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Il peggio che avanza.

“Femminismo, diversità, inclusione, uguaglianza, immigrazione, aborto, ambientalismo e ideologia di genere sono i nemici”. Javier Milei ha detto a Davos quello che Meloni non ha ancora il coraggio di dire apertamente in Italia.

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Il rallentamento delle morti sul lavoro segnalato alcuni giorni fa era un’illusione.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Il 24 gennaio il numero delle vittime del 2025 ha eguagliato quello dei morti al 24 gennaio 2024: sessantaquattro (64).

Questa settimana c’è stata un’accelerazione impressionante, con ben 24 morti in 5 giorni e un picco di 8 mercoledì 21 gennaio. L’argomento è però scomparso dai media. Vedremo se la denuncia della presidente della Cassazione, Margherita Cassano, sortirà qualche effetto.

Oggi registriamo 7 nuove vittime: 3 in Piemonte (2 a Torino), 2 in Veneto, 1 in Trentino e in Toscana.

Michele Sergio, 57enne di Venaria Reale, lavoratore edile, è morto precipitando dal quarto piano di un edificio in zona Barriera di Milano, a Torino.

Titolare di una ditta individuale, da alcune settimane stava ristrutturando un appartamento e per smaltire i calcinacci si serviva di un tiro agganciato alla ringhiera di un balcone. Venerdì 24 gennaio, forse per il peso eccessivo, l’impianto ha ceduto, trascinando la ringhiera e il lavoratore, che è morto sul colpo.

Eugen Daniel Vasiliu, 38enne romeno, è morto venerdì 24 gennaio a Torino durante il montaggio di una giostra per un luna park alla Pellerina.

Vasiliu è caduto, non si sa bene se per aver perso l’equilibrio o per un malore, ed è morto poco dopo il ricovero all’ospedale Maria Vittoria.

Giorgio Fanchini, 67enne pensionato di Varallo Pombia (Novara), è morto giovedì 23 gennaio travolto dall’albero che stava abbattendo in un terreno di proprietà, nel confinante comune di Borgo Ticino.

Venerdì 24 gennaio ad Ala (Trento), si sono svolti i funerali di Giulia Contarato, 42enne odontotecnica di uno studio di Rovereto.

Il 3 gennaio scorso è stata colpita da un aneurisma cerebrale mentre era al lavoro.

Trasportata in elicottero all’ospedale Santa Chiara di Trento e subito operata, ha lottato per settimane in rianimazione, fino al decesso di martedì 21. La famiglia, marito e due figlie, ha disposto la donazione degli organi.

Mauro Stocco, 57enne commerciante di ortofrutta a Padova, è morto nel tardo pomeriggio di venerdì 24, vittima del ribaltamento del muletto che stava manovrando nel piazzale dell’azienda, in zona Ponte di Brenta.

A lanciare l’allarme il figlio, presente sul posto, ma i soccorsi sono stati inutili.

Niccolò Mattia Coppola, 25enne di Meolo (Venezia), capoarea in un’azienda dell’appalto della Fincantieri di Venezia, è morto alle 6,30 di giovedì 23 gennaio mentre andava al lavoro.

A Ca’ Noghera la sua auto si è scontrata con un camion e Mattia, come tutti lo chiamavano, è morto sul colpo. Lascia la moglie incinta.

Valentino Delfino, 43enne di Massa, manutentore autostradale, è morto venerdì 24 gennaio sulla A15, nei pressi di Aulla (Massa Carrara). Il lavoratore ha perso il controllo del furgone che guidava e si è schiantato contro il guardrail.

Vani i soccorsi. Lascia la moglie e 3 figli.

#michelesergio#eugenvasiliu#giorgiofanchini#giuliacontarato#maurostocco#mattiacoppola#valentinodelfino#mortidilavoro

Gennaio 2025: 64 morti (sul lavoro 55; in itinere 9; media giorno 2,7)

13 Lombardia (sul lavoro 12, in itinere 1)

8 Veneto (5 – 3)

7 Campania (7 – 0)

6 Piemonte (6 – 0)

5 Puglia (5 – 0)

4 Toscana, Calabria (4 – 0)

3 Abruzzo (3 – 0); Emilia Romagna (2 – 1)

2 Trentino, Lazio (2 – 0); Liguria, Marche (1 – 1)

1 Umbria, Basilicata (1 – 0); Sardegna (0 – 1)

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Davos, la fiera delle cazzate.

di Stephen Markley

– Le do un brutta notizia: siamo arrivati alla fine della crescita. Sollevare le persone dalla povertà e mantenere i livelli di consumo occidentali non è più possibile.

