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Secondo Fmi l’Italia è nei guai fino al collo. Con buona pace del populismo di Berlusconi e i trucchetti contabili del rag.Tremonti.

Notizie pessime per l’Italia. Nel nostro Paese, dopo un 2009 di profonda recessione, non ci sarà crescita positiva nemmeno nel 2010 con un fortissimo appesantimento dei conti pubblici e del debito.

Secondo il Fondo Monetario internazionale (Fmi) di Washington quest’anno l’Italia registrerà un calo del Pil del 4,4%, che sarà seguito da un altro calo, dello 0,4%, nel 2010. Le stime sono sostanzialmente in linea con quelle stilate alla fine di marzo dall’Ocse (pari rispettivamente a -4,3% e a -0,4%) ma decisamente più pessimistiche di quelle presentate dal governo in occasione dell’aggiornamento del programma di stabilità (-2% e +0,3%).

In Italia il deficit di quest’anno salirà a livelli molto superiori rispetto a quelli richiesti dal trattato di Maastrich (5,4%) per poi salire ancora al 5,9% l’anno prossimo. Importanti anche le ricadute sul debito pubblico che, in rapporto al Pil, cresce dal 105,8% del 2008 al 115,3% per poi salire ancora al 121,1% nel 2010 e al 129,4% nel 2014.

Per il nostro Paese gli spazi per politiche di stimolo dell’economia proprio alla luce del suo elevato debito pubblico sono “quasi inesistenti”. Notizie nere anche per il lavoro con un forte aumento del tasso di disoccupazione che dal 6,8% della forza lavoro del 2008 salirà quest’anno all’8,9% per passare al 10,5% nel 2010. Beh, buona giornata.

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Crisi o non crisi, in Italia ci sono sempre due milioni e mezzo di poveri.

Quasi 2 milioni e mezzo di persone, il 4% dell’intera popolazione, vive in Italia in condizioni di povertà assoluta.

Lo rileva l’Istat nel rapporto sulla povertà nel 2007. Nulla è cambiato fra il 2005 e il 2007.

L’incidenza di povertà assoluta è rimasta stabile, e immutate sono anche le caratteristiche delle 975 mila famiglie povere: le più numerose, con tre o più figli, dove il capofamiglia è dissocupato e ha abbandonato la scuola dopo la licenza media, oppure gli anziani soli.

Peggio tra tutte le Regioni, il Sud e le isole dove l’incidenza di povertà assoluta (5,8%) è doppia rispetto a quella osservata nel Nord (3,5%) o al Centro Italia (2,9%).

“Sono i più poveri tra i poveri – ha spiegato Linda Laura Sabbadini che ha curato la statistica – che vivono una vita minimamente accettabile”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Lavoro Popoli e politiche

Le prossime elezioni europee possono servire a qualcosa di buono?

Tanto è forte l’opposizione sociale, quanto è debole l’attuale opposizione parlamentare.

Se anche nel Principato di Monaco si scatena la protesta contro la crisi, vuol dire che è ora di guardare in faccia la realtà. A Montecarlo circa 3000 persone sono sfilate in corteo, percorrendo quelle strade che sono il circuito di Montecarlo, la gioia degli sponsor della Formula 1. Metre d’hotel, croupier del Casino, dipendenti di alberghi, bar e ristoranti del più famoso paradiso fiscale d’Europa hanno manifestato contro la crisi. “Qui vengono tutti i ricchi del mondo-ha detto un sindacalista di Montecarlo- mentre il 40% del personale dei locali pubblici monegaschi lavora in nero”.

In forme diverse stiamo assistendo al ritorno delle grandi proteste che ci sono state in tutto il mondo, compresa l’Italia con Genova, prima dell’11 settembre 2001 dove si fusero insieme il no alla globalizzazione, la protesta contro le ineguaglianze nel mondo del lavoro e la richiesta di maggiore attenzione verso l’ambiente. E’ quanto si può ricavare dalle proteste contro il G-20 a Londra, dalle manifestazioni contro la Nato a Strasburgo, dalle centinaia e centinaia di migliaia di lavoratori, studenti e precari che hanno riempito le piazze italiane, convocati dalla Cgil, dal movimento dell’Onda, dalle organizzazioni del sindacato di base. Sembrano essere tornate le giornate del movimento No Global, quella fiammata che si spense dopo l’11 settembre per riaccendersi di tanto in tanto e senza una strategia.

“Il movimento arretrò perché i sindacati e i partiti politici non vollero essere associati direttamente con un movimento di azione diretta e radicale del quale avevano paura”, dice Naomi Klein , in una lunga intervista, appena pubblicata da un settimanale italiano. “Adesso mi pare che le cose siano diverse: se guardiamo alle strade di Londra vediamo che, fianco a fianco, sfilano giovani attivisti di matrice radicale e vecchi sindacalisti, precari alle prese con lavori che oggi ci sono e domani no e militanti ambientalisti e pacifisti. È una nuova scelta di militanza che ha alla sua base la crisi economica e i problemi di vita quotidiana, anzi di sopravvivenza quotidiana, che milioni di persone vivono a causa delle scelte delle leadership mondiali”.

