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3DNews/Digitale terrestre, continua la battaglia per un posto al sole.

di Giulio Gargia -www.3dnews.it
Sky vince un round importante, la sentenza del TAR del Lazio dà ragione a Cielo. Perciò, nelle prossime settimane, preparatevi a smanettare più del solito sul vostro telecomando del digitale. I numeri di alcuni dei principali canali nazionali e locali potrebbero cambiare. L’altro giorno, infatti, il Tar del Lazio ha annullato il Piano di numerazione automatica dei canali della tv digitale terrestre in chiaro e a pagamento, il così detto Lcn (Logistic channel numbering) stabilito dall’Autorità per le comunicazioni nel 2010. Lo ha deciso la Terza sezione ter del Tribunale amministrativo, presieduta da Giuseppe Daniele, accogliendo un ricorso proposto da Sky Italia, assistita dall’avvocato Ottavio Grandinetti.
Avvocato, vuole spiegarci perchè il TAR le ha dato ragione ?
Le motivazioni principali che hanno indotto i giudici ad annullare la delibera precedente sono state due. La prima : la normativa è stata considerata “discriminatoria” dal momento che nell’assegnazione distingue tra canali ex analogici, considerati generalisti e quindi privilegiati, e canali digitali, considerati semigeneralisti e per questo penalizzati. Questo a prescindere dai contenuti reali della programmazione di ogni canale.

E la seconda ?
I giudici hanno considerato ingiusto anche il fatto che nella numerazione assegnata dall’Agcom i canali digitali, come Cielo , vengano solo dopo quelli locali, creando in tal modo palesi disparità nella concorrenza rispetto agli ex canali analogici. Ricordo che uno dei motivi dell’introduzione del digitale in TV era l’incremento della concorrenza, a cui non vanno quindi posti questi ostacoli .
Quindi, per il telespettatore, se la sentenza venisse confermata, cosa cambierà ?
Dal nono canale in poi, i numeri potranno essere riassegnati. I nuovi canali nazionali passeranno prima delle locali, che ora sono posizionati dal 9 al 19. Invece, fino al canale 9 , tutto rimarrà come prima. E’ giusto ricordare che noi avevamo chiesto una riassegnazione di tutti i numeri ma su questo il TAR non ci ha seguito. Il TAR ha ritenuto anche che l’Agcom abbia concesso un termine troppo breve per partecipare alla consultazione pubblica, 15 giorni anziché i 30 giorni richiesti dalla legge. Questa consultazione è stata ritenuta comunque illegittima perché i soggetti interessati hanno potuto esprimere le loro osservazioni solo sullo schema di regolamento e non anche sul piano di numerazione.

L’Agcom ha annunciato ricorso .Quando si avrà l’esito finale di questa vicenda ?
Guardi, se l’appello verrà effettivamente proposto, entro 15 giorni ci dovrebbe essere un primo pronunciamento del Consiglio di Stato sugli aspetti urgenti della questione. Ed ove il Consiglio non dovesse sospendere la sentenza del TAR, già allora potrebbero cominciare a esserci delle conseguenze, perchè i canali potrebbero cominciare a spostarsi sui decoder. Successivamente ci sarà una camera di consiglio in cui i giudici esamineranno il problema nella sua interezza e adotteranno la sentenza definitiva. Inoltre, può darsi che la vicenda sarà trattata dal Consiglio di Stato assieme a quella posta dalle emittenti Canale 34 e Più Blu Lombardia, che riguarda emittenti locali che pure avevano avuto problemi sulla numerazione dei decoder. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Berlusconi ordina, Rai esegue.

“Zitti, si vota”: resta il divieto di politica in Rai. Il Cda si spacca sul “bavaglio”-blitzquotidiano.it

Metà “Ponzio Pilato delle istituzioni” e metà “legionario della maggioranza politica”, il Consiglio d’amministrazione della Rai ha confermato con cinque voti contro quattro lo stop ai talk show politici durante il periodo pre-elettorale. Confermata, quindi, la decisione dei giorni scorsi nonostante la sentenza del Tar che, venerdì 12 marzo, aveva definito illegittimo il blocco per le televisioni private. E nonostante l’Autorità delle Telecomunicazioni avesse invitato la Rai a comportarsi di conseguenza. C’è dunque la campagna elettorale, tra due settimane si vota e in Rai c’è appeso il cartello: “Qui si chiacchiera di tutto ma non di politica”.

Metà “Ponzio Pilato” perché i consiglieri di amministrazione nominati dal centro destra hanno fatto finta di non decidere. Non hanno riacceso Ballarò, Porta a Porta, Annozero e Ultima Parola. Però si sono “lavati le mani” anche della responsabilità diretta di tenerle spente queste trasmissioni. Hanno votato che “deve decidere la Commissione di vigilanza parlamentare sulla Rai”. Mentre questa decide, la campagna elettorale sarà finita o quasi. Metà “legionari”, perché si trattava di non contraddire la voglia chiara ed esplicita del premier di non vederle più quelle trasmissioni. Possibilmente mai più, in mancanza di meglio almeno per un mese.