Ecco perché non volevo venire a questa fiera della cazzate. Glielo dico: il motivo per cui non si riesce a intervenire sul serio sulla situazione ambientale siete voi, perché l’unico motivo per intervenire sul serio sta nel non avere singoli individui ricchi che consumano le risorse di piccole nazioni, che a quanto mi sembra è la premessa di tutto questo consesso.

Guardi la lista dei partecipanti, quanti di loro provengono dalle aziende che succhiano idrocarburi dalla terra?

Senza offesa, ma sono i soci paganti di Davos e della Coalizione per un futuro sostenibile, ed è ridicolo, siete tutti ridicoli. […]

Gli organizzatori invitano ogni anno qui a Davos una pop star o un’adolescente a protestare contro di loro, ma per le persone qui il mercato è più reale della natura.

Inoltre, per proteggere le nostre infrastrutture e occuparsi della popolazione che invecchia in Cina come in Occidente occorrerà una drastica ridistribuzione delle risorse economiche.

Semplicemente non c’è altro modo e sì, avverrà a costo della crescita. (Stephen Markley, “Diluvio”, Einaudi.)

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LA SICUREZZA CHE NON C’È

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Nel discorso di apertura dell’anno giudiziario, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, si è soffermata sulla mancanza di sicurezza nei posti di lavoro.

Snocciolando dati ufficiali, Cassano ha tenuto a sottolinearne l’incompletezza, data dall’ampiezza del lavoro sommerso o in nero, nonché la correlazione diretta tra il lavoro irregolare e gli eventi, anche mortali:

“Nei primi undici mesi del 2024 gli infortuni mortali sono stati mille (+32 rispetto allo stesso periodo del 2023), mentre le denunce di infortunio sul lavoro sono state 543.039 (+0,1% rispetto allo stesso periodo del 2023) – ha detto Cassano – In aumento del 21,7% rispetto al periodo precedente le patologie di origine professionale denunciate, pari a 81.671.

Si tratta di numeri purtroppo assai eloquenti, ma non sufficienti a descrivere la dimensione del fenomeno cui concorrono anche gli ‘infortuni sommersi’ che non vengono denunciati all’Inail proprio a causa della natura irregolare del rapporto di lavoro, oppure per paura di ritorsioni, ovvero per il timore di cagionare conseguenze negative al datore di lavoro.

Il lavoro ‘irregolare’ è una delle cause principali delle lesioni o delle morti sul lavoro.

Esiste una forte correlazione tra qualità, dignità, sicurezza del lavoro come testimoniato dal numero inaccettabile di infortuni con esito mortale che continuano a verificarsi con drammatica periodicità”.

#mortidilavoro#SicurezzaSulLavoro#margheritacassano#Cassazione#AnnoGiudiziario

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Shame in the USA.

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Morti di lavoro, la strage continua.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

La Lombardia punta a ritoccare i poco onorevoli primati stabiliti in tema di morti sul lavoro.

Con i due nomi che si aggiungono oggi all’elenco, diventano 12 le vittime nei primi 22 giorni del 2025, una ogni 44 ore. Nel 2024 erano state 11, una ogni 48 ore, e a fine anno si erano contate 165 vittime. Se la tendenza rimane questa, a fine 2025 saranno 198 i lavoratori morti nella regione. E la chiamano locomotiva d’Italia!

Fabrizio Ghezzi, 64enne autotrasportatore di Cassano d’Adda (Milano), è morto mercoledì 22 gennaio cadendo dalla scaletta dell’autocisterna carica di gasolio che aveva guidato fino alla Cava Ghisalba, nell’omonimo paese della Bergamasca.

Tra le ipotesi, anche quella che la caduta sia stata dovuta a un malore. Con Ghezzi salgono a 10 gli autotrasportatori deceduti quest’anno, un quinto del totale di 51.

Fatmir Gashi, 63enne operaio kosovaro residente a Rovato (Brescia), è morto martedì 21 gennaio in un cantiere di Darfo Boario Terme (Brescia), vittima di un malore.

Gashi, al quale erano stati diagnosticati problemi cardiocircolatori, si è accasciato davanti ai colleghi. I medici hanno potuto solo constatarne la morte.

Un malore sul posto di lavoro ha ucciso anche Cinzia Tavella, 56enne residente ad Angiari (Verona).

