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Copenhagen 2009 come Kyoto: un bluff la riduzione delle emissioni di Co2.

Clima, accordo Usa-Cina, stop tagli di Co2, Copenhagen in serie B-da blitzquotidiano.it

A venti giorni dalla conferenza di Copenhagen che avrebbe dovuto sancire un accordo storico sulla riduzione delle emissioni, da un incontro Usa-Cina arriva uno stop ai tagli di Co2
I Paesi dell’Apec, l’associazione per la cooperazione economica Asia-Pacifico, riuniti a Singapore, infatti hanno ”riaffermato il loro impegno ad operare per un risultato ambizioso a Copenaghen”, ma non compaiono impegni su obiettivi numerici di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Il presidente americano Barack Obama ha aperto domenica a Singapore, con una riunione a sorpresa dedicata proprio al clima, la giornata più intensa della sua visita in Asia.
Obama ha partecipato ad un breakfast di lavoro fuori programma per ascoltare una proposta del premier danese Lars Lokke Rasmussen di giungere ad un accordo sul clima in due fasi: una intesa politica (a Copenhagen) e quindi legale (in colloqui successivi), con l’ipotesi di un prossimo incontro in Messico.

Secondo la Casa Bianca la proposta fatta da Rasmussen rappresenta ”una valutazione realistica del fatto che non è possibile a questo punto sperare di raggiungere da qui a Copenhagen un accordo internazionale legalmente vincolante che possa essere approvato alla conferenza in Danimarca”.

Un funzionario della Casa Bianca presente all’incontro ha detto che ”è stato manifestato un ampio sostegno dai leader al fatto che l’incontro di Copenhagen deve concludersi con un successo, che si arrivi ad una intesa che possa far segnare un vero progresso e aprire la porta all’accordo conclusivo”. Rasmussen non ha dato molti dettagli sulla fase successiva, post-Copenhagen, che dovrebbe concentrarsi sugli aspetti legali della intesa.

L’accordo politico dovrebbe coprire comunque – ha detto la Casa Bianca – tutti gli aspetti più importanti della fase successiva: traguardi numerici, fasi previste per giungere alla meta finale, sostegno tecnologico, aspetti finanziari. Il presidente Obama non ha comunque ancora deciso se recarsi a Copenhagen in dicembre alla conferenza sul clima.

Tra le barriere che vincolano un accordo globale a Copenaghen, c’è però l’incapacità del Congresso per il clima e l’energia, di emanare una legislazione che fissa obiettivi vincolanti sui gas a effetto serra negli Stati Uniti. Senza un tale impegno, le altre nazioni sono quindi riluttanti a rispettare i loro impegni. (Beh, buona giornata).

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La rivista “Nature” conferma le affermazione del principe Carlo: “Ci restano solo 99 mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Poi la storia ci giudicherà. E se non agiremo, i nostri nipoti non potranno mai perdonarci”.

“Se non si agisce subito
tra 20 anni sarà catastrofe”
Sull’ultimo numero della rivista “Nature” le ricerche di autorevoli istituti che danno base scientifica alle affermazioni fatte qualche giorno fa a Roma dal principe Carlo di ANTONIO CIANCIULLO da repubblica.it

Il principe Carlo lo aveva detto pochi giorni fa in maniera un po’ esoterica: “Ci restano solo 99 mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Poi la storia ci giudicherà. E se non agiremo, i nostri nipoti non potranno mai perdonarci”. Qualcuno ha alzato il sopracciglio considerando questo nuovo campanello d’allarme sul cambiamento climatico un vezzo reale. E invece la base scientifica – pur con qualche approssimazione sulle date – c’è. Lo dimostra l’ultimo numero della rivista Nature che in The Climate Crunch mette assieme le ricerche di istituti molto autorevoli (dal Potsdam Institute for Climate Impact Research all’università di Oxford). Conti alla mano, risulta che se non si agisce immediatamente, nel giro di un paio di decenni subiremo un danno di portata catastrofica. Le lancette del count down vanno spostate: l’ora X non scatta più nel 2050 ma tra 20 anni.

