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Roma incazzata.

di Federico Fubini

Imputati dall’Alto Commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo erano stati il famigerato ex questore di Roma Pietro Caruso e il suo assistente, Roberto Occhetto.

Erano entrambi accusati – a ragione – di aver aiutato i tedeschi nei rastrellamenti, di aver collaborato con la Gestapo, con le SS, con i reparti più efferati della polizia di Salò (la Banda Koch) ma soprattutto, fra i molti, terribili reati, di aver compilato assieme ai tedeschi la lista dei 335 perseguitati e prigionieri politici che furono poi trucidati alle Fosse Ardeatine.

Il processo a Caruso e Occhetto avrebbe dovuto aprirsi il 18 settembre 1944 a Palazzo di Giustizia, in piazza Cavour, ma quel giorno fin dalle prime ore del mattino molta gente aveva iniziato ad assembrarsi davanti agli ingressi.

Reclamavano di entrare; urlavano «morte a Caruso», «dateci Caruso». Volevano vedere l’accusato alla sbarra, molti volevano semplicemente farsi giustizia da sé. Presto i più agitati forzarono lo sbarramento al portone, centinaia di persone si precipitarono verso l’aula magna al primo piano cercando l’imputato ovunque.

Data la situazione, la polizia tenne Caruso e Occhetto nascosti altrove e il giudice non poté che aggiornare il dibattimento.

In quel momento, nella calca, una donna riconobbe Donato Carretta, l’ex direttore di Regina Coeli, che era stato convocato come testimone dell’accusa. Improvvisamente la furia della folla si riversò contro di lui. Restano ancora in rete poche decine di secondi di riprese di quei momenti.

Carretta viene preso per i capelli, strattonato con violenza, poi pestato in volto finché alcuni poliziotti non riescono miracolosamente a portarlo al riparo in una stanza attigua all’aula magna.

Carretta era stato iscritto al Partito fascista fino all’anno prima e doveva per forza essere stato un funzionario di fiducia del regime, altrimenti non sarebbe mai diventato direttore del più grande carcere di Roma. Ma non si era macchiato di abusi e, in segreto, aveva aiutato vari oppositori a fuggire e a salvarsi la vita. Ne aveva persino ospitati in casa propria. La folla, nella sua sete di vendetta, stava tragicamente sbagliando bersaglio.

L’errore di Carretta quel giorno fu di uscire dal Palazzo di Giustizia troppo presto, dopo i disordini: venne di nuovo riconosciuto in piazza Cavour e pestato brutalmente, trascinato ovunque, i vestiti ormai strappati di dosso. I carabinieri cercarono di nuovo di sottrarlo al linciaggio, portandolo via su una jeep degli americani. Ma l’auto fu bloccata da una folla ormai in uno stato febbrile; Carretta venne di nuovo ghermito, portato via e massacrato per strada.

Si cercò di buttarlo sotto un tram ma – quando il conduttore tirò il freno e si rifiutò di passargli sopra – fu trascinato fino al ponte Umberto e gettato giù nel Tevere, ormai privo di sensi.

Il malcapitato riemerse, riprendendosi al contatto con l’acqua fresca. Cercò di aggrapparsi a un palo per non farsi trascinare dalla corrente, ma di nuovo venne respinto con la forza in mezzo al fiume, raggiunto da una barca e finito da due uomini a colpi di remi lì, in acqua.

Il suo cadavere, nudo, sgocciolante di sangue, venne appeso per i piedi alle inferriate di Regina Coeli; quel giorno sua moglie sfuggì al massacro solo per un soffio. I romani avevano sofferto l’oppressione, i bombardamenti, le privazioni e la spietata occupazione nazista. Avevano visto amici e parenti uccisi o portati via. Molti di loro avevano invocato il duce sotto il balcone di piazza Venezia, pochi anni prima.

Ma ora volevano una resa dei conti esemplare. (Federico Fubini, “L’oro e la patria”, Mondadori.)

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28 morti di lavoro nei primi dieci giorni di febbraio.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Carlo Alberto Mombrini, 57enne di Caravaggio (Bergamo), titolare dell’omonima ditta che produce pavimentazioni speciali, è morto alle 6,30 di lunedì 10 febbraio mentre raggiungeva un cantiere.

