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ARRIVA UN FILM SU “LA SCOMPARSA DELL’AUDITEL”

(Comunicato Stampa)

Scena tratta dal docufilm  "La trilogia dell'Auditel"
Scena tratta dal docufilm “La trilogia dell’Auditel”

Alla proiezione, organizzata in collaborazione con l’associazione Articolo 21, seguirà un dibattito nel quale interverranno Roberta Gisotti, autrice de “La favola dell’Auditel”, Giulietto Chiesa, Marco Ferri, Glauco Benigni, Vincenzo Vita, Arturo Di Corinto oltre a personalità della Tv che stanno rispondendo al nostro invito.

Si tratta di tre lavori prodotti in questi ultimi due anni dalla cooperativa Tam Tam, con il contributo della Regione Lazio, che raccontano le misteriose vicende della società Auditel che rileva gli ascolti televisivi in Italia, tornata in questi giorni sulle prime pagine dei giornali .

Il programma prevede la proiezione di estratti del corto fiction “Il fantasma dell’Auditel” (2013) e del documentario “Gli ammutinati dell’Auditel” (2014). Quindi vi sarà un’anteprima de “ La scomparsa dell’Auditel”, titolo del lungometraggio finale, in fase di montaggio, che sarà pronto entro il febbraio 2016 .

Tutti i corti si basano sulle indagini giornalistiche condotte da Gargia e Gisotti, a partire dalla fine degli anni ‘90, in cui si documentavano tutte le criticità al sistema di rilevazioni dell’ascolto che hanno condotto in questi giorni – per la prima volta in 30 anni – alla storica sospensione delle indagini Auditel.

Alternando fiction e documentario, l’autore racconta i tanti punti deboli di un sistema da cui dipende la spartizione degli investimenti pubblicitari – oggi 4,5 miliardi di euro – e su cui finora si è basata tutta la programmazione della nostra televisione.

In chiusura dell’incontro si proporranno le testimonianze di due “pentiti dell’Auditel ”, testimonials che – dalle diverse parti della barricata, davanti e dietro lo schermo – chiudono il cerchio e affondano una volta per tutte ogni residua credibilità di un sistema che ha viziato il mercato pubblicitario e manipolato la Tv italiana.

La proiezione sarà replicata per intero a dicembre durante il Festival a Viterbo, Tam Tam Digifest, la rassegna su cinema e giornalismo giunta alla sua decima edizione, quest’anno intitolata “ Testimonials ”.

IL FANTASMA DELL’AUDITEL

Un industriale che deve pubblicizzare il suo prodotto in TV si rivolge a un investigatore privato per capire se i tanti soldi che gli chiede la sua agenzia pubblicitaria avranno un ritorno. E l’unico modo per saperlo sembra essere quello
di entrare nelle case di una famiglia campione per capire cosa succede davvero…
Parallelamente, alcuni autori sono alle prese con il problema di far salire gli ascolti della loro trasmissione ….
(fiction – Italia, 10 min – 2013)

Interpreti:
Nicoletta Della Corte,Massimo Di Cristina, Ugo G. Caruso, Patrizia Di Terlizzi, Enrico Bagnerini, Gianni Franco, Giovanni Izzo, Manuela Dallara, Federico Tellico

GLI AMMUTINATI DELL’AUDITEL
Luca Barbareschi, Giulietto Chiesa, Marco Ferri, Corrado Taranto, Roberta Gisotti …
Queste alcune delle testimonianze storiche, raccolte nel corso degli anni, in cui conduttori, attori, autori Tv, pubblicitari, giornalisti criticano l’Auditel. E poi le interviste a tre famiglie campione che raccontano tutte le anomalie del loro rapporto con il meter, lo strumento che dovrebbe servire alla rilevazione degli ascolti…
(documentario, Italia – 25 min – 2014)

LA SCOMPARSA DELL’AUDITEL
Capitolo finale della trilogia, unisce testimonianze documentali e fiction.
Laura, una autrice di un programma televisivo di filosofia , torna a lavorare in Tv dopo molti anni. In occasione della messa in onda della prima puntata, scopre il dominio assoluto dell’auditelismo negli ambienti televisivi. Il suo capostruttura le ordina di snaturare il programma pur di far salire gli ascolti. Ma la sua ribellione la conduce a scoprire un paio di segreti rimasti nascosti anche ai massimi livelli della sua Tv…
Il racconto è integrato da interviste e riflessioni che inquadrano quello che è tuttora uno dei sistemi di rilevazione più criticati d’Europa .
(docufiction – Italia, 2015 – 30 min.)

Interpreti : Marco Francini, Susy Del Giudice, Clara Costanzo, Luca Mariani, Giovanni Izzo, Agostino Chiummariello, Franco Gargia, Sonia Prota, Ilaria Fusco, Francesca Tucci, Lorenza Fruci, Giulio Gargia

Scene : Patrizia Di Terlizzi
Costumi : Caterina Nardi
(Beh, buona giornata)

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E ora lo Squalo si fa la sua Auditel.

di Giulio Gargia *

Che differenza c’è tra Murdoch e Genny ‘a carogna ? Che con il secondo si può trattare. Gira questa battuta, da qualche giorno, negli uffici dell’Auditel, dopo il lancio dello Smart Panel di Sky.

Da quando è apparsa nel panorama dell’etere, i rapporti tra la nuova Tv e il vecchio rilevatore degli ascolti, l’Auditel, non sono mai stati idilliaci. Le diatribe sull’audience sono state all’ordine del giorno, con frequenti incursioni nei tribunali e richieste di danni.

Oggi la Tv di Murdoch segna un punto a suo favore, lanciando il suo sistema di rilevazione. Praticamente, un’ Auditel fatta in casa, ma con un dispiego di mezzi che non ha nulla a che invidiare a quella ufficiale: subito un campione di 5.000 famiglie, a pareggiare le 5.127 dell’Auditel, per arrivare a 10.000 entro pochi mesi. Ma che bisogno aveva Sky di raddoppiare un sistema degli ascolti già esistente ? La prima risposta, quella che non si può dare, è che anche loro non si fidano dei dati.

La seconda, quella ufficiale, è affidata alle parole di Eric Gerritsen, vicepresidente esecutivo di Sky Italia per la Comunicazione e gli affari istituzionali.

“Il punto – dichiara alle agenzie – è che noi abbiamo bisogno di capire quali sono i comportamenti dei nostri abbonati e purtroppo gli attuali schemi di rilevazione sono un po’ vecchiotti, abbiamo più volte sollecitato Auditel a essere più innovativi ma la risposta ci sembra un po’ lenta quindi ci muoviamo noi” .

Poi in un rigurgito di diplomazia, precisa, giusto per non essere troppo conflittuale che lo Smart Panel “è uno strumento non alternativo ma integrativo rispetto all’Auditel “.
Walter Pancini, direttore generale di Auditel, abbozza e accetta lo ‘Smart Panel come “un legittimo strumento di indagine interna a fini editoriali, non in competizione con noi”.

Ma poi Gerritsen insiste. Il manager della pay tv italiana osserva che le abitudini di consumo della tv sono cambiate: “Basti pensare che nei fine settimana la Formula Uno, come il calcio, viene seguita da circa 600 mila persone sui tablet. Noi dobbiamo misurare gli effetti del cambiamento, nel dettaglio. Non miriamo a una sorta di autonomia dall’Auditel ma abbiamo bisogno di capire puntualmente quali sono i comportamenti degli spettatori”.

A Sky sono interessati soprattutto alla nuova frontiera, ovvero ai consumi da altri dispositivi che non siano il televisore, come smartphone, tablet ma anche l’interazione con i social. Anche per il recente accordo con Telecom che permetterà di portare l’offerta della pay tv anche sulle reti a banda ultralarga dell’operatore tlc.
E qui Pancini non può far altro che inseguire ” Quello dell’analisi degli ascolti in mobilità è un obiettivo al quale stiamo lavorando da tempo, parallelamente con le altre Auditel europee: siamo in fase di sperimentazione”.

Poi vira sul patetico: “Non siamo un organismo vetusto. Auditel resterà un punto di riferimento per le aziende “.
Intanto, però le tensioni più o meno sotterranee tra Auditel e Sky emergono alla luce del sole. Il sistema di rilevazione degli ascolti nato nel 1986 non ha mai riscosso le simpatie degli uomini di Murdoch per due ragioni. Una è che il è nato per garantire gli equilibri tra RAI e Mediaset , la seconda è che la logica analogica dell’Auditel penalizzava il sistema satellitare e digitale di Sky.