E’ un risultato a cui si arriva seguendo due percorsi logici diversi e convergenti. Partiamo dal primo: le emissioni di carbonio. Gli scienziati hanno calcolato che, per contenere l’aumento di temperatura entro i 2 gradi (il livello oltre il quale il prezzo per l’umanità diventa altissimo), bisogna stare ben al di sotto del tetto complessivo di mille miliardi di tonnellate di carbonio. Dalla rivoluzione industriale in poi abbiamo consumato quasi metà di questi mille miliardi. Al ritmo attuale di aumento delle emissioni ci giocheremmo la dote restante in una ventina di anni.

Quest’ordine di grandezza torna seguendo un altro ragionamento. Prendiamo la concentrazione delle emissioni di anidride carbonica: in atmosfera c’erano circa 280 parti per milione di CO2 all’alba della rivoluzione industriale, oggi abbiamo superato quota 385 e l’incremento è sempre più veloce: ormai ha superato le due parti per milione l’anno e si avvia verso le 3 parti per anno. Con un incremento di 3 parti per milione l’anno per arrivare a una concentrazione di 450 parti, che è il tetto da considerare invalicabile, ci vorrebbero per l’appunto una ventina di anni.

Tutto ciò ha dei risvolti pratici molto concreti perché l’analisi scientifica lascia aperte due opzioni. O supponiamo che un virus sconosciuto si sia impossessato dei migliori climatologi del mondo portandoli ad affermazioni prive di senso, oppure li prendiamo sul serio e tagliamo subito le emissioni serra che sono prodotte dal consumo di combustibili fossili e dalla deforestazione. La rivista Nature, poco incline a credere all’esistenza del virus che colpisce gli scienziati, arriva a questa conclusione: “Solo un terzo delle riserve economicamente sfruttabili di petrolio, gas e carbone può essere consumato entro il 2100, se vogliamo evitare un aumento di temperatura di 2 gradi”.

E non è detto che anche la stima dei 20 anni non risulti troppo generosa. James Hansen, che per anni ha guidato il Goddard Institute della Nasa, sostiene che il tetto va abbassato e bisognerebbe restare molto al di sotto delle 450 parti per milione. “Anch’io credo che bisognerebbe partire subito e mettere il mondo in sicurezza nell’arco di un decennio perché le capacità di recupero degli ecosistemi stanno arrivando al limite di rottura”, precisa il climatologo Vincenzo Ferrara. “Gli oceani e le foreste che finora hanno assorbito circa una metà del carbonio emesso dalle attività umane sono sempre meno in grado di continuare a svolgere questa funzione: se queste spugne di anidride carbonica smetteranno di catturarla il cambiamento climatico subirà un’accelerazione drammatica”.

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“Prevedere quando finirà la crisi mi sembra certo importante ma è molto più utile prepararci a costruire il futuro.”

di ROMANO PRODI -Il Messaggero

DA QUALCHE settimana non si fa altro che dibattere su quando usciremo dalla crisi economica. Si discute su quale Paese uscirà per primo, se si uscirà attraverso l’aggravarsi della disoccupazione e se si dovrà passare attraverso un altrettanto penoso processo di inflazione.

Tutti questi sono esercizi utili ed importanti. Credo però che da ora in poi dovremo soprattutto impegnarci a trovare le idee e gli strumenti per uscire più presto e meglio dalla crisi, preparando una struttura produttiva capace di rispondere alle nuove necessità e alle nuove domande di un mondo in profondo cambiamento.

Un Paese ad elevato livello di sviluppo e ad alti elevati costi del lavoro come l’Italia deve già da ora dedicarsi a costruire le fondamenta su cui costruire la nostra ripresa ed il nostro futuro. Due sono le direzioni verso cui indirizzare con assoluta priorità i nostri sforzi e le risorse finanziarie a nostra disposizione. Questi settori sono le scienze della vita (dai nuovi farmaci agli strumenti medicali alle biotecnologie) e il grande campo dell’energia e dell’ambiente.