Nei pressi di Calcio (Bergamo) si era fermato in una piazzola di sosta della A35, la Brebemi, quando è stato travolto da un camion fuori controllo. Vettura e guidatore sono stati trascinati per decine di metri. Mombrini è morto sul colpo.

A Guardiagrele (Chieti), lunedì 10 febbraio si sono svolti i funerali dell’84enne Nicola D’Angelo, morto sabato 8 nell’ospedale di Pescara, dove era ricoverato dal 31 gennaio.

Quel giorno stava caricando letame sulla benna di un trattore quando il mezzo – che probabilmente era in folle – si è mosso in retromarcia. L’anziano agricoltore è riuscito a salirci su per bloccarlo, ma proprio in quegli istanti il trattore ha colpito un ulivo e D’Angelo è stato scaraventato a terra dalla violenza dell’urto.

Ha lottato più di una settimana per la vita, ma alla fine il suo cuore ha ceduto.

Un 34enne del Bangladesh, regolare in Italia da 3 anni dopo la traversata della Libia, moglie e un figlio in patria, è morto lunedì 10 febbraio a Porto Marghera (Venezia) per cause ancora da stabilire.

Il lavoratore è stato trovato senza vita all’interno di uno yacht affidato alla società di rimessaggio di cui era dipendente.

#carlomombrini#nicoladangelo#mortidilavoro

Febbraio 2025: 28 morti (sul lavoro 26; in itinere 2; media giorno 2,8)

Anno 2025: 115 morti (sul lavoro 98; in itinere 17; media giorno 2,8)

19 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 5)

17 Veneto (14 – 3)

10 Puglia (10 – 0)

9 Campania (9 – 0)

8 Piemonte (8 – 0)

7 Emilia Romagna (5 – 2); Toscana (6 – 1)

6 Abruzzo, Calabria (6 – 0)

4 Lazio (3 – 1); Basilicata (4 – 0)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Alto Adige (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Mo’ so dazi vostri.

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Ancora vittime della mancanza di norme e controlli.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Sabato 8 febbraio si è registrato il primo morto di lavoro del 2025 in Alto Adige. Rimangono così soltanto due le regioni senza vittime: Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia.

Peter Plattner, 53enne residente a Sant’Andrea, frazione di Bressanone (Bolzano), è morto sabato 8 febbraio per un incidente senza testimoni avvenuto sulla Plose.

Era andato a lavorare nei boschi e intorno alle 21 i familiari hanno dato l’allarme, non vedendolo rientrare. Sono scattate le ricerche e intorno alla mezzanotte il corpo del lavoratore è stato trovato in fondo a un dirupo, nei pressi di un torrente. Secondo la prima ricostruzione Plattner è caduto da un’altezza di circa 50 metri, per motivi da accertare.

Agostino Diotaiuti, 54enne residente a Marina di Camerota (Salerno), dipendente della Gma distribuzione, è morto domenica 9 febbraio nell’ospedale Ruggi di Salerno, due giorni dopo il ricovero per un incidente stradale.

Venerdì 7 febbraio, alla guida di un Doblò aziendale, si era schiantato contro un’autocisterna sulla ex statale Cilentana. I vigili del fuoco avevano impiegato due ore per liberarlo dalle lamiere accartocciate.

Al Ruggi era stato sottoposto a intervento, mentre a Camerota scattava una gara di solidarietà per donare sangue, con tanto di navette organizzate dal Comune (il sindaco Mario Salvatore Scarpitta è il proprietario della Gma).

Domenica mattina, mentre ci si preparava per altre donazioni, la situazione è precipitata e Diotaiuti è morto. Lascia la moglie e due figli.

Giuseppe Franzin, 54enne residente a Torre di Mosto (Venezia), è morto sabato 8 febbraio nell’azienda vinicola Capo di Vigna a Motta di Livenza (Treviso), dove era al lavoro su un trattore con trivella.

Anche qui l’allarme è stato lanciato dalla famiglia – moglie e due figli – che non l’ha visto rientrare per pranzo. È stato uno dei proprietari dell’azienda a precipitarsi sul posto e a trovare Franzin accasciato sul volante del trattore – con il motore ancora acceso – ormai senza vita. La morte è stata attribuita a un infarto.