Lo Smart Panel rappresenta quindi “ la soluzione finale” che – al di là delle rassicurazioni sul fatto di essere integrativo e non alternativo – costringerà quanto prima Auditel ad affrontare una rivoluzione nei metodi e nei campioni.

Una “ bomba atomica “ che – anche se per ora non si prevede che siano resi disponibili all’esterno – con la sua sola esistenza sposta gli equilibri tra le grandi emittenti. E chiama in causa l’opera dell’AGCOM per capire chi maneggerà questi dati che sono – ricordiamolo – quelli che determinano gli investimenti pubblicitari sulle emittenti.

Chi controlla l’Auditel, controlla gli spot. E chi controlla gli spot è il vero padrone delle Tv. Perciò l’Autorità delle Comunicazioni potrebbe fare 2 cose: una, un lavoro preventivo sulla trasparenza di queste procedure murdochiane ( come non fu fatto per l’Auditel ) visto che gli approcci dello Squalo ( il soprannome di Murdoch ) non tranquillizzano, in questo senso.

Sky lancia Smart Panel, l'"Auditel" di Sky.
Sky lancia Smart Panel, l'”Auditel” di Sky.
Due, molto più importante, porre all’ordine del giorno del governo la questione dell’applicazione finale della legge 249 che chiede di istituire un sistema pubblico di rilevazione degli ascolti. E’ come se nella sanità, ci fossero solo ospedali privati : va bene per chi ci vuole andare e se lo può permettere, ma gli altri? (Beh, buona giornata.)

* autore del libro “ L’arbitro è il venduto” – la radio dopo Audiradio – Bibliotheka edizioni

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Oggi c’

Chi ha vinto la serata Auditel di ieri sera, sabato 3 marzo ? La risposta è : chissenefrega. Così, in pratica, si traduce lo sciopero Auditel proclamato per oggi, 4 marzo, da diverse realtà che in genere si occupano di analisi degli ascolti.

A fine giornata, si tireranno le somme di un’iniziativa che sottolinea il rapporto dialettico tra web e tv. Si chiama WIGD, la tv che vorrei, ed è promossa da una serie di blog e di siti che in genere si occupano di ascolti tv. Blog e siti che abitualmente informano i propri lettori su tutto quel che accade in tv, e quindi anche sui dati d’ascolto, dopo una settimana dedicata alla qualità in tv, oggi hanno sospeso la pubblicazione dei numeri per un giorno, oscurando i dati. Tra i promotori : TvBlog , Televisionando e CineTV.

Perché? L’iniziativa è simbolica e provocatoria e arriverà al termine di una settimana in cui la piattaforma di WIDG si è occupata di qualità in televisione. L’Auditel scatena il tifo e fa perdere di vista il senso più profondo della qualità in televisione. Tutto semenax hoax è sottomesso alla logica degli ascolti.
Qual è lo scopo? Uscire dalla schiavitù degli ascolti, dalle diatribe, dalle lotte che rendono l’Auditel l’unico parametro per valutare la tv italiana. Pensiamo che si possa vivere anche senza percentuali di share e valori assoluti: l’Auditel è una convenzione, una misurazione che ha assunto un valore che non dovrebbe avere. E’ diventato l’unico parametro di riferimento per chi fa tv. E decreta, senza motivo, anche i successi qualitativi“, recita il manifesto di presentazione.

Se anche voi pensate “che si possa vivere anche senza percentuali di share e valori assoluti“, aderite all’iniziativa, dicendo la vostra, nei commenti o sulla pagina Facebook, o su Twitter, usando l’hashtag #WIDG.
Vedremo quali saranno i risultati di questa azione che ha certamente un grande valore dimostrativo, e che ha il merito di mantenere alta l’attenzione sui meccanismi nefasti dell’auditelismo. Certamente, ormai la coscienza che in tv c’è bisogno di nuovi parametri si sta ampliando. Il prossimo passo dovrà essere necessariamente quello di proporre un nuovo meccanismo che si contrapponga all’Auditel. Per mezzi e per filosofia.

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3DNews/Auditel, un metro inattendibile che affossa la qualità.

La delibera dell’Antitrust riaccende il dibattito sulle rilevazioni degli ascolti

“Per loro ci dividiamo in aspiranti aggrappati, ritirati onnivori, volubili selettivi, provinciali frivoli “

di Roberta Gisotti

Meglio tardi che mai arriva la sentenza dell’Autorità antitrust, su ricorso di Sky.
Con orgoglio ricordiamo che la verità sull’Auditel era già scritta nero su bianco nel libro “La favola dell’Auditel” (edizioni 2002 e 2005) e nel libro di Giulio Gargia “L’arbitro è il venduto” (2003), oltre che nella vasta letteratura sul tema oggi facilmente reperibile in Rete.
Una sentenza che non deve però farci abbassare la guardia se già nel 2005 la Magistratura di Milano – su ricorso di Sitcom, consorzio di quattro emittenti satellitari (Alice, Leonardo, Marco Polo, Nuvolari)- aveva condannato l’Auditel per “abuso di posizione dominante” e “turbativa di mercato”. Ma poi l’Auditel ricorse in Cassazione che annullò la sentenza, come ora annuncia di voler ricorrere al Tar contro l’Antitrust Non è quindi detta l’ultima parola. Del resto a fine 2005 l’Autorità garante per le comunicazioni aveva dato ad intendere di voler e poter riformare l’intero sistema di rilevamento degli ascolti televisivi. Ma non è stato così. Il nodo economico – trasversale agli orientamenti politici – che sottostà al patto dell’Auditel si rivelò più saldo di quanto immaginato. Del resto i controllati sono anche i controllori – come denuncia l’Autorità antitrust – in questa società privata, che pure svolge un ruolo pubblico, se il dato Auditel assume la valenza di consenso perfino politico.

Da 25 anni i rilevamenti Auditel sono funzionali ad un sistema televisivo che si continua a volere immutabile nei tempi, imprigionato nel duopolio (Rai-Mediaset), dove il polo pubblico è stato del tutto assoggettato al polo privato gestito da un unico soggetto, che arrivato al Governo del Paese ha comandato su ambedue i poli. Duopolio insidiato dal 2003 dalla Tv satellitare Sky di Rupert Murdoch, altro potentissimo e discutibilissimo monopolista, che da sempre ‘scalpita’ per qualche punto in più di share, che negli anni a fatica gli è stato concesso ma non abbastanza. Duopolio disperso oggi in uno scenario digitale del tutto trasformato che i dati d’ascolto continuano a registrare come se nulla o quasi fosse accaduto.

Da 7 canali nazionali analogici siamo passati a 37 digitali terrestri e se comprendiamo anche tutti i satellitari ci sono ben 250 canali. Eppure l’Auditel in questi tre anni di sisma televisivo non ha fatto una piega!
L’Auditel è sempre stato un sistema del tutto inaffidabile sul piano tecnico riguardo il campione, le modalità del rilevamento, l’affidamento a comportamenti a umani. Un sistema del tutto distorsivo nel modo di elaborare il dato grezzo – sconosciuto a tutti -minuto per minuto o anche 15 secondi se non si resta sintonizzati almeno 60 secondi, per cui basta restare pochi attimi davanti allo schermo per essere compresi nel pubblico di un programma che non ricordiamo di aver visto, o contribuire ad un picco d’ascolto – quanto spesso un picco di disgusto – che va a premiare proprio il peggio del peggio che non vorremmo aver visto in Tv.

Un sistema del tutto fuorviante per l’uso che se ne fa nelle redazioni televisive, sempre più anche dei Telegiornali, dove le scalette si fanno con i grafici dell’Auditel per compiacere una maggioranza di pubblico che in realtà non esiste, è virtuale, composta nei laboratori della Nielsen-Tv a Milano, ad uso e consumo di chi ci vuole tutti spettatori imboniti piuttosto che cittadini responsabili. Basti citare le categorie nei quali viene compresa nei rapporti dell’Auditel l’intera popolazione italiana: aspiranti aggrappati, ritirati onnivori, volubili selettivi, eclettici esigenti, provinciali frivoli, protettivi interessati, poi c’è il gruppo dei minori di 14 anni e quello dei non classificati, dove spero esserci anch’io. Sono semplificazioni di marketing che non vorremmo – come invece accade ogni giorno – finissero sui tavoli di chi decide i contenuti della Tv pubblica ma anche privata in base a queste idiozie per condizionare i nostri stili di vita e tendenze al consumo.
Basta con la dittatura dell’Auditel che ha mercificato gli uomini e soprattutto le donne di questo Paese.