L’opposizione contro la gestione della crisi ha anche coinvolto la classe operaia, che ha dato in vita in Francia al “sequestro” dei manager, per imporre migliori condizioni contrattuali, in tema di difesa dei posti di lavoro. E’ successo alla Caterpillar. E’ successo alla Continental, dove un anziano operaio ha detto: “hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo”.
E’ successo alla Fiat in Belgio. Tre dirigenti della Fiat per cinque ore sono stati rinchiusi dentro due stanze del centro vendite autovetture di Bruxelles, da alcuni lavoratori che protestano per un piano di licenziamenti. La Fiat ha reagito, annunciando che”esclude per il futuro la possibilità di tenere rapporti con organizzazioni sindacali che avallino simili forme di protesta”.
Immediata la reazione del sindacato. Abel Gonzales – rappresentante del sindacato Fgtb, ha detto: “E saremmo noi i terroristi? Loro mettono la gente in cassa integrazione e questo non è prendere in ostaggio la gente?” Gli fa eco Giorgio Cremaschi: “Le dichiarazioni della Fiat contro i lavoratori e i sindacati belgi sono inaccettabili. La rottura della convivenza civile che lamenta l’azienda avviene prima di tutto quando durante la crisi si scelgono i licenziamenti come modo di affrontarla. L’esasperazione dei lavoratori va capita anche dalle aziende. Peraltro – aggiunge Cremaschi – i cosiddetti sequestri sono in realtà semplici invasioni di uffici che durano poche ore”.
Ma è successo anche alla Benetton di Piobesi, in Piemonte. «A Bruxelles hanno sequestrato tre manager della Fiat per colpa di 24 licenziamenti? Almeno nel nostro caso erano 143 persone a perdere il posto», ha detto Giuseppe Graziano, segretario della Uilta-Uil piemontese. Quelli che ha vissuto a Piobesi, nello stabilimento della Olimpias, sono stati momenti tutt’altro che facili per Tullio Leto, direttore del personale dell´azienda tessile del gruppo Benetton: quando hanno saputo che l´azienda non avrebbe concesso la minima apertura, i lavoratori lo hanno tenuto in assedio per tre ore e lui è uscito dallo stabilimento attraverso una porta sul retro, grazie all’intervento dei carabinieri.

Le cancellerie europee sono preoccupate. “Le prospettive dell’economia sono eccezionalmente cattive e la crisi del lavoro è a questo punto drammatica, la disoccupazione è all’8,2% pari a 13 milioni di uomini e donne disoccupati”, ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncke.
Le manifestazioni di piazza hanno fatto crollare nelle ultime settimane i governi in Islanda, in Lettonia e in Ungheria. Dublino è stata attraversata da cortei senza precedenti con centinaia di migliaia di operai e impiegati a protestare contro gli ennesimi tagli di bilancio che hanno frantumato il potere d’acquisto irlandese fino a portare il paese sull’orlo della bancarotta. A Vilnius i dimostranti hanno preso addirittura d’assalto il Parlamento dopo l’annuncio di un rialzo delle imposte per i lavoratori dipendenti.
E si muove ora anche la Confederazione dei Sindacati Europei, storicamente confinata a funzioni di rappresentanza presso le istituzioni dell’Unione. Per metà maggio, in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, si stanno mobilitando quattro “manifestazioni europee”, il 14 a Madrid, il 15 a Bruxelles, il 16 a Berlino e Praga. Segnali di una protesta che oramai varca i confini nazionali, oltre che quelli tematici e ideologici.

Ha ragione Naomi Klien quando dice: “non bisogna, comunque guardare solo a quanto avviene intorno ai summit mondiali dove i media riportano ogni più piccolo dettaglio. Nel mondo ci sono tanti episodi giornalieri di manifestazione di questa rabbia che non vengono pubblicizzati. Quello è il movimento che vive e cresce”.
Quello che stupisce è la “leggerezza” dell’opposizione parlamentare italiana di fronte alla pesantezza della crisi. Per il Pd la partecipazione del segretario Franceschini alla manifestazione della Cgil del 4 aprile a Roma è sembrato il massimo sforzo possibile. Segno evidente che l’estromissione della Sinistra dal Parlamento italiano fa vedere tutti i suoi frutti amari. Il prossimo 6 e 7 giugno c’è la possibilità di rimediare, almeno nel Parlamento europeo. Sarebbe un segnale importante per l’appoggio e lo sviluppo dell’opposizione sociale alla crisi del capitalismo, in Italia e in Europa. Beh, buona giornata.

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La Pasqua triste degli italiani in crisi.

PASQUA: FIPE, PREVISIONI DI FORTE CALO PER I RISTORANTI

(ASCA) – Roma, 11 apr – Un po’ per la crisi economica e un po’ per il clima triste per il terremoto fanno prevedere alla Fipe (pubblici esercenti) un forte calo di lavoro per i ristoranti.

Insomma, clima mesto per la Pasqua degli italiani. La ricorrenza della Resurrezione cosi’ a ridosso del dramma in corso in Abruzzo ha attenuato notevolmente il clima di serenita’ e di gioia tipico di questa festa. Le ferite profonde inferte fisicamente e moralmente agli italiani si ripercuotono anche nel comportamento in occasione di questa festivita’.

Il clima di difficolta’ economica aveva gia’ condizionato le scelte dei consumatori ed e’ stato appesantito dalla tragedia del terremoto. Soprattutto quest’ultimo evento sembra aver influito sulle tradizioni. Gli italiani non sembrano avere molta voglia di acquistare abbacchi, capretti, colombe e uova di cioccolato e molti di loro vivrebbero il pranzo al ristorante in dissonanza con l’umore triste di questi giorni. Da un’analisi del centro studi Fipe, infatti, risulta che nonostante la quasi totalita’ dei ristoranti tradizionali (94,5% pari a 54mila unita’) sara’ aperto, saranno non piu’ di 4,3 milioni gli italiani che sceglieranno di stare fuori casa, generando una spesa di circa 182 milioni di euro. Notevole e’ il numero dei ristoratori pessimisti (40,9%) pessimista a cui si aggiunge la percentuale (59,1%) di coloro che non prevedono grandi variazioni rispetto allo scorso anno. I prezzi contenuti per il pranzo tutto compreso (circa 42 euro) non riusciranno, secondo l’indagine, a distrarre la popolazione dal clima di difficolta’. Il calo nei ristoranti sara’ soprattutto da parte dei residenti.

”E’ una situazione brutta e triste – ha commentato il presidente Fipe, Lino Enrico Stoppani – ed e’ comprensibile questa reazione. La misura del dolore e’ data proprio dalla rinuncia ai simboli della tradizione, come il consumo di abbacchio e altri piatti tradizionali”.