#peterplattner#agostinodiotaiuti#giuseppefranzin#mortidilavoro

Febbraio 2025: 25 morti (sul lavoro 24; in itinere 1; media giorno 2,8)

Anno 2025: 112 morti (sul lavoro 96; in itinere 16; media giorno 2,8)

18 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 4)

16 Veneto (13 – 3)

10 Puglia (10 – 0)

9 Campania (9 – 0)

8 Piemonte (8 – 0)

7 Emilia Romagna (5 – 2); Toscana (6 – 1)

6 Calabria (6 – 0)

5 Abruzzo (5 – 0)

4 Lazio (3 – 1); Basilicata (4 – 0)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Alto Adige (1 – 0); Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Con altre cinque vittime ecco che febbraio ha già raggiunto e superato l’intollerabile media di tre morti di lavoro al giorno.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Il 7 febbraio 2024 Puglia e Basilicata contavano rispettivamente 4 e 0 (zero) morti di lavoro. Al 7 febbraio 2025 la Puglia è arrivata a 10 vittime (+150%), la Basilicata a 4 (+ ∞).

Antonio Pirretti, 50enne di Ferrandina (Matera), è morto venerdì 7 febbraio cadendo su una griglia del depuratore del comune lucano, durante un intervento di manutenzione. Non sono ancora chiare le cause della caduta, forse provocata da un automezzo in manovra. Il lavoratore è morto sul colpo.

Lucio Parisi, 48enne agricoltore di Grassano (Matera) è morto venerdì 7 febbraio uscendo di strada mentre con un trattore raggiungeva le sue campagne a Garaguso (Matera). L’allarme è stato immediato, ma l’equipaggio dell’elisoccorso intervenuto non ha potuto nulla.

Michele Mandolino, 59enne di Gravina in Puglia (Bari), capocantiere per i lavori al Palacooper di Santeramo in Colle, sempre nel Barese, è morto venerdì 7 febbraio nell’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti. Vi era stato trasportato in gravissime condizioni giovedì 6 febbraio, dopo essere stato colpito alla testa da un tubo in acciaio trasportato con una ruspa.

Francesco Mansueto, 61enne agricoltore di San Vito dei Normanni (Brindisi), è morto giovedì 6 febbraio sotto gli occhi del fratello. Il trattore che avrebbero dovuto usare aveva problemi di accensione e Mansueto stava lavorando sul motorino di avviamento quando il mezzo si è messo in moto. L’agricoltore ha cercato di bloccare le ruote posteriori ma è stato travolto e schiacciato. La magistratura ha ordinato l’autopsia.

Davinder Singh, 65enne operaio di Villongo (Bergamo), arrivato 30 anni fa dal Punjab e ormai in vista della pensione, è morto giovedì 6 febbraio sulla provinciale 469 a Capriolo (Brescia). Tornava a casa dalla Efgom di Cologne, quando con la sua Punto ha sbandato e si è scontrato frontalmente con un camion che proveniva in senso contrario. Singh, vedovo e con 3 figli, è morto nello schianto.

#antoniopirretti#lucioparisi#michelemandolino#francescomansueto#davindersingh#mortidilavoro

Febbraio 2025: 22 morti (sul lavoro 21; in itinere 1; media giorno 3,1)

Anno 2025: 109 morti (sul lavoro 93; in itinere 16; media giorno 2,9)

18 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 4)

15 Veneto (12 – 3)

10 Puglia (10 – 0)

8 Piemonte, Campania (8 – 0)

7 Emilia Romagna (5 – 2); Toscana (6 – 1)

6 Calabria (6 – 0)

5 Abruzzo (5 – 0)

4 Lazio (3 – 1); Basilicata (4 – 0)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Molise (0 – 1)

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Attualità

Il primo esperimento storico di un governo di centro sinistra fu un disastro, che si è ripetuto nel tempo, fino ai giorni nostri.

di Luciano Canfora

Un accordo tra Spd e Uspd era impensabile, dopo che appena pochi giorni prima delle elezioni, Noske, commissario del popolo all’esercito (ed esponente socialista di spicco) aveva domato manu militari la rivolta spartachista in un quartiere di Berlino espugnando personalmente la sede del «Vorwärts» occupata e dopo che indisturbati Freikorps avevano massacrato Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg quattro giorni prima delle elezioni (15 gennaio).

Ma la soluzione parlamentare era pronta: il centro-sinistra. […]

Sul peso dell’affrettata e impotente insurrezione spartachista sulla vicenda politica di quel cruciale gennaio 1919 si è molto speculato.