Lunedì 22 gennaio ha perso conoscenza davanti al macchinario con il quale stava operando alla Brahma (componenti per bruciatori) di Legnago (Verona). Anche nel suo caso i soccorritori hanno potuto soltanto certificare il decesso.

Gaspare Gasparini, 33enne barista (e musicista) di Spinea (Venezia), è morto nelle prime ore di martedì 21 gennaio mentre andava al lavoro al Il Centro di Mestre.

Con la sua vettura è finito in un canale nel territorio del comune di Asseggiano (Venezia). Non erano ancora le 6 ma l’automobile, ricoperta dalla vegetazione acquatica, non è stata notata fino alle 9 del mattino, quando era ormai troppo tardi.

#fabrizioghezzi#FatmirGashi#cinziatavella#gasparegasparini#mortidilavoro

Gennaio 2025: 51 morti (sul lavoro 44; in itinere 7; media giorno 2,3)

12 Lombardia (sul lavoro 11, in itinere 1)

6 Campania (6 – 0)

5 Puglia (5 – 0); Veneto (4 – 1)

4 Calabria (4 – 0)

3 Piemonte, Toscana, Abruzzo (3 – 0); Emilia Romagna (2 – 1)

2 Liguria (1 – 1)

1 Umbria, Lazio, Basilicata (1 – 0); Marche, Sardegna (0 – 1)

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Trump è il difensore della più piccola minoranza del mondo: i miliardari.

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42 morti di lavoro in 20 giorni.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Salgono a 7 i lavoratori del trasporto deceduti nel mese di gennaio. Rappresentano un sesto del totale, che è di 42 morti in 20 giorni. La settima vittima è Sergio Tortora, 58enne di Bisceglie (Barletta Andria Trani), una vita intera alle dipendenze di Dibea Service. Lunedì 20 gennaio il camion che guidava si è scontrato con una vettura nell’area industriale di Brindisi. Per la violenza dell’impatto l’automezzo è uscito di strada ribaltandosi e il conducente è stato catapultato contro il parabrezza, sfondandolo e finendo all’esterno della cabina di guida. Tortora è morto sul colpo, mentre il suo accompagnatore è rimasto ferito.

Giuseppe Scibetta, 72enne commerciante del quartiere genovese di Cornigliano, è morto aiutando il figlio nei lavori di ristrutturazione di un appartamento al primo piano di uno stabile. Scibetta, che si era fatto carico della sostituzione degli infissi, era salito su una scala per lavorare su una finestra ma è caduto da un’altezza di 5 metri, riportando un grave trauma cranico che ne ha provocato la morte. Non è chiaro se la caduta sia stata causata dal cedimento della scala o dalla perdita dell’equilibrio.

#sergiotortora#giuseppescibetta#mortidilavoro

Gennaio 2025: 42 morti (sul lavoro 36; in itinere 6; media giorno 2,1)

9 Lombardia (sul lavoro 8, in itinere 1)

6 Campania (6-0)

4 Puglia, Calabria (4 – 0)

3 Piemonte, Toscana, Abruzzo (3 – 0)

2 Veneto (2 – 0); Liguria, Emilia Romagna (1 – 1)

1 Lazio, Basilicata (1 – 0); Marche, Sardegna (0 – 1)

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Attualità

Cala il numero dei morti. È ancora presto per capire se siamo in presenza di un calo strutturale o di una casualità.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Al 19 gennaio 2025 si consolida la diminuzione delle morti di lavoro rispetto al 2024: le vittime un anno fa erano state 53, quest’anno sono 40 (-13, con un calo che sfiora il 25%), per una media di 2,1 al giorno (era 2,6).

È ancora presto per capire se siamo in presenza di un calo strutturale o di una casualità. Nella poco onorevole graduatoria delle regioni la Campania sale da sola al secondo posto, perché proprio nella regione si sono verificate le ultime due morti.

Pasquale Sergio Tranchida (nella foto), 56enne di Marsala (Trapani), moglie e due figli, è il terzo autotrasportatore morto quest’anno. Sabato 18 gennaio, in viaggio sulla A1 in direzione nord, nei pressi dello svincolo di Afragola (Napoli) ha perso improvvisamente il controllo del camion, che ha colpito il guardrail e si è ribaltato più volte. Tranchida è stato sbalzato fuori dalla cabina di guida ed è morto sul colpo.

Un lavoratore 48enne del Gruppo Caramico di Salerno, residente a Cava de’ Tirreni, è morto venerdì 17 gennaio a causa di un malore che lo ha colpito mentre era al lavoro. Non disponiamo per ora di altri elementi.