Chiediamo pluralismo e trasparenza nella gestione del rilevamento e nella gestione dei dati di ascolto, che siano non solo quantitativi ma anche qualitativi per esprimere il gradimento ed anche le attese del pubblico. (Beh, buona giornata),

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3DNews/TV, IL MISTERO DEL MILIONE SCOMPARSO.

di Giulio Gargia

Sostiene Pancini, il direttore dell’Auditel, che un milione di spettatori può sparire da una settimana all’altra. Sono quelli della trasmissione di Santoro, che giovedì 8 dicembre avrebbe registrato il 5% , perdendo circa 3 punti di audience rispetto alla settimana scorsa. Senza contare che facendo i conti dal 3 novembre avrebbe perso più della metà dei suoi aficionados, visto che la stessa Auditel l’aveva accreditata del 12%. Insomma, un crollo epocale da fare invidia a Minzolini, Facchinetti o Banfi ( non Lino, l’altro ), cioè i migliori flop della stagione “ ufficiale”. E cosa avrebbe causato questo disastro da parte di gente che – come il pubblico dell’ex Anno Zero – ha tirato fuori 10 euro di tasca sua pur di vedere questo programma e poi se lo è andato pazientemente a cercare facendo lo slalom tra le televendite della miriade di canali del digitale ?

Sostiene Pancini che un pò è stata la festività e un pò la partita della Juventus, in contemporanea su RAI 2, a riuscire là dove la concorrenza di Piazza Pulita non era arrivata. Insomma, un milione di juventini, un pò delusi da Santoro un pò esaltati dalla fondamentale sfida con il Bologna degli ottavi di coppa Italia, match che avrebbe evidentemente deciso le sorti della stagione, hanno abbandonato Servizio Pubblico per andarsene in gita o, accesa la tv, si sono goduti lo spettacolo di Del Piero in panchina.

Sostiene Pancini che i dispersi potrebbero anche essere finiti sul web, però non può dirlo perchè l’Auditel non fa ricerche sulla rete.

Questo sostiene Pancini, e noi gli crediamo. Come gli abbiamo creduto quando disse che 1 milione e mezzo di telespettatori avevano visto per 20 minuti il cartello “ le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile” , una sera d’estate di qualche anno fa su Rai Uno.

Quei fetenti di Sky, invece, abituati alla BBC e alla concorrenza anglosassone, non gli credono. Insinuano il dubbio. Ricordano che Auditel è una società privata, che effettua un servizio in regime di monopolio e che per tale servizio viene compensata da tutti gli operatori del settore. Sui dati prodotti quotidianamente da Auditel si basa la valutazione della performance dell’intero mercato televisivo, una valutazione che impatta direttamente sui ricavi del settore, un settore cruciale per la crescita economica del Paese ma anche per tutto il “Sistema Italia” in considerazione del ruolo fondamentale di traino che svolge la pubblicità per le imprese che hanno un prodotto da far conoscere ai consumatori italiani. Perciò parlano di una governance da riformare e di una rappresentanza azionaria in conflitto di interessi. Nonchè “una distorsione dei risultati sul piano quantitativo e qualitativo”. In pratica Sky contesta all’Auditel la natura del campione (mancano circa 5 milioni di stranieri residenti in Italia, il 7-8 per cento della popolazione) e “vengono conteggiati anche coloro che non possiedono un apparecchio tv”. Circa 400 mila famiglie, il 2 per cento del totale dello share.

Ma che l’Auditel sia degna di fede lo possiamo affermare con cognizione di causa, rivelandovi che Sky ha malignamente copiato queste sue osservazioni da due libri, usciti 8 anni fa: “ La favola dell’Auditel” di Roberta Gisotti, e “ L’arbitro è il venduto”, redatto dal sottoscritto. Perciò, le cose che loro dicono adesso le sapevano. Quindi non solo sono copioni ma anche in malafede. Se lo sapevano, e non potevano non saperlo, perchè sono venuti a mettere zizzania nell’etere italiano ?

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3DNews/Santoro e la menopausa dell’Auditel.

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di Giulio Gargia
4 volte su 4. Se è una coincidenza, allora si tratta davvero di sfortuna nera. Per 4 settimane, tutte quelle di novembre, l’Auditel ha fornito in ritardo i dati del giovedì . Giorno in cui, dal l 4 novembre, va in onda il nuovo programma di Michele Santoro, con una formula che evidentemente mette a dura prova le capacità del servizio di rilevazione degli ascolti. Che a furia di ritardi del ciclo – di rilevazione – rischia di andare in menopausa.

“Anche oggi i dati dell`Auditel arriveranno in ritardo, formalmente a causa di `un problema tecnico`. Si tratta di un fatto allarmante, guarda caso ancora una volta in coincidenza con una puntata di Servizio Pubblico, il programma di Michele Santoro”. Così dichiarava giovedì scorso Flavia Perina, deputata Fli e membro della Vigilanza.

“A questo punto è innegabile ritenere l`Auditel un sistema obsoleto di rilevazione dei dati d`ascolto, che non tiene conto delle nuove modalità di fruizione dei prodotti televisivi. E diventa anche lecito pensare che forse una parte dei soci di maggioranza del consorzio, Rai e Mediaset in particolare, temono l`effetto Santoro”, concludeva la Perina. Che risolleva così uno dei problemi basilari della Tv : ma l’Auditel è attendibile ? Ora, senza entrare nel merito dei problemi che – secondo chi scrive e tanti altri – NON rendono tali i suoi dati, vogliamo ricordare che ogni volta che si presenta un nuovo network sulla scena TV, i suoi rapporti con l’istituto di via Larga non sono mai tranquilli. E’ successo con La7 ai tempi del mancato lancio del “terzo polo”, quando furono disdetti contratti già firmati con star come Fazio e Litizzetto, e alla rete fu imposta la consegna – accettata dai suoi vertici – di non superare il 3% nel giorno medio. E’ successo con Sky, quando ha chiesto di entrare nel comitato tecnico, tanto che ci sono stati comunicati di fuoco tra Mokridge, ad di Sky Italia e Pancini, direttore Auditel. E sta succedendo adesso con Servizio Pubblico e il network di Tv che lo manda in onda che si propone, almeno il giovedì sera, come un attore capace di rompere i sempre delicati equilibri su cui si spartisce la pubblicità. Perchè il problema è sempre quello : chi controlla gli spot, controlla la Tv . E dall’86 a oggi gli investimenti pubblicitari si sono ridistribuiti a favore della tv, grazie anche ai numeri che ha prodotto l’Auditel, che hanno orientato ingenti risorse a spostarsi da stampa e radio a favore della tv, e in particolare verso il costituendo duopolio RAI – Mediaset. Ma le modalità di produzione e divulgazione di questi dati hanno generato dubbi sempre più consistenti, corroborati da inchieste e libri che ne hanno minato l’attendibilità.

Il caso Santoro è solo l’ultimo , e nemmeno il più eclatante. Ma potrebbe essere quello che finalmente mette in crisi l’Auditel non tanto come apparato tecnologico obsoleto, come dice la Perina, ma in quanto macchina di costruzione e conferma del consenso attraverso la “ visione obbligata”. Come il PIL , che tutti gli economisti stanno rimettendo in discussione come parametro di misura del benessere di una società, così l’Auditel è destinato a implodere dentro una TV sempre più parcellizzata e specifica come quella digitale. E il fatto che le Tv locali siano sottostimate storicamente è un ulteriore conferma di come questa approssimazione chiamata Auditel sia ormai un residuo del passato da superare al più presto. Il problema non è la tecnologia: basterebbe collegare un cavetto telefonico a ogni decoder digitale per avere i dati degli ascolti in tempo reale, come sui siti Internet, in cui sai sempre quanti visitatori ci sono in quel momento. Il problema è l’apparato commerciale e industriale (grandi emittenti, centri media, agenzie dominanti ) di cui Auditel è il servomeccanismo, che non riuscirebbe a “ digerire” dei “ numeri” veri . E che dovrebbe dire ai suoi clienti investitori cose molto diverse da quelle finora avallate dalle curve e dai grafici d’ascolto.

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3DNews/La finanza Auditel, quel PirL che insegue il PIL.

