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Il governo Prodi e i comportamenti stagni.

Se la percentuale di polvere di ferro utilizzata per la fabbricazione del Titanic fosse stata del 2 per cento e non del 9, come effettivamente fu, i perni avrebbero resistito e solo due compartimenti stagni si sarebbero allagati.

Il Titanic sarebbe rimasto a galla per molto più tempo consentendo alla nave Carpathia, che per prima rispose all’sos e che arrivò due ore dopo l’affondamento, di trarre in salvo una buona parte dei passeggeri, se non addirittura tutti.

Lo sostiene una ricerca di alcuni scienziati americani, docenti presso le università del Maryland e dell’Oregon, citata dal Times, che rivela nuovi particolari e affonda il mito del fato e dell’ineluttabilità del destino, costruito attorno al tragico episodio.

Vengono ora chiamati in causa l’imperizia e il materiale scadente utilizzato per la fabbricazione dei chiodi e perni metallici che assicuravano allo scafo i compartimenti stagni della nave.

La questione dei compartimenti stagni è esattamente il problema del governo Prodi, il cui programma politico, durante le elezioni sembrava inaffondabile, proprio come venne soprannominato il Titanic.

Imperizia politica e uomini scadenti nell’attuale governo rischiano di fare naufragio al primo grosso impatto: la legge di riforma del sistema delle tv e il combinato disposto della legge sul conflitto di interessi.

Di scogli finora il governo, più che superarli, ne ha presi più d’uno: la legge sull’indulto ha creato qualche brutto squarcio; la vicenda del rifinanziamento alla missone in Afghanistan ha lasciato un’ammaccatura, che il ritiro dall’Iraq e la vicenda del Libano hanno solo parzialmente riparato; si beccheggia sul calcio e su Alitalia, si sbanda su Telecom.

Ora la rotta del governo è in navigazione in acque pericolose. Ci si sta avvicinando a Scilla e Cariddi: da una lato la Finanziaria, dall’altro la legge sulle tv, appunto. Le nomine in Rai e quelle della Commissione parlamentare di vigilanza sono state solo la punta dell’icerberg: si è vista la maggioranza è imbarcare acqua poco limpida.

Terranno i compartimenti stagni o le sentine di allegaranno di inciuci, accordi sott’acqua, di mediazioni al ribasso? I convegni, le feste e i meeting estivi hanno voluto dimostrare che c’è possibilità di dialogo tra i due schieramenti. Ma questi balletti hanno dato l’impressione di un valzer sul ponte del Titanic.

E’ il momento che il timoniere dia l’ordine di pari avanti tutta sul programma del governo. C’è il rischio che neanche questa volta una qualche nave Carpathia giunga in tempo.

E per concludere con la metafora del Titanic bisognerebbe aggiungere ancora una cosa: la nave affondò perché non tennero i compartimenti stagni, Prodi è in difficoltà per via di certi comportamenti stagni. Siamo sicuri sia solo un gioco di parole? Beh, buona giornata.

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Quel bigliettino di andata e ritorno.

La sera del primo di ottobre del 2000, Gad Lerner, annunciò le sue dimissioni da direttore del Tg1, a causa di un tentativo di “ingerenza” del presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, che aveva tentato di raccomandare una giornalista precaria da assumere in Rai.

Il presidente della commissione di vigilanza sulla Rai aveva dato un bigliettino a Lerner con su scritto il nome di una ragazza da assumere. Era accaduto durante un pranzo tenuto all’indomani dalla nomina di Lerner a direttore del TG1.

Scoppiò una polemica che fece pensare all’incapacità degli uomini di Fini di saper stare al potere.

Poi, sempre a proposito di Rai, la vicenda Sottile ha dimostrato che gli uomini di An al potere hanno imparato come starci: spesso un poco stravaccati sul divano, ma capaci di fare tutto quello che voleva Berlusconi, come dimostra la legge Gasbarri.

Quel presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai era Mario Landolfi. Lo stesso Mario Landolfi che è stato appena nominato presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, nel 2006, nell’era del governo Prodi.

Evidentemente quel bigliettino era un titolo di viaggio che comprendeva anche il ritorno alla stesso incarico. Tranquilli, cari pendolari del telecomando, non si cambia binario: ieri come oggi alla Rai il capotreno del carrozzone Rai continua a essere Berlusconi. Beh, buona giornata.

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Questa non la bevo.

Chi beve regolarmente alcol, senza ovviamente esagerare, guadagna di più di chi non si fa un ‘goccetto’ neanche a pagarlo. A giurare – dati e grafici alla mano – sui benefici finanziari del consumo di alcol sono due economisti americani autori di uno studio dal titolo: ‘Niente bottiglia? Siete perdenti: i bevitori guadagnano più degli astemi’.

Il motivo di tanta fortuna in più- teorizzano gli autori – consisterebbe nella più vasta cerchia di contatti costruita dai bevitori. Questa teoria non la bevo: non credo siano i comportamento sociali che determino le relazioni sociali. Ma esattamente il contrario: se hai qualcosa da dire nel mondo delle tue relazioni, trovi qualcuno disposto a sentire le tue ragioni e hai più possibilità di realizzare quello che credi sia giusto fare.

Il bar, il circolo del golf, l’associazione velica o il tavolo del poker sono solo luoghi d’incontro, se non hai niente di buono in testa non combini niente di buono con le tue mani.

Finisce che al bar vedi solo doppio, sui campi da golf caddy dalle nuvole, in barca spari cazzate al vento, a poker sveli di essere un bluff.

E’ soprattutto la teoria del vincente o del perdente che ha rotto. Il mondo va rotoli perché è pieno di vincenti: vincono le inibizioni del buon senso e del buon gusto e fanno cose deprimenti.

Hanno il naso ficcato nelle chiappe del successo e sperano di riempirsi le tasche di soldi. Che spendono per nascondere la propensione a dire, fare e pensare quello che vogliono gli altri. Chi si iscrive nel partito dei furbacchioni trova sempre quello più furbo di lui, capace di soffiargli via dalle tasche tutti i soldi che ha fatto pensando di essere il più furbo.

Bere un buon bicchiere, anche due, può essere divertente, rende spigliati e magari “spiritosi”. Ma dipende dalla variabile più semplice del mondo: dipende, cioè con chi lo fai e perché.

Le persone normali, quando esagerano vomitano l’anima; i vincenti anche quando devono poco sputano via il senso del ridicolo. Questione di stomaco.
Michele l’intenditore di wiskhy , quel brandy che crea la famosa atmosfera, la birra che sounds good sono metafore pubblicitarie, credibili proprio perché innocue.