#pasqualetranchida#mortidilavoro

Gennaio 2025: 40 morti (sul lavoro 34; in itinere 6; media giorno 2,1)

9 Lombardia (sul lavoro 8, in itinere 1)

6 Campania (6-0)

4 Calabria (4 – 0)

3 Piemonte, Toscana, Abruzzo, Puglia (3 – 0)

2 Veneto (2 – 0); Emilia Romagna (1 – 1)

1 Lazio, Basilicata (1 – 0); Liguria, Marche, Sardegna (0 – 1)

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Attualità

La Lombardia sempre in testa all’orribile graduatoria dei morti di lavoro in Italia.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Nell’orribile graduatoria delle morti di lavoro per regione, la Lombardia conta già più del doppio delle vittime rispetto alle “seconde”, 9 contro le 4 di Campania e Calabria. L’anno scorso al 17 gennaio erano 7. In altri termini, un morto ogni 48 ore. Il totale italiano del 2025 sale a 38, cioè 6 in meno rispetto al 2024.

Edoardo Catalano, barman 26enne di Casalmaiocco (Lodi), è morto all’alba di venerdì 17 gennaio tornando a casa dal locale milanese in cui lavorava. Erano le 4,45 quando ha perso il controllo della sua auto sulla provinciale Bettola – Sordio, nel territorio di Mediglia (Milano), e si è schiantato contro un palo della luce, rimanendo ucciso sul colpo.

Maurizio Ducoli, 69enne di Breno (Brescia), è morto giovedì 16 gennaio per il ribaltamento del trattore con il quale era andato a fare legna in un bosco di sua proprietà. L’allarme è stato dato dai familiari che non lo vedevano rientrare. Mobilitato anche il Soccorso alpino, fino al ritrovamento del corpo accanto al trattore capovolto.

Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio si è spento nel centro grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli, a Napoli, l’agricoltore 63enne Lello Di Giovambattista, residente con la famiglia a Massa d’Albe (L’Aquila). Lunedì 6 gennaio era rimasto gravemente ustionato nel tentativo di arginare le fiamme che stavano distruggendo un deposito di mille balle di paglia. Era stato trasportato prima all’ospedale di Avezzano, poi a L’Aquila e infine, viste le condizioni disperate, al Cardarelli.

Francesco Nicola Primavera, tecnico 32enne nell’ospedale di Lanciano (Chieti), è morto giovedì 16 gennaio per un malore sul posto di lavoro. Dopo le prime cure a Lanciano, era stato trasportato all’ospedale di Chieti, dove è morto senza riprendere conoscenza.

Un malore sul posto di lavoro è anche la causa della morte di Ennio Cifone, 47 anni, dipendente della Lombardi Distribuzione di Maddaloni (Caserta). Si è sentito male venerdì 17 gennaio nel deposito della ditta, che commercia prodotti alimentari campani, ed è morto nel giro di poco.

#edoardocatalano#maurizioducoli#lellodigiovambattista#francescoprimavera#enniocifone#mortidilavoro

Gennaio 2025: 38 morti (sul lavoro 32; in itinere 6; media giorno 2,2)

9 Lombardia (sul lavoro 8, in itinere 1)

4 Campania, Calabria (4 – 0)

3 Piemonte, Toscana, Abruzzo, Puglia (3 – 0)

2 Veneto (2 – 0); Emilia Romagna (1 – 1)

1 Lazio, Basilicata (1 – 0); Liguria, Marche, Sardegna (0 – 1)

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Addio a David Lynch.

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Per Netanyahu una tregua è il lasso di tempo che trascorre tra lo svuotamento di un caricatore e l’altro, tra lo sgancio di una bomba e l’armamento della successiva. La vera tregua sarebbe nella fornitura delle armi Usa a Israele.

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La Lombardia ha ripreso a macinare a pieno ritmo le vite dei lavoratori.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Delle 5 morti sul lavoro di martedì 14 gennaio, 3 si sono verificate nella regione e una quarta, avvenuta in Puglia, è riconducibile a un’azienda di Paderno Dugnano (Milano), la Effetre Fenice Energia.

Petre Zaim, 58enne romeno residente a Bassano del Grappa (Vicenza), era un dipendente Effetre e faceva capo alla sede di Pederobba (Treviso), competente per il Centro e il Sud Italia.