I consiglieri Rai Rodolfo De Laurentiis, Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten affidano ad una nota le ragioni del loro no alla ribadita sospensione dei talk show: «Esprimiamo il nostro voto contrario perché si tratta di una decisione dilatoria che non sana la forzatura di interpretazione del regolamento compiuta quando a maggioranza fu decisa la sospensione di quattro trasmissioni di approfondimento».

Secondo i consiglieri «l’ordinanza del Tar sulla delibera dell’Agcom e l’invito della stessa Autorità di Garanzia a riconsiderare la delibera assunta dal Cda -avrebbero dovuto indurre la Rai a ricollocare in palinsesto da subito gli approfondimenti informativi. Siamo tra l’altro convinti che la conferma della sospensione rende concreto il rischio per l’Azienda di sanzioni». Il presidente della Rai Garimberti si dice “amareggiato”. Gentiloni del Pd parla di “suicidio aziendale”.

Per rivedere trasmissioni come Porta a Porta di Bruno Vespa, AnnoZero di Michele Santoro, Ballarò di Giovanni Floris e L’Ultima Parola di Gianluigi Paragone, quindi, occorrerà aspettare che siano passate le elezioni regionali, quando parlar di politica nella tv pubblica non farà più alcun “danno di informazione”. E’ stata proprio l’equazione tra informazione e comunicazione politica a portare all’annullamento delle trasmissioni. Equazione respinta dal Tar ma voluta fortemente dalle forze di maggioranza e dai radicali. Equazione che ha portato a sostenere che le regole valide per le Tribune Politiche sono le stesse che devono valere per una trasmissione giornalistica. Non la par condicio ha spento la politica in Rai, ma l’uso improprio della par condicio. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Televisioni italiane: è scoppiata la guerra. Si salvi chi può.

Calabrò: “Rai anche su Sky se indispensabile” Mediaset, ricorso contro la chiavetta digitale
Il gruppo del Biscione denuncia all’Antitrust la distribuzione dell’apparecchiatura “contraria alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza”-repubblica.it

Si riaccende la guerra delle tv. Da una parte Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, chiarisce che la Rai deve stare anche su Sky “se indispensabile”, per consentire a tutti gli utenti di vedere i programmi. Dall’altra Mediaset ricorre all’Antitrust contro la chiavetta di Sky per il digitale terrestre. La replica dell’emittente di Murdoch è immediata: “E’ solo un modo per garantire a milioni di famiglie la possibilità di fruire dell’offerta digitale in chiaro sul digitale terrestre”.

A margine dell’audizione in commissione di Vigilanza, dove ha presentato le linee guida del nuovo Contratto di servizio, Calabrò ha affermato che la Rai “potrà stare su tutte le piattaforme commerciali” e invece “dovrà stare su tutte le piattaforme tecnologiche, quindi anche sul satellite”, così da consentire a tutti gli utenti di vedere le trasmissioni. E quindi “se Sky in una zona è indispensabile, la Rai deve starci nel periodo transitorio”, limitandosi a criptare “proprio il minimo” delle sue trasmissioni. Il tutto in questa fase di transizione che secondo quanto stabilito a livello europeo dovrà portare al digitale in tutta Italia entro il 2012.

In questo lasso di tempo le cose potranno cambiare, ha spiegato ancora Calabrò, rispondendo a una domanda dei giornalisti, in relazione alla diffusione di TivùSat (la
nuova piattaforma satellitare creata da Rai, Mediaset e Telecom Italia Media, ndr): “Vedremo che copertura sarà stata assicurata da TivùSat”, ha concluso. In buona sostanza, qualora la Rai decidesse di oscurare Rai1, Rai2 e Rai3 su Sky prima del 2012, l’Agcom valuterà “la copertura altrimenti assicurata sul satellite” del servizio pubblico.

L’ordine dei canali. L’Agcom si occuperà dell’ordine dei canali sul telecomando del televisore nella prossima seduta di giovedì 19 novembre. ”Ne avremmo fatto volentieri a meno ma – ha detto Calabrò – la questione non si è risolta. Ce ne occuperemo quindi nella prossima seduta”. Allo studio, tra le altre, l’ipotesi di obbligare chi fabbrica televisori a produrre un telecomando dotato di guida elettronica ai programmi, tecnicamente ‘Epg’.

Il ricorso di Mediaset all’Antitrust. Il ricorso di Mediaset, si legge su un comunicato della società, è motivato dal fatto che “la distribuzione da parte di Sky di questa chiavetta è contraria alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza e costituisce una violazione degli impegni assunti nel 2003 da Newscorp in occasione della concentrazione delle attività di Telepiù e Stream”.