Se ci costruiamo sopra teorie del successo, sono guai. E, come dice la famosa battuta, chi crede di affogare i guai nell’alcol, non sa che i guai sanno nuotare. Beh, buona giornata.

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Il papocchio del Papa.

Il Papa “è vivamente dispiaciuto che alcuni passi del suo discorso abbiano potuto suonare come offensivi della sensibilità dei credenti musulmani e siano interpretati in modo del tutto non corrispondente alle sue intenzioni”. E’ quanto si legge in una lunga dichiarazione del nuovo segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone di fronte alla bufera scatenatasi nel mondo islamico dopo il discorso all’università di Ratisbona.

Papa Josef Ratzinger ha combinato un papocchio, che scatenato le ire delle autorità religione di quasi tutto l’Islam.

L’errore è l’aver confuso il suo vecchio incarico, quello di guardiano della dottrina della fede, che una volta si chiamava Sant’Uffizio, con il ruolo politico e diplomatico di Papa, che è il capo di uno stato, quello del Vaticano, che ha relazioni politiche e diplomatiche con tutto il mondo diplomatico, politico, civile e religioso.

Un errore grave, molto grave. Segno dei tempi, del modo odierno di gestire il potere, nel quale non si sanno vestire i panni dei ruoli istituzionali e ci si lascia andare a dichiarazioni “politicamente” sbagliate e dunque molto pericolose.

Non si tratta di fare il processo alle intenzioni, dunque non è importante giudicare ciò che non fosse nell’ intenzione e quali buone intenzioni siano state fraintese. Ma di prendere atto di un incidente diplomatico molto pesante.

Le parole del cardinale Bertone suonano goffe: “Ciò che il Papa intendeva era affrontare il tema del rapporto tra religione e violenza in genere e concludere con un chiaro e radicale rifiuto della motivazione religione della violenza, da qualunque parte essa provenga”.

Si continua a confondere ideologia con ragione di stato. Forse al Papa manca l’esperienza di Navarro Vals. Forse la scaltrezza di monsignor Ruini.

Ma i risultati sono devastanti per la reputazione della Santa Sede, in un momento delicatissimo del rapporto tra mondo arabo e l’Europa, alla luce del nuovo protagonismo della Ue, accanto all’Onu nella vicenda libanese, che tutti abbiamo salutato come una battuta d’arresto dell’unilateralismo Usa in Medioriente.

Un teologo integralista che diventa papa non può continuare a fare il teologo, cioè a testimoniare la supremazia della propria fede sulle altre. Il papa è un’altra funzione, un altro ruolo, deve mirare a ben altri risultati, fra tutti, il saper essere ascoltato, anche se non condiviso, da tutti, laici, cattolici, musulmani. Come seppe fare il suo predecessore.

I romani dicono che morto un papa se ne fa un altro. Mala tempora currunt se il successore non sa essere all’altezza del ruolo. Beh, buona giornata.

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Sondaggi e sondaggisti.

Secondo un sondaggio per Wall Street Journal e Nbc, il tasso d’approvazione del presidente Bush è risalito dal 38% di giugno al 42% odierno,

Il 5° anniversario degli attacchi dell’11 settembre e la campagna mediatica lanciata per rinfocolare la guerra contro il terrorismo e ravvivare il sostegno al conflitto in Iraq gli stanno portando benefici. Anche se notano il giornale e la tv, il tasso ‘resta basso in assoluto e il 54% degli americani pensa che il Paese va nella direzione sbagliata.”

In Novembre si terranno negli Usa le elezioni di medio termine, nelle quali si rinnoveranno parte dei seggi al Congresso e parte al Senato. Una sconfitta elettorale dei Repubblicani potrebbe aprire la strada, fra due anni al cambio della guardia alla Casa Bianca.
Speriamo che Bush abbia gli stessi sondaggisti americani che prestò a Berlusconi. Beh, buona giornata.

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Fanta-antropologia.

C’è una domanda ricorrente, ce la poniamo retoricamente molto spesso: perché gli uomini, intesi come specie, si uccidono tra loro. Perché tutta questa violenza omicida intra-specifica? Dunque, perché le guerre, le distruzioni di massa, il genocidio, l’odio razziale, il classismo, il sessismo, l’omofobia?

Perché un kamikaze si toglie la vita pur di strapparla a molti altri? Perché uno spinge un pulsante della cloche di un aereo e scaglia un bomba che ammazza donne e bambini del paese nemico, torna a casa e si sente un eroe?

Attualmente nel nostro pianeta sono in corso un trentina di sanguinosi conflitti, con tanto di stragi, pulizie etniche, fosse comuni, violenze sulle donne e sui minori. Scorrono paralleli ettolitri di sangue e fiumi di dollari in tecnologie belliche.

Perché siamo gentili con gli animali, quelli che non mangiamo e volentieri invece ammazzeremmo un umano che ci dà fastidio?
Oggi potrebbe esserci una spiegazione. Pare che l’uomo di Neanderthal visse nel Sud Europa almeno fino a 28 mila, e forse 24 mila, anni fa, più a lungo quindi di quanto si pensasse, ed ebbe una dieta varia, facendo inoltre un uso sofisticato di utensili e armi: lo hanno scoperto alcuni scienziati, le cui ricerche sono state riportate on line dalla prestigiosa rivista Nature.

Finora si riteneva che tale specie fosse sopravvissuta in Europa fino all’arrivo dell’uomo moderno, il cosiddetto homo sapiens, circa 30 mila anni fa. Ma nuove scoperte del professor Clive Finlayson del Museo di Gibilterra hanno dimostrato che i due gruppi hanno coesistito in Europa per 4000 anni o più.

”Stiamo dimostrando molto chiaramente che sopravvissero almeno fino a 28 mila anni fa e probabilmente fino a 24 mila anni fa. Questo periodo è significativamente successivo rispetto a quello che si pensava finora”, ha spiegato Finlayson.

L’uomo di Neanderthal fu il predecessore dell’uomo moderno e pare abitò l’Europa e parte dell’Asia centrale e occidentale. Insomma, quello che oggi chiamiamo Medioriente.

Ma in realtà, se queste scoperte sono vere, l’uomo di Neanderthal è stato per un certo periodo, almeno 4000 mila anni, contemporaneo all’homo sapiens. 4000 anni sono un’eternità. Nonostante la loro immagine di selvaggi pelosi con la clava, la ricerca suggerisce che i Neanderthal erano esperti nel fabbricare utensili, usavano pelli di animali per tenersi caldi e si prendevano cura uno dell’altro.