I dati Auditel sulle pagine del Televideo Rai.

di Giulio Gargia
L’Auditel sta all’idea di Tv come il PIL sta all’idea di società. Sono termometri di una mentalità da cambiare, indicatori di una marcia da invertire. Esempio: “Gli uragani Katrina e Rita avranno ripercussioni negative sull’economia americana solo nel breve periodo, il successivo processo di ricostruzione stimolera’ infatti la crescita”.
Così diceva il segretario al Tesoro Usa, John Snow, presente al vertice del Fondo Monetario Internazionale di Washington. Insomma, benvenuta Katrina, se l’economia poi cresce che sarà mai qualche morto annegato e qualche saccheggio ?
Questa è la logica demenziale di quello che si chiama pensiero unico. Ed è questa logica che l’Auditel ha portato in televisione.

Perciò oggi l’Auditel sta all’idea di Tv come il PIL sta all’idea di società . Provo a spiegarlo, usando un bell’articolo di Giorgio Ruffolo di qualche tempo fa sul PIL, l’indice che misura lo sviluppo economico di un paese. Scrive Ruffolo :
“Il governo italiano, ma tutti i governi del mondo sono incollati allo schermo del Pil. Zero virgola in meno, iattura, zero virgola in più, vittoria. Elettorale, s´intende. E allora, si impone la domanda: ma questo Pil, è una cosa seria? Domanda per niente affatto nuova, come ben sappiamo, e tuttavia scansata, elusa, rimossa: dagli economisti che l´hanno inventato e dai politici che ne usano e ne abusano”.

La cosa curiosa è che tutte le sue giuste argomentazioni si possono trasporre, senza colpo ferire, alla questione dell’Auditel, su cui da anni – grazie anche agli sforzi di Megachip – ormai si discute. Sostituiamo qualche parola e vediamo se è davvero così.
Per inquadrare la questione, riportiamo un’agenzia sugli ascolti di domenica 2 ottobre.
Prime time festivo alla Rai con il 42,83% rispetto al 36.39% di Mediaset, con Raiuno al 26,31%. Mediaset invece si è aggiudicata la seconda serata con il 39.87% (38,19% Rai). In seconda serata lo speciale Tg1 con una puntata sul fenomeno del bracconaggio ha ottenuto uno share del 16,84% e 2 milioni 190 mila spettatori superando il diretto concorrente ‘Terra su Canale 5 che ha avuto 1 milione 508 su Canale 5, share 10.60% occupandosi di Islam. Su Raitre il programma di Serena Dandini ‘Parla con mé ha registrato l’11,13% con 777 mila spettatori.

E‘ evidente che anche qui “Il governo della TV italiana è incollato ai grafici dell’Auditel. Zero virgola in meno, sconfitta, zero virgola in più, vittoria. Televisiva, s’intende. E allora, si impone la domanda: ma questo Auditel, è una cosa seria? Domanda per molti versi nuova, come ben sappiamo sollevata da noi e da articolo 21, e tuttavia scansata, elusa, rimossa: dai pubblicitari che l´hanno inventato e dai direttori e responsabili TV che ne usano e ne abusano”.
Continuiamo. Afferma Ruffolo sul PIL : “La risposta è sì, certo, è cosa seria, ma solo se utilizzato correttamente, nell´ambito del suo significato: e cioè, come indice della produzione complessiva dei beni e dei servizi venduti sul mercato. Dei beni e dei mali, purtroppo. Se invece è usato fuori del suo contesto, per esempio, come indice di efficienza dell´economia nazionale nel suo insieme o, addirittura, del benessere sociale, la risposta è tre volte no”.

Contro canto sull’Auditel : ” La risposta è molto dubbia. Ma i dubbi diventano certezze, in negativo, perché certamente l’Auditel non viene utilizzato correttamente, nell’ambito del suo significato ( cioè quello di misurazione per mettere un prezzo agli spot pubblicitari ) ma è ormai indice di gradimento e di giudizio sulla sopravvivenza di un programma. Viene quindi usato fuori del suo contesto, per esempio, come indice unico di efficienza di un programma e di una rete e, addirittura, del gradimento sociale verso la TV nel suo insieme. Perciò la risposta alla domanda se Auditel è una cosa seria è: tre volte no”.
Ruffolo continua : “Chi sarebbe disposto a sostenere che un paese in cui sono aumentate le devastazioni ambientali la criminalità e le diseguaglianze, diminuita l´istruzione e peggiorate le condizioni sanitarie, stia alla pari con uno in cui tutti questi aspetti sono migliorati, purché il Pil sia aumentato in tutti e due? Sottoposto al giudizio della Suprema Corte del Buonsenso un tipo così sarebbe solennemente dichiarato un cretino.

Contro canto Auditel : Chi sarebbe disposto a sostenere che una Tv in cui sono aumentate le sopraffazioni,le manipolazioni, in cui è messa la bando la cultura, ( al massimo relegata in 3° serata) quasi azzerata la qualità complessiva dei programmi e peggiorate le condizioni del pluralismo, stia alla pari con un canale in cui tutti questi aspetti sono migliorati, purché l’Auditel sia aumentato in tutti e due? Sottoposto al giudizio della Suprema Corte del Buonsenso un tipo così sarebbe solennemente dichiarato un cretino
Riprende Ruffolo : “Diceva l´economista Oskar Morgenstern, autore, insieme a von Neuman, della Teoria dei giochi: «Quando la scienza economica raggiungerà uno stato più maturo, sembrerà incredibile che tali misure siano state prese sul serio, formando la base per decisioni che influenzano l´intera nazione: misure di questo tipo appartengono ai secoli bui».

E allora, perché sono prese sul serio? La risposta è: perché l´espansione continua della produzione vendibile è la condizione essenziale per un aumento continuo del profitto; quest´ultimo è il fine supremo del capitalismo; e il capitalismo è diventato la forma sociale e ideale suprema delle società «avanzate».
Diciamo noi : “Quando l’opinione pubblica sarà davvero messa in grado di giudicare, quando le saranno stati forniti strumenti meno rozzi e più flessibili dell’Auditel, sembrerà incredibile che tali dati siano state presi sul serio, formando la base per decisioni che influenzano l´intera televisione: misure di questo tipo appartengono a tempi bui. E allora, perché li dati Auditel sono presi sul serio? La risposta è: perché l´espansione continua della produzione vendibile è la condizione essenziale per un aumento continuo del profitto; quest´ultimo è il fine supremo della Tv dominata dall’Auditel”
Argomenta ancora Ruffolo : La sinistra porta il lutto della catastrofe comunista. Un lutto che si estende anche a quella non comunista e che comporta la sostanziale rinuncia a ogni forma di guida politica e l´adesione sostanziale a una economia di mercato totalitaria: un´adesione troppo a lungo ritardata, e forse per questo acritica.

Di questa acriticità fa parte l´adozione del Pil come stella polare: al posto della rivoluzione, e va benissimo; ma anche di qualunque progetto di società che tenga conto dei bisogni e dei valori che il mercato ignora o offende: e va malissimo.
In questo contesto di resa culturale incondizionata al pensiero unico si colloca il pirlismo della sinistra: la riduzione della sua strategia alla deriva della crescita continua e indifferenziata (di tutto, di più) orientata da una «misura priva di teoria», come diceva l´economista Koopmans.

Coloro che si permettono di ricordare che l´insignificanza del Pil non è un problema di tecnica statistica, ma è una grande ed essenziale questione culturale e politica, sono considerati frivoli disturbatori di una politica severamente e altrimenti impegnata: per esempio, nel grande dibattito sul Partito Democratico .
Ma che cosa pretendono questi disturbatori?

Diciamo noi : E la Sinistra, che dice su Auditel? Cosa dice Petruccioli, che ha celebrato la vittoria della RAI su Mediaset affidandosi ai dati Auditel ? Ma in questo almeno bisogna capirlo. Quali altri strumenti ha ? Perciò ci tratta da disturbatori.
Chiosa Ruffolo : Risponderei che pretendono di ricordarsi dell´insegnamento teorico e delle proposte pratiche di economisti “eretici”, come l´americano di origine romena Georgescu Roegen, l´americano di origine indiana Amartya Sen; i nostri Giorgio Fuà e Giacomo Becattini, nel senso:

(a) di una riforma del Pil che lo depuri dalle bestialità più clamorose per farne un indice realmente rappresentativo dell´attività economica;
(b) di costruire indici del benessere in grado di rappresentare sinteticamente la qualità sociale del paese nei suoi aspetti più critici: lavoro, ambiente, sanità, istruzione, sicurezza;
(c) di definire infine, al massimo livello della responsabilità democratica, un traguardo progettuale collocato nel tempo, che integri in un «indice normativo» equilibrato gli obiettivi economici e sociali adottati come scelte da proporre al Paese.
Rispondiamo noi: eppure le cose da fare sono semplici.
a ) Bisogna applicare la legge 249 e far sì che sia l’Autorità delle Telecomunicazioni in prima persona a fare i rilevamenti degli ascolti.
b) L’Auditel deve consegnare i dati grezzi ( cioè non trattati dai suoi software ) ad esperti indipendenti per consentire elaborazioni alternative.
c ) Bisogna che l’Autorithy avvi ricerche qualitative che integrino e correggano il dato Auditel nell’opinione pubblica. E devono essere diffusi in contemporanea.

