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Attualità democrazia Movimenti politici e sociali Politica

Se avessimo votato col proporzionale?

di Giovanni Bronzino –

L’incertezza politica in cui versa l’Italia dopo le ultime elezioni politiche è stata da più parti addebitata al fatto che per la terza volta si è votato con le regole del cosiddetto porcellum. Nonostante per anni i partiti si fossero dichiarati quasi unanimamente d’accordi sulla necessità di una nuova legge elettorale, non si è mai riusciti a trovare un accordo che soddisfacesse tutti. Anche perché da anni il vizio d’origine è che le leggi elettorali non devono essere neutre, ma costruite su misura delle esigenze di questo o quel partito.

In verità stavolta il porcellum c’entra poco. La legge elettorale di Calderoli non ha comunque smentito la sua impressionante capacità di deformare il parlamento e la volontà del popolo sovrano secondo un bislacco sistema di sbarramenti plurimi, ma ad aver destabilizzato la relativa quiete della seconda Repubblica è stato semplicemente il fatto che il MoVimento 5 Stelle abbia preso il 25,55% dei voti validi.

Ipotizziamo che la ripartizione dei seggi alla Camera dei Deputati fosse avvenuta con la vecchia legge elettorale (ex art. 77 del DPR 361/1957) in vigore fino al 1993: un democratico proporzionale con attribuzione dei resti più alti col metodo del collegio unico nazionale e lasciando immutata la quota estero e l’uninominale della Valle d’Aosta, avremmo avuto questa situazione:

Si può notare che ci saremmo ritrovati con 5 liste extraparlamentari in meno (Rivoluzione Civile, Fare, La Destra, Grande Sud-Mpa e Die Freiheitlichen), e quindi oltre un milione e mezzo di cittadini avrebbero avuto una loro legittima rappresentanza in Aula, ma ai fini della cosiddetta governabilità sarebbe cambiato poco.

Le sinistre (Pd, Sel, Rc, Cd, Svp) avrebbero avuto 209 seggi contro i 190 delle destre (Pdl, Ln, Fd’I, Fare, La Dx, Gs-Mpa, Die Freih.) e i 66 del centro (Sc, Udc). Fatichiamo a collocare i 4 deputati Vallée d’Aoste, Maie e Usei, anche se dovrebbero essere di centro.

A fare pertanto la differenza anche con questa legge elettorale sarebbero i 161 grillini. Tuttavia la prassi del proporzionale imporrebbe in questo caso al M5s l’onere e l’onore di dover formare un governo e quindi ai grillini di doversi cercare in aula gli almeno 155 deputati necessari per formare una maggioranza. Non è una cosa da poco.

Poiché il porcellum ha dato una maggioranza d’ufficio alla coalizione di Bersani, tocca a quest’ultimo rincorrere Grillo e Casaleggio e rimanere in attesa di un sì o un no come in certi film i gladiatori sconfitti guardavano alla mano dell’imperatore per capire se avrebbero visto la luce del giorno dopo. Con un proporzionale onesto invece chi gode della massima popolarità nell’elettorato avrebbe dovuto farsi subito carico di tutto il peso dell’essere il partito più votato del paese. (Beh, buona giornata).

Se avessimo votato col proporzionale oggi sarebbe Grillo a inseguire Bersani.
Se avessimo votato col proporzionale oggi sarebbe Grillo a inseguire Bersani.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il caso “Vieni via con me”: Che Paese meraviglioso è il nostro. Un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando.

Il primo novembre di quest’anno è morto a New York a 82 anni Theodore Sorensen, autore dei più famosi discorsi pronunciati da John Kennedy negli anni alla Casa Bianca. Sorensen è stato il gost-write per eccellenza. Sua una delle più celebri frasi di JFK: “Non chiederti cosa possono fare gli Stati Uniti per te, ma cosa tu puoi fare per gli Stati Uniti”.

