Suscita polemiche l’Agenzia Comunale per le adozioni e l’affidamento, favorevole il XX Municipio.
Posizioni contrastanti soprattutto sui toni e le affermazioni del testo introduttivo al decreto comunale.
di Alessandra Loffredi-Zona.
Nei primi giorni di aprile il Consiglio del XX Municipio, non senza contrasti, esprimeva parere favorevole nei confronti della delibera comunale per l’istituzione di un’ Agenzia delle Adozioni e dell’Affidamento. Promossa dal Consigliere Capitolino Bianconi, la proposta del Consiglio Comunale ha scatenato discussioni in tutti i Municipi interessati, non tanto riguardo ai contenuti dei suoi quattro punti, quanto piuttosto alla forma e alle affermazioni contenute nella premessa che la supportava.
“Sebbene mi renda conto che le premesse contenute nel decreto possano non essere condivisibili – è opinione di Clarissa Casasanta, Consigliere del nostro Municipio – non dobbiamo permettere che spostino la nostra attenzione da quei possibili interventi, che si renderebbero così attivi sul dispositivo risolutivo, comunque a favore di una fascia debole e fortemente svantaggiata”. Molto diversa la posizione di Elisa Paris, vicepresidente della Commissione Pari Opportunità, che non dissente sulla promozione della riforma dei Consultori e il potenziamento dei Servizi Sociali del Municipio, ma che ritiene la formulazione del decreto un evidente “attacco alla legge 194” poiché “quanto contenuto nella prima parte risulta sconnesso dal deliberativo finale, apparendo più un’affermazione fortemente ideologica che un testo istituzionale”.
Che sia il fine a giustificare i mezzi, o siano piuttosto i mezzi a mascherare un diverso fine, il decreto richiede un’accurata lettura (http://femminismo-a-sud.noblogs.org/gallery/77/Delibera%20sulla%20194.pdf). Nella sua apparente sostanza, presenterebbe interventi effettivamente non innovativi, ma che piuttosto fornirebbero un ulteriore supporto ad aiuti già previsti. “Istituire un’Agenzia Comunale per le adozioni e l’affidamento, affinché la donna non si ritrovi sola nella scelta della vita, il cui compito sia quello di favorire adozioni, con procedura riservata ed urgente, per quei bambini che sono sottratti ad una decisione abortiva di qualunque tipo” recita il primo punto del decreto.
Ebbene, la Legge consente già alle donne, che pur intendendo rinunciare al bambino decidono comunque di portare a termine la loro gravidanza, di partorire assistite in ospedale, nel più assoluto anonimato, non riconoscendo poi il piccolo, che diventa evidentemente presto adottabile. Inoltre, la legge 194 prevede la possibilità di una collaborazione mediante apposite convenzioni dei Consultori familiari con le associazioni di volontariato che hanno lo scopo di assistere le maternità in difficoltà sia prima che dopo la nascita.
“Istituire un fondo per il sostegno economico di giovani ragazze madri appartenenti a qualsiasi nazionalità, finalizzato alla prima accoglienza e all’educazione primaria dei bambini, attraverso l’erogazione di somme in denaro per i primi trentasei mesi di vita” prosegue il decreto. Nel secondo punto, fa sue e amplia forme di sostegno economico già proposte da associazioni di aiuto alla vita come il CAV (collegato con il Movimento italiano per la vita), che con il suo “Progetto Gemma” prevede l’erogazione di una somma minima di 160 euro per 18 mesi tramite il CAV locale (che, ovviamente, vi aggiunge tutti gli aiuti necessari al singolo caso, nei limiti delle sue possibilità). Resta comunque evidente che un miglior sostegno alla maternità, più che contributi parziali, richiederebbe lo stanziamento di fondi per la tutela del lavoro e dei diritti delle donne. “Promuovere, in accordo con lo spirito della legge 194, la riforma dei Consultori, rafforzandone il ruolo sociale di prevenzione all’aborto e di sostegno alle famiglie, previa idonea formazione del personale pubblico”. Ecco che nel suo terzo punto il decreto si presta a diverse interpretazioni. Con la legge 405/1975 si istituivano i consultori e con una successiva modifica del 1996 si prevedeva la presenza di un consultorio familiare ogni 20mila abitanti. Ai consultori veniva riconosciuto un compito fondamentale: trasmettere alle donne la competenza e la conoscenza necessarie per essere in grado di vigilare sulla propria salute riproduttiva, dall’adolescenza alla menopausa. Occupandosi di supportare una maternità responsabile e dunque comprendendo anche le interruzioni di gravidanza, che la legge 194 aveva sottratto alla clandestinità (con una media di 350mila aborti clandestini all’anno).