Martedì 14 gennaio era il suo primo giorno di lavoro nel cantiere per la nuova centrale termica del Policlinico di Bari, la cui costruzione è stata appaltata da Edison Energia proprio a Effetre. È stato colpito da un carico di materiali metallici sganciatosi dal braccio di una gru che aveva colpito un muro, per un errore del manovratore o per una raffica di vento improvvisa.

Zaim ha riportato danni gravissimi ed è morto nell’adiacente pronto soccorso. Il riconoscimento della salma è stato fatto dal figlio, che aveva accompagnato il padre nella trasferta pugliese.

Veniva dall’estero anche Cheik Ndiaie, 32enne senegalese residente a Cassago Brianza (Lecco), dipendente della FCF Solutions della vicina Bulciago. Martedì 14 gennaio era in trasferta alla dismessa Radaelli 1967 di Giussano (Monza e Brianza), per il recupero di materiali.

Era sul tetto di un capannone quando un pannello di ondulato plastico ha ceduto e Ndiaie è precipitato da un’altezza di 6 metri, morendo sul colpo.

Sergio Valenti, 56enne autotrasportatore di Entratico (Bergamo), è morto nelle prime ore di martedì 14 gennaio alla Fratelli Sala recupero ecologico di Zandobbio (Bergamo), dove era appena arrivato. Un malore ne ha causato la morte nel giro di pochi minuti.

Giovanni Magon, 61 anni, camionista di Gattinara (Vercelli), è morto martedì 14 gennaio sulla statale 36 a Mandello del Lario (Lecco), uscendo di strada con il tir carico di rifiuti. Il mezzo ha schiantato il guardrail e si è rovesciato fuori strada.

L’autista è rimasto intrappolato nella cabina e ne è stato estratto privo di vita.

Nino Petrillo, 67enne messo comunale di Barano d’Ischia (Napoli), è morto martedì 14 gennaio schiantandosi contro un muretto con l’auto di servizio.

La vettura ha preso fuoco ma non è bruciata completamente. Aperta un’indagine per capire le cause dell’incidente, che non ha visto coinvolti altri veicoli.

#petrezaim#cheickndiaie#sergiovalenti#giovannimagon#ninopetrillo#mortidilavoro

Gennaio 2025: 30 morti (sul lavoro 25; in itinere 5; media giorno 2,1)

7 Lombardia (sul lavoro 7, in itinere 0)

4 Calabria (4 – 0)

3 Piemonte, Campania, Puglia (3 – 0)

2 Veneto (2 – 0); Emilia Romagna, Toscana (1 – 1)

1 Abruzzo (1 – 0); Liguria, Marche, Sardegna (0 – 1)

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È morto nel giorno del suo compleanno, lontano dal suo Paese, nella cabina di guida di un tir.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

È un autotrasportatore portoghese, che proprio lunedì 13 gennaio compiva 43 anni. Non ne conosciamo ancora il nome, sappiamo per ora che nel primo pomeriggio è stato trovato privo di vita nel camion parcheggiato nei pressi di Ceva Logistics, nell’area industriale di Somaglia (Lodi).

I soccorritori ne hanno constatato la morte, secondo la prima ipotesi riconducibile a un malore.

Mario Morina, 59 anni, dipendente della cooperativa sociale La Spiga di Grano, è morto lunedì 13 gennaio a Pescia (Pistoia), paese in cui risiedeva con la moglie.

Addetto alla manutenzione del verde comunale, è stato travolto dalla caduta dell’albero che stava abbattendo lungo una strada sterrata in località Veneri, riportando un trauma cranico fatale.

Con tutta probabilità è stato il forte vento a far sì che l’albero venisse giù all’improvviso durante l’operazione di taglio.

Rossella Marongiu, 25enne infermiera dell’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari, si è spenta domenica 12 gennaio nell’ospedale in cui lavorava.

Vi era stata ricoverata sabato 11, dopo un incidente stradale occorsole mentre in macchina raggiungeva il Brotzu da Samassi (Sud Sardegna), dove risiedeva con il compagno. Lungo la provinciale 65 ha perso il controllo dell’auto, che si è ribaltata più volte in un campo. La morte è stata causata dalle gravi lesioni alla testa.

#mariomorina#rossellamarongiu#mortidilavoro

Gennaio 2025: 25 morti (sul lavoro 20; in itinere 5; media giorno 1,9)

4 Lombardia, Calabria (sul lavoro 4; in itinere 0)

3 Piemonte (3 – 0)

2 Veneto, Campania, Puglia (2 – 0); Emilia Romagna, Toscana (1 – 1)

1 Abruzzo (1 – 0); Liguria, Marche, Sardegna (0 – 1)

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Addio a Franco Piperno.