Pasquetta, giornata in cui tradizionalmente si preferisce la scampagnata al ristorante, vedra’ una percentuale di locali chiusi di poco superiore a quella del giorno prima, con risultati di fatturato per il 58% dei ristoratori in linea con l’anno precedente. Si prevedono, infatti, 2,6 milioni di clienti per un incasso stimato in poco piu’ di 105 milioni di euro che fara’ salire a oltre 287 milioni e mezzo di euro la spesa complessiva delle due giornate. L’offerta di un menu ”tutto compreso” sara’ praticata da oltre il 77,8% dei ristoranti con un prezzo medio leggermente inferiore a quello dell’anno scorso (40,30 euro contro i 41 del 2008) pari cioe’ a una flessione del 1,7%. La clientela di Pasquetta sara’ composta per il 33,2% da gruppi di amici e per il 24,2% da singole famiglie, prevalentemente turisti italiani (48,4%) di fascia di eta’ giovane (64,5%).

PASQUA. Il giorno di Pasqua saranno in attivita’ 94,5% ristoranti pari a poco piu’ di 54.000 unita’.

Per il 59,1% dei 270 intervistati i risultati attesi sono sullo stello livello dell’anno precedente sia in termini di clientela che di fatturato, mentre circa quattro ristoratori su dieci sono pessimisti e si aspettano una Pasqua sottotono rispetto all’anno scorso. Dunque il saldo e’ negativo.

Sono attesi poco piu’ di 4,3 milioni di clienti per una spesa pari a 182 milioni di euro.

Vengono date in flessione tutte le tipologie di clientela in particolare quella non turistica.

Al ristorante prevale l’offerta del menu ”tutto compreso” ad un prezzo medio di 42,70 euro, pari all’ 1,8% in meno rispetto al 2008. Menu tradizionale in sette ristoranti su dieci. L’agnello e’ il secondo piatto per eccellenza piu’ o meno in ogni regione, mentre grande varieta’ nei primi piatti e nei dolci.

PASQUETTA. Poco piu’ di 46mila ristoranti in attivita’ il giorno di Pasquetta. Risultati attesi sugli stessi livelli dell’anno scorso per il 58% degli intervistati.

Sono previsti 2,6 milioni di clienti per un incasso stimato in poco piu’ di 105 milioni di euro.

L’offerta di menu ”tutto compreso” riguarda oltre il 77,8% dei ristoranti con un prezzo medio leggermente inferiore a quello dell’anno scorso (40,30 vs. 41,00 euro pari a -1,7%).

Prevalentemente a Pasquetta la clientela e’ composta per il 33,2% da gruppi di amici e per il 24,2% da singole famiglie, prevalentemente di turisti italiani (48,4%) di fascia di eta’ giovane (64,5%). (Beh, buona giornata).

red/min/ss

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La crisi e le classi dirigenti: “la crisi di questi ultimi mesi ha messo a nudo l’illusione del primato del prezzo come indicatore di valore professionale, aziendale e sociopolitico.”

di Giuseppe De Rita da corriere.it

Esiste un legame sommerso che forse spiega la contemporaneità fra i commenti sul recente congresso del popolo berlusconiano e le notizie sul quasi persecutorio disprezzo destinato agli strapagati grandi manager della finanza e del lusso. Questi perdono la leadership dello sviluppo internazionale e nazionale (hanno creato un sacco di guai e sono oggi costretti a chiedere aiuti pubblici) ed è consequenziale la tentazione a riproporre un nuovo primato della politica, in diretto rapporto con le più generali emozioni collettive. Ritorna allora di moda il termine «popolo», categoria così onnicomprensiva da permettere di superare le tante articolazioni di classe, di gruppo, di categoria; di abbracciare senza schemi prefissati le istanze più diffuse delle società; di aspirare a un consenso ampio e ultramaggioritario.

Prospettiva quest’ultima che attira molto il sospetto di quella facile tendenza al populismo che ne sarebbe l’obbligato sbocco finale. Un sospetto indebito, a dire il vero, perché un consenso costruito su una accezione generica di popolo può bastare per connotare periodi storici brevi, ma non è abilitato e legittimato a costruire assetti sociali e istituzionali stabili. Specialmente in una società indistinta e sconnessa come la nostra. È opportuno allora ricordare che i grandi sistemi del passato sono stati costruiti quando il popolo viveva in interazioni quotidiane forti con altrettanto forti oligarchie. Vale ancora e sempre il Senatus populusque romanus: senza popolo l’oligarchia inciucia o si dilania, senza «senato » il popolo diventa passiva base di puro populismo. Per la realtà italiana, la seconda di queste ipotesi è quella più attuale e pericolosa, visto che siamo segnati profondamente dalla mancanza di una cultura e di un potere capaci di fare sintesi dei tanti segmenti sociali che tentiamo di racchiudere nella parola popolo.

Negli ultimi anni di capitalismo un po’ troppo selvaggio abbiamo allegramente costruito una falsa oligarchia, quella dei manager e finanzieri che, sotto la esaltazione dei processi di globalizzazione e finanziarizzazione, hanno imposto una più ambigua coincidenza fra «valore» e «prezzo»: le aziende erano spinte a creare valore attraverso l’aumento del loro prezzo di borsa; i dirigenti erano spinti a far coincidere il loro valore con il proprio prezzo stipendiale e di bonus. Su questa spesso ingenua furbizia si è dissolta una applaudita tentazione di leadership collettiva; ma la crisi di questi ultimi mesi ha messo a nudo l’illusione del primato del prezzo come indicatore di valore professionale, aziendale e sociopolitico.

Dai giudizi severi del presidente Usa alle violente contestazioni europee verso i manager superpagati si evidenzia la convinzione che il recinto dei capitalisti finanziari (con le loro strutture, le loro sigle, i loro indicatori, le loro super retribuzioni), non è più legittimato a interpretare e orientare il popolo. Questo resterà solo per un po’, magari sedotto da qualche illusione populista; ma un Senatus sarà sempre necessario, come insegna la storia. Esso si costruirà in futuro attraverso un recupero della capacità di coagulare interessi, persone, gruppi, istituzioni, perché è la connessione sociale, e non il prezzo come valore, che formerà la nuova classe dirigente. Sarà cosa lenta, ma inevitabile. (Beh, buona giornata).