Grazie ad un approccio multidisciplinare si sosteneva nella donna la sua capacità di autodeterminazione. Questo quanto previsto dalla legge, ma non sempre praticato con efficacia. Bene quindi rafforzare “il ruolo sociale” dei Consultori, ma perché limitarne l’energia alla sola “prevenzione all’aborto”? Stando ai fatti, una diffusa e praticata conoscenza dei metodi anticoncezionali rappresenta la migliore barriera per limitare i casi di aborto (ricordiamo che a ricorrevi sono moltissime minorenni). Questa “idonea formazione del personale pubblico”è forse intesa in tal senso? O piuttosto l’opera di “sostegno alle famiglie” si limiterebbe a quei casi dove si rinunci a praticare un’interruzione di gravidanza? Infine, il quarto punto del decreto, indica di “potenziare, attraverso i Servizi Sociali dei Municipi il sostegno, sia in termini economici che di assistenza alle famiglie, dei malati gravi e dei portatori di handicap più bisognosi”, passando dai temi inerenti l’interruzione di gravidanza ad altro. O forse no? Questo, stando al testo effettivo del decreto, come si vede, piuttosto sintetico. Ampia e ricca di citazioni (persino ingiustificate, dal Papa a Giuliano Ferrara, passando per Pasolini e Norberto Bobbio, non includendo però alcuna donna… ) la polemica introduzione alla proposta del consigliere Bianconi, come se allo stesso premesse maggiormente più che l’affermazione del diritto sociale alla maternità, l’affermazione della propria personale posizione in merito.
“L’aborto farmacologico e chirurgico è diventato il metodo anticoncezionale più diffuso” afferma Bianconi, ma sulla base di quali dati? E sulla base di quali ricerche può sostenere con tanta determinazione che partorire un figlio per poi immediatamente privarsene possa per una donna essere meno lacerante di un tempestivo aborto? Parlando di “cultura mortifera” Bianconi indica donne “obbligate o incentivate ad abortire”, di “certezze ed evidenze della mente e del cuore censurate come espressioni di oscurantismo illiberale dalla comunità della tecno scienza (!?), dai guru in camice bianco” ignorando così, paradossalmente, il diritto all’autodeterminazione, dimenticando il riconoscimento del diritto alla maternità, omettendo i progressi della scienza medica nel campo della procreazione, non riconoscendo gli obiettori di coscienza. Perché mai confondere un progetto di sostegno comunque condivisibile con tante affannate parole?
Era prevedibile che una simile premessa scatenasse contrasti. Solo su un punto,potrebbe esserci una ricomposizione delle polemiche con Bianconi. “Con l’aborto non si è giunti ad una reale emancipazione della donna” sostiene Bianconi. Sì, è vero, non si è ancora giunti ad una reale emancipazione della donna, comunque penalizzata, discriminata, spesso svalutata, nel lavoro come nella maternità. E non saranno atteggiamenti personali estremizzati a facilitare la prosecuzione del suo percorso, ma un reale e tangibile sostegno ai suoi diritti sociali, da qualsiasi angolazione si guardi il problema. Beh, buona giornata).