Anche dopo aver smesso di lavorare, Sorensen continuò a collaborare con Nelson Mandela e, più recentemente, contribuì alla campagna presidenziale di Barack Obama.

C’è da credere che Sorensen sarebbe inorridito al solo pensiero di scrivere anche una sola parola per Gianfranco Fini. E, probabilmente, sarebbe scoppiato a ridere se qualcuno gli avesse chiesto di scrivere un paio di brillanti battute per Pierluigi Bersani. Infatti, a Gianfranco e a Perluigi ci ha pensato qualcun altro. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che questo qualcun altro sembrerebbe essere uno solo.

Insomma, nel circo mediatico di un Paese senza più idee, dunque anche senza parole, sembrerebbe che un epigono di Sorensen sia stato il gost- writer che ha scritto i due discorsetti: con una mano (destra?) quello di Fini, con una mano (sinistra!?) quello di Bersani. Tutto è successo nell’ormai famoso programma “Vieni via con me”, che ha sbancato gli ascolti per ben due volte consecutive. La cosa è straordinaria. E’ straordinario che un programma televisivo sulla Rai faccia il botto di ascolti.

E’straordinario che questo succeda dopo l’accanita opposizione del direttore generale della Rai. E’straordinario che quel direttore generale della Rai sia il direttore generale di qualsiasi cosa: a uno così si ribellerebbero anche i lacci delle scarpe. Ma la cosa più straordinaria è che il programma televisivo in questione sia targato Endemol, compagnia mondiale specializzata in format televisivi. E’ straordinario che il direttore generale della Rai abbia tentato di sabotare un format Endemol. Perché Endemol è di proprietà di Mediaset. E Mediaset è di proprietà di Berlusconi. Proprio come il direttore generale della Rai.

Ma la cosa straordinariamente straordinaria è che Endemol fa un programma che sbanca gli ascolti, che viene contro-programmato da RaiTre contro il Grande Fratello, che è l’ammiraglia della produzione Endemol. E l’ammiraglia della produzione Endemol ceda il passo al successo di RaiTre contro l’ammiraglia delle reti televisive private, cioè Canale 5. Riassumendo: Endemol fa “Vieni via con me” che da RaiTre batte “Il Grande Fratello” su Canale 5, programma di Endemol. E’ vero che Endemol perde nel mondo nel 2010 circa un miliardo di dollari, come certificano gli analisti di Wall Street. Dunque, tutto fa brodo pur di fare liquidi. In altri termini, il presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana possiede Mediaset, controlla la Rai e a entrambi vende format tv, attraverso la sua società Endemol.

E’ il miracolo dei miracoli: egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’audience. Mentre l’odiata Auditel viene sdoganata come metro di misura del successo di Fazio e Saviano, come se per incanto l’Auditel fosse diventata Santa Romana Chiesa della tv di qualità, i giornali, vittime sacrificali dello strapotere televisivo, certificherebbero grandi elogi al programma: nuovo, libero, fresco. Ma Endemol. Che fa tanto “altissima, purissima, Levissima”.

Che Paese meraviglioso è il nostro: un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando. Cosa avrebbe potuto inventare, a questo proposito, Sorensen, il gost-writer per antonomasia? “Non chiederti cosa possono fare le tv per te, ma cosa tu puoi fare per i programmi tv”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Il berlusconismo ha fatto perdere tempo all’Italia. Ha fatto perdere la testa alla sinistra. Questa è una lettera scritta il 23 aprile 2008. La sua attualità è la misura del ritardo dell’opposizione al governo Berlusconi.

di MARTINA FERRI
(Martina Ferri ha firmato questo articolo sul quotidiano Liberazione il 23 aprile 2008. Lo pubblichiamo in vista di possibili nuove elezioni politiche in Italia. Ci sembra di un’attualità dirompente, stringente, addirittura lancinante. Dalema, Bersani, Vendola, Di Pietro dovrebbero pensarci un po’ su. Ben sapendo che, come cantava Guccini, “i politici han ben altro a cui pensare”)

Come se il proiettore si fosse spento bruscamente. Come se la realtà virtuale ricreata intorno a noi fosse sparita, lasciando apparire il deserto che ci circonda. Non ci credevamo, ma vederla rappresentata, questa sinistra, ci faceva stare un po’ meglio. Non c’era, lo sapevamo bene, ma accettavamo l’illusione come un leggero calmante.