Il perbenismo socialdemocratico si è speso tutto in difesa di Noske, per scagionarlo dalla responsabilità dell’assassinio di Liebknecht e della Luxemburg.

Tempo sprecato, visto che il problema non era chi avesse armato la mano degli assassini affiliati ai Freikorps bensì che la neonata «democrazia» tedesca tollerasse – per spirito legalitario – l’esistenza dei Freikorps, gruppi paramilitari e revanscisti, il cui revanscismo per ora si sfogava nella violenza contro i militanti di sinistra.

Il loro apporto alla nascita del movimento nazista è ben noto.

Peraltro un po’ di gratitudine dall’estrema destra Noske se la guadagnò con la sua azione (egli era ministro dell’Esercito e della Marina, e dunque avrebbe dovuto sciogliere i Freikorps e distruggerli con ben altra violenza di quella che consacrò ad espugnare la sede del «Vorwärts»). […]

Ad ogni modo, la tesi che l’insurrezione spartachista avrebbe spostato a destra l’opinione pubblica negli ultimi giorni di campagna elettorale è fragile.

Il governo Ebert-Scheidemann-Noske fece di tutto per dimostrare ai borghesi impauriti che la socialdemocrazia sapeva schiacciare il pericolo «anti-democratico» proveniente da sinistra.

Il sangue abbondantemente versato fu garanzia della «democraticità» della dirigenza socialdemocratica.

Il contraccolpo elettorale poté averlo, semmai, l’Uspd che, per semplificazione polemica molto comoda in campagna elettorale, veniva tout court assimilata – dalla propaganda di quasi tutti gli altri (fatta eccezione per il Partito Democratico) – alla Lega di Spartaco.

Insomma, la sconfitta elettorale fu bruciante per la socialdemocrazia, nella cui vicenda elettorale weimariana quel deludente risultato rimase pur sempre il massimo storico. (Luciano Canfora, “La democrazia”, Editori Laterza.)

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Attualità

Sono caduti nella trappola del do ut des.

Ci sono caduti  Marco Tronchetti ProveraMassimo MorattiDiego Della Valle, e anche le famiglie Aleotti, Beretta e Caltagirone.

Come è possibile che un furbacchione si finga ministro e riesca a spillare un sacco di soldi a premurosi (col governo) imprenditori italiani?

Facile: contavano di ricavarne qualcosa in cambio. Business as usual.

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Attualità

Il giornalismo italiano oltre il senso del reale.

La leggenda professionale voleva che ai giornalisti venissero i calli, per via delle suole di scarpe consumate a caccia dei fatti, da cui ricavare la notizia da raccontare ai lettori.

Attualmente, i giornalisti italiani consumano il fondo dei calzoni a furia di posare le natiche sulle poltroncine dei talk show.

Tuttavia, ci sono momenti di pura innovazione della professione.

Non mi riferisco solo a quella sporca dozzina di mestatori al soldo di fogliacci di destra – clienti di denaro pubblico – che fanno coro, canto e controcanto alle veline di Palazzo Chigi. Che non sarebbe un’innovazione, dal momento che sembrano novelli epigoni dell’Agenzia Stefani, che tante soddisfazioni diede al regime fascista. (*)

Il fatto è che ho recentemente sentito un decano del giornalismo italiano dire candidamente in tv che le sue erano precise intuizioni, scaturite dalle parole pronunciate da altri in tv.

Eccola l’innovazione, in tutto il suo splendore: ieri dai fatti alle opinioni, oggi dalle opinioni alle illazioni.

Il nostro eroe era nientepopòdimenoche Paolo Mieli. Il programma era 8 e 1/2, che sarebbe meglio ri-titolare 6 meno meno.

(*) Durante il periodo fascista, l’Agenzia Stefani divenne lo strumento di propaganda del regime di Mussolini, controllata dal governo per manipolare e diffondere informazioni a favore del fascismo. 

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Attualità

La tragica pantomima.

Gli versiamo fior di quattrini, – soldi pubblici -, per fermare, a ogni costo dei diritti umani, le migrazioni verso i paesi europei.

Loro, i satrapi asserviti agli interessi delle compagnie petrolifere, intascano e si danno da fare: pestano, torturano, violentano, ricattano e quando è il caso ammazzano.

Sono i sicari d’Europa, Italia compresa.

Poi, la cattiva coscienza occidentale, sporca di sangue e menzogne, emette mandati di cattura contro gli aguzzini, che coi soldi che gli diamo vengono a fare i nababbi in giro per l’Europa, Italia compresa.

