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Contro il tecnostress, quali cure possibili?

E’ nata una nuova malattia, una patologia di massa, una vera e propria pandemia. Si chiama “tecnostress”: provoca ansia, insonnia o mal di testa.

Negli Stati Uniti il problema ha assunto dimensioni sociali e, secondo le stime più recenti, milioni di persone sono state interessate da questa sorta di “tossicodipendenza” nei confronti delle tecnologie, che ha fatto emergere, in oltre il 50% dei casi, gravi forme di sconforto, evidenziate da malesseri come agitazione, problemi cervicali e insonnia.

La notizia di questa nuova epidemia non viene da un giornale scientifico, ma dalla cronaca giudiziaria. Infatti, il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, ha aperto un’ inchiesta sui call center torinesi per verificare le condizioni di lavoro degli addetti e in particolare se siano a rischio di contrarre malattie professionali legate alla loro attività, come il tecnostress, appunto, la nuova patologia che può colpire chi usa in modo diffuso le tecnologie informatiche.

Il tecnostress ha degli affetti collaterali, altrettanto letali: mobbing diffuso e tendenza al precariato cronico. Riuscirà il governo a diffondere in tempo il vaccino contro il tecnostress, cioè a varare in tempi rapidi la riforma della legge Biagi? Milioni di giovani pazienti stanno aspettando impazienti.
Beh, buona giornata.

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Alitalia, ultimo atto.

Lo spettacolo è finito: si chiude il sipario sulla farsa Alitalia, la sit-com più lunga del dopoguerra italiano. La compagnia di bandiera va sul mercato.“Quello che avevamo detto lo stiamo facendo”, dice Prodi. Per il “pubblico” pagante e per i passeggeri si apre una prospettiva non più passeggera.

Le offerte per rilevare una quota consistente di Alitalia dovranno essere presentate entro il 29 gennaio 2007. E’ quanto si legge nel bando di gara per la privatizzazione della compagnia, pubblicato sul sito del ministero del Tesoro.

E in cui si precisa che la quota in questione non deve essere inferiore al 30,1%, e non superiore al 49,9. “Quello che avevamo detto lo stiamo facendo”, ha detto il presidente del consiglio Romano Prodi. “Le procedure vanno avanti, non c’è nulla di nuovo”. In realtà, qualcosa di nuovo c’è. C’è che è calato, ma sarebbe meglio dire è crollato il sipario su una della peggiori farse, mai rappresentate in Italia.

E’ finita l’era della finanza creativa a spese del danaro pubblico e delle aspettative di un Paese moderno. Siamo a un nuovo inizio, che non si basa sulle qualità personali di un nuovo management, ma sulle prospettive finanziarie e, ciò che da più parti si chiedeva, sulla solidità di un piano industriale, capace di rilanciare, non solo l’azienda, ma il Paese che rappresenta.

Qualcuno ha detto che in Italia gli scandali non sono fatti, ma opinioni. E allora rimettere Alitalia sul mercato non è un’opinione, ma una fatto, capace da solo di fare giustizia di una lunga teoria di scandali. “Meglio una fine con terrore, che un terrore senza fine”, dice Paolo Maras, segretario nazionale del Trasposto Aereo del Sult, l’agguerrito sindacato di base, che ha dato filo da torcere in questi anni a tutti i manager che si sono cimentati con la farsa, Cimoli compreso.

“Il piano del governo è pieno di incognite-dice Maras-ma le incognite sono meglio della certezza dei fallimenti cui abbiamo dovuto assistere in questi anni.”

Una cosa appare chiara, non solo dalla vitalità del titolo Alitalia che è salito ieri nelle quotazione in Borsa. E’ finita l’epoca degli annunci, dei trucchi e delle boutade, ora il governo sembra deciso a fare sul serio e Prodi sembra aver assunto la piena consapevolezza di essere il rappresentate dell’azionista di maggioranza. La polpetta avvelenata che il governo precedente aveva lasciato a quello attuale non ha avuto gli effetti previsti.

E’ presto per dire come andrà a finire, perché siamo a un nuovo inizio. “L’Italia ha bisogno di Alitalia, non solo per trasportare persone e cose, ma anche per far viaggiare idee, cultura, imprenditorialità nel mondo e dal mondo” dice Maras.

Questa privatizzazione non è una via d’uscita dalla crisi, ma un via d’accesso a una nuova dimensione del trasporto aereo in Italia. Nella quale non sentirsi spettatori, ma protagonisti. Non più passeggeri, ma persone.Beh, buona giornata.

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Chi dorme non piglia peso.

Se vuoi perdere peso, non perdere sonno. Insomma, si può dimagrire dormendo: ecco il risultato pubblicato da un team di scienziati americani sull’ultimo numero dell’International Journal of Obesity.

Per chi non riesce ad ottenere risultati apprezzabili con lo jogging, il pilates, il kick-boxing, ecco il nuovo trend nato negli Usa per riprendersi dagli stravizi delle feste: dormire.

Per i nottambuli la raccomandazione è di spostare la tv fuori dalla camera da letto, consumare meno alcolici e caffeina e spengere il computer presto perché l’assenza di sonno induce a ingurgitare carboidrati e grassi.

E allora, invece di estenuanti diete, di sport scemi, solitari ed estremi un lunga dormita aiuta a vivere meglio e in salute. Non solo perché se dormi non mangi, non bevi, non fumi. Ma anche perché dormire ricarica le pile dello spirito, libera energie celebrali, costringe la mente a misurarsi con l’onirico, invece che con l’immaginifico indotto dal bombardamento mediatico.