Ho scritto a Vladimir Luxuria chiedendole un motivo per votare. Nella sua risposta non ho trovato quella motivazione forte, così forte da spingermi ad avere un altro po’ di pazienza e tornare a dare fiducia alla sinistra in parlamento.

Non ho votato, e ora di che mi lamento? Come giustifico politicamente la desolazione che provo nell’immaginare la nuova distribuzione dei colori nelle camere?

Non la giustifico, ma c’è. Mi sento desolata e sconfitta, ma mi sarei sentita così in ogni caso. Tant’è.

Il mio non voto è stato un grido, un grido che voleva scuotere una forza politica che ritenevo il mio unico interlocutore possibile, che però non mi rivolgeva più la parola da molto tempo.

La sinistra non parla con me, non mi conosce, non sa e non si cura di sapere dove vivo, cosa faccio, quali sono i miei problemi e le mie aspirazioni. Come può uno sconosciuto rappresentarmi? Cosa può rappresentare di me, della mia generazione, della mia classe sociale? Può il mio unico scopo essere la conservazione di una rappresentanza di sinistra in parlamento, quando questo avrebbe solo valore formale? Perché io non avverto la sostanza di sinistra nell’arcobaleno.

Umanamente mi dispiace per le persone che si trovano mancare la terra sotto i piedi per questa bastonata sui denti che si chiama trepercento. Ma quando si è lontani dalla realtà, il risveglio fa sempre male. Mi auguro che ci sia questo risveglio, mi auguro che nei prossimi anni si smetta di cercare di interpretare i desideri dell’elettorato (desideri indotti, bisogni immaginati, come l’esigenza di sicurezza), e che si cerchi di comprendere i problemi reali delle persone, interpretandoli ed offrendo una visione possibile del mondo.

Ho bisogno di una forza politica, ma non televisiva, che mi aiuti a spiegare ai miei colleghi di lavoro, alle persone che incontro nel quartiere, sull’autobus, o in fila alla cassa ticket delle asl, che il nostro problema non sono i Rumeni, ma gli affitti alle stelle. Che il problema è il profitto e chi sfrutta in nome del profitto, e non chi si lascia sfruttare perché non ha altra scelta. Che il concetto di clandestinità non ha senso, è scientificamente indifendibile. Che discriminare i gay e le lesbiche è come riprodurre l’apartheid dell’America e di Israele. Ho bisogno di essere appoggiata, di avere una sponda, per non sentirmi emarginata nella mia città. Ho bisogno di una sinistra in parlamento, certo, ma che sia sinistra.

Non c’è più nulla di scontato. L’antifascismo, la solidarietà sostanziale, il lavoro comune per il miglioramento della vita di tutti, il rispetto delle regole che garantiscono la libertà, e la lotta per i diritti che ancora mancano. Le persone con cui ho a che fare mi guardano con gli occhi di fuori quando faccio riferimento a queste cose. L’individualismo di massa ha conquistato ogni spazio lasciato incustodito, il qualunquista è considerato quello che ci ha visto più lungo di tutti.

Ecco, io mi sento così: mi avete lasciato da sola a combattere con il mostro gretto, ignorante e aggressivo. La mia voce è stata lasciata a morire sotto le urla dell’arroganza, della miseria umana, della totale mancanza di coscienza (di classe). E non mi sono sentita aiutata da voi, nella mia militanza quotidiana nell’orrido mondo reale in cui sono costretta a vivere.