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La crisi, la protesta e la “rabbia populista”.

La rabbia populista
di FRANCESCO RAMELLA da lastampa.it

C’è qualcosa che accomuna l’indignazione degli americani contro l’élite finanziaria di Wall Street e le manifestazioni popolari che si sono viste in Europa nelle scorse settimane? A gennaio, in un articolo sul New York Times, Paul Krugman ha segnalato il montare negli Stati Uniti di una «rabbia populista» contro i salvataggi dei grandi banchieri. Di recente, questa populist rage è stata «celebrata» e ufficializzata da una copertina di Neewsweek. Alcuni commentatori vi hanno intravisto dei parallelismi con quanto sta accadendo nel vecchio continente.

Ma davvero le dimostrazioni contro i grandi della terra in Inghilterra, il sequestro-temporaneo dei manager in Francia, la mobilitazione della Cgil in Italia sono comparabili con quanto avviene sull’altra sponda dell’Atlantico? In effetti, anche il «malcontento europeo» possiede una forte connotazione antiestablishment. E tuttavia presenta importanti elementi distintivi: la matrice anticapitalista di alcune proteste, la loro componente anti-governativa (e talvolta antipolitica), la dimensione di piazza.

Sulle pagine di Newsweek lo storico Michael Kazin ha ricordato la presenza nella storia americana di altre contestazioni populiste contro l’establishment economico (e politico). Secondo lo storico della Georgetown University ciò che avvicina la reazione odierna alla crisi a quella dei movimenti populisti di fine Ottocento e degli anni Trenta, è l’indignazione. Si tratta della protesta di persone comuni che vogliono che il sistema viva all’altezza degli ideali che professa. Difficile, tuttavia, non scorgere anche le differenze tra la rabbia del presente e quella del passato. E, soprattutto, tra quella americana e quella europea. Negli Stati Uniti di oggi manca la dimensione di piazza della mobilitazione. Così come mancano la componente antisistemica e quella politica.

Piuttosto che interrogarsi sulla rabbia che accomuna i due continenti, ci si potrebbe perciò porre una domanda opposta. Perché negli Stati Uniti – dove la crisi economica ha avuto il suo epicentro e ha conseguenze molto drammatiche per gli individui – non si registrano proteste di ben altra radicalità? Alcuni fattori vanno menzionati. In primo luogo, la debolezza del sindacalismo americano e la scarsa propensione alla mobilitazione di classe. In secondo luogo, la presenza di una tradizione culturale di maggiore accettazione delle disuguaglianze sociali, che tende ad attribuire ai singoli individui la responsabilità dei propri successi e insuccessi personali. Questo, inevitabilmente, finisce anche per individualizzare le tensioni generate dalla crisi e le sue reazioni.

Sui media americani hanno avuto una certa eco alcuni «casi esemplari». Quello di Addie Polk, una donna di novant’anni che si è sparata mentre la sfrattavano dalla casa in cui aveva vissuto per quasi quarant’anni. Quello di Karthik Rajaram, un quarantacinquenne disoccupato che sconvolto dai problemi finanziari ha ucciso la moglie, i tre figli e la suocera, prima di suicidarsi. Quello recentissimo di Jiverly Wong, un uomo di quarantun anni, di origini vietnamite, da poco licenziato dall’IBM, che ha compiuto una strage in un centro di assistenza agli immigrati. Solamente nell’ultimo mese, negli Stati Uniti, 25 persone sono state coinvolte in episodi di suicidi-omicidi collettivi. Nel corso del 2008, inoltre, il National Suicide Prevention Lifeline ha registrato circa 550 mila richieste di aiuto ai propri telefoni (+ 36% rispetto al 2007), con un sensibile aumento di coloro che riportano problemi economici e finanziari. Anche un recente rapporto dell’American Psycological Association lancia l’allarme sulle conseguenze psicopatogene della crisi economica: quasi la metà degli americani dichiarano forti stati di ansia per le condizioni economiche della loro famiglia; otto su dieci affermano che il cattivo stato dell’economia rappresenta una significativa causa di stress personale.

Infine, c’è un terzo elemento che aiuta a spiegare la mancanza di una deriva anti-politica delle attuali difficoltà economiche americane. Il fenomeno Obama. L’avvicendamento avvenuto alla Casa Bianca ha in parte canalizzato le tensioni derivanti dalla crisi. Alimentando la speranza in un cambiamento possibile, il nuovo presidente è riuscito a neutralizzare politicamente la «rabbia populista». Almeno fino ad oggi. (Beh, buona giornata).

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La crisi e la protesta. Naomi Klein: “A me sembra ingiusto che i banchieri che hanno creato la crisi non siano sotto processo e una ragazza vada in carcere per un vetro rotto”.

Intervista a Naomi Klein di Antonio Carlucci, da L’epresso.

I giovani che sono scesi in piazza sono molto arrabbiati. E gridano ai loro leader politici di salvare il pianeta e non solo le banche e le assicurazioni… Naomi Klein, la scrittrice che ha dato forma al movimento con due libri, ‘No Global’ e ‘Shock Economy’, e che da anni scrive per ‘L’espresso’, giudica per la prima volta quanto è accaduto a Londra, in Francia, a Strasburgo. Paragona il movimento di oggi a quello che abbiamo visto nelle piazze prima dell’11 settembre 2001, giudica la nuova leadership americana di Barack Obama, dice la sua sulle decisioni del G20, sottolinea le differenze che ci sono in questo movimento in Europa e negli Stati Uniti. E dice che chi è sceso in piazza in questi giorni “dimostra di avere etica, morale e principi”.

Come giudica le manifestazioni di Londra in occasione del G20 e quelle di Strasburgo nei giorni del summit della Nato?
“Con un nuovo stato d’animo e in forme diverse stiamo assistendo al ritorno delle grandi proteste che ci sono state in tutto il mondo, compresa l’Italia con Genova, prima dell’11 settembre 2001 dove si fusero insieme il no alla globalizzazione, la protesta contro le ineguaglianze nel mondo del lavoro e la richiesta di maggiore attenzione verso l’ambiente”.