Durante un nuovo scavo nella grotta di Gorham, una ricca fonte di manufatti preistorici a Gibilterra, Finlayson ha trovato un fuoco da accampamento fatto dall’uomo di Neanderthal e resti di utensili, armi di pietra e animali fossili. ”Abbiamo resti non solo di mammiferi che mangiavano ma anche di uccelli…e crostacei, elementi che indicano come la loro dieta non fosse strettamente carnivora”, ha osservato lo scienziato.

La domanda è: l’homo sapiens riconosceva l’uomo di Neanderthal come facente parte della stessa specie? Ha tentato di convivere, di coesistere pacificamente o ha cerato di eliminarlo dalla faccia della Terra? La risposta è forse impossibile.

Ma il non riconoscersi della stessa specie potrebbe aver formato nella mente dell’homo sapiens l’idea che altri uomini fossero semplicemente“ esseri inferiori”?

Tanto da far sopravvivere fino ai nostri giorni l’idea di una superiorità razziale, religiosa, geo-politica? Come potrebbe essere possibile la paura del diverso, la xenofobia, la motivazione psicologica alla eliminazione fisica del nemico, che pervade tuttora le società moderne, senza l’interiorizzazione che uno simile a noi in realtà potrebbe non essere uno di noi? Un ebreo, un nero, un musulmano, un rom, un povero, un immigrato.

Forse l’homo sapiens credeva che l’uomo di Neanderthal fosse un extra-cavernicolo, un pericolo per la purezza della specie.
Fanta-antropologia? Quattromila anni dopo, la Bossi-Fini cos’è, se non fanta-antropologia? E lo scontro di civiltà, che cos’è se non la superstizione dell’eliminazione fisica del problema politico delle diversità tra la specie umana? Beh, buona giornata.

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La morte e la fanciulla (mia figlia).

A proposito di “Quel altro undici settembre, Martina mi ha scritto il commento che segue:

“Il Cile è un bel problema. Io ho un problema con il Cile. Era un paese maturo, al punto che la propaganda feroce non riusciva a togliere dignità alla democrazia (Allende rieletto ne è il simbolo). E questo esempio di democrazia così inaccettabile per “il mondo libero” urla nelle mie orecchie fino a far esplodere i timpani. L’Italia di più di trent’anni dopo non è un paese altrettanto maturo, se la politica non è libera di dire ciò che ritiene giusto, ma dice solo ciò che ritiene accettabile per il pubblico consumatore. Lo so che le mie parole hanno il sapore di manifesti affumicati dalle sigarette in assemblea, che a leggere sembra di vedere “compagni” su sedie dure che si interrogano sulle azioni di lotta, insomma, hanno il gusto antico di un’ideologia superata. Ma la verità è che la giustizia è una cosa semplice. Cosa fa Allende di pericoloso? Dà latte e quaderni a tutti i figli. Mi sembra un’idea semplice e giusta. Non mi sembra un progetto criminale. E i Cileni, mandando i figli a scuola, se ne fregano dell’inflazione. E continuano a credere nel progetto. Questa è maturità. Capire la differenza tra sostanza e propaganda. Noi non ne siamo capaci. Ditemi voi se a pensarci, non vi viene uno sconforto micidiale. E’ questo il mio problema con il Cile.”

Una volta ero in vacanza con la più piccola delle mie figlie. Ho scambiato due parole con un uomo, che come me assisteva alla lezione di equitazione, in un maneggio di campagna. Quando, riconoscendo dalle sue parole un accento vagamente latino- americano, gli chiesi di dove era, egli mi disse sono cileno. Resomi conto dalla mia domanda banale, mi sentii dire:”Spero che lei non abbia sofferto molto”. E lui mi guardò e con gli occhi improvvisamente assenti mi disse: “Sono l’unico vivo della mia classe del liceo.”

Mi raccontò, in piedi, con i gomiti appoggiati alla staccionata del maneggio, che nell’estate del 1973 fece con la famiglia un viaggio in Europa, e si trovava in Italia l’11 settembre del 1973. A questo semplice fatto doveva la sua vita e il matrimonio con una studentessa italiana e la ragione per la quale sua figlia poteva andare a cavallo con la mia. Poi cambiò discorso, come si fosse svegliato da un incubo.

Molti studenti cileni ebbero asilo politica in Italia, in quei maledetti anni. Gli Inti Illimani erano in Italia e si salvarono, Victor Jara fu preso e fatto a pezzi a colpi di machete dai militari di Pinochet.

Luis Sepùlveda, militante di Green Peace, imprigionato nello stadio di Santiago, fu scambiato con due spie americane, catturate nella Germania dell’est. Lo scambio avvenne al Check-point Charlie, a Berlino. Rifugiò in Svezia e poi si trasferì ad Amburgo dove sposò una fanciulla tedesca, dalla quale ebbe due figli. Ai quali raccontò la storia della gabbanella e il gatto, che poi divenne un libro, che poi divenne un film.

Un giorno rincontrò la sua fidanzata, quella che aveva in Cile, prima di essere arrestato. La credeva morta sotto le torture. Anche i suoi aguzzini lo credettero, tanto che la buttarono nuda in un discarica alla periferia di Santiago. Fu ritrovata dai famigliari.

Sepùlveda aveva sempre detto che non avrebbe mai più messo piede in Cile, non avrebbe potuto sopportare di incontrare uno dei torturatori di Pinochet, liberi per le vie di Santiago.

Sepùlveda, come succede agli scrittori è stato preveggente. Pinochet e i suoi famigliari vivono ancora in Cile, anche se sono sottoposti a una indagine della magistratura, per via di alcuni milioni di dollari che hanno messo da parte, all’estero, sfuggendo al fisco.
Una volta Pinochet fu arrestato a Londra anni fa, per via di un mandato di cattura del giudice Garzon, che a Madrid aveva aperto un fascicolo sulla scomparsa di alcuni cittadini spagnoli in Cile, durante il golpe. Una corte di giustizia inglese liberò Pinochet perché malato, era costretto in carrozzella. Pinochet in carrozzella salì sull’aereo che lo portò in Cile. All’aeroporto di Santiago, Pinochet si alzò dalla carrozzella e passò in rassegna un drappello di militari, che gli attribuivano gli onori.

Quanto a Sepùlveda, oggi lui e lei vivono insieme, redivivi in Spagna.