In sostanza, chi dice quanti spettatori hanno visto Fede, ci deve anche dire a quanti è piaciuto e a quanti no, di modo che il numero non diventi automaticamente indice di qualità.d ) Dev’essere reso pubblico l’IQS RAI, ovvero la ricerca sul gradimento dei programmi del servizio pubblico. Ricerca resa pubblica una sola volta, nell’ottobre dello scorso anno, che ha dato risultati “eversivi” per gli attuali vertici RAI e che da allora è stata nuovamente segretata. Nonostante la sua pubblicazione sia prevista , ogni trimestre, dall’accordo tra Stato e RAI.

E chiudiamo, sottoscrivendo la conclusione di Ruffolo sul Pil che vale anche per l’Auditel: Cari compagni: non è questo un modo intelligente e pratico per uscire da un´afasia culturale e politica mal dissimulata dalle chiacchiere sul riformismo; di mettere i numeri al posto dei simboli; gli impegni al posto dei discorsi; insomma, di riacquistare, credibilmente, una bussola perduta ?
E di seguito diciamo noi : non è il caso di ricostruirsela da soli, una bussola, che segni i nostri punti cardinali, senza inseguire quella degli altri ?

Giulio Gargia è l’autore del libro ” L’arbitro è il venduto” , sulle storture delle rilevazioni degli ascolti.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Se una sera d’inverno un conduttore……..

Deve essere stato un collasso al buonsenso a buttare fuori dalla Rai Michele Santoro. Per la legge dei grandi numeri, Anno Zero avrebbe dovuto continuare fintanto che faceva incetta di spettatori, e dunque fin tanto che riusciva a proteggere il prezzo dei listini Sipra, la concessionaria di pubblicità della Rai. E invece no.

In certi ambienti si è talmente radicata l’abitudine di andare fuori legge, che con Santoro si è voluto violare la legge dell’Auditel. Ora che parte il nuovo programma, Santoro fa correre un grosso rischio a tutto il sistema. Perché se “Comizi d’amore” dovesse funzionare, il suo successo sfuggirebbe ai parametri di valutazione dell’audience. Questa volta non sarà, infatti, possibile misurare gli ascolti, attraverso le curve dell’Auditel o il calcolo dei grp’s , tanto cari ai grossisti dello share.

Santoro farà un programma che avrà come stella polare la multicanalità: dalla piazza al web, dal satellite di Sky al digitale terrestre delle tv locali. Se, come diceva Totò, è la somma che fa il totale, nessuna emittente, nessun centro media, nessuna concessionaria di pubblicità potrà rivendicarne il successo di ascolti, dunque portare a valore commerciale il programma.

Se da un lato è probabile il successo della nuova avventura di Santoro, dall’altro è comunque certa la messa in crisi dell’intero sistema economico, che si basa sulla compra-vendita della “merce” telespettatori. E se per giunta Santoro riuscisse nell’intento di intercettare un nuovo soggetto, cioè il tele-web-spettatore-attivo-massa, allora le categorie socio-demografiche con le quali si sono gabellati per anni gli investitori pubblicitari dimostrerebbero tutta la loro inefficacia pubblicitaria.

Altro che consigli per gli acquisti: potrebbe essere esattamente il contrario, cioè saranno le aziende a dover ascoltare i consigli dei consumatori, che parlando con la lingua della cittadinanza, riscriveranno le regole della sintassi della comunicazione commerciale.

La cosa comica è che potrebbe avverarsi quello che Berlusconi ha sempre temuto, di cui da tempo ha avuto prima fastidio, poi vera e propria paura: che il modernismo della tv commerciale finisse in una bolla. Come sta succedendo al suo tele-governo.Beh, buona giornata.


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Il caso “Vieni via con me”: Che Paese meraviglioso è il nostro. Un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando.

Il primo novembre di quest’anno è morto a New York a 82 anni Theodore Sorensen, autore dei più famosi discorsi pronunciati da John Kennedy negli anni alla Casa Bianca. Sorensen è stato il gost-write per eccellenza. Sua una delle più celebri frasi di JFK: “Non chiederti cosa possono fare gli Stati Uniti per te, ma cosa tu puoi fare per gli Stati Uniti”.

Anche dopo aver smesso di lavorare, Sorensen continuò a collaborare con Nelson Mandela e, più recentemente, contribuì alla campagna presidenziale di Barack Obama.

C’è da credere che Sorensen sarebbe inorridito al solo pensiero di scrivere anche una sola parola per Gianfranco Fini. E, probabilmente, sarebbe scoppiato a ridere se qualcuno gli avesse chiesto di scrivere un paio di brillanti battute per Pierluigi Bersani. Infatti, a Gianfranco e a Perluigi ci ha pensato qualcun altro. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che questo qualcun altro sembrerebbe essere uno solo.

Insomma, nel circo mediatico di un Paese senza più idee, dunque anche senza parole, sembrerebbe che un epigono di Sorensen sia stato il gost- writer che ha scritto i due discorsetti: con una mano (destra?) quello di Fini, con una mano (sinistra!?) quello di Bersani. Tutto è successo nell’ormai famoso programma “Vieni via con me”, che ha sbancato gli ascolti per ben due volte consecutive. La cosa è straordinaria. E’ straordinario che un programma televisivo sulla Rai faccia il botto di ascolti.

E’straordinario che questo succeda dopo l’accanita opposizione del direttore generale della Rai. E’straordinario che quel direttore generale della Rai sia il direttore generale di qualsiasi cosa: a uno così si ribellerebbero anche i lacci delle scarpe. Ma la cosa più straordinaria è che il programma televisivo in questione sia targato Endemol, compagnia mondiale specializzata in format televisivi. E’ straordinario che il direttore generale della Rai abbia tentato di sabotare un format Endemol. Perché Endemol è di proprietà di Mediaset. E Mediaset è di proprietà di Berlusconi. Proprio come il direttore generale della Rai.

Ma la cosa straordinariamente straordinaria è che Endemol fa un programma che sbanca gli ascolti, che viene contro-programmato da RaiTre contro il Grande Fratello, che è l’ammiraglia della produzione Endemol. E l’ammiraglia della produzione Endemol ceda il passo al successo di RaiTre contro l’ammiraglia delle reti televisive private, cioè Canale 5. Riassumendo: Endemol fa “Vieni via con me” che da RaiTre batte “Il Grande Fratello” su Canale 5, programma di Endemol. E’ vero che Endemol perde nel mondo nel 2010 circa un miliardo di dollari, come certificano gli analisti di Wall Street. Dunque, tutto fa brodo pur di fare liquidi. In altri termini, il presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana possiede Mediaset, controlla la Rai e a entrambi vende format tv, attraverso la sua società Endemol.

E’ il miracolo dei miracoli: egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’audience. Mentre l’odiata Auditel viene sdoganata come metro di misura del successo di Fazio e Saviano, come se per incanto l’Auditel fosse diventata Santa Romana Chiesa della tv di qualità, i giornali, vittime sacrificali dello strapotere televisivo, certificherebbero grandi elogi al programma: nuovo, libero, fresco. Ma Endemol. Che fa tanto “altissima, purissima, Levissima”.

Che Paese meraviglioso è il nostro: un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando. Cosa avrebbe potuto inventare, a questo proposito, Sorensen, il gost-writer per antonomasia? “Non chiederti cosa possono fare le tv per te, ma cosa tu puoi fare per i programmi tv”. Beh, buona giornata.

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Il tonfo di Endemol: il format e la sostanza.