Quella fiammata si spense dopo l’11 settembre per riaccendersi di tanto in tanto e senza una strategia. Ora accadrà lo stesso?
“Il movimento arretrò perché i sindacati e i partiti politici non vollero essere associati direttamente con un movimento di azione diretta e radicale del quale avevano paura. Adesso mi pare che le cose siano diverse: se guardiamo alle strade di Londra vediamo che, fianco a fianco, sfilano giovani attivisti di matrice radicale e vecchi sindacalisti, precari alle prese con lavori che oggi ci sono e domani no e militanti ambientalisti e pacifisti. È una nuova scelta di militanza che ha alla sua base la crisi economica e i problemi di vita quotidiana, anzi di sopravvivenza quotidiana, che milioni di persone vivono a causa delle scelte delle leadership mondiali”.
Non vede anche un filo populista che lega insieme la protesta contro i banchieri, quella contro i politici, quella contro i ricchi e, assai spesso, quella contro gli immigrati accusati di sottrarre posti di lavoro nel paese dove arrivano?
“Mi pare che il dato unificante e prevalente dei partecipanti alle manifestazioni sia la rabbia. E non è un sentimento artificiale, costruito sulla ideologia: la gente è arrabbiata e ha il diritto di esserlo. Il problema è dove sarà diretta questa rabbia, se sulle persone responsabili delle diverse crisi che attraversano il nostro mondo e se invece rischia di essere deviata contro coloro che stanno peggio, per esempio gli immigrati. A Londra il movimento ha detto chiaro che i responsabili della situazione sono i banchieri e i politici”.

Come valuta proteste come quelle avvenute in Francia dove i lavoratori delle fabbriche o degli uffici a rischio di chiusura hanno sequestrato direttori e manager?
“In Francia c’è da sempre un movimento di lavoratori strutturato e questi episodi sembrano un ritorno alle tattiche utilizzate nel 1968. Io non sono d’accordo con chi dice che c’è qualcosa di sbagliato nell’essere arrabbiati con i capi e che non bisogna fare azioni di quel tipo. Io ritengo che ci sia il diritto alla rabbia e alla lotta per i propri diritti a cominciare da quello del lavoro. Se non ci fosse un movimento organizzato, sapete che cosa accadrebbe? Che le uniche vittime della crisi economica sarebbero i lavoratori. Come sta accadendo negli Stati Uniti dove i lavoratori vengono licenziati e i manager che hanno portato al disastro le aziende ricevono bonus milionari”.

Visto che lei vede un movimento che ritorna in campo, non sembra proprio che negli Stati Uniti la rabbia si stia esprimendo nelle strade. Anzi, i luoghi più affollati sono le fair job, i raduni dove si incontrano disoccupati in cerca di un nuovo lavoro e imprenditori che hanno bisogno di lavoratori…
“Anche in America la rabbia c’è. Ma è stata deviata verso altri obiettivi. Provate a guardare la sera la Cnn, quando Lou Dobbs se la prende con gli immigrati messicani o sentite Rush Limbaugh su Fox Tv o sulla catena di radio che lo ospitano che dice agli americani che non è colpa dei banchieri e di Wall Street, ma del vostro vicino che vi porta via il lavoro”.
Ma da quasi tre mesi alla Casa Bianca non c’è più George W. Bush ma Barack Obama. E quelli che lei ha citato non amano Obama…
“Quella propaganda contiene elementi di cultura politica fascista ed è certamente diretta anche contro Obama. Essendo un afro-americano, il presidente è un buon bersaglio per questa reazione della destra populista. Anche se non ha ordinato il ritiro immediato dall’Iraq, vuole una escalation in Afghanistan e usa i soldi dei cittadini per salvare le banche private, siamo però al paradosso che la sinistra e i liberal difendono a spada tratta Obama per proteggerlo dalla destra populista e reazionaria. Tutto ciò impedisce al movimento di fare quanto è accaduto a Londra o in Italia, dove gli studenti hanno manifestato gridando al capo del governo Silvio Berlusconi che non vogliono essere loro a pagare una crisi che non hanno causato”.

Lei non vede grandi differenze tra l’era Bush e l’era Obama.
“Ce ne sono, eccome se ce ne sono. In Inghilterra, per esempio, tra il premier Gordon Brown e i suoi avversari conservatori. Ma negli Stati Uniti si pone troppa enfasi sul percorso elettorale che una volta concluso porta automaticamente alla nascita di un culto della personalità di cui oggi Obama è vittima e protagonista. Certo che Obama è meglio di John McCain ma non per questo la sinistra deve automaticamente esserne il difensore su tutta la linea”.

Il movimento della rabbia, come anche lei, critica il salvataggio delle banche. Ma Obama ha portato in Parlamento – e ne ha ottenuto l’approvazione – una legge in cui ci sono miliardi di dollari destinati a lavori pubblici o a creare posti di lavoro. Sbagliato anche questo?
“No. Ma, visto che spesso si paragona l’oggi con le scelte di politica economica di Franklin Delano Roosevelt dopo la Grande Depressione, molti dimenticano che Roosevelt arrivò alla Casa Bianca con un piano di rinascita decisamente vago e che le scelte giuste arrivarono grazie alla pressione politica della sinistra e dei sindacati. Oggi quella organizzazione non esiste, il sindacato dell’auto non sembra voglia dare battaglia. Oggi c’è l’Obamamania, l’attesa messianica intorno alla sua figua e l’interesse spasmodico di sapere perché la First Lady Michelel porta abiti senza maniche. Io noto invece che il principale dei suoi consiglieri economici è Lawrence Summers il quale è direttamente responsabile della terapia shock alla quale fu sottoposta la Russia dopo la caduta del Muro di Berlino. E abbiamo visto che cosa è diventato quel paese. È Summers che ispira gran parte delle scelte economiche del presidente Obama”.