Ho visto sempre più fascisti parlare ad alta voce e senza vergogna. Razzisti sproloquiare contro gli immigrati, senza pudore, sull’autobus, nei bar, per la strada. Signore distinte sospirare malinconiche ripensando ai bei tempi del duce. Tutti assolutamente indisturbati facevano a pezzi il mio paese. Mentre io mi azzardavo ad esprimere i miei contenuti, venivo travolta dalla massa di voci più forti, più categoriche, più arroganti. Le voci di quelli che avevano dalla loro parte forze politiche che sdoganavano i più bassi istinti dell’italiano medio.

Mi sono sentita sola, e non ho votato perché volevo che ve ne accorgeste. Vi prego di farlo, adesso. (Beh, buona giornata).

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Attualità Società e costume Sport

La calcificazione della politica italiana.

Lo sanno tutti quanto in Italia sia forte l’intreccio tra calcio e politica.
Tanto che negli stadi si fa politica e la politica usa spesso toni da
stadio. Fu la politica a designare Lippi, uomo dell’establishment che portò
al macello la Nazionale in Sud Africa. Fu sempre la politica a salvare i
vertici del calcio italiano: come se nulla fosse successo, ognuno è rimasto
al suo posto, dopo l’ignominiosa debacle africana. Fu il calcio a vaticinare
l’ingresso in politica, o meglio “la discesa in campo” del presidente del
Milan, che poi divenne il presidente del Consiglio. Fu il calcio ad
ammalarsi di politica, come abbiamo visto nelle vicende di Calciopoli.

Dunque, se il calcio si è politicizzato e la politica si è calcificata (in
tutti i sensi), forse è proprio da questo binomio che può venire la
soluzione alla crisi del governo, che è poi la crisi del berlusconismo,
visto che l’attuale squadra di governo è ormai bollita, dunque
irrimediabilmente perdente.

Governo tecnico? Allargamento della maggioranza
conl’Udc? Un neo CLN da Fini a Vendola, passando per Rutelli, Casini, Luca
di Montezemolo? Tremonti, gioca all’attacco o in difesa? Berlusconi vuole
comprare Casini? Basterebbe leggere i titoli dei giornali di queste
settimane, per avere la netta sensazione della calcificazione (in tutti i
sensi) della politica italiana.

Cionondimeno, una soluzione ci sarebbe: è
sotto gli occhi di tutti. C’ è una squadra di calcio in Italia che è stata
capace di vincere tutto, sia sul piano nazionale che su quello europeo.
Proprio quello che servirebbe alla politica italiana, per vincere le
drammatiche difficoltà, in questi frangenti molto critici per l’economia,
per il vivere sociale, per il lavoro, per lo sviluppo. Questa squadra di
calcio ha introdotto un’innovazione che sarebbe molto salutare fosse copiata
pari pari dalla politica italiana. Parliamo dell’Inter di Moratti, nelle cui
fila militano solo giocatori stranieri, allenatore compreso. Ecco allora
l’idea che spariglierebbe le carte (un po’ sporche) della politica
italiana: un governo di soli ministri stranieri, capo del governo compreso.

Una ideale squadra di governo? Presto detto: Nelson Mandela (presidente del
Consiglio); Bono degli U2 (vice presidente); Dave Letterman (portavoce);
Sub Comandante Marcos (Difesa); Baltazar Garzòn (Giustizia); Mark Harmon,
alias Leroy Jethro Gibbs dell’NCIS (Interni); Al Gore (Ambiente); Joska
Fischer (Esteri); dott Hause (Sanità); Woody Allen (Cultura); Dalai Lama (Istruzione); Rigoberta
Manchu (Agricoltura); Aung San Suu Kyi (Pari Opportunità); Steve Jobs
(Sviluppo economico); Kofi Annan (Welfare); Íngrid Betancourt (Attività forestali);Michael Schumacher (Trasporti); Bernard Madoff (Economia);
Mike Tyson (Attuazione del Programma); Dan Brown (rapporti con la Santa
Sede).