Oltre a massacrare, come in una nuova “soluzione finale”, migliaia di militanti o i simpatizzanti o gli amici dei simpatizzanti del governo Allende, il piano Condor prevedeva il rapimento e l’adozione forzata dei bambini dei prigionieri. Una pulizia etnico-politica a futura memoria. Quei bambini furono dati in adozione ai militari della Giunta. Oggi, ancora oggi, nelle strade delle città del Sud America, ci sono le mamme dei desaparecidos che vogliono sapere dove sono stati buttati i corpi dei loro figli e quali cognomi hanno oggi i loro nipoti.

Il tutto fu giustificato negli Usa, che sponsorizzarono i colpi di stato nel continente e sperimentarono le tecniche di sequestro e di tortura, in nome della sicurezza nazionale e della lotta contro il terrorismo. Stiamo parlando degli anni in cui George Bush padre era il capo della Cia, prima di diventare il vice presidente con Regan e poi egli stesso il presidente degli Usa.

Durante una trasmissione televisiva italiana, la sera dell’11 settembre ultimo scorso, Jas Gawronski si diceva indignato delle illazioni dei “complottisti” che mettono in discussione la verità sull’attacco alle Torri Gemelle. Oggi Gawronski è eurodeputato per Forza Italia. All’epoca dell’altro 11 settembre era corrispondente Rai da New York e non ha mai messo in discussione le versioni ufficiali date dalla Casa Bianca. Chi è abituato a chiudere gli occhi, non ha nessuna intenzione di aprirli. Ecco perché c’è una drammatica similitudine, non solo del calendario, tra l’11 settembre del 73 e quello del 2001.

Quando nel suo commento Martina dice che la vicenda del Cile le disturba l’esistenza, coglie nel segno, molto più in profondità di quanto lei stessa non creda.

Nel 1973, in quel 11 settembre in Cile, avevo 18 anni. Se invece che in Italia fossi venuto al mondo in Cile o in Argentina o in Brasile o nella Grecia dei colonnelli o nelle Turchia del regime militare o in Viet-Nan o semplicemente nelle Spagna di Franco io oggi, probabilmente non sarei vivo.

E tu Martina, figlia mia,nata cinque anni dopo l’11 settembre del 73 non saresti nata. Né io avrei incontrato il padre della coetanea di tua sorella, in un maneggio, anche lui vivo per il caso voluto dal caso. Né avrei potuto leggere il tuo commento.

Ti ricordi di quel pomeriggio di qualche anno fa, quando andammo a vedere insieme “La morte e la fanciulla” di Roman Polanski, e che poi decidemmo di non andare a vedere nessun altro film per quel giorno?
E’ esattamente l’effetto che mi hanno fatto le tue righe di commento. Beh, buona giornata.

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Quando cala il velo sulle donne.

Tra il 2000 e il 2005 in Italia ci sono stati 495 omicidi all’interno della coppia. Nell’88,6% dei casi uomini hanno ucciso la partner o la ex.

Lo ha sottolinea Marisa Guarnieri, presidente della Casa delle Donne Maltrattate, nell’incontro con il ministro Barbara Pollastrini per l’elaborazione del piano di opzione straordinario contro la violenza sulle donne. La Casa delle Donne Maltrattate è stata fondata nel 1986 a Milano e fino a oggi ha incontrato oltre 17mila donne di Milano e provincia.

Ricapitolando le cifre di quella che appare una specie di pulizia etnica tra maschi e femmine: 495 omicidi in cinque anni, sono quasi cento l’anno. Incredibile anche la cifra di 17 mila donne maltrattate, a Milano e provincia, proprio in Lombardia, nella regione più ricca di Italia.

Che senso ha sbandierare la superiorità della civiltà occidentale, i diritti delle donne musulmane, di fronte a queste cifre macabre e per certi versi avvilenti.

Parlando del velo delle altre, è calato un velo di brutalità e omertà sulle donne in Italia.

Ci vorrebbe un po’ di rabbia e orgoglio Ma di tutt’altro segno di quello evocato da una donna di nome Oriana Fallaci. Beh, buona giornata.

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Complimenti per la trasmissione.

Gianni Riotta è il nuovo direttore del TgUno, Maurizio Braccialarghe è il nuovo Capo del personale della Rai. Gianfranco Comanducci comandato all’Ufficio Acquisti. Clemente Mimun tra color che son sospesi.

Il Cda della Rai sottolinea “con soddisfazione di aver operato, anche in questa circostanza, in piena autonomia e sulla base delle proprie esclusive responsabilità, oltre che nella legittimità della sua attuale composizione”. Il CdA, si legge in una nota, “sente la necessità di farlo anche per rispondere ai numerosi fraintendimenti, alle illazioni prive di fondamento riservate da più parti al difficile lavoro in cui è impegnato; e per respingere altresì gli attacchi personali rivolti a singoli suoi componenti”.

Exusatio non petita? Dopo un paio di fumate nere, una fumatina grigietta. Quella che è andata in onda è stata la puntata pilota di un programma che potrebbe essere intitolato: “Mamma Rai è nei guai”.

Aspettando la messa in onda delle prossime puntate, vale a dire la legge di riforma del sistema televisivo, la riforma del servizio pubblico, il nuovo contratto di servizio, le nuove nomine al Cda della Rai e la legge sul conflitto d’interessi, non ci rimane che dire quello che si dice quando non si ha niente da dire: complimenti per la trasmissione. Beh, buona giornata.

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Il bugiardiere.

La mattina del 5 Gennaio di quest’anno, in piena campagna elettorale, Paolo Bonaiuti dice:”Berlusconi non ha mai fatto affari con la politica”.(vedi Repubblica.it del 6 Gennaio, giorno della Befana).

L’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, braccio destro del premier, si è spinto più in là e ha dichiarato che “se c’è un esempio di politico che non ha mai fatto, che non fa e che non farà mai affari, quello è il presidente Berlusconi”.

E ha concluso: “Tutti quelli che stanno accanto a Berlusconi e che hanno collaborato con lui in questi anni lo possono testimoniare fin dalla sua discesa in politica”.
Paolo Bonaiuti è il portavoce di Belusconi, da quando nel 1996 aderì a Forza Italia e venne eletto deputato. Rieletto nel 2001, diventa sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, carica che mantiene fino alla sconfitta elettorale della Cdl. Paolo Bonaiuti è stato di nuovo eletto nelle file di Forza Italia..

Se Silvio Berlusconi ha un talento naturale alle bugie, universalmente riconosciutogli, sia in Italia che all’estero, Paolo Bonaiuti, per ruolo, gliele ha messe in bella copia. Anche questo è un lavoro e qualcuno doveva pur farlo. Sotto certi punti di vista è un bel mestiere, il bugiardiere. Ci si può sbizzarrire. Lui lo ha fatto bene, molto bene.