S’è rotto l’uovo di Colombo. Fare programmi a basso costo, di bassa qualità con un’ alta redditività pubblicitaria non paga più. Il tonfo di Endemol lo ha dimostrato. La televisione ha ingannato per anni gli inserzionisti pubblicitari, vendendogli format in grado di fare ascolti, che si volevano trasformati in altrettanti contatti utili alle campagne pubblicitarie. Ma a un certo punto il giocattolo si è rotto. Perché il successo di alcuni programmi era effimero, gonfiato dalle società di rilevamento dell’audience. Quando la crisi ha cominciato a picchiare duro, sono crollati i consumi, dunque le vendite, dunque gli introiti. E le grandi compagnie hanno cominciato a disinvestire in pubblicità televisiva.

Ecco la verità del tonfo di Endemol. Una verità che in Italia è ancora più rimarchevole. Pensate solo al fatto che Mediaset è la più grande compagnia del settore televisivo privato, ma è anche azionista di Auditel, ma è anche proprietaria di Endemol. Se poi non ci dimenticassimo che il capo di tutto questo è anche il capo del governo italiano, dovremmo tenere a mente che nel 2009 Berlusconi, che è anche il capo di Mediaset, di Auditel e di Endemol diceva che la crisi non c’era, poi che era alle spalle, poi che non bisognava investire pubblicità sulle testate “catastrofiste”. Risultato?

Secondo Nielsen Media Reaserch, compagnia americana operante anche in Italia, specializzata nelle ricerche di mercato, la raccolta pubblicitaria nelle tv italiane nel 2009 è scesa a -10%. Dunque, “Il Grande Fratello”, piuttosto che “Chi vuol essere milionario”, piuttosto che “Che tempo che fa”, tanto per citare solo alcuni format targati Endemol non sono riusciti a fermare la crisi dei consumi e di conseguenza la crisi degli investimenti pubblicitari in televisione. La formula secondo la quale, più abbasso la qualità più rendo fruibile la visione, più è facile inserirvi la pubblicità, più è garantito il successo delle vendite è andato a farsi friggere.

Il tonfo di Endemol non è un fatto semplicemente finanziario. E’ la prova provata della crisi di un modello di business della pubblicità. Se i consumatori se ne sono accorti, tanto da non dare più retta ai “consigli per gli acquisti” in tv; se i telespettatori se ne sono accorti, tanto da non accordare gli stessi livelli di audience; se gli investitori se ne sono accorti, tanto da penalizzare la tv a favore di internet; quello che stupisce è che non se ne siano accorti in tempo Goldman Sachs, Mediaset e Jon De Mol. Ma forse no. Dopo le “bolle speculative” cui siamo stati abituati, cosa volete che siano le “balle speculative” che sono state raccontate in questi anni ai consumatori, ai telespettatori e agli investitori pubblicitari?

Insomma, il vero reality show non è andato in onda nelle case dei telespettatori, è andato in sala riunione delle case produttrici di prodotti e servizi, ingannati dalla facilità con la quale gli si potevano vendere mediocri programmazioni televisive, da farcire con mirabolanti pianificazioni pubblicitarie. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La matematica non è una scienza esatta, neanche più un’opinione. La matematica è una polemica.

di Marco Ferri-advexpress.it
La matematica non è una scienza esatta, neanche più un’opinione. La matematica è una polemica
15/4/2010
Un milione gli spettatori che avrebbero cambiato canale, giovani o anziani, laureati o diplomati. Questo il bilancio del primo anno di Augusto Minzolini alla guida del Tg1.

Lo dimostrerebbe la rielaborazione dei dati Auditel che il consigliere Rai Nino Rizzo Nervo presenterà al Cda di lunedì.

“È un fazioso e non sa leggere i dati”, ha detto il direttore del Tg1 del consigliere Rai.

“Un conto è il diritto di critica, anche aspra. Altra cosa sono gli insulti. Come presidente del consiglio di amministrazione della Rai, non posso tollerare che un direttore insulti un consigliere”, ha detto il presidente della Rai Paolo Garimberti.

In attesa di sapere se i conti tornano, cioè di scoprire se chi dice di aver ragione ha torto, e se chi ha torto magari ha ragione, la domanda è una, solo una: che in Italia gli scandali siano una opinione lo sapevamo da tempo. Ma mo’ pure la matematica è diventata un’opinione?

Se così è, ditecelo chiaramente, che magari aggiorniamo i libri scolastici dei bimbi delle elementari. E anche i listini Sipra. Grazie. Beh, buona giornata.

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Attualità Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La tv rende stupidi. Ma non sono mica stupidi tutti quelli che quardano la tv.

Miracolo in tv: una fiction “seria e di successo”.Il falso dogma televisivo della insopportabilità da parte del pubblico dei temi sociali- Giuseppe Giulietti-blitzquotidiano.it

Per anni ci siamo sentiti ripetere che “la gente in tv” non vuole sentire o vedere rotture di scatole e tanto meno temi ansiogeni o sgraditi. Nell’ipotetico elenco venivano inseriti tutti i temi legati alle povertà, alla questione sociale, alle morti sul lavoro e da lavoro.

Lo abbiamo sentito ripetere tante volte che quasi quasi ci eravamo cascati anche noi, avevamo assunto questa tesi alla stregua del dogma trinitario per un cattolico fervente.

Per questa ragione non volevamo credere agli odierni risultati auditel che assegnano la ragguardevole cifra di 6 milioni di spettatori alla fiction “Un caso di coscienza”, prodotta dai Rai Fiction, trasmessa da Rai uno e curata da Andrea Purgatori. La puntata, infatti, era dedicata alle morti sul lavoro, alla risoluzione di alcuni misteri italiani.

Miracolo natalizio, o meglio post natalizio, ha voluto che milioni di cittadini seguissero la puntata dall’inizio alla fine, contrastando il primato niente di meno che al Grande fratello.

E’ bastata dunque una serata diversa e una fiction ben pensata, ben girata, ben interpretata a smentire qualche quintale di luoghi comuni.

Questo tipo di ricostruzioni ispirate alla realtà hanno un loro pubblico, anzi c’è una grande domanda di prodotti che raccontino l’Italia reale che non può essere esaurita da grandi fratelli e medie sorelle.

La loro progressiva cancellazione dai principali palinsesti non è stata decisa da una fantomatica pubblica opinione, ma da una sapiente regia di un ristrettissimo gruppo di proprietari e di signori degli appalti che così hanno deciso per ragioni politiche, commerciali, per opportunità e per opportunismo.

Siamo quasi certi che alcun editorialista dedicherà la sua attenzione al successo di questa fiction e agli argomenti trattati nella puntata, eppure sarebbe un bel tema per riflettere sulle tante contraddizioni che ci circondano e talvolta ci attraversano.

Forse si potrebbe scoprire che i partiti dell’amore sono tanti e distanti tra di loro, tra questi c’è anche il partito di chi ancora si appassiona ai grandi temi sociali, rimossi da tante parte della politica, ma non da milioni di italiani,sempre in attesa del partito che non c’è.

Una ultima annotazione: il regista della fiction si chiama Luigi Perelli, fu anche uno dei registi de La Piovra.

Non ditelo al capo dell’altro partito dell’amore, già voleva “strozzare” gli autori de La Piovra, non vorremmo che adesso volesse bisoffocare il bravo e appassionato Perelli. (Beh, buona giornata).

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Tv terrestri contro tv satellitari: è scoppiata la guerra dei mondi.

Te lo dò io il decoder: se l’Antitrust indaga sull’Auditel-di Giulio Gargia *

L’Antitrust ha aperto un’indagine sull’Auditel, accusato di monopolio delle rilevazioni dell’audience . Ma la notizia non è tanto questa. Si trattava di un atto quasi dovuto, visto che chi lo chiedeva era Sky, stanca di essere presa in giro dai continui rimandi del comitato tecnico di Auditel. La stessa richiesta era stata fatta – qualche anno fa – da associazioni come Megachip e Articolo 21.

Ora che anche Murdoch, per i suoi interessi, vuole una riforma del sistema, è più difficile per l’Antitrust traccheggiare, come ha fatto in questi anni. Ma la vera notizia è un’altra: che all’Auditel , con l’avvento del digitale per tutti, non sanno più che pesci prendere. Ovvero come fronteggiare l’avvento dei diversi telecomandi che in ogni famiglia servono a vedere tutte le Tv che viaggiano nell’etere. Ricordiamo che il metodo della rilevazione statistica dell’Auditel, con il panel di 5100 famiglie campione che decide i gusti degli italiani, è stato già pesantemente messo in discussione , per motivi sostanzialmente pratici, e definito come inattendibile da più parti. Ora, con l’arrivo dei decoder obbligatori, le cose si complicano ancora. Prendiamo una normale serata Tv di una famiglia- campione, una di quelle che determinano gli indici Auditel, e quindi il successo o l’insuccesso di un programma.