“Le norme Antitrust, infatti – prosegue Mediaset – non consentono a un’impresa dominante di ostacolare l’ingresso sul mercato di concorrenti mediante vendite abbinate o aggregate dei propri prodotti”. Inoltre per Mediaset, il fine della digital key, che non consente l’accesso né ai servizi interattivi né ai contenuti a pagamento, “è quello di frenare la diffusione sul mercato di decoder che consentano di ricevere i programmi a pagamento e i servizi interattivi di altri operatori. Il tutto evidentemente a danno dei consumatori che vedranno così limitata la loro possibilità di scelta a livello di offerta e di contenuti”.

A stretto giro la replica di Tom Mockridge, amministratore delegato Sky: “La Digital Key è una semplice iniziativa di Sky che garantirà a milioni di famiglie la possibilità di fruire dell’offerta in chiaro sul digitale terrestre in modo facile ed efficace”.

E Mockridge passa al contrattacco sulla tendenza oligopolistica di Mediaset: “Si tratta di uno strumento che aiuta il processo di digitalizzazione del paese offrendo un servizio per i consumatori in un mercato in veloce sviluppo. Uno sviluppo che, evidentemente, non è facile da accettare per un gruppo come Mediaset che per molti anni è stato, ed è ancora oggi, il principale soggetto privato operante in Italia nella televisione commerciale e dominante nel mercato della pubblicità”.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia

Addio agli 800 milioni promessi per portare la banda larga a 20 Megabit al 96% entro il 2012. Il Governo italiano non vuole lo sviluppo di Internet.

(fonte:repubblica.it)

L’annuncio è arrivato ieri da Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: “I soldi per la banda larga li daremo quando usciremo dalla crisi”. Si riferisce agli 800 milioni che il governo aveva promesso di dare da mesi nell’ambito di un progetto da 1,47 miliardi di euro: il cosiddetto “piano Romani” – da Paolo Romani, viceministro per lo Sviluppo con delega alle Comunicazioni.

Era un piano per portare la banda larga 20 Megabit al 96% della popolazione entro il 2012, e almeno i 2 Megabit alla parte restante. Attualmente il 12% degli italiani non può avere nemmeno i 2 Megabit ed è afflitta da una crescente saturazione che rallenta le connessioni degli utenti.

Negli altri Paesi europei ci sono da anni piani nazionali per portare banda larghissima a 50-100 Megabit. Al 75% delle case entro il 2014 in Germania; a 4 milioni di case nel 2012 in Francia (che investirà 10 miliardi di euro).

Ma tant’è: il Governo italiano ha deciso che il nostro Paese deve rimanere ai minimi termini per la connessione internet. A nulla sono valse le pressioni, per sbloccare quei fondi, da parte di Telecom Italia, Agcom (Autorità garante delle comunicazioni), dello stesso Romani e del ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta.

L’Italia rimane al palo, mentre l’Europa ha stimato che la banda larga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 e una crescita dell’economia europea di 850 miliardi di euro. Si noti che di quei 1,47 miliardi, questi 800 milioni sono gli unici fondi assegnati dall’attuale governo alla banda larga. Gli altri vengono da altre fonti, stanziati dal governo Prodi oppure della Comunità europea. E allora?

Zitti tutti. Gianni Letta ha comunicato che la banda larga può aspettare. Beh, buona giornta.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: “Il gruppo Mediaset si è confermato leader sul mercato pubblicitario aumentando la sua quota dal 54,7 al 55,1 per cento, una posizione dominante che la stessa legge Gasparri, all’articolo 14, invita a valutare, e su cui attendiamo nei prossimi mesi la nuova istruttoria dell’Agcom, dopo il pubblico richiamo con cui tre anni fa ha pudicamente rinviato la questione.”

AGCOM E IL GIOCO DELLE TRE CARTE
di Michele Polo-lavoce.info

La relazione annuale dell’Autorità di garanzia per le comunicazioni sottolinea la fine del duopolio televisivo con il sorpasso di Sky su Mediaset. Ma è un messaggio fuorviante. Perché nasconde l’evoluzione dell’audience tra i principali canali, vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo. La pay-tv è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di pubblico. E mentre la scomparsa del mondo televisivo tradizionale è ancora lontana, Mediaset conferma la posizione dominante sul mercato pubblicitario, con una quota del 55,1 per cento.