La nostra Costituzione dice a chiare lettere che spetta al Capo dello
Stato, il presidente Napolitano, la scelta di chi incaricare per la
formazione di un nuovo governo. Noi rispettiamo la Costituzione e il ruolo
del Presidente della Repubblica.

Ci permettiamo solo di suggerire di lasciar
fuori ministri di nazionalità russa e libica. Niente di personale con i
cittadini di quei paesi, semmai con i rispettivi governanti. Infatti, viste
certe poco chiare frequentazioni, non vorremmo che alla fine Berlusconi
uscisse dalla porta, per poi rientrare negli spogliatoi, e magari tornare in
campo, con un colbacco o un turbante. Beh, buona giornata.

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democrazia

Da Kossiga a Berluskoni, l’Italia è in mezzo al guado (o al guano?).

Addio al Picconatore, al secolo Francesco Cossiga da Sassari, un mediocre funzionario della fu DC, promosso ai ranghi più alti dello Stato, non per meriti, ma per il fatto che non c’era nessuno in quel momento disponibile ai quei ruoli, l’Italia essendo al di qua della Cortina di Ferro. La cosa deve avergli talmente urtato i nervi da renderlo ciclotimico, verboso, narciso: insomma insopportabile.

E’ stato detto che fu uomo di Stato: sì, dello status quo che si voleva imporre all’Italia, all’epoca della Prima Repubblica. La qualcosa non gli ha impedito, allora ministro degli Interni di permettere e poi giustificare l’uso della forza contro gli studenti nel ’77: Francesco Lorusso, 25 anni di Bologna e Giorgiana Masi, 19 anni di Roma furono sparati a morte durante il suo dicastero. La qualcosa non gli ha impedito di far finta di non vedere la P2 annidarsi fra i ranghi alti delle Forze dell’Ordine durante il rapimento Moro. La qualcosa non gli ha impedito neppure di vanagloriarsi dell’ esistenza di Gladio, quella organizzazione paramilitare, nome in codice“staying behind” nata, con il consenso degli Usa, per impedire l’eventualità di una vittoria elettorale del Pci.

Il suo quasi settennale al Quirinale fu caratterizzato dall’attività di “picconatore”: il capo dello Stato si toglieva “sassolini” dalle scarpe criticando aspramente lo Stato, la magistratura, il sistema politico. Fu chiesto l’impeachement. Tutto finì a tarallucci e vino. Se Andreotti fu definito Belzebù (da Indro Montanelli), a buon titolo Cossiga può essere considerato Caronte, quello che traghetta le anime morte verso l’Ade, attraversando l’Acheronte verso la sponda della Seconda Repubblica.

Il suo modo di fare, di parlare e di agire, aldilà o oltre le regole scritte e non scritte della nostra democrazia parlamentare sono state e sono il traghetto tra la prima e la seconda Repubblica. Berlusconi che le “non regole” le ha imparate a memoria (prima nel business con l’appoggio della politica e poi in politica per sostenere meglio i suoi business) è il passeggero più famoso di questo traghetto.

Da Cossiga ha imparato che si può aprire bocca e dire qualsiasi cosa: tanto c’è sempre qualcuno disposto a “interpretare” le parole, farle diventare un fatto politico, sul quale far chiacchierare a lungo commentatori e politologi.

Ma Cossiga passa a miglior vita proprio mentre la barca di Caronte si è incagliata, in mezzo all’Acheronte. E i passeggeri proprio non sanno che fare, dunque barano. Berlusconi, Bossi, Fini, Tremonti, Montezemolo, Casini, Rutelli, Bersani, Di Pietro e Vendola, tutti sulla stessa barca, che non riesce a traghettarli dall’altra sponda del fiume, ingannano il tempo giocando una partita truccata.