La signora Giuseppina guarda la Tv in cucina, su un apparecchio dove non è stato ancora sistemato il decoder , e dunque non prende, in mezza Italia, né Rete4 né Rai 2. Se c’è un programma che vuol vedere su queste reti, deve spostarsi in soggiorno, dove invece il decoder c’è, ma in quel momento è occupato da Marco, il figlio, che sta vedendo i cartoni animati con un suo compagno. La signora Giuseppina dice allora ai ragazzi di andare a vedere i loro cartoons in cucina, mentre lei si godrà Emilio Fede digitale.

Ma c’è un altro ostacolo: il meter dell’Auditel, che – come ogni volta che si cambia programma – inizia a lampeggiare chiedendo : “ Stesse persone ? “ . La signora allora cerca il comando del meter, ma non lo trova perché i ragazzi lo hanno disperso da qualche parte tra i cuscini del divano. Intanto, l’acqua inizia a bollire e la signora si ritrasferisce in cucina, mentre il meter continua a pulsare senza esito. Buttata la pasta, suonano al campanello, e arriva Giorgio, il marito, che si piazza davanti alla Tv del soggiorno. Vede il meter che lampeggia e , ben addestrato, trova il comando tra i cuscini e schiaccia il tasto “si”.

Così, il meter registra che Emilio Fede è stato visto da 2 ragazzini di 8 anni che stavano invece vedendo i loro Simpson su Italia Uno. Giorgio, nell’attesa della cena, cambia canale e passa su Minzolini. Per potersi godere uno dei suoi editoriali senza interferenze del meter, deve però ritrovare l’altro telecomando, quello del decoder, che la moglie si è portata con sé in cucina appena ha capito che le stava tracimando la pentola. Il marito, allora, va in cucina. “ Pina , è pronto ? “ chiede. “ Due minuti, comincia a chiamare Riccardo, sta in camera sua”, prende tempo la signora. Giorgio, dimenticato il telecomando, attraversa il corridoio e trova l’altro figlio che sta alla sua scrivania davanti al computer, dove sta vedendo Blob su RAI 3 , scaricando un brano degli U2, e chattando con la sua fidanzata di Barcellona.

In questo quarto d’ora tipo di una famiglia campione, non un solo spettatore Auditel è stato correttamente registrato. Una situazione già presente e molto criticata prima, ma che il digitale obbligatorio ha reso ancora più complicata. Oggi, e fino al 2012 quando sarà completata la transizione, una famiglia può avere un telecomando per il digitale terrestre, uno per il satellite Sky, uno per quello RAISET, un altro per la Tv tradizionale, e infine uno per l’IPTV, quella via computer. A questo bisogna aggiungere – per la rilevazione corretta dei dati – il meter dell’Auditel, che implica un altro apparato completo di simil-telecomando per registrarsi ogni volta che si cambia canale.

Le richieste della Tv di Murdoch chiedevano di adeguare le rilevazioni a questa situazione di estrema confusione, contando di ricavarne un vantaggio in termini di proprio audience. “Il procedimento, avviato alla luce di una denuncia presentata da Sky Italia, dovrà verificare se la società abbia assunto un atteggiamento dilatorio o ostruzionistico nei confronti delle proposte avanzate da Sky per migliorare la rappresentatività dei dati rilevati”, dice l’Antitrust in una nota.

Ma il problema non è solo quello di chi sapere chi vede e che cosa. Con il decoder, diventa anche quello di sapere chi NON vede più quello che vedeva prima. E’ notizia di una decina di giorni fa l’istituzione dei “ volontari del decoder” . Ragazzi che – pagati dalla provincia autonoma di Trento – dalla primavera scorsa di lavoro fanno proprio questo: installano decoder a domicilio, gratis, agli over 75. Una fascia di persone che con la tecnologia, anche quella semplice, non va tanto d’accordo. Pare che ne abbiano usufruito in oltre 6.000. Ma l’Italia non è il Trentino, e dobbiamo quindi immaginare cosa stia succedendo in Piemonte, Lazio , Campania e nelle altre regioni già tutte o parzialmente digitalizzate, dove gli “angeli del decoder” non arrivano. Ma l’Auditel tutto questo non lo sa, e continua a registrare i suoi presunti ascolti su cui si fanno palinsesti e programmi. Chissà se e quando l’Antitrust arriverà laddove il buon senso, l’osservazione pratica e perfino Franceschini in campagna per le primarie sono giunti da tempo: dichiarare superato questo meccanismo e voltare pagina. Farebbe un gran bene a tutti, in primis ai telespettatori. (Beh, buona giornata)

• Autore del libro “ L’arbitro è il venduto “ – Audiradio, Auditel, Hit Parades, Audiweb, Audisat
di Editori Riuniti , insegna Giornalismo Internazionale all’Università L’Orientale di Napoli

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Togliere la pubblicità dalla tv pubblica non ha aiutato le televisioni francesi a resistere alla “quarta crisi”.

I 3 milioni in più di telespettatori che il 5 gennaio 2009 hanno assistito alla prima serata senza pubblicità sul principale canale pubblico francese, non hanno confermato nel tempo l’interesse verso l’esperimento voluto da Nicolas Sarkozy

La legge per togliere la pubblicità dalla Tv pubblica, fortemente voluta dal presidente francese un anno fa, sembrerebbe non aver giovato all’intero sistema televisivo. Promulgata il 7 marzo scorso, ha visto la sua applicazione con due mesi d’anticipo grazie all’adesione spontanea, suggerita da Sarkozy , delle due reti ammiraglie France2 e France3 che hanno tolto la pubblicità dai loro palinsesti.

Risultato: i dati d’ascolto di France Télévisions, almeno fino ad ora, confermano un’audience in leggero calo: France 3 passa dal 12,9% di dicembre 2008 al 12,1% del febbraio 2009, mentre quella delle reti private Tf1 e M6 è rimasta sostanzialmente invariata, intorno rispettivamente al 26% e all’11%.

Con lo ‘stop’ alla pubblicità sulla tv pubblica dalle ore 20.00 in poi, a guadagnarci è stata soprattutto la tv digitale terrestre, che offre passaggi pubblicitari a tariffe convenienti e vanta una buona fetta d’audience.

A quattro anni dal lancio oltralpe, che ha portato nelle case francesi ben 14 canali gratuiti in aggiunta a quelli analogici, oltre ai 14 a pagamento, l’audience dei canali digitali a febbraio ha toccato quota 14% e secondo NPA Conseil, arriverà al 25% nel 2012, mentre i canali tradizionali si attesteranno al 60% (contro l’attuale 73% e l’89,8% del 2004). Il resto sarà occupato dai canali pay del cavo e del satellite.

Nonostante le premesse, l’esperimento francese non ha prodotto l’ipotizzato dirottamento delle risorse pubblicitarie dal piccolo schermo pubblico a quello privato. Come riportato a firma di Edoardo Segantini sul Corriere della Sera di lunedì 20 aprile, a cambiare destinatario, secondo gli obiettivi del governo, dovevano essere 800 milioni di euro di spot: il grosso, circa 480 mln, sarebbe andato alle reti nazionali private Tf1 (di Martin Bouygues, amico personale del presidente) e M6, del gruppo tedesco Bertelsmann. 160 mln a radio, stampa e affissioni, 80 a Internet e 80 ai canali digitali terrestri .

Che cosa è avvenuto in realtà lo spiega Augusto Preta, di ITMedia Consulting: anziché trasferire su altri media la pubblicità prima pianificata sulle reti pubbliche, dice l’analista, gli inserzionisti hanno semplicemente soppresso gli investimenti. In buona parte per effetto della crisi economica. Particolarmente pesante il bilancio di Tf1, prima rete privata di Francia, che nei primi due mesi del 2009 ha visto i suoi ricavi pubblicitari lordi diminuire del 20,3% rispetto allo stesso periodo del 2008, con una caduta del titolo in Borsa del 50 per cento. Ma anche M6 ha perso il 10% degli incassi da spot.

Secondo Stefano Carli di Affari e Finanza, il problema sta nel fatto che Sarkozy aveva previsto di compensare la perdita dei mancati ricavi pubblicitari di France 2 e 3 con un contributo del 3% sul fatturato pubblicitario, calcolato sull’anno precedente, delle altre Tv e lo 0,9% dei ricavi da banda larga delle telecom. Il resto è a carico dello Stato. Un controsenso dal punto di vista economico: Tf1 ha registrato -20% di spot nel 2008 e M6 -10% e pagheranno per una pubblicità mai arrivata.