Oggi voglio limitarmi (si fa per dire) a riflettere su quest’ultimo aspetto, anche perché negli Stati Uniti si sta già profilando un progetto che assumerà dimensioni e importanza non certo inferiori al progetto Apollo, progetto che non solo ha guidato alla conquista dello spazio ma che ha dato origine a molti dei più importanti progressi industriali della passata generazione.

Obama sta dedicando ad energia e ambiente risorse immense, allo scopo di costruire un primato americano dove si concentrerà lo sviluppo futuro. Essere verdi e intelligenti non significa solo “pulire” ma divenire leader in un enorme numero di nuove tecnologie senza aspettare gli altri.

Come si legge in un comprensibilissimo rapporto sull’incontro fra Obama e la Presidente del famoso Mit di Boston (riportato in Italia nel numero di maggio di Technology Review l’ondata delle innovazioni procederà in tre direzioni.

1. produzione di energia (solare, producendo energia persino dalle finestre, eolico, biomasse e trattamento dei rifiuti).
2. Accumulo di energia (nuove batterie molto più capaci e assai più facilmente ricaricabili di quelle di oggi).
3. Uso finale dell’energia (auto, motori elettrici e lampade che consumano infinitamente meno e una rivoluzione completa nell’edilizia).

Gli Stati Uniti hanno risorse materiali e umane per potere primeggiare in tutte queste direzioni. Questo non è certo il caso dell’Italia. È però possibile e doveroso per l’Italia scegliere alcune nicchie nelle quali concentrare uno sforzo innovativo che è certamente alla nostra portata.

Non si deve però trattare di semplici innovazioni di processo o di design ma di vere innovazioni di prodotto, di cui le imprese italiane dovranno rimanere proprietarie anche in futuro. In taluni casi potremo operare da soli, in altri la strategia migliore sarà quella di cooperare con imprese e laboratori di ricerca di altri Paesi, ma non vi è tempo da perdere per individuare le nicchie nelle quali o da soli o congiuntamente saremo in grado di sviluppare tecnologie proprietarie, cioè tecnologie che potremo far progredire anche nel lontano futuro.

Una coraggiosa politica ambientalistica, da Kyoto in poi, non può essere vista come un freno alle nostre imprese, ma come uno stimolo per cogliere le grandi opportunità del futuro.
Dobbiamo correre in fretta anche perché questo è il solo modo per rianimare la nostra ricerca, oggi tanto depressa.

Riguardo allo stato della nostra ricerca abbiamo in questi mesi assistito alle giuste preoccupazioni e alle giuste proteste sul fatto che non si fanno concorsi e che i giovani sono costretti ad emigrare.
Io credo che, oltre al doveroso compito di riportare la nostra ricerca verso dimensioni quantitative degne di un Paese della nostra importanza e del nostro livello di reddito, dobbiamo preoccuparci del fatto che, non entrando come protagonisti in questi nuovi campi, perderemo definitivamente il treno della storia. Anche da questo senso di impotenza deriva infatti la frustrazione dei nostri giovani ricercatori.

Mi aspetto perciò e faccio appello ad un grande sforzo congiunto da parte delle strutture pubbliche e delle imprese per mobilitare tutte le forze disponibili per inseguire questo importante capitolo del futuro che ci sta sfuggendo. Dobbiamo farlo oggi perché un grande progetto di questo tipo ha bisogno di tempo. Non basta infatti reperire risorse finanziarie aggiuntive ma bisogna obbligare Stato, Regioni e imprese a camminare in un’unica direzione.

Prevedere quando finirà la crisi mi sembra certo importante ma è molto più utile prepararci a costruire il futuro. (Beh, buona giornata).

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