La guerra è una cosa troppo importante per lasciarla fare ai militari, figuriamoci a un avventuriero della politica del calibro di Donald Rumsfeld, uomo di punta di George W. Bush, il portavoce alla Casa Bianca del vice presidente Dick Cheney.
Secondo fonti del Pentagono, complice il conflitto in Libano nelle ultime settimane la situazione nella città irachene sembrava migliorata.
Di conseguenza, gli americani hanno recentemente annunciato il ritiro da Mosul di 3.500 uomini della 172esima brigata “Stryker” per rafforzare il dispositivo di sicurezza a Bagdad.
Se non che la guerriglia ha sferrato un violento attacco proprio a Mosul. La terza città del Paese in mattinata è stata teatro di un violento assalto dei ribelli che ha avuto come obiettivo principale le caserme della polizia.
Tre auto imbottite di esplosivo e altrettante mine sono state fatte esplodere in diversi punti della città mentre colpi di mortaio sono stati sparati contro postazioni delle forze dell’ordine. Una delle auto-bombe ha ucciso il colonnello Jassim Muhammad Bilal e due delle sue guardie del corpo. Negli scontri, che hanno impegnato militari iracheni e statunitensi, sono stati uccisi altri sei poliziotti e diversi guerriglieri.
Ciò che appare evidente, e sembra essere la caratteristica principale, il minimo comune denominatore tra gli scenari bellici iracheno, afgano e libanese è la totale mancanza di senso della realtà, anche del teatro bellico
A parte il fatto che in queste guerre moderne muoiono più civili che militari, e tra i civili, più donne e bambini, la potenza di fuoco è simmetrica all’impotenza dei risultati sul campo.
Zero controllo del territorio, zero successi militari, zero normalizzazione dei rapporti politici locali, zero capacità di individuare sbocchi, sia sul piano politico che su quello diplomatico. 100% di propaganda: ciò nonostante, l’esportazione della democrazia, dopo essere stata un’ insopportabile menzogna è un flop. Con il risultato, ogni giorno è più evidente che è più facile cominciare una guerra, sempre più difficile condurla verso un risultato credibile, quasi impossibile concluderla in modo vantaggioso.
In Afghanistan nessuno sa quale prospettiva si possa aprire al paese, a parte i Taleban che hanno ripreso quasi tutto il controllo del sud del paese e costretto Karzai agli “arresti domiciliari” a Kabul.
In Iraq occupazione militare, resistenza, terrorismo sono un tutt’uno, una palla di fuoco incandescente e indistinta: quando si mettono bombe nei campi di calcio, vuol dire che si sta facendo “pulizia etnica” tra sciiti e sanniti. Altro e più grave di guerra civile.
In Libano l’obiettivo tattico di una fascia di sicurezza oltre il confine libanese è in realtà un obiettivo strategico: la sopravvivenza della Stato ebraico. Ma, neanche tanto paradossalmente la potenza militare mostra anche ampi scorci di debolezza: una reazione militare lampo al sequestro di due militari israeliani si è trasformata in una guerra di posizione, mettendo in crisi il mito dell’invincibilità dell’apparato bellico.
Proprio come sta succedendo agli Usa in Afghanistan e in Iraq. Sembra un paradosso: fanno la guerra senza sapere fare la guerra. Per il semplice, seppur drammatico fatto che fanno la guerra, ma non sanno come continuare la politica.
Questi sono i tratti salienti che caratterizzano le politiche della Casa Bianca, di Down Street e oggi anche del gabinetto Olmert.
Una specie di “bolla speculativa”, come quella di Wall Street alla fine del 2000. Si sono accumulati valori, distruggendo il valore. Cioè: accumulando presunti valori occidentali, distruggiamo i valori della democrazia occidentale. La differenza è che quelli erano soldi, spesso virtuali. Morti, feriti e profughi sono veri, anche se li vediamo solo in tv.
Si rovesciano così i termini dello scontro tra pacifisti e guerrafondai: all’accusa di volere la pace senza sapere come realizzarla, si sostituisce il semplice dato di fatto che chi fa la guerra, fa la guerra senza sapere come andrà a finire. Come il pugile suonato che non sa più quale ripresa stia combattendo.
“Se sei pazzo puoi chiedere visita medica, ma se chiedi visita medica vuol dire che non sei pazzo”, recita il famoso Comma 22.
L’amministrazione Bush ha da tempo emanato il primo emendamento del Comma 22: se sei pazzo puoi chiedere la fine della guerra, ma se chiedi la fine della guerra non sei pazzo, sei un nemico.
Sta ai governi europei, a cominciare dal governo Prodi e al ministro D’Alema decidere: pazzi per la pace o nemici della guerra? Senza troppa diplomazia: negli Usa siamo alla campagna elettorale per le elezioni di medio termine, George W. Bush sta per scadere.
Non sarebbe neanche una grande gesto di coraggio politico, ma semplicemente il sottrarsi a quel detto popolare che dice: chi si fa pecora, il lupo se lo mangia.