La Casa Bianca ha anche lanciato il più grande piano di sviluppo delle energie alternative. Che cosa ne pensa?
“Penso che sia il risultato della esistenza di un forte movimento ambientalista in Nord America e delle loro iniziative ultra decennali. Io giudico positivamente queste scelte di Obama perché rispondono a richieste di cambiamento molto diffuse. Purtroppo nel piano di Obama mancano elementi importanti come una nuova politica per il trasporto pubblico, settore strategico per la costruzione di un Paese più verde”.

A Londra il movimento ha invaso le strade. Ora lei prevede che, finito il G20, i manifestanti se ne staranno tutti a casa in attesa del prossimo summit, magari il G8 di luglio in Italia, o la loro rabbia diventerà attività politica quotidiana?
“Dipende da molti fattori. Non bisogna comunque guardare solo a quanto avviene intorno ai summit mondiali dove i media riportano ogni più piccolo dettaglio. Nel mondo ci sono tanti episodi giornalieri di manifestazione di questa rabbia che non vengono pubblicizzati. Quello è il movimento che vive e cresce”.

E che spesso degenera in episodi di violenza. Sarà il problema con il quale si dovrà confrontare nell’immediato futuro?
“Non sono in grado di fare previsioni di questo tipo. Proprio stamattina ho letto un articolo su una ragazza finita in cella per aver rotto una vetrina della Royal Bank of Scotland a Londra. A me sembra ingiusto che i banchieri che hanno creato la crisi non siano sotto processo e una ragazza vada in carcere per un vetro rotto”.
A Strasburgo non ci sono stati solo vetri rotti…
“Quando c’è la rabbia è inevitabile. Io ho paura che possa esserci una reazione esagerata a questi episodi e una criminalizzazione di qualsiasi forma di protesta. Meno male che in questo momento molti poliziotti solidarizzano con i manifestanti, visto che sono colpiti anche loro dagli effetti della crisi”.

Abbiamo cominciato questa conversazione dalla manifestazioni di Londra contro il G20. Qual è il suo giudizio sul risultato del summit?
“Delusione. La retorica ha coperto e nascosto la portata delle decisioni. Gordon Brown ha solennemente dichiarato che è finita l’era del Washington consensus. Invece, poi è stato deciso di stanziare un trilione di dollari alla Banca mondiale e al Fondo monetario che sono sempre stati lo strumento del Washington consensus”. (Beh, buona giornata).

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La crisi e gli operai: “Loro mettono la gente in cassa integrazione e questo non è prendere in ostaggio la gente?”.

Tre dirigenti della Fiat per cinque ore sono stati rinchiusi dentro due stanze del centro vendite autovetture di Bruxelles, da alcuni lavoratori che protestano per un piano di licenziamenti. Un episodio che si riallaccia a quelli analoghi che si sono susseguiti nei giorni scorsi, in altri paesi europei.

La Fiat reagisce. Annuncia che”esclude per il futuro la possibilità di tenere rapporti con organizzazioni sindacali che avallino simili forme di protesta”.
Immediata la reazione del sindacato. Abel Gonzales – rappresentante del sindacato Fgtb, che insieme a una ventina di addetti della Fiat sta presidiando la sede della casa automobilistica in Belgio in attesa di poter incontrare il suo amministratore delegato – dichiara: “E saremmo noi i terroristi? Loro mettono la gente in cassa integrazione e questo non è prendere in ostaggio la gente?”.

Dall’Italia giunge poi la stigmatizzazione del segretario nazionale della Fiom-Cgil, Giorgio Cremaschi: “Le dichiarazioni della Fiat contro i lavoratori e i sindacati belgi sono inaccettabili. La rottura della convivenza civile che lamenta l’azienda avviene prima di tutto quando durante la crisi si scelgono i licenziamenti come modo di affrontarla. L’esasperazione dei lavoratori va capita anche dalle aziende. Peraltro – aggiunge Cremaschi – i cosiddetti sequestri sono in realtà semplici invasioni di uffici che durano poche ore”. (Beh, buona giornata).

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Crisi, l’Ue lancia l’allarme ai governi di centro-destra.

“Le propettive dell’economia sono eccezionalmente cattive e la crisi del lavoro è a questo punto drammatica, la disoccupazione è all’8,2% pari a 13 milioni di uomini e donne disoccupati”. Il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncke dixit. Beh, buona giornata.

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La rabbia contro la crisi è un Caterpillar

Il direttore del personale e altri quattro manager della Caterpillar sono tenuti sotto chiave dagli operai nella sede dell’azienda a Grenoble. I lavoratori impediscono loro di uscire dall’ufficio e chiedono di riaprire le trattative arenatesi sulla decisione dell’azienda di licenziare 733 delle 2.500 persone che lavorano in Francia per la multinazionale statunitense leader nella costruzione di macchinari per il movimento terra. “Una scelta – sostengono i dirigenti – dettata dal calo delle vendite del 55%”.

“Libertà in cambio di trattativa”. “Li tratteniamo per discutere con loro”, ha detto Benoit Nicolas, delegato del sindacato Cgt. “Chiediamo che fissino una riunione coi rappresentanti del personale per sbloccare i negoziati. Loro sostengono che non ci sono margini di trattativa perché non hanno tutti i poteri – ha aggiunto il sindacalista – ma penso che si possa arrivare a qualcosa”. Caute le dichiarazioni fatte filtrare oltre la cortina di operai dal direttore “sequestrato” della sede di Grenoble, Nicolas Polutnick: “Un piano di ristrutturazione è un procedimento complesso. Senza la libertà di movimento sarà difficile poter arrivare ad un negoziato”.

Caccia al manager. Non è la prima volta che succede. Qualche settimana fa, sempre in Francia, nella caccia al manager sono incappati l’amministratore delegato della Sony France, tenuto in ostaggio una notte, e il direttore della filiale 3M, liberato solo dopo la firma di un protocollo d’accordo e l’apertura dei negoziati sul taglio di 110 posti di lavoro su 235.