La solita storia ignobile: fate quello per cui vi paghiamo, ma non fatevi vedere troppo in giro.

E la pantomima prende vita, e coinvolge partiti, governanti, tribunali, social e mass media.

Tutto si avvita, si torce e si contorce attorno alla più ributtante delle finzioni: i governi danno soldi pubblici per finanziare una Corte penale che dovrebbe perseguire quei reati commessi dagli esecutori materiali di crimini su commissione degli stessi governi che, con i soldi pubblici, ne sono i mandanti.

Che Meloni faccia rima con strafalcioni è noto in patria e cominciano a capirlo anche in giro per il “globo terraqueo”.

Ma non ci prendiamo in giro: i mandanti degli aguzzini libici vengono da prima. E chi oggi fa lo scandalizzato in Parlamento e nei talk show è stato comodamente seduto sul banco di quei governi che stipularono accordi con quegli stessi aguzzini che oggi vorremmo perseguitare.

Se la destra è maldestra, sinistra è diventato un brutto aggettivo di politiche senza scrupoli.

Non contate sul nostro appoggio: siete le scorie tossiche del fallimento delle vostre strategie. Un fallimento “largo”.

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DUE BRUTTE MORTI DI LAVORO.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Giancarlo Siddi, 74enne allevatore di Iglesias (Sud Sardegna), è morto nella notte tra mercoledì 5 e giovedì 6 febbraio nell’ospedale Brotzu di Cagliari, dove era stato elitrasportato in condizioni disperate.

L’eucalipto che stava sradicando in località Nuraponti con l’aiuto di un trattore, si è abbattuto sul mezzo e un ramo spezzato ha colpito l’allevatore al petto, causandogli gravi lesioni. Rapidi l’intervento dei soccorsi e l’arrivo dell’elicottero, ma Siddi non ha superato la notte.

Un operaio 60enne è morto a Tezze sul Brenta (Vicenza), dove era impegnato nell’attività di bonifica del cromo esavalente presente nell’area dell’ex Tricom Galvanica, azienda che per trent’anni ha sversato nel terreno e nelle falde la sostanza ad elevata tossicità, cancerogena e mutagena.

Il lavoratore si è accasciato all’improvviso ed è morto sul posto. Da chiarire le cause del malore e l’eventuale connessione con il lavoro svolto. La bonifica a Tezze sul Brenta, iniziata nel 2023 e ormai alle battute finali, prevede tra l’altro la realizzazione di un sarcofago in cemento di 30×30 metri, profondo circa 25, per isolare il terreno inquinato e impedire la contaminazione ulteriore della falda.

Nei campioni prelevati in profondità la concentrazione di cromo 6 raggiungeva i 430mila microgrammi per litro, a fronte di un limite di legge fissato a 5.

#giancarlosiddi#mortidilavoro#cromoesavalente

Febbraio 2025: 17 morti (sul lavoro 17; in itinere 0; media giorno 2,8)

Anno 2025: 104 morti (sul lavoro 89; in itinere 15; media giorno 2,8)

17 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 3)

15 Veneto (12 – 3)

8 Piemonte, Campania, Puglia (8 – 0)

7 Emilia Romagna (5 – 2); Toscana (6 – 1)

6 Calabria (6 – 0)

5 Abruzzo (5 – 0)

4 Lazio (3 – 1)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0); Liguria, Marche (2 – 1)

2 Trentino, Basilicata (2 – 0); Sardegna (1 – 1)

1 Molise (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Attualità

UNA STORIA AVVELENATA DALLO SFRUTTAMENTO PIÙ NERO.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidi lavoro

Emanuele D’Asta, 23 anni.

Era una storia avvelenata, quella ricamata intorno alla fine di Emanuele D’Asta, il 23enne morto mercoledì 5 febbraio per un crollo nella casa in ristrutturazione a Castel Volturno (Caserta). Non c’era alcun matrimonio alle viste con la fidanzatina 19enne anzi, non c’era nemmeno una fidanzatina, e tanto meno quello era il nido d’amore in cui sarebbero andati a vivere. Talmente avvelenata, la storia, da aver convinto la procura di Santa Maria Capua Vetere ad aprire un’inchiesta e a ordinare l’autopsia sul corpo del giovane.