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Quando si parla di genocidio, si parla di un’azione calcolata di privazione del presente e del futuro, dell’invivibilità dello spazio e del tempo di oggi e di domani.

da Il manifesto.

l primo gennaio il Palestinian Central Bureau of Statistics ha pubblicato un rapporto secondo cui la popolazione di Gaza si è ridotta del 6%. Mancano all’appello (ufficiale) 160mila persone.

Oltre 100mila sono fuggite in Egitto, e sono i «fortunati»: possedevano abbastanza per pagare i trafficanti dell’agenzia Hala, 5mila dollari a testa, o erano messi così male da ottenere il via libera alle cure all’estero.

ALTRI 45MILA
 sono stati uccisi. Un numero non meglio definito è sparito sotto le macerie: da mesi ormai si resta su una quota fissa, 10mila, il lavoro di ricerca e identificazione è reso quasi impossibile dal collasso della protezione civile.

Restano fuori dal conteggio i morti per mancate cure, fame o ipotermia. La rivista scientifica Lancet ieri ha rivisto il bilancio: le morti dirette per i raid israeliani sarebbero 70mila. Un bilancio che viene rivisto e discusso a suon di 10mila, 20mila, 30mila morti ammazzati.

Non si dibatte sulle decine o le centinaia. La folle unità di misura va di migliaia in migliaia, tanto da perdere quasi senso. E (assurdamente) visibilità.

Poi ci sono i feriti, 110mila. Il 25% ha riportato danni permanenti, amputazioni, disabilità È l’ipoteca sul futuro di Gaza, una società che non sa più come immaginarsi il futuro, figurarsi il presente, con una terra che si restringe, devastata e inquinata, infrastrutture inesistenti, settori civili basilari – sanità, educazione – sradicati.

Quando si parla di genocidio, si parla di questo, di un’azione calcolata di privazione del presente e del futuro, dell’invivibilità dello spazio e del tempo di oggi e di domani.

Per punire e soprattutto per porre fine a tali azioni, volontarie, la Corte penale internazionale a metà novembre ha emesso mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro alla difesa Yoav Gallant.

Sono trascorsi due mesi e l’impunità – che pareva essersi sgretolata all’Aja – viene risollevata, come un muro, nel luogo dove è nato il diritto internazionale contemporaneo.

La Polonia, in aperta violazione dello Statuto di Roma (di cui è parte), giustificandosi con un intervento di natura politica privo di qualsiasi legittimità, annuncia una protezione speciale per il ricercato Netanyahu se decidesse di partecipare all’80esimo anniversario dalla liberazione di Auschwitz.

IL LUOGO che più di ogni altro simboleggia l’abisso in cui l’umanità è stata in grado di sprofondare e da cui la stessa umanità è riemersa, costruendo sulla disumanizzazione assoluta dell’essere umano un sistema di valori condiviso e una memoria collettiva, è lo stesso luogo in cui – scriveva mercoledì su queste pagine uno dei più noti studiosi dell’Olocausto, Moshe Zuckermann – si consuma «l’orrendo tradimento».

Un tradimento perpetrato, scrive Zuckermann, non solo dal primo ministro Netanyahu ma dalla simbiosi tra la barbarie dei suoi sottoposti (i soldati) e la gelida indifferenza della società israeliana.

Non sono soli: il tradimento pesa sulle sedicenti democrazie liberali a cui sono bastati appena 80 anni per violare un processo di rinascita condiviso e il riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano.

Se quella dignità pari non lo è mai stata e radicate sono le diseguaglianze che erigono barriere tra le persone in ogni paese del mondo, lo scudo penale per Netanyahu è un simbolo potente: legittima la supremazia di alcuni paesi (titolari del privilegio a usare la violenza contro chi è considerato subalterno) e la legge del più forte come punto cardinale dei rapporti internazionali.

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Addio a Oliviero Toscani.

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Alla fine, – tomo tomo cacchio cacchio – il ministro c’ha messo una pezza.

Lo scambio Sala-Abedini si è felicemente concluso. Come anticipato per tutta la giornata di domenica da strane e cadenzate indiscrezioni telecomandate sulla stampa, il ministro Nordio ha ordinato la scarcerazione dell’ingegnere iraniano. Adedini è già in Iran. 