Assalto alla casa del banchiere. E la Francia non è l’unico Paese europeo in cui la crisi economica provoca episodi del genere. A Edimburgo pochi giorni fa è stata assaltata la villa di sir Fred Goodwin, ex amministratore delegato della Royal Bank of Scotland, ridotta al fallimento dal management. La responsabilità dell’azione è stata rivendicata dal gruppo “Bank bosses are criminals” (“I dirigenti di banca sono criminali”). (Beh, buona giornata).

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Crisi economica: Berlusconi non vuol dire fiducia.

Calo record nel mese di marzo per gli indici della Commissione Ue (Esi e Bci) che misurano la fiducia e il clima imprenditoriale europei, precipitati al livello più basso dal gennaio 1985. L’esecutivo dell’Unione europea ha reso noto che l’Economic Sentiment Indicator (Esi) è calato nell’eurozona di 0,7 punti a quota 64,6 mentre nella Ue a 27 è sceso di 0,6 punti a 60,3. Il Business climate indicator (Bci) nella zona dell’euro è a quota -3,58 contro il -3,40 di febbraio e il -2,92 di gennaio.

L’Italia è maglia nera tra i grandi paesi: -4,5 punti a quota 67,1 dal 71,6 di febbraio. (Beh, buona giornata).

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Di che cosa parliamo quando parliamo di crisi/2.

da ilmessaggero.it

Almeno 35 mila i partecipanti alla manifestazione anti-crisi e anti-globalizzazione in corso a Londra dalle 12 locali di oggi (le 13 in Italia), primo appuntamento in vista del G20 della settimana prossima. Il corteo si è svolto all’insegna dello slogan Lavoro, Giustizia, Clima. Proteste anche in Germania e in Belgio. Il G20 riunisce i 19 paesi più industrializzati (quelli del G8 in primis) con l’Unione europea. E un forum creato per favorire l’internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in sviluppo.

La protesta a Londra. Dal Victoria Embankement, lungo il Tamigi, il corteo è transitato dalla piazza del parlamento di Westminster, con alcuni gruppi che si sono staccati per fare una puntata davanti al numero 10 di Downing Street, la residenza del premier Gordon Brown attualmente in Sudamerica. Il raduno, battezzato ‘Put People First’ (La gente prima di tutto), è stato preparato da una coalizione di oltre 100 gruppi che vanno dalla Tuc, la confederazione dei sindacati britannici, agli ambientalisti, ai pacifisti e agli anarchici. Tra gli slogan più gettonati, quello coniato da Barack Obama durante la sua corsa verso la Casa Bianca: ‘Yes, we can’.

Germania. Proteste controil vertcie anche a Berlino e Francoforte. Secondo la polizia in piazza almeno 10 mila persone. Gli organizzatori parlano di 25 mila partecipanti nelle due città.

A Bruxelles una cinquantina di manifestanti hanno indossato maschere raffiguranti i venti leader mondiali del G20. (Beh, buona giornata).

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La crisi economica mette in luce la lotta di classe al contrario.

da ilmessaggero.it

Gli stipendi sono fermi mentre il fisco sembra inarrestabile. In 15 anni, ogni lavoratore ha perduto 6.738 euro come minore capacità di acquisto. Lo sostiene il quarto rapporto dell’Ires-Cgil presentato oggi alla stampa, su salari, produttività e distribuzione dei redditi. Insieme alla perdita di potere d’acquisto, nel rapporto si legge, che nello stesso pericodo esaminato (1993-2008) lo Stato ha beneficiato di 112 miliardi di euro tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag. Dall’analisi dei dati Istat – sempre secondo la Cgil – emerge come le retribuzioni di fatto dal 2002 al 2008 abbiamo accumulato una perdita del potere di acquisto pari a 2.467 euro, di cui circa 1.182 di mancata restituzione del drenaggio fiscale.

Proposta Cgil: 100 euro al mese sullo stipendio. La proposta del sindacato guidato da Guglielmo Epifani rivolta al governo, è che vengano erogati 100 euro medi di aumento mensile in busta paga, aumentando le detrazioni fiscali per lavoratori dipendenti, pensionati e collaboratori.

Più profitti per le imprese. Sempre secondo i dati diffusi dall’istituto di ricerca della Cgil, dal 1995 al 2006 i profitti netti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti di circa il 75% a fronte di un aumento delle retribuzioni di solo il 5%.

Il reddito degli italiani. E ancora: in base alle dichiarazioni dei redditi presso i Caf Cgil, si ha che circa 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 6,9 milioni meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 7,5 milioni dei pensionati prende meno di 1.000 euro netti mensili. Il reddito disponibile famigliare fra il 2000-2008 registra una perdita di circa 1.599 euro nelle famiglie di operai e 1.681 euro nelle famiglie con “capo famiglia” impiegato a fronte di un guadagno di 9.143 euro per professionisti e imprenditori.

Cig: penalizzate le donne. Riguardo alla cassa integrazione, un lavoratore a “zero ore” per un mese vede il suo stipendio abbassarsi dai 1.320 euro netti in busta paga ad appena 762 euro. Una lavoratrice in Cig, sempre a zero ore, con uno stipendio mensile di 1.100 euro netti passa a 634 euro netti. (Beh, buona giornata).

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Confindustria lancia un urlo di dolore, il Governo si tappa le orecchie.

Tra la metà del 2008 e la metà del 2010 in Italia verranno persi 507 mila posti di lavoro, il 2,2% dell’occupazione totale. La stima è del Centro Studi della Confindustria. Gli analisti spiegano che nel 2010 il tasso di occupazione salirà al 9%, un valore analogo a quello del 2001 (6,1% il minimo del 2007). Se si considerano anche le persone in cassa integrazione che quindi conservano formalmente il rapporto d’impiego, i posti persi sarebbero 867 mila, cioè il 2,8%.

C’è qualcuno “che si esercita nel piacere del peggio”, ha commentato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. (Beh, buona giornata).

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La crisi fa rabbia.

(Fonte: repubblica.it)

Non è un buon momento per manager e banchieri. Buone uscite miliardarie e privilegi che appaiono intoccabili attirano ora come non mai indignazione e malcontento, che portano a gesti forti, come la vandalizzazione di proprietà private o addirittura al sequestro.