I primi riscontri dicono che Emanuele D’Asta non è morto per il crollo di un balcone di una villetta linda e pinta, ma per il cedimento del solaio di una vecchia casa con i muri ammuffiti e in precarie condizioni di stabilità. Non risultano peraltro autorizzazioni per l’avvio di lavori di alcun genere. Il ragazzo, infine, al momento del crollo non era solo, come testimoniano i tanti attrezzi trovati sul posto. Con lui c’erano altri lavoratori in nero che si sono dati alla fuga, nonostante un paio di loro fossero con tutta probabilità feriti.

I familiari di Emanuele, che lascia due figli in tenerissima età, urlano la loro verità: “Emanuele durante la settimana lavorava a nero per una ditta che si occupa di ristrutturazione di abitazioni, veniva pagato sui 150 euro a settimana. Anche mercoledì era andato all lavoro nel cantiere di proprietà del padre della ragazza che stava frequentando da poco, ma non è vero che doveva sposarsi. Nel fine settimana si arrangiava in un locale sempre zona Castel Volturno. Aveva avuto un piccolo problema con la giustizia ma poi ha ripreso a lavorare con sacrificio. Quando è avvenuta la tragedia non era solo, il suo corpo è stato spostato dalle macerie e portato a qualche metro di distanza”.

Ora sta alla magistratura restituire verità e dignità a un giovane morto di sfruttamento.

#emanueledasta#mortidilavoro

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Lo straordinario mondo di Christine: grazie all’aumento del costo del denaro anche Banca Mediolanum ha fatto un utile da record: nel 2024 ha pappato 1,12 miliardi (+36%).

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La rifeudalizzazione.

di Sahra Wagenknecht

Oggi i paesi occidentali sono segnati da disuguaglianza crescente e povertà in aumento.

Quella che era una comunità sociale si è trasformata in un’accozzaglia di individui di varia estrazione, nutriti da diffidenza e ostilità, che vivono gli uni accanto e contro gli altri, ma ciascuno chiuso nel proprio mondo, senza incontrarsi quasi mai.

Con l’isolamento dei ceti benestanti e il ritorno dei privilegi legati all’istruzione, le prospettive di vita sono determinate in prima battuta dalle proprie origini, anziché dal merito e dall’impegno.

Al posto dell’autodeterminazione e di una maggiore liberalità, assistiamo oggi a una rifeudalizzazione dell’economia e della società, che ha reso la maggior parte della popolazione non più responsabile per se stessa, ma più dipendente, non più libera, ma meno autonoma. (Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra neoliberale”, Fazi Editore.)

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Che diavolo ha combinato il governo Meloni sul caso Almasri ce lo spiega Travaglio.

dal Fatto Quotidiano

“Se non ci fosse di mezzo un torturatore, si dovrebbe parlare di una gag comica irresistibile ai livelli dei Blues Brothers.Mancano solo le cavallette e poi questi sono meglio di John Belushi“. È il lapidario commento pronunciato a Otto e mezzo (La7) dal direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, sull’informativa dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sulla scarcerazione del generale libico Osama Almasri, prima alla Camera e poi al Senato.

Travaglio espone tutte le versioni contraddittorie rese da Giorgia Meloni e dai suoi ministri dal 21 gennaio a oggi: “Prima Nordio dice: ‘Ho ricevuto la richiesta di arresto della Corte penale internazionale e la sto valutando’. Ma perde due giorni e quindi nel frattempo Almasri viene rilasciato. Allora Tajanidice che sono stati errori dei giudici italiani. Fratelli d’Italiadice che il governo è estraneo al rilascio e che è colpa della Corte penale internazionale che avrebbe chiesto di arrestare Almasri solo quando era in Italia, anziché quando era in Germania. Poi Tajani cambia idea – continua il direttore del Fatto – e dice: ‘L’Aja non è la bocca della verità, abbiamo opinioni diverse, facciamo la nostra politica’. Quindi ha deciso il governo. Ma Piantedosi in Senato dice che. mentre Nordio leggeva le famose carte, lui aveva già capito tutto e aveva espulso Almasri perché aveva capito che era pericoloso.Però poi si è scordato di avvisare Fratelli d’Italia che ha continuato a dare la colpa ai giudici di Roma, i quali avrebbero dovuto tenere dovevano tenere dentro Almasri, e alla Corte dell’Aja, che avrebbe dovuto arrestarlo in Germania”.