Mentre Berlusconi dà le carte (truccate), ogni giocatore pensa di avere un asso nella manica. E allora volano ipotesi di terzo polo, volano desideri di governi di transizione, volano ricatti, volano killeraggi mediatici, volano auto-candidature, vola fango, ma più spesso piove merda.

La situazione politica italiana in questo furioso agosto 2010 è un paradosso, tipico del teatro dell’assurdo: io so che tu sai che io so che se il governo cade in Parlamento si va alle elezioni. Però, io so che tu sai che io so che se si va alle elezioni io le vinco ancora e tu le perdi un’altra volta. E allora? Allora ecco che io so che tu sai che non ti conviene andare al voto adesso. Quindi: io so che tu sai che faccio finta di presentare un bel programma di legislatura, ma guai a chi mi tocca lo “scudo” contro la magistratura. Che fai, caro Fini? La voti o non la voti la fiducia al governo Berlusconi? Che fai, caro Bossi, lo vuoi o non lo vuoi il federalismo? Che fate, cari Casini, Rutelli, Montezemolo, ve la sentite di prendere due spiccioli di voti? Che fai, caro Di Pietro, giochi al tanto peggio tanto meglio? Che fai, caro Bersani, cerchi alleanze con Confindustria, ma trovi Vendola che va cercando il posto tuo, magari solo nella finzione delle primarie (che tanto lo sanno tutti, ormai, che di fronte alla possibilità di andare al governo, quelle le primarie sono semplicemente secondarie.) Insomma, la barca scricchiola, arenata in mezzo al guado dell’Acheronte.

In questa estate infernale, mentre la bara del Picconatore viene tumulala al suono della fanfara della Brigata Sassari, la democrazia italiana sta giocando la partita più pericolosa della sua storia.

Perché chiunque vinca, i giovani senza lavoro, le donne pagate meno degli uomini, i cassaintegrati da 900 euro, i pensionati da meno di 1000 euro, gli italiani che non sono andati in vacanza per pagare il mutuo, i consumatori che non hanno neanche i soldi per fare la grande spesa del sabato, perché le tariffe sono andate su senza controlli, tutti, ma proprio tutti hanno già perso la partita contro la crisi economica. Figuriamoci se, con le regole truccate dall’attuale legge elettorale, riusciranno a vincere la partita contro la crisi profonda del governo Berlusconi.

Dunque? Che la barca vada alla deriva: forse solo allora qualcuno avrà il coraggio di buttarsi, far saltare il banco e rovesciare il tavolo dei bari. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

AAA Partito democratico Vendola(si).

Lettera aperta a Nichi Ve (da il manifesto del 27 gennaio 2010)

Caro Nichi, colgo l’occasione di questo comune giorno di festa per porti una domanda: perché la positiva dinamica che abbiamo messo in moto in Puglia non può essere ripetuta anche nelle altre parti d’Italia?

Nella tua regione, di fronte all’arroganza del gruppo dirigente del PD abbiamo fatto fronte comune. Prima rifiutando la proposta che tu non venissi candidato e poi con il comune sostegno alla tua candidatura nelle primarie. Questo fronte comune ha vinto e il tuo splendido risultato ne è la testimonianza.

In Puglia ha cioè funzionato nei fatti una coalizione di sinistra di alternativa, in grado di tenere un profilo politico autonomo dal PD, che è riuscito, come riuscimmo nel 2005, a vincere le primarie. Una coalizione di sinistra di alternativa che ha aperto contraddizioni nel PD proprio in quanto ha saputo agire con una soggettività propria, non subalterna o manovriera. Si è fatta una battaglia limpida, senza sotterfugi, sia sul piano politico che su quello dei contenuti e la chiarezza ha pagato.