Con qualche giorno di ritardo sulla data dovuta del 30 giugno, l’Autorità di garanzia per le comunicazioni ha presentato la sua Relazione annuale sul settore delle comunicazioni elettroniche e su quello dei media. Su quest’ultimo ci concentreremo, a partire dal messaggio forte che è stato subito ripreso dai giornali: la fine del duopolio, il sorpasso del gruppo Sky rispetto a Mediaset.
Spiace doverlo dire di un’Autorità che ha come compito istituzionale quello della sorveglianza sulla correttezza dell’informazione e sul pluralismo, ma questo messaggio è fuorviante, parziale e omissivo. Vediamo il perché.

I RICAVI E L’AUDIENCE

Il forte peso economico del gruppo Sky non è una novità, e già nella relazione dell’anno scorso lo poneva sostanzialmente alla pari con il gruppo Mediaset: rispettivamente 2.347 e 2.411 milioni di euro, contro i 2.729 della Rai. Con le correzioni apportate nel frattempo, si apprende nella relazione di quest’anno che il sorpasso era già avvenuto nel 2007 (2.422 a 2.411) e si è consolidato durante il 2008 (2.640 e 2.531). Un forte riequilibrio delle risorse tra Rai, Sky e Mediaset è quindi un dato che da almeno tre anni caratterizza il sistema televisivo italiano.
Ma questo messaggio forte ha lasciato in ombra alcuni aspetti che invece risultano importanti nel fare il quadro dell’ultimo anno televisivo. Il gruppo Mediaset si è confermato leader sul mercato pubblicitario aumentando la sua quota dal 54,7 al 55,1 per cento, una posizione dominante che la stessa legge Gasparri, all’articolo 14, invita a valutare, e su cui attendiamo nei prossimi mesi la nuova istruttoria dell’Agcom, dopo il pubblico richiamo con cui tre anni fa ha pudicamente rinviato la questione.
Ma il secondo dato che non troviamo nella relazione del presidente Calabrò è l’evoluzione della audience tra i principali canali televisivi, vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo. Il dato sorprendente è che, in una struttura della relazione che ripercorre fedelmente, tabella per tabella, gli stessi indicatori e le medesime analisi quantitative dello scorso anno, il testo si arresta alla descrizione delle quote di mercato nella raccolta pubblicitaria (Mediaset in posizione dominante) e in quella delle offerte televisive a pagamento (Sky superdominante col 91,1 per cento). La tabella successiva, che lo scorso anno riportava l’evoluzione della audience tra i diversi gruppi televisivi, è scomparsa dalla relazione. E bisogna con cura certosina stanare nella nota 22 a pagina 9 della presentazione del presidente Calabrò il dato prezioso: la audience complessiva di Rai, Mediaset e La7, pari al 83,9 per cento (!) ha ceduto nel 2008 una quota del 1,4 per cento di telespettatori al gruppo Sky, che con l’insieme dei suoi canali raggiunge quindi una audience media del 9,5 per cento.
Terminata questa faticosa cernita, possiamo quindi dire che il gruppo Sky si conferma secondo operatore per ricavi, pur rimanendo attestato su una audience sull’insieme dei suoi canali che non raggiunge un quarto di quella di Rai e Mediaset. Quest’ultima, inoltre, è riuscita con successo, grazie alla sua efficiente concessionaria, a contenere l’impatto negativo della crisi sui ricavi pubblicitari, al contrario di quanto avvenuto per la carta stampata e le reti televisive pubbliche.

IL PLURALISMO CHE NON C’È

Restano quindi i problemi che da anni caratterizzano il mercato televisivo italiano. La crescita indubbiamente positiva di un terzo operatore pay, il gruppo Sky, esercita principalmente un impatto sul mercato dei contenuti, dove la concorrenza per i diritti di trasmissione sui principali eventi sportivi, sui film, sui serial di successo e oggi anche per alcuni personaggi del varietà molto popolari, si fa sempre più accesa. Tuttavia, questo operatore, basato su un modello di ricavi (abbonamento da sottoscrizione) complementare a quello di Mediaset (pubblicità) e Rai (canone e pubblicità), riesce a consolidare la propria posizione economica senza la necessità di raggiungere elevati livelli di audience durante la giornata.
Un riequilibrio della audience, d’altra parte, sarebbe quello che potrebbe realmente portare a una maggiore articolazione delle scelte del pubblico, con un beneficio per l’obiettivo del pluralismo. Così, tuttavia, non è. E non lo è per ragioni tante volte commentate su questo sito. La pay-tv è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di audience, e che erode selettivamente fasce di pubblico in determinati momenti, su determinati programmi, lasciando, almeno in una prospettiva temporale ancora lunga, gran parte dei telespettatori ai grandi canali generalisti. Le fughe in avanti di quanti vedono nel digitale, e nei molti canali che consente, la fine del mondo televisivo tradizionale non sono giustificate dalle forze economiche che governano il settore dei media né dai dati, se si ha l’accortezza di riportarli.
Per il pluralismo in Italia, anche quest’anno, profondo rosso. (Beh, buona giornata).

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