E prosegue: “Poi Fratelli d’Italia incolpa la polizia giudiziariache non ha avvisato Nordio. Successivamente la Meloni, quando riceve il famoso avviso dal procuratore Lo Voi, dice che ha deciso il governo per la sicurezza della nazione. Ma Donzellidice di nuovo che non è stato il governo a decidere, bensì la Corte d’Appello e che Nordio non poteva fare altro perché la Corte non gli ha inviato le carte. Tuttavia, Piantedosi dice che le hanno mandate a lui perché aveva capito che Almasri era pericoloso”.
Travaglio conclude: “Alla fine Tajani dice che le carte le aveva avute pure Nordio, però erano 40 pagine ed erano pure in inglese. Stessa cosa che ha detto oggi il Guardiasigilli, aggiungendo che c’erano addirittura degli allegati in arabo. Però poi, tra l’inglese e l’arabo, lui era riuscito a capire che l’atto era pieno di errori, c’erano le date sbagliate, violava il diritto internazionale e l’atto di arresto era addirittura nullo. Il tutto su carte in arabo e in inglese che lui non riusciva a capire, mentrePiantedosi anche oggi lo ha smentito dicendo che lui invece, arabo o inglese, aveva capito subito che Almasri era pericoloso”.

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Sul caso Almasri, il governo italiano si è impiccato col Nordio scorsoio.

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Il venditore e il palazzinaro di TecnoGaza*.

(*) Copyright: Maurizio Crozza.

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Ancora tre morti, nella media quotidiana della sicurezza sul lavoro in Italia.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Giancarlo Ferretti, 63enne geometra di Montesilvano (Pescara), è morto martedì 4 febbraio a Navelli (L’Aquila), precipitando per una ventina di metri all’interno di una cava.

Verso le 12,30 al collega con il quale stava misurando i materiali estratti è scivolato di mano un tablet, che Ferretti si è offerto di recuperare. Nonostante l’invito dell’altro a attendere il rientro degli operai, il geometra si è avventurato su per i gradoni della cava.

Stava per recuperare il tablet ma si è sporto troppo, ha perso l’equilibrio ed è caduto, battendo la testa contro una roccia. La morte è stata quasi istantanea.

Tawfik bin Ibrahim Al Agnf, 47enne bracciante tunisino, è morto nel pomeriggio di martedì 4 febbraio mentre con alcuni connazionali era al lavoro in un terreno agricolo di Comiso (Ragusa), in contrada Giardinello.

Il lavoratore si è accasciato all’improvviso ed è spirato nel giro di poco, probabilmente a causa di un malore.

Antonio Ubizzo, 59enne infermiere di Mestre (Venezia), addetto ai servizi a domicilio nel distretto veneziano di Fàvaro, è morto sabato 1° febbraio nell’ospedale all’Angelo.

Vi era stato ricoverato il giorno prima, quando rientrando con l’auto di servizio dagli appuntamenti sul territorio era stato colpito da infarto. Ricoverato in condizioni gravissime, è morto dopo poco più di 24 ore.

#giancarloferretti#tawfikalagnf#antonioubizzo#mortidilavoro

Febbraio 2025: 8 morti (sul lavoro 8; in itinere 0; media giorno 2)

Anno 2025: 95 morti (sul lavoro 80; in itinere 15; media giorno 2,8)

17 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 3)

13 Veneto (10 – 3)

8 Puglia (8 – 0)

7 Piemonte, Campania (7 – 0); Toscana (6 – 1)

6 Calabria (6 – 0)

5 Abruzzo (5 – 0); Emilia Romagna (3 – 2)

4 Lazio (3 – 1)

3 Umbria, Sicilia (3 – 0)

2 Trentino, Basilicata (2 – 0); Liguria, Marche (1 – 1)

1 Molise, Sardegna (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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Attualità

Uno come Trump farebbe schifo pure ad Adam Smith.

di Sahra Wagenknecht

“Se l’economista scozzese Adam Smith ha affiancato alla propria opera sulla ricchezza delle nazioni un volume altrettanto corposo sulla Teoria dei sentimenti morali.

Smith era convinto che la mano invisibile del mercato potesse funzionare soltanto in un’economia in cui esistono determinate regole di comportamento che non possono essere garantite dal semplice mercato.

«Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe della fortuna altrui e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità», scriveva Smith con un certo ottimismo.