Del resto quando ci siamo visti e sentiti nelle settimane scorse proprio questo punto avevamo messo al centro. Di fronte ad un PD che è caratterizzato da una deriva centrista, con tratti di vera e propria subalternità all’UdC, abbiamo convenuto sulla necessità di coordinare le forze della sinistra al fine di incidere positivamente nella discussione in tutte le regioni. Nella reciproca autonomia avevamo individuato la necessità di unire gli sforzi, di fare una battaglia comune, di evitare che il PD potesse metterci gli uni contro gli altri nella ridefinizione moderata del suo asse politico.

In tutta franchezza , proprio questa battaglia comune a me pare sia venuta meno. Mentre in Puglia abbiamo agito concordemente, questo non avviene nelle altre regioni d’Italia.

Non ho lo spazio per fare una disanima complessiva per cui mi soffermerò solo sul caso della Lombardia, che a me pare emblematico. In questa regione Sinistra e Libertà ha deciso di sostenere Penati a candidato a Presidente proprio mentre questo ha posto un veto sulla presenza della Federazione della Sinistra nella sua coalizione. Qui ci troviamo in una situazione incredibile: il candidato del PD decide di porre una discriminante anticomunista per far parte della sua coalizione e si caratterizza su contenuti che sono grosso modo l’opposto dei contenuti che tu hai sostenuto nelle primarie pugliesi. Sinistra e Libertà, invece di fare battaglia politica e di rompere con Penati, decide di partecipare alla sua coalizione. Mentre in Puglia la sinistra, insieme, ha ottenuto un risultato straordinario, in Lombardia Sinistra e Libertà si fa strumento del tentativo di distruzione della sinistra da parte di Penati.

Caro Nichi ti chiedo quindi di battere un colpo. Se i ricatti non si possono accettare in Puglia, non debbono essere accettati nemmeno in Lombardia. Se è possibile lavorare per l’alternativa in Puglia, deve essere possibile farlo anche altrove. La primavera non la si costruisce in una regione sola.

Paolo Ferrero
(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Leggi e diritto

L’Italia e la crisi economica:”nessuno pone le domande giuste e nessuno pretende risposte vere.”

Bersani, ecco le domande che nessuno fa mai alla destra di Bianca Di Giovanni -l’Unità
«E’ un governo più impegnato ad accrescere consensi che a risolvere i problemi veri. Passa per il governo del fare? Certo, nessuno pone le domande giuste e nessuno pretende risposte vere». Pier Luigi Bersani dà un giudizio senza appello sul primo anno del governo Berlusconi quater. Detto in due parole: racconta favole. Evidentemente, però, le racconta bene, visto che la popolarità è in aumento (dicono). «Certo, questo è un governo nato per accrescere consenso: è la sua prima missione», spiega Bersani.

Quali sono le domande non fatte?

«Per esempio nessuno ha chiesto a Giulio Tremonti e colleghi come mai l’Europa parla di un milione di disoccupati in più in Italia per quest’anno (nelle previsioni di primavera, ndr) che non compaiono nella sua Relazione unificata. Gran parte di quei nuovi disoccupati è costituita da precari, a cui non è stato dato nulla. Altro che governo del fare. Nella stessa Relazione si stima che gli investimenti diminuiranno di 5 miliardi in un anno. E tutte le chiacchiere sulle infrastrutture e le promesse sul Ponte?».

Altre domande?

«Ci aspettiamo qualche risposta per esempio sulle garanzie date dal Tesoro sull’operazione Alitalia, in cui sono rimasti intrappolati piccoli azionisti e obbligazionisti che ora si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Ancora: c’è qualcuno che ricordi a Tremonti che abbiamo speso 1,7 miliardi per coprire i “buchi” delle sue cartolarizzazioni? È più di quanto è costato il bonus famiglie. E qualcun altro che rammenti le perdite della finanza locale, avviata grazie a una circolare del Tesoro dell’altro governo Berlusconi? Nessuno ricorda nulla. D’altro canto questo governo è una macchina del consenso, per cui bisogna ogni giorno attivare un meccanismo di rappresentazione di nuove “conquiste”, che poi si perdono».

Cosa si è perso?

