non far sapere…ma la crisi bussa tre volte in un giorno solo. Alla porta del suo governo ma, quel che più importa, anche alla porta di casa nostra. Come il premier, anche ciascuno di noi preferisce tenerla fuori dell’uscio, ignorare i rintocchi, aspettare che si stufi e si stanchi di importunarci. Però la crisi non se ne va, anzi bussa, tre volte in un giorno.

La prima volta suona per chi i soldi li ha: 102 miliardi di quotazioni azionarie come si dice “in fumo” in un giorno. Miliardi che un giorno vanno e un giorno vengono, non è il caso di farne un dramma. E poi riguarda appunto chi ha azioni e chi ce l’ha più tra la gente normale? Solo i matti.

Se non fosse che le Borse sentono odore di bruciato. Dopo settimane e mesi di risalita perché annusavano la fatidica uscita dalla crisi, adesso sono giorni che si vende, si vende. Si vende perché non si crede che molte aziende, quelle che fabbricano cose e non finanza ce la facciano ad arrivare a fine anno. A leggere tra le righe delle cronache dei giornali si vede che molte chiusure per ferie quest’anno rischiano di essere chiusure e basta. Storie di piccole aziende, comunque la prima bussata è per investitori e azionisti, il più di noi può non sentirla.

La seconda bussata riguarda chi lavora a stipendio e a salario. Un po’ di più, parecchia più gente. La seconda bussata dice che in Europa la disoccupazione è arrivata al 9,5 per cento. Altissima. Traduzione: chi ha un lavoro rischia di perderlo, chi non ce l’ha un lavoro è quasi sicuro che non lo trova. Almeno fino al 2010, arrivarci al 2010.

La terza bussata è per i nostri figli e nipoti: il deficit dello Stato italiano nei primi tre mesi dell’anno ha viaggiato a quota 9,3 per cento della ricchezza prodotta. Una volta il tre per cento era il limite, il 4 segnale d’allarme. Ora quel nove e passa dice che lo Stato si indebita sempre più e pagheranno i figli e i nipoti nei prossimi anni e decenni. Tasse? Non ce ne sarà bisogno: sarà una tassa chiamata inflazione ad asciugare l’alluvione del debito.

Tre colpi alla porta in un solo giorno, uno per chi i soldi li ha, uno per chi vive di lavoro, l’altro per il futuro delle famiglie. Meglio non sentirli, accendiamo la tv. Beh, buona giornata.

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