La celebre tesi secondo cui il libero mercato può portare al benessere collettivo poggiava dunque sul presupposto, da lui dato come certo, che l’essere umano non si comporta come un homo oeconomicus dedito al calcolo utilitaristico, bensì come una creatura comunitaria, il cui egoismo è tenuto a freno dalla lealtà e dall’empatia nei confronti degli altri.

Lo spietato pagamento in contanti Smith sottostimava il potere distruttivo del libero mercato e della ricerca sfrenata del profitto nei confronti dei valori e dei vincoli di comunità riconosciuti.

Un’economia il cui motore centrale consiste nell’idea di ricavare sempre più denaro dal denaro poggia su un freddo calcolo di costi e benefici per il quale tradizione e costumi, religione e morale non sono altro che elementi di disturbo.

Laddove si debba calcolare ogni cosa, gli oggetti perdono il loro senso e il loro valore immanenti.

La disuguaglianza crescente mina inoltre la fiducia, la coesione e l’empatia, dal momento che gli uomini che vivono in mondi completamente diversi e non incontrano più gli altri strati sociali si sentono sempre meno parte di una totalità condivisa.

Già agli inizi del capitalismo il nuovo ordine portò alla frammentazione delle comunità, alla distruzione dei beni comuni e allo sradicamento degli uomini, che vennero strappati ai propri legami consueti e al ritmo di vita tradizionale e consegnati ai mercati e alle macchine, ai cui ritmi si dovettero da quel momento sottomettere.

Il giudizio di Karl Marx secondo cui il capitalismo avrebbe «fatto della dignità personale un semplice valore di scambio» e non avrebbe «lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti» non descrive la realtà sociale del 1848, bensì una linea di sviluppo che si è fatta strada soprattutto nel capitalismo globalizzato e legato al mercato finanziario del XXI secolo.

Ma una società che distrugge le proprie tradizioni, i propri valori e vincoli di comunità, distrugge il collante che la tiene insieme.” (Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra liberale”, Fazi Editore.)

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Il governo Meloni è l’espressione di una nuova classe deferente.

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14 camionisti sono morti di lavoro dall’inizio dell’anno.

di Piero Santonastaso | Facebook.com/Mortidilavoro

Tre dei 5 morti di lavoro di questo inizio febbraio erano autotrasportatori. Dall’inizio dell’anno sono già 14 le vittime tra i camionisti, quasi il 19% del totale. L’ultima è del tardo pomeriggio di lunedì 3 febbraio, un camionista straniero di cui per ora non si conoscono le generalità né la provenienza.

È morto sulla A4 tra i caselli di Grisignano di Zocco (Vicenza) e Vicenza Est in direzione Venezia. Il suo tir ha iniziato a sbandare per poi fermarsi di traverso sulla seconda corsia.

Il conducente è stato trovato senza vita nella cabina di guida, probabilmente vittima di un malore che però non gli ha impedito di fermare il mezzo, evitando così un bilancio peggiore.

Giuseppe Lonoce, agricoltore 65enne di Sava (Taranto), è morto lunedì 3 febbraio mentre potava un ulivo con una sega elettrica. Lo strumento gli è sfuggito di mano e lo ha ferito gravemente a una gamba, recidendogli un’arteria femorale.

L’uomo è morto dissanguato prima dell’arrivo dei soccorsi, chiamati dal figlio della vittima. Disastroso l’inizio d’anno in Puglia, dove i morti di lavoro sono raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2024: erano stati 4, sono diventati 8.

#giuseppelonoce#mortidilavoro

Febbraio 2025: 5 morti (sul lavoro 5; in itinere 0; media giorno 1,7)

Anno 2025: 92 morti (sul lavoro 77; in itinere 15; media giorno 2,7)

17 Lombardia (sul lavoro 14, in itinere 3)

12 Veneto (9 – 3)

8 Puglia (8 – 0)

7 Piemonte, Campania (7 – 0); Toscana (6 – 1)

6 Calabria (6 – 0)

5 Emilia Romagna (3 – 2)

4 Abruzzo (4 – 0); Lazio (3 – 1)

3 Umbria (3 – 0)

2 Trentino, , Basilicata, Sicilia (2 – 0); Liguria, Marche (1 – 1)

1 Molise, Sardegna (0 – 1)

Gennaio 2025: 87 morti (sul lavoro 72; in itinere 15; media giorno 2,8)

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