«Dov’è finito il maestro unico, su cui si scatenò all’inizio una guerra di religione? Dov’è l’esercito nelle strade? Dove sono i Tremonti bond? Lo sa la gente che li ha richiesti solo in una banca, il banco popolare? Cosa fanno esattamente i prefetti sul credito? Nessuno lo sa e nessuno vuole saperlo».

Insomma, con la crisi che morde, i problemi sociali, gli italiani crederebbero alle favole?

«Dopo gli ultimi fatti di cronaca su Veronica, consentitemi di dire che ci raccontano cose inverosimili e vogliono farcele credere. Non voglio parlare di divorzi, ma si sentono delle tesi sulle feste, l’arrivo all’ultimo minuto, il gioiello ritrovato per caso, che in altri paesi ci si vergognerebbe pure a raccontarle».

Resta il fatto che di fronte alla crisi (che è reale) il centrodestra non perde consensi.

«La loro tesi è che la crisi viene da altrove, che noi siamo solo delle vittime e dobbiamo resistere e dunque che non si può fare molto. Su questo comunque io andrei a contare i voti reali dopo le elezioni. Se si fa questo esercizio ci si accorge che Berlusconi non ha mai sfondato nell’altro campo. Quello che è riuscito a fare è rendere utilizzabile tutto il voto di destra del paese. Quando il centrosinistra si è unito, è riuscito a batterlo, ma poi si è visto che l’unità era una composizione piuttosto che una sintesi. Questo è il problema».

Non c’entra nulla la poca credibilità dell’opposizione?

«Anche noi ci abbiamo messo del nostro, rimanendo poco credibili sul come si costruisce un’alternativa. Dobbiamo lavorare a costruire e rilanciare un progetto».

Lei è ancora candidato alla segreteria?

«Su questo ho già parlato e non voglio aggiungere altro. Ora pensiamo alle elezioni, poi si vedrà».

Sul centrosinistra resta forte l’accusa di non saper leggere la realtà. Il Corsera scrive che ha bisogno di alfabetizzarsi per parlare alle partite Iva e alle piccole imprese.

«Le piccole imprese sono arrabbiatissime anche con la destra, che non le aiuta a superare la crisi. Mi pare che lo scriva proprio il Corsera. Dunque non mi pare che sia un fatto di alfabetizzazione. La verità è quella che il centrosinistra ripete ormai da mesi: noi siamo l’unico Paese che non ha fatto nulla di espansivo per fronteggiare l’emergenza, ma si è limitato a spostare fondi da una voce all’altra, per di più senza avere la cassa. Si impacchettano nuove voci di spesa, per l’Abruzzo o per la sicurezza, ma in cassa non c’è un euro».

Le preoccupazioni di Tremonti per il debito sono sacrosante.

«E lo dice a noi che abbiamo sempre rimediato al debito della destra? Ma correggere il debito vuol dire anche far crescere il Pil».

Questo lo dicevano loro quando facevano ancora i liberisti.

«Sì, ma loro giocavano con i numeri. Spargevano ottimismo e scrivevano una crescita del 3% quando il Pil era a 1. Noi proponiamo misure concrete per un punto di Pil e un percorso di rientro in due anni. Se non si sa come reperire mezzo punto di Pil in un anno, significa che non si sa governare. Il governo Prodi ha corretto il deficit dal 4,5% al 2,7% erogando anche il cuneo fiscale. Per rientrare di mezzo punto basta diminuire la circolazione del contante rendendo tracciabili i pagamenti e controllare meglio la spesa corrente».

Perché il centrosinistra ha proposto il prelievo sull’Irpef dei ricchi (che sono più poveri comunque degli evasori) e nulla sulle rendite?

«La proposta era di un contributo straordinario per la povertà estrema, e prevedeva anche misure contro l’evasione. Quanto alle rendite, abbiamo contrastato la seconda operazione Ici, dicendo chiaramente che non andava fatta». (Beh, buona giornata).

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