Però c’un però. Paolo Bonaiuti, secondo indiscrezioni della stampa è candidato a ricoprire la carica di vicepresidente della Commissione di Vigilanza della Rai, la cui nomina dovrebbe avvenire venerdì prossimo. Poiché è a tutti noto che la vicenda Rai è legata alla più ampia vicenda del mercato delle tv in Italia, in cui Mediaset ha un ruolo più che rilevante, secondo la Ue eccessivamente rilevante, la qual cosa è a sua volta strettamente connessa alla necessità di una legge sul conflitto di interessi, nominare il portavoce di Berlusconi, capo di Forza Italia, capo della Cdl, capo di Mediaset alla Vigilanza della Rai è una delle cose più creative che si potessero fare in questo momento.

Paolo Bonaiuti è dotato di creatività, da giovane è stato copywriter in pubblicità, la cosa lo ha aiutato molto nello svolgimento nel compito che ha svolto in questi anni. Siccome è a tutti noto che la pubblicità dice la verità, solo la verità, tutt’altro che la verità, la frase, sotto forma di head line pubblicitaria “Berlusconi non ha mai fatto affari con la politica” dovrebbe essere iscritta al festival della pubblicità di Cannes, vincerebbe un grand prix.

Se la pubblicità è autorizzata a dire piccole o grosse bugie, tanto è solo pubblicità, la politica, che pure è l’arte del possibile, dovrebbe come minimo stare più attenta quando le spara grosse.

Dunque, la domanda è semplice: può il portavoce di Berlusconi diventare il vicepresidente della Commissione parlamentare di Vigilanza della Rai? A questa domanda dovrebbero rispondere il Presidente della Camera e il Presidente del Senato. Prego, ne hanno facoltà. Beh, buona giornata.

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Attualità

L’altro undici settembre.

C’è un 11 settembre di cui ci eravamo dimenticati. Ce lo ricordano gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza in Cile per l’anniversario del golpe del ’73: oltre 50 i feriti.

Colpite dalle pallottole anche due bimbe. Almeno 237 persone sono state arrestate. Il bilancio, ancora provvisorio, e’ stato reso noto dal sottosegretario all’Interno Felipe Harboe. Come accaduto in precedenti anniversari del colpo di Stato, gli incidenti più violenti sono avvenuti nei quartieri periferici della capitale.

L’11 settembre del 1973 è la data del colpo di stato organizzato da Augusto Pinochet, al quale furono portati i complimenti della Casa Bianca dall’allora Segretario di Stato Henri Kissinger.

Il governo di Pinochet fu caratterizzato dalla soppressione sistematica di tutta l’opposizione di sinistra.
Le violenze peggiori occorsero nei primi giorni successivi al colpo di stato, con il numero di militanti di sinistra uccisi o “scomparsi” che raggiunse presto le migliaia. Furono utilizzati gli stadi di calcio come luoghi di prigionia.

Successivamente alla sconfitta di Pinochet nel plebiscito del 1989, si scoprì che circa 3.000 persone erano state uccise o fatte sparire dal regime, con diverse altre migliaia che furono imprigionate e torturate.

Il Cile di Pinochet fu un partecipante chiave dell’Operazione Condor, una campagna di assassini e raccolta di informazioni, spacciata per controterrorismo, condotta congiuntamente dai servizi di sicurezza cileni assieme a quelli di Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, ed Uruguay nella metà degli anni ’70. La Cia fornì il know how.

Nel solo Cile furono brutalmente assassinate oltre tremila persone. Qualche centinaio in meno delle vittime dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 Settembre del 2001.

Nel ricordare le quali sarebbe bene non dimenticare la storia, le storie, le persone di coloro che persero la vita in un altro maledetto e tragico 11 settembre. Beh, buona giornata.

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In bocca al lupo.

Inevitabili le battute sul lupo Silvio Berlusconi che a Gubbio, al convegno di Forza Italia ha fatto le sue dichiarazioni post-tracheite contro il governo Prodi, contro la missione in Libano, ma soprattutto contro la legge sul conflitto di interessi, legato a filo doppio con il sistema televisivo italiano, e dunque contro le nomine alla Rai. In particolare, sulla Rai Berlusconi ha parlato di “emergenza democratica”.

Fini ha detto bene-bravo-bis. La questione è e sarà una delle note dolenti della politica italiana e del governo, perché la presenza massiccia della rappresentanza parlamentare dell’opposizione, frutto della legge elettorale cambiata in corso d’opera nella passata legislatura, a ridosso dell’apertura delle urne, renderà faticoso il cammino di una nuova legge sul riordino del sistema della tv, in particolare del servizio pubblico, nonostante l’obbligo di recepire una precisa normativa europea in materia.

Non è singolare che Silvio Berlusconi dica cose che non rispondono al vero, è nel suo stile politico e imprenditoriale. Non lo è neppure che gli altri leader della cdl facciano orecchie da mercante al senso di responsabilità, siano supini e acquiescenti nei confronti del Cavaliere, soprattutto quando in gioco ci sono i suoi interessi imprenditoriali, e il core business, cioè la tv.

In queste ore, per altro, si riunisce il cda della Rai sulla questione delle nuove nomine, e il peso dell’iniziativa politica della Cdl sulla questione si è fatto sentire, se è vero, come è vero, che questa riunione del cda della Rai è stata aggiornata proprio per allentare la tensione, per lenire il senso d’intimidazione che proviene dalla opposizione.

In questo senso si è trattato di un rinvio inutile, proprio perché Berlusconi ha rincarato la dose di pressione nel suo intervento a Gubbio.
La domanda è: esiste davvero un problema di emergenza democratica sulle nomine alla Rai? La risposta è sì, ma il pericolo non viene dal governo, quanto più tosto dall’opposizione. In pieno scandalo delle intercettazione telefoniche, i giornali pubblicarono le conversazioni tra Salvo Sottile, allora capo ufficio stampa di Fini e numerosi personaggi del mondo politico, del giornalismo e della Rai.

Per quanto non sia gradevole né del tutto corretto pubblicare le intercettazioni, ce ne una, in particolare che fa luce sulla situazione “politica” all’interno della Rai. Lo scorso 21 Giugno, La Stampa di Torino ha pubblicato una conversazione tra Guido Paglia, direttore delle Relazioni Esterne Rai, con Salvo Sottile.