In Scozia, la scorsa notte la casa di Edimburgo di Sir Fred Goodwin, il discusso ex amministratore delegato del Royal Bank of Scotland da lui ridotta sull’orlo del lastrico, è stata attaccata da alcuni vandali che hanno sfondato i vetri delle finestre e distrutto un’automobile. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo sinora sconosciuto, ma dal nome eloquente “Bank bosses are criminals” che in una e-mail minaccia: “L’attacco Goodwin è solo l’inizio”. L’ex numero uno dell’Istituto finanziario crollato è al centro di aspre polemiche, dopo aver lasciato l’incarico con in tasca una pensione d’oro da quasi 17 milioni di sterline. Fu lui a pilotare le operazioni di acquisizione di quote dell’olandese Abn Amro nel 2007 che contribuirono a far crollare la banca scozzese.

In Francia è stato sequestrato in ufficio Luc Rousselet, il direttore della filiale dell’americana 3m a Pithiviers (a sud di Parigi). L’azienda produttrice di articoli di cancelleria ha annunciato un piano di tagli aziendali nelle 13 filiali francesi, dove lavorano complessivamente 2.700 persone. I sindacati chiedono una mediazione e pongono condizioni per liberarlo.

Neanche due settimane fa un caso analogo si era verificato nella filiale Sony di Pontonx-sur-l’Ardour, a sud di Bordeaux. L’amministratore delegato della Sony è stato ostaggio per una notte, insieme al capo delle risorse umane, dopo l’annuncio dell’azienda del taglio di 8mila posti di lavoro, equivalente all’8 per cento degli impiegati Sony in tutte le sedi del mondo, e la chiusura della filiale di Bordeaux dove lavorano 311 dipendenti.

La tattica dei sequestri di alti dirigenti era già stata sperimentata in Francia un anno fa nella fabbrica della Michelin di Toul in Meurthe-et-Moselle. Già nel 2007, in campagna elettorale per le presidenziali, l’attuale capo dello Stato Sarkozy martellava sulla necessità di limitare i cosiddetti paracaduti d’oro, gli scivoli milionari ai manager licenziati (e ritenuti a torto o ragione incapaci). Se nel 2007 pareva ancora un tema dagli accenti demagogici, adesso la crisi lo rende di bruciante attualità. (Beh, buona giornata).

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Crisi globale: Berlusconi, uno che c’ha “le balle”.

«Molti paesi membri del G20 devono ancora avvertire il pieno impatto della crisi, per questo dovrebbero adottare azioni immediate per contenere un ulteriore deterioramento della situazione». FMI (Fondo monetario internazionale) dixit. Beh, buona giornata.

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Il governo accontenta Confindustria. Dunque, era vero che i soldi non erano veri.

“Il governo – dice la presidente di Confindustria Marcegaglia – ha dato garanzia alle imprese che nei prossimi giorni sarà innalzata da 560.000 a un milione di euro la soglia di compensazione debiti-crediti con l’erario”. Alla luce delle parole del premier, il presidente di Confindustria ha giudicato l’incontro “positivo e costruttivo”, sufficiente per concludere che sulle piccole imprese è “stato raggiunta un’intesa”. “Su alcuni punti abbiamo visto soldi veri, mentre su altri punti ci saranno”, ha detto Marcegaglia riferendosi alle preoccupazioni che aveva espresso alcuni giorni fa quando, davanti alla platea della piccola industria riunita a Palermo, chiese per la ripresa economica “soldi veri”. Allora era vero che i soldi di prima non erano veri. Beh, buona giornata.

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Obama blocca i bonus ai manager delle aziende aiutate dallo Stato. In Italia, invece no.

Non sarà messa in discussione la proposta avanzata da alcuni parlamentari della Lega di mettere un tetto agli stipendi dei manager di banche e imprese che, in difficoltà per la crisi, beneficeranno di aiuti pubblici. Le proposte sono infatti contenute nell’elenco degli emendamenti al decreto «Salva-auto» considerati inammissibili per materia.

In particolare, un emendamento prevedeva che non potesse superare il limite di 350.000 euro annui il trattamento economico dei dirigenti di banche o istituti di credito che beneficiano in materia diretta o indiretta di aiuti anti-crisi. Un altro emendamento, considerato inammissibile, prevedeva che gli emolumenti corrisposti a qualunque soggetto avente rapporti di lavoro con le amministrazioni statali, o con le agenzie oppure con enti pubblici economici e d enti di ricerca, nonchè con i magistrati, non potesse superare il limite del trattamento corrisposto ai membri del Parlamento. (Beh, buona giornata).

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Crisi: Massimo D’Alema, minimo Tremonti.

Operazione di maquillage”, “misure molto limitate”. Cosi’ Massimo d’Alema ha definito gli interventi anticrisi del governo, parlando con i giornalisti a Torino a margine di un incontro con i lavoratori di alcune aziende in crisi. “Il governo ha spostato i soldi da un capitolo all’altro – ha sottolineato – ad esempio ha preso i fondi sociali delle regioni e li ha usati per finanziare gli ammortizzatori sociali”. Poi dando ragione a Emma Marcegaglia ha aggiunto: “si tratta di operazioni dove, come ha giustamente detto la presidente di Confindustria , non ci sono soldi veri.” Beh, buona giornata.

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Pil:-4%. Occupazione: -1.000.000. Ecco la crisi che Berlusconi vorrebbe passasse da sola.

Nel triennio 2008-2010 il Pil italiano potrebbe scendere del 4%. E’ quanto calcola l’Ires-Cgil secondo la quale il dato deriva da un calo dell’1% nel 2008 e da un drastico ribasso del Pil nel 2009 che dovrebbe superare il 3%. Nel 2010 la diminuzione dovrebbe ridursi ad un -0,1%. La flessione dell’occupazione in
Italia dovrebbe portare ad un tasso di disoccupazione del 10,1% nel 2010. E’ quanto stima l’Ires-Cgil secondo la quale nel 2009 il tasso dovrebbe salire al 9,3% dal 7,4% del 2008. (Beh buona giornata).

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