Possiamo scrivere la parola “fine”’? E no!

“Il ministro Nordio ha depositato alla Corte di Appello di Milano la richiesta di revoca degli arresti per il cittadino iraniano Abedini Najafabadi Mohammad”, si legge nella nota ufficiale diffusa dal ministero della Giustizia.

“In forza dell’articolo 2 del trattato di estradizione tra il governo degli Stati Uniti d’America e il governo della Repubblica italiana – si legge sempre nella nota del ministero – possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non può ritenersi sussistente”.

Adesso, se non vi dispiace,  vorremmo sapere chi è stato tanto servile con gli USA da inventarsi un’estradizione impossibile.

Mentre si fantastica di telefonate tra la polizia italiana e i servizi americani per l’arresto, di via libera che sarebbero stati dati da Biden e Trump per la scarcerazione, la domanda a cui il governo italiano deve dare precisa risposta è: visto che non c’erano gli estremi dell’estradizione, chi ha ordinato e predisposto l’arresto del cittadino iraniano a Malpensa lo scorso 16 dicembre?  

Per essere più precisi: agli ordini di chi gli agenti della polizia italiana hanno prelevato il passeggero all’aeroporto per associarlo al carcere di Opera?  

Non è difficile rispondere, basta semplicemente raccontare la verità, invece che le stravaganti versioni alla “tomo tomo cacchio cacchio” che abbiamo sentito fin’ora.

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Perché l’austerità piace tanto alle banche centrali, alla Unione Europea, ai governi nazionali, compreso l’ineffabile governo di destra-destra italiano?

Le tre forme delle politiche di austerità – fiscale, monetaria e industriale- lavorano all’unisono per disarmare le classi lavoratrici ed esercitare una pressione discendente sui salari”, scrive Clara E. Mattei in “Operazione austerità” (Einaudi 2022).

Quali sono, dunque, le dinamiche della coercizione esercitata dall’austerità? Ecco uno schema di analisi, tratto dal libro di Mattei, che ci aiuta a capire le politiche economiche che muovono attualmente la Ue e i governi nazionali, compreso il governo Meloni.

I. Dall’austerità fiscale all’austerità monetaria.

L’austerità fiscale si traduce in tagli al bilancio, soprattutto al welfare, e in una tassazione regressiva (che chiede una percentuale superiore di denaro a chi ne ha di meno).

Entrambe le riforme permettono di trasferire risorse dalla maggioranza dei cittadini a una minoranza – le classi dei risparmiatori-investitori – per garantire i rapporti di proprietà e la formazione del capitale.

Contemporaneamente, i tagli al bilancio contengono l’inflazione grazie a due meccanismi principali. 

La prima cosa, la riduzione e il consolidamento del debito pubblico diminuiscono la liquidità in circolazione. Perché i detentori del debito non possono più usare le obbligazioni in scadenza come mezzo di pagamento.

In secondo luogo, i tagli al bilancio riducono la domanda aggregata: famiglie e imprese godono di un minore reddito disponibile e lo Stato stesso riduce gli investimenti.

Un calo della domanda di beni e capitali significa che i prezzi all’interno di un paese si mantengono bassi. Inoltre, questo strozzamento della domanda aggregata accresce il valore della moneta sui mercati esteri, scoraggiando le importazioni e migliorando così la bilancia commerciale (per cui le esportazioni supereranno le importazioni). 

Il valore di una moneta sui mercati esteri è di fatto favorevole se la bilancia commerciale di un Paese è positiva.

II. Dall’austerità monetaria all’austerità fiscale.

L’austerità monetaria (o deflazione monetaria, come è stata descritta sopra) comporta una decurtazione del credito nell’economia e coincide in primo luogo con un aumento dei tassi di interesse.

Questa cosiddetta “politica del denaro caro”, in cui il denaro è più difficile da prendere a prestito, fa crescere per il governo i costi dell’indebitamento e dunque ne limita i piani espansivi, specialmente di welfare.

Nel corso del XX secolo, le limitazioni alla spesa dello Stato aumentarono quando fu stabilito il gold standard (cosa che in Gran Bretagna accadde nel 1925): per mantenere la parità aurea, la prima cosa da è la fuoriuscita dei capitali, per cui la politica fiscale all’interno del proprio Paese. Lo fa minimizzando la spesa governativa e creando un ambiente favorevole al capitale sottoponendolo a una tassazione inferiore.