Secondo il quotidiano torinese “Guido Paglia è furente con Forza Italia e si sfoga con Sottile.
Paglia: -Questi stanno facendo carne di porco.
Sottile:- Ehm.
Paglia:-Naturalmente con …Cattaneo (ex direttore generale Rai, ndr) in testa, con Comanducci…Sartori, cioè tutto il grigio di Forza Italia. Fanno passà solo le cose loro, le loro fanno passare. Cioè per dire, adesso anche quel poveretto che è amico di Gianfranco, di Girotti (…)
Sottile:-Sì.
Paglia:- L’accordo che avevo fatto io prevedeva che lui diventasse dirigente e vice-direttore del “Gambero rosso”…
Sottile:-Ehm
Paglia:- Lo hanno inculato…e lui non è diventato dirigente, però in compenso loro i dirigenti li hanno presi. Hanno portato una dei Ds. Insomma…..”

Da questo stralcio si capisce di che natura è lo scontro in atto alla Rai. Berlusconi esige la rendita di posizione sul mercato delle tv, e quindi vuole tutelare la maggioranza in Cda, garantitagli dalla Gasbarri, ragion per cui il consigliere Petroni, nominato dal precedente Ministro dell’Economia, non intende schiodare.

Gli alleati di Berlusocni, Fini “in prima persona”, tanto per citare il suo slogan alla scorse elezioni politiche, difendono la rendita di posizione degli uomini che hanno infilato alla Rai,
Questo è il quadro in cui l’attuale Cda della Rai deve decidere delle nomine. E’ un quadro a tinte fosche, anche perché in questo momento la Commissione di Vigilanza non c’è.

Agli uomini e alle donne che lavorano in Rai c’è da augurare “in bocca al lupo”. Sperando non sia quello di Gubbio. Beh, buona giornata.

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Medice cura te ipse.

Molti medici prendono troppo a cuore le sofferenze dei loro pazienti, sviluppando la sindrome conosciuta come ‘fatica da compassione’.

Lo afferma Lidia Genovese, psicologa di un Istituto di ricerca di Sydney, alla Conferenza sui servizi di salute mentale in corso nel Queensland.

Per la ricercatrice, i professionisti della sanità nemmeno riconoscono di soffrire di questa patologia e rischiano l’esaurimento.

Per questo dovrebbero consultare regolarmente un professionista di salute mentale.

Come dire che se la prendono talmente a cuore che gli si ammala l’animo. Ma temo la cosa sia soprattutto dovuta al fatto che in tempi di neoliberismo sfrenato, di più stato e meno mercato a tutti i costi, veder tagliare le spese per la sanità, dunque l’attenzione verso i malati, fa venir male anche ai medici, ai paramedici, agli operatori della sanità in genere.

Soprattutto quando sui malanni ci si specula, si costruiscono lobby, carriere politiche, sperperi e serbatoi di voti. La salute delle classi più deboli è diventa un voce di bilancio, da far quadrare, al di là e al di fuori della realtà sociale. E un malato diventa una voce di spesa o un numero da mettere nella colonna delle entrate.

Anche se Ippocrate non era un contabile, oggi comanda la bottom line, l’ultimo rigo, sotto cui iscrivere un cifra, il più vicina possibile ai risultati finanziari previsti dal bilancio. Come dire che conta più la forbice di un direttore finanziario, che il bisturi di un chirurgo. Infatti, quando di parla di sanità si parla sempre di tagli.

Nelson Mandela una volta ha detto che l’Aids era un grande flagello dell’umanità, ma che c’era una epidemia peggiore dell’Aids: i pessimi governi. Beh, buona giornata.

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Scuola

Il suicidio del nostro futuro.

Mentre domenica 10 settembre cominciavano le celebrazioni per il quinto anniversario dell’attacco alle Torre Gemelle, si chiudeva a Roma la Giornata mondiale di prevenzione del suicidio.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la diffusione dei suicidi è talmente alta fra i giovani nella fascia di età 15-25 anni da rappresentare la prima causa di morte.

Allarmanti i numeri del fenomeno anche nel nostro paese, dove l’8% di tutti i decessi tra i ragazzi nella fascia di età fra i 10 e i 24 anni è determinato dalla scelta consapevole di togliersi la vita: il suicidio è tra le prime cause di morte tra i più giovani.

Preoccupanti anche i dati europei, il suicidio è statisticamente la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali e, secondo l’Oms, il 40% dei ragazzi che non è riuscito nel primo intento, ripete il gesto.

Si fanno leggi e guerre contro il terrorismo, si tenta di arginare la tossicomania, spesso con leggi sbagliate, si mobilitano le coscienze sull’Aids, si tenta di estirpare il tabagismo con divieti draconiani, si escogitano patenti a punti per diminuire gli incidenti stradali, e nel frattempo una strage silenziosa, ma non per questo dolorosamente lacerante avviene nelle nostre città, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, tra noi, tra i più piccoli di noi.

Nel silenzio generale, un Erode del Terzo Millennio, silente ma implacabile miete vittime.

Nel mondo che vorremmo proteggere dalle stragi terroriste, nella civilissima Europa che vorremmo culla della civiltà e del benessere, nell’Italia moderna ed economicamente tra i paesi più avanzati i nostri ragazzi si tolgono la vita, e quando non ci riescono ci riprovano, senza che questo crei un minimo di allarme sociale.

Nella scuola ad esempio, è il monito degli esperti dell’Oms, veri programmi di prevenzione non sono mai stati attuati, mentre è proprio tra i banchi che più chiaramente si possono manifestare i segni del disagio.

Sarebbe più utile, per non dire vitale, letteralmente vitale, discutere di questo, invece che fare bassa sociologia attorno al fatto che torna la pagella per gli otto milioni di studenti italiani che stanno per tornare a scuola. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Trash de vie

Deve essere stato un lavoro sporco, ma qualcuno lo doveva pur fare. La giuria delle Netturbiadi, le olimpiadi degli spazzini italiani, ha attribuito il ‘premio trash’ a Simona Ventura per l’Isola dei famosi.

La decisione è stata comunicata durante la cerimonia conclusiva della manifestazione, che si è svolta a Riccione e a Misano Adriatico. Al secondo posto della classifica si è piazzato Vittorio Emanuele.

Una giuria ha scelto, tra le decine e decine di segnalazioni, quelle che avevano riscosso più voti e ha stilato un elenco di nomination.

Data la situazione dell’inquinamento delle menti ad opera dell’ informazione spazzatura, della tv trash, del gossip usa-e-getta, gli spazzini italiani devono aver fatto un lavoro ciclopico, per smaltire tonnellate di immondizie della comunicazione. Che pattumiera e che stomaco!