Per ora in Francia sono in corso accese polemiche, mentre in Italia la proposta di Bondi di creare un sistema analogo a quello francese ha trovato a commento un silenzio quasi assoluto. Soltanto i canali digitali terrestri possono brindare visti i ricavi pubblicitari in crescita dell’85%. Ma in ogni caso, dal punto di vista del sistema, si tratta di pochi milioni di euro guadagnati a fronte delle centinaia persi dai maggiori network nazionali. In un mercato depresso, ‘gli inserzionisti stanno tentando di ottimizzare i loro investimenti’, ha spiegato Philippe Nouchi di ZenithOptimédia, centro media affiliato alla holding francese Publicis.

Inizialmente, Tf1 aveva approfittato dell’oscuramento degli spot sulla Tv pubblica per aumentare le proprie tariffe serali. Cosa che chiaramente non è stata ben accolta dal mondo della pubblicità. C’è stato un vero e proprio braccio di ferro con i grossi advertiser, tra cui probabilmente Danone (assente dagli schermi di Tf1 dall’inizio dell’anno) e Colgate .

L’esperienza francese ha dunque trovato un grosso ostacolo proprio nella crisi economica che ha impattato sulla globale crisi del mondo dei media, quella che è stata definita la “quarta crisi”. A cui si vanno ad aggiungere forti resistenze da parte dei network televisivi commerciali, che proprio non si rassegnano all’idea del calo tendenziale della tv nella filiera della comunicazione commerciale. Ad esempio, la contrarietà di Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset alla diminuzione della pubblicità dalle reti pubbliche italiane si spiega nel forte timore che se anche in Italia prendesse il via l’esperimento francese, ciò potrebbe comportare un dirottamento degli investimenti pubblicitari Rai verso Sky, invece che nelle casse del Biscione. Beh, buona giornata.

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Dopo Sky, anche il Tribunale di Milano attacca Auditel.

Tv sul satellite, la nuova beffa dell’Auditel

Dopo 4 anni, il Tribunale di Milano dà ragione a 4 canali satellitari che avevano fatto causa all”Auditel per uso improprio dei loro dati. Ma poi decide che ” non c’è danno”

Dopo quattro anni, la Corte di Appello del Tribunale di Milano ha riconosciuto le ragioni del Gruppo Sitcom, editore delle televisioni Alice, Leonardo, Marcopolo e Nuvolari, nella causa promossa contro Auditel nel 2005 per chiedere la revisione del panel su cui calcolare gli ascolti della tv satellitare. Ma per il giudice non c’è stato alcun danno.
Dopo quattro anni, e con una sentenza di 25 pagine, la Corte di Appello del Tribunale di Milano (presidente Flavio Lapertosa, relatore Filippo Lamanna) ha riconosciuto le ragioni del Gruppo Sitcom, editore delle televisioni Alice, Leonardo, Marcopolo e Nuvolari, nella causa promossa contro Auditel. Il Tribunale ha altresì deciso che vista la tempestività della richiesta del Gruppo Sitcom e della misura cautelare attivata dalla Prima sezione della stessa Corte d’Appello, con il conseguente adeguamento dichiarato da Auditel alle indicazioni nel frattempo dettate dall’Agcom, si è limitato il danno strutturale al mercato. Di conseguenza non viene quantificato un danno economico a favore di Sitcom. L’editore tv dichiara: “Pur vedendo ampiamente riconosciute le proprie ragioni esprimiamo perplessità circa le effettive misure correttive (e di trasparenza) dichiarate da Auditel sia in materia di governance sia in materia di rilevazione e ci riserviamo, pertanto, le opportune valutazioni”. La causa era stata avviata nel 2005 da Sitcom poiché riteneva che la pubblicazione dei dati di ascolto delle tv satellitari, prevista da Auditel, avrebbe creato alle stesse tv un danno anziché un vantaggio, se prima non fossero stati fatti da Auditel adeguamenti statistici al panel. Il Tribunale aveva appunto sospeso cautelativamente la pubblicazione dei dati, che era poi partita dall’aprile 2007 dopo che Auditel aveva assicurato di aver adottato alcune misure correttive, su indicazioni dell’Agcom. (Beh, buona giornata)

da www.pubblicitalia.it

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Una precisazione a proposito della guerra tra Sky e Mediaset.

Ieri Confalonieri e Adreani (ad di Publitalia) hanno dichiarato un calo della raccolta pubblicitaria del -12% nel primo bimestre 2009. Quindi è inesatto dire che tutte le concessionarie calano tranne Publitalia, come ho erroneamente scritto in “Sky contro Auditel. Tom Mockridge ha letto “L’arbitro è il venduto”?

Ringrazio Salvatore Sagone, direttore di advexpress.it per la cortese precisazione di cui mi ha fatto partecipe. Mi scuso con Publitalia per l’inesattezza. E, soprattutto con i lettori di “Beh, buona giornata”, i quali avrebbero potuto avere la sensazione di una posizione predominante sul mercato della pubblicità da parte di Mediaset.

Nonostante le buone intenzioni di chi sta al governo, anche la tv commerciale soffre della “quarta crisi,” quella che sta attraversando i media e la pubblicità. Coraggio, il meglio è passato. Beh, buona giornata.

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Sky contro Auditel. Tom Mockridge ha letto “L’arbitro è il venduto”?

E’ successo giorni fa, durante la seconda giornata del convegno romano sulla pubblicità, intitolato ”Tutto cambia. Cambiamo tutto?”. Se ai più il primo giorno è risultato alquanto noioso, a movimentare le schiene sulle poltrone dell’ Auditorium ci ha pensato l’amministratore delegato di Sky Italia, Tom Mockridge, che ha attaccato frontalmente l’assetto proprietario di Auditel.

«Non è possibile avere una performance dei programmi televisivi – ha detto l’ad di Sky – finché la società di rilevazione è controllata al 60% da Rai e Mediaset, che ne controllano le decisioni attraverso il Cda: è un assetto, quello di Auditel, che riflette il mercato com’era 15 anni fa. Le emittenti tv, tutte, dovrebbero scendere sotto al 50% del capitale, lasciando la maggioranza ad altri soggetti. Nel Cda potrebbero entrare consiglieri indipendenti, come avviene in altri grandi mercati».

La guerriglia tra Sky e Mediaset è stata scatenata dall’introduzione dell’Iva sugli abbonamenti della tv satellitare, decisa settimane fa dal governo Berlusconi. Le ostilità si sono via via intensificate fino alla costruzione di una nuova piattaforma, nata da una società con Mediaset, Rai e Telecom, che permetterà di non trasmettere più sul satellitare Sky i programmi in chiaro del canale commerciale e di quello pubblico. Lo scopo sembrerebbe sgonfiare la quota di mercato che Sky ha conquistato negli ultimi anni, arrivando a lambire il 10%. Sky ha reagito arruolando star della tv generalista, come la Cuccarini e addirittura Fiorello, il quale, invitato a Palazzo Grazioli si è sentito chiedere da Berlusconi: “Perché vai a lavorare col nemico?”

Gli ultimi dati ufficiali danno una calo di raccolta pubblicitaria da parte di tutte le reti televisive. Tranne che di Publitalia, la concessionaria di Mediaset. Di qui, l’attacco all’Auditel da parte di Sky: Auditel fornisce i dati ufficiali di ascolto che servono a fare il prezzo degli spazi pubblicitari sulla tv. E Sky si sente penalizzata e quindi attacca a testa bassa, alzando il livello dello scontro con le tv di Berlusconi.

E’ singolare che Tom Mockridge, l’ad di Sky, nell’attaccare Auditel usi gli stessi argomenti di un libro intitolato
“L’arbitro è il venduto” di Giulio Gargia (Editori Riuniti, 2005). All’epoca il libro scatenò le ire dei manager di Auditel, e il plauso degli addetti alla televisione e alla comunicazione, nonché di associazioni di intellettual e operatori dell’informazione democratica, tra cui Megachip di Giulietto Chiesa e Articolo 21 di Giuseppe Giulietti.

Oggi “L’arbitro è il venduto” di Gargia sembra essere diventato un cavallo di battaglia nella guerra di ascolti tra Sky e Mediaset. Potenza della concorrenza. Beh, buona giornata.

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