III. Dall’austerità industriale all’austerità monetaria.

Con l’espressione austerità industriale ci si riferisce all’imposizione della pace industriale, vale a dire rapporti di produzione gerarchici al riparo da contestazioni.

Una “pace” del genere è ovviamente alla base dell’accumulazione capitalistica, perché consente di proteggere i diritti di proprietà, le relazioni salariali e la stabilità monetaria nel lungo periodo.

L’austerità industriale favorisce inoltre la deflazione monetaria, che aumenta il valore della moneta nazionale. Infatti, una rivalutazione riuscita (cioè un aumento del valore della moneta) richiede soprattutto aggiustamenti di prezzo verso il basso, e in particolare un aggiustamento verso il basso dei prezzi del lavoro (il che significa salari inferiori), al fine di tagliare i costi di produzione.

Questo perché costi del lavoro inferiori tengono bassi i prezzi delle merci, il che a sua volta promuove la competitività internazionale nel momento in cui un Paese decide di migliorare i suoi tassi di cambio con un aumento delle esportazioni.

Quando la moneta si rivaluta, ridurre i costi di produzione diventa ancora più essenziale al fine di compensare un calo di competitività e dunque non perdere quote sul mercato estero, giacché i beni in quella valuta diventano più cari.

Se lo Stato può contare su poteri coercitivi sufficienti, come fu per lo Stato fascista, può intervenire direttamente con un’azione legislativa per tagliare i salari nominali, garantendo aggiustamenti di prezzo immediati e la competitività necessaria a rispettare il gold standard.

Naturalmente, anche in società meno autoritarie, come quella britannica (negli Anni 30, ndr), leggi del lavoro restrittive possono limitare la legittimità delle contestazioni industriali, per esempio criminalizzando gli scioperi di solidarietà.

La pace sociale e la repressione dei salari sono altrettanto importanti per attivare capitali ed evitarne la fuoriuscita, altra prerogativa della convertibilità in oro.

Un livello salariale basso riduce infine la domanda di consumo, che a sua volta fa scendere le importazioni e dunque ha un effetto positivo sulla bilancia commerciale che favorisce la rivalutazione monetaria.

IV. Dall’austerità monetaria all’austerità Industriale.

La politica del denaro caro fa sì che l’economia rallenti, perché indebitarsi diventa più costoso e gli imprenditori sono disincentivati a prendere a prestito denaro da investire.

Quando parte la deflazione e i prezzi scendono, le aspettative pessimistiche degli imprenditori riguardo al futuro riducono ulteriormente gli investimenti.

Minori investimenti significano meno occupazione.

Una disoccupazione più elevata non soltanto riduce i salari dei lavoratori; garantisce anche la “pace industriale” annientando la leva politica e la militanza del lavoro.

V.  Dall’austerità industriale all’austerità fiscale.

Una classe lavoratrice debole e docile è tale per cui la pressione per ottenere misure sociali, una tassazione progressiva e altre politiche redistributive viene subordinata alle priorità dettate dall’austerità di spostare risorse a favore delle classi dei risparmiatori-investitori.

I sindacati rinviano le proposte e le pratiche radicali che sfidano la proprietà privata e sono disposti a collaborare per aumentare l’efficienza della produzione in nome della causa nazionale.

VI. Dall’austerità fiscale all’austerità industriale.

I tagli al bilancio significano diminuzione delle opere pubbliche e del pubblico impiego più in generale, il che porta a un ampliamento dell’esercito di riserva del lavoro (il bacino di coloro che desiderano un’occupazione) e dunque danneggia il potere contrattuale dei sindacati, deprime i salari e accresce la competizione tra i lavoratori.

[…]

Queste dinamiche possono suonare tutt’ora famigliari, essendo precorritrici del rapporto che gli esperti del Fondo monetario internazionale hanno stretto e instaurato con gran parte dei Paesi periferici del mondo odierno, un rapporto basato su: prestiti condizionati a politiche di austerità; focus sulla ‘libertà economica’, più che politica; obbligo di aprire l’economia nazionale allo scrutinio internazionale.

La storia dell’Italia aiuta a leggere anche i casi di austerità più recenti con occhi maggiormente smaliziati.

A un esame ravvicinato, i programmi di aggiustamento strutturale del Fmi rivelano il medesimo obiettivo di fondo: costringere le popolazioni a produrre di più e a consumare di meno, al fine di salvaguardare l’accumulazione capitalistica”.

(Clara E. Mattei, “Operazione austerità, come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo”, Einaudi 2022.)

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Attualità

Da spregiudicato a pregiudicato.

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