E pensare che non c’era ancora stata la trasmissione, appena andata in onda in cui la prima classificata ha invitato Moggi, senza contraddittorio, né erano ancora note le rivelazioni del secondo classificato circa l’assoluzione al processo per la tragica sparatoria nell’isola di Cavallo. Beh, buona giornata.

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Attualità

La politica Fini a se stessa.

Berlusconi al seminario di Gubbio di Forza Italia spara a zero sul governo: “Io non credo che noi potremo votare sì alla missione in Libano. L’opposizione – ha poi aggiunto – la faremo certamente in Parlamento e certamente con manifestazioni nelle piazze”

I propositi combattivi trovano subito l’apprezzamento di Gianfranco Fini. “Berlusconi a Gubbio ha colto nel segno, indicando in una opposizione inflessibile, non pregiudiziale, da svolgersi nel confronto con le categorie e se necessario nelle piazze, la via per contrastare il governo Prodi”, ha commentato il presidente di An. C’è una gran voglia di menar le mani, nel senso dell’applauso, da parte del partito di Fini.

Lo si era visto con l’appoggio alle proteste dei tassisti, quando Alemanno fu accolto in piazza al grido di ”duce duce”, tanto per far capire che significa l’appoggio alle categorie.

La Russa si presentò in Parlamento con pagnotte di pane, per protesta contro le liberalizzazioni delle licenze dei panificatori, quelli che una volta di chiamavano fornai.

Anche gli avvocati sono in agitazione, con l’appoggio del partito di Fini. Sulla politica estera, Fini ha annunciato di voler presentare una mozione in Parlamento per chiedere al governo se le missioni in Afghanistan e Iraq siano o no missioni di pace, con l’intento di creare contraddizioni tra il governo e i partiti della cosiddetta sinistra radicale. Dunque non è una strategia politica in politica estera, ma l’uso della politica estera a fini di politica interna.

Fini fa finta di credere che a Berlusconi possa interessare una opposizione “inflessibile per contrastare il governo Prodi”. In realtà, e Fini lo sa, a Berlusconi interessa solo e soltanto la salvaguardia ad ogni costo della posizione dominante di Mediaset sul sistema televisivo italiano.

Non è un caso che Berlusconi ha detto chiaramente a Gubbio che non vuole la legge sul conflitto di interessi e che non vuole la riforma della Rai. Fini continua a fare i conti senza l’oste, perché è un leader che soffre dell’essere orfano del carisma di un padre ispiratore. Fini ha un alta opinione di se stesso, tipica della sua storia politica, quella del Msi di Almirante, che ha sempre cercato di sfruttare le contraddizioni interne alla Dc per testimoniare la centralità della destra anticomunista. Fini si crede scaltro e dotato di magniloquenza.

Ma nella politica moderna gli artifici retorici dell’eloquenza trovano lo spazio di un mattino, prima della prima edizione dei tg. Fini appare spaesato, non ha un progetto strategico, ma una serie di tattiche.

Tutta l’esperienza di governo è stata un sequenza di tatticismi: la sciocchezza di aver firmato insieme a Bossi la legge sull’immigrazione, che si è ben presto rivelata un fallimento.

La legge sulle droghe è stato un manifesto all’intolleranza, una inutile dimostrazione muscolare contro la riduzione del danno della tossicodipendenza.

La legge Gasbarri, è stata un esempio straordinario di servilismo verso Berlusconi e le sue aziende.

La breve permanenza di Fini alla Farnesina ha mimato l’autoleggittimazione della destra a importanti incarichi di governo, ma l’opera del ministro è stata opaca, subalterna a tratti tragicomica: come l’unità di crisi per lo tsunami, due briefing al giorno con la stampa, una strampalata conta dei morti italiani, che per fortuna si rivelò infondata.

Sul piano politico non si può non contare l’errore madornale di essersi schierati per il sì al referendum costituzionale, trascinando An nella certezza della sconfitta, non solo elettorale, ma delle stesse idee-forza della destra sulla la riforma dello stato.

Nel frattempo, An ha tentano l’invasione delle stanza del potere alla maniera dei “forchettoni” della peggiore DC. I nuovi “forchettini” si sono infilati alle Poste, alle Ferrovie, alla Rai, nella Sanità. Gli scandali alla Rai e nella Sanità hanno ben più che lambito la figura politica di Gianfranco Fini, anche sul piano dei rapporti personali e famigliari. Sul piano interno, l’azzeramento degli incarichi di partito non è avvenuto per decisione politica, ma è suonata come rappresaglia ai pettegolezzi sulla presunta storia sentimentale con una donna ministro, registrati in un bar del centro di Roma da un giornalista e pubblicati da un quotidiano, di proprietà di un parlamentare di An.

A Fini manca un Almirante e lo ricerca in Berlusconi. Al quale deve molto, in termini politici e non solo. Fini rischia di finire strangolato dagli interessi usurai. Forse bisognerebbe dirglielo apertamente, invece di coccolarlo come il capo di futuro partito di destra moderna.

La Fiuggi 2, quella della rigenerazione del partito, ammesso che si faccia, appare sempre di più una altra operazione tattica, fine a se stessa. Anzi, Fini a se stesso. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro

E il cliente rapinò la sua banca.

Aveva chiesto un prestito per coprire altri debiti e al rifiuto ha rapinato una banca. La donna 36enne, operaia a tempo indeterminato e madre di 3 figli, a Legnano aveva contratto debiti con finanziarie per affrontare le necessità della famiglia. Non potendo onorare i ratei aveva chiesto un prestito a un’altra banca che le è stato negato.

Ha quindi deciso di rapinare la sua banca armata di coltello. Bottino: 7.800 euro. Scoperta dai carabinieri ha confessato di non riuscire ad andare oltre il 22 di ogni mese.

“Quei soldi mi servivano per pagare i debiti. Avevo troppo bisogno di quei soldi, non arrivo a fine mese con la paga da operaia. Quando alla banca di Vanzago mi hanno detto di no, beh, allora ho deciso di svaligiare la mia banca.”

La donna è stata denunciata a piede libero, qualcosa deve aver fatto capire ai carabinieri che la donna non era un rapinatrice di professione e che questo non è un caso da cronaca nera.

Questa notizia, infatti dovrebbe essere pubblicata nelle pagine di economia e finanza dei quotidiani, che si occupano di credito, di banche, di questioni sindacali e del costo del lavoro.

Questa notizia dovrebbe essere attentamente esaminata dal ministro dell’Economia, non solo perché potrebbe dirgli qualcosa di interessante a proposito della prossima Finanziaria, ma anche perché potrebbe far venire qualche felice idea per la riforma del credito, vale a dire del rapporto tra risparmio e spese bancarie.

Dovrebbe essere pubblicata sui bollettini dell’Abi, l’associazione bancaria italiana che si ostina a negare che i costi del conto corrente in Italia sono i più alti in Europa.

Infine, questa notizia dovrebbero essere seriamente presa in considerazione dagli uffici marketing della banche italiane. La pubblicità delle banche ha insistito sui prestiti, si sono promossi prestiti personali, come se gli interessi bancari non fossero un problema.

C’è una banca italiana che sta facendo una campagna pubblicitaria che dice di assaggiare il costo del conto. Ecco, la signora di Legnano lo ha assaggiato il suo conto corrente: aveva un cattivo sapore. E non ha rapinato una banca qualsiasi, la donna ha rapinato la sua banca.

Tutte le banche dicono che il cliente è al centro, il sospetto è che troppo spesso venga messo in mezzo. Beh, buona giornata,

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Che gli dice il cervello?

Alcuni neuroscienziati inglesi hanno scoperto che gli adolescenti sono più egoisti degli adulti nel prendere delle decisioni.

Secondo gli studiosi infatti l’area cerebrale della corteccia prefrontale, associata all’empatia e alla comprensione delle motivazioni altrui, è molto più usata dagli adulti e quasi per niente dai teenager, che invece si servono di un’altra zona del cervello, che gli fa solo immaginare lo svolgimento dell’azione.

La spiegazione scientifica della fase adolescenziale potrebbe essere estesa con cognizione di causa all’infantilismo in politica. Una formazione politica in fase adolescenziale, per esempio la Lega Nord potrebbe essere rimasta all’uso di un’altra parte del cervello, che, come dicono gli scienziati inglesi, gli ha fatto solo immaginare lo svolgimento di una azione, vale a dire la Padania.

Quanto al fatto che l’area cerebrale della corteccia prefrontale, associata all’empatia e alla comprensione delle motivazioni altrui, è poco usata dagli adolescenti della politica, esemplare è il caso del senatore Calderoli.

Come spiegare altrimenti l’invocazione della bomba atomica da sganciare su Teheran? Come spiegare altrimenti la definizione di “bingo bongo” riferita agli immigrati nel nostro Paese? E l’aver apostrofato Rula Jebreal, giornalista de La 7 con uno sfrontato “lei è abbronzata”?

E l’aver mostrato la sua biancheria intima, con la serigrafia delle vignette di Maometto, durante una trasmissione televisiva condotta da Mimum in prime time su RaiUno, gesto che provocò tragici incidenti a Bendasi, costati 16 morti, 200 feriti e la fuga precipitosa del console italiano dalla sede diplomatica data alle fiamme? E essersene ultimamente vantato, tanto da dichiarare di voler inviare la sua famigerata t-shirt al presidente Bush?

In effetti, questa serie di accadimenti possono essere imputati a una forma di adolescenza della politica, un modo egocentrico e egoistico di non capire gli effetti delle proprie azioni.

Il fatto che il ragazzone si stato eletto al senato è un problema che riguarda gli adulti che lo hanno votato.

Che sia stato nominato responsabile dell’organizzazione della Lega Nord è un problema dei suoi coetanei di partito, uno dei tanti.

Adesso però si pone un problema a tutti gli adulti che siedono al Senato: era proprio necessario nominarlo vice presidente dell’assemblea di Palazzo Madama?

Forse sarebbe bene scucirgli i galloni, non tanto per cucirgli la bocca, quanto per evitare che parli a nome del Senato della Repubblica, seconda istituzione dello Stato.

O dobbiamo aspettare la prossima spacconata adolescenziale? Visti i precedenti, che si debba agire presto lo capirebbe anche un bambino. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro

Poveri noi.

Chi ce l’ha dice che i soldi non fanno la felicità. Pare che il detto ha ora una validità scientifica: lo dice uno studio realizzato dal Ceis-Tor Vergata. Il Centro per gli studi internazionali della crescita economica ha stilato la classifica di 65 paesi per la felicità dichiarata in cui primeggiano i paesi poveri.

Secondo loro, il paese più felice del mondo è la Nigeria, seguono la Tanzania e il Messico. Il primo paese ricco felice è il Canada (9/o). L’Italia sesto paese più sviluppato, è al cinquantesimo posto nella graduatoria dei paesi più felici. 50 su 65: praticamente siamo infelici, tendenti all’incazzato nero.

La morale della ricerca dice che il portafoglio aiuta, ma non è determinante senza relazioni umane soddisfacenti. La verità è che se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria. Beh buona giornata.

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Teatro

E’ scoppiato un Casini.

Pier Ferdinando Casini ha detto di non voler “morire berlusconiano”. Pare che questo significhi che l’Udc considera ormai finita l’esperienza della Cdl e punta alla ricostruzione del centrodestra per dar vita a una nuova casa dei moderati.

“Aspetto da Casini un chiarimento, ho troppo rispetto per lui e non credo che abbia detto veramente quelle cose..”, dichiara Ignazio La Russa, di cui si erano perse le tracce ma non le facce.

“Se una dichiarazione di Casini crea tanto entusiasmo nel centrosinistra – ha detto Fini, uno che fino a ieri andava per il Sottile- io dico che non va bene. Il compito dell’opposizione è creare un’alternativa a Prodi e non indebolire la Cdl”.

Maroni invece ha detto che Casini ha rotto i maroni: “Vivere e morire con Berlusconi? Noi della Lega non vogliamo morire e con Berlusconi leader ci sono possibilità di vivere, mentre con Casini non ce ne sarebbe neanche una”.

Il tutto mentre Umberto Bossi era ancora a Villa Certosa, ospite di Silvio Berlusconi, il quale deve aver suonato il campanello e quindi è apparso Sandro Bondi: “Le sue affermazioni sono degli sfoghi più che un proponimento o un progetto politico e preoccupa che un leader dell’ opposizione faccia degli sfoghi piuttosto che dei ragionamenti”.

E, inchinandosi ha aggiunto: “Non dividiamoci e difendiamo Berlusconi”. Sipario. Tra il pubblico, Marco Follini ha commentato:”Se l’Udc dichiarerà la fine della Cdl, sarò con l’Udc; se l’Udc resterà nella Cdl, potrà farlo anche senza di me”.

Insomma, a Càorle vanno in scena le baruffe chioggiotte . Beh, buona giornata.

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