Dormire fa calare la ciccia, perché dormendo si separa il fumo dall’arrosto: il fumo della spettacolarizzazione, degli effetti speciali, del frastuono dei suoni, dell’orgia delle immagini. E rimane l’arrosto della propria consapevolezza, dei propri desideri, e, chissà dei bisogni veri, e non più di quelli imposti, conculcati, offerti, suggeriti.

Certo dormire fa bene se i sogni sono alimentati da buone cose da sognare: un bel libro, un bel film, una bella musica, una bel tramonto, una buona cosa da gustare, una bella amicizia da coltivare, una bella donna da amare, un bel bambino da crescere, ma anche una bella tv e una arguta pubblicità aiuterebbero a fare sonni tranquilli.

Insomma, per dormire bene e a lungo bisogna essere tipi svegli.

Tanto per rimanere in tema con il risultato pubblicato dal team di scienziati americani sull’ultimo numero dell’International Journal of Obesity, grasso che cola sarebbe cominciare a eliminare dalla nostra vita la visione di quell’incubo ricorrente che da vent’anni ci minaccia il sonno ogni notte con la fatidica frase: “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”. Ecco un semplice proposito per l’anno nuovo. Beh, buona giornata.

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Il Fantasma del palcoscenico.

Se la politica è un teatrino, quella che è andata in onda ieri è stata l’apparizione televisiva del Fantasma del palcoscenico. Nella conferenza stampa di fine anno, Romano Prodi si è presentato di fronte ai giornalisti e andato in diretta sul Tg Uno.
Il bilancio di fine anno del premier è riconducibile a due parole chiave: “Eredità pesante e stop al declino”.
Dice il presidente del Consiglio: “Abbiamo dato alle imprese degli incentivi fortissimi: 5 mld nel 2007 e 9 miliardi nel 2008. E’ uno sforzo che mai nessuna finanziaria ha fatto”. Che ha aggiunto: “Fare crescere l’Italia è progetto unificante di questo governo”.

Secondo Prodi, il governo porterà il Paese all’avanguardia di tutti i paesi europei. Obiettivi 2007: semplificazione delle procedure burocratiche per aprire azienda in un giorno. Politica ambientale, problema di sopravvivenza e qualità della vita nelle città. Battere i privilegi, dare una scossa al sistema produttivo, togliere ogni riparo e rendita di posizione a chi vuole sfuggire alla concorrenza del mercato.

Sempre secondo Prodi, il governo precedente non è stato in grado di contrastare declino, “la crescita si sta avvertendo, ma senso di fiducia del Paese non è ripreso. Da troppo tempo siamo abituati a arretrare in classifiche della politica. Però avverto con chiarezza segnali confortanti.”

La conferenza stampa è andata avanti per un oretta e mezza, un poco grigia e seriosa, a parte alcune domande infantili, forse giustificate dal luogo, il San Michele a Ripa, che una volta era il carcere minorile della Capitale.

Lo stile di Prodi è inconfutabilmente tutto il contrario della spettacolarizzazione della politica. La qual cosa disorienta i cronisti, a caccia di frasi d’effetto con cui condire i pastoni politici, come si chiamano in gergo. Forse disorienta anche i telespettatori.

Il fatto è che Prodi parla, non recita. Dice non esagera. E per questo viene spesso accusato di non saper comunicare. Rispetto al precedente governo, abbiamo un completo rovesciamento di tono di voce, di registro espressivo, di plot narrativo.

Per anni si è invocato il fantasma di un governo capace al limite dell’impopolarità. E adesso che ce l’abbiamo, almeno l’impopolarità, storciamo il naso, infastiditi e un poco delusi.

L’inversione di tendenza del declino passa attraverso una crisi d’astinenza della politica come intrattenimento, spot, reality show. Alla fine guariranno la politica, la tv e, perché no?, anche la pubblicità. Beh, buona giornata.

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Una questione di vita e di morte.

La notizia della morte di Piergiorgio Welby arriva che i giornali hanno ancora la vecchia notizia. La notizia la batte il Televideo. Quella notizia viene data in prima mattinata da un tg delle reti pubbliche: le immagini mostrano, oltre il suo corpo su un letto d’ospedale, anche la ripresa del citofono della sua abitazione. Sotto il nome scritto sul campanello, P. Welby, ce n’è un altro, di un altro inquilino, proprio sotto: La morte.

Ed ecco che esplode in tutta la sua drammaticità il tema della morte come esercizio di un diritto civile, innominabile, osteggiato, intriso di moralismo e ipocrisia.

Forse un uomo, che non ha il diritto di scegliere dove, come e per merito di chi viene al mondo, può avere il diritto di scegliere come, dove e con chi vuole vivere. Ed estendere questo diritto anche al come vuole cessare la propria esistenza in vita. Insomma, la libertà è di vivere e di morire in pace con se stessi, con i propri principi, prima ancora che con le esigenze morali degli altri.

Non solo la religione, le religioni, ma il cinema, il teatro, la letteratura, la pittura, la poesia e tutte le forme della creatività espressiva degli uomini si sono misurate e si misurano con il tema della morte.

E’ il caso di citare un esempio letterario. Ne “Il profumo” di Patrick Suskind, di cui è stata fatta una recente riduzione cinematografica, il protagonista si farà sbranare, come rivincita della sua malevolenza nei confronti degli altri, per sopravvivere all’odio che reca verso il mondo.

Ne “Le voci del mondo” di Robert Schneider, il protagonista affronterà la morte come sconfitta per non essere riuscito a farsi amare dalla persona amata. Due distinte, contrapposte visioni della morte, come ebbe a scrivere Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981 proprio a Schneider.

Piergiorgio Welby ha voluto andarsene come il protagonista di Schneider, ma la polemica attorno al suo caso lo vorrebbe come il personaggio di Suskind. Non è giusto.

Il un paese in cui la spettacolarità indotta dalla eccessiva invadenza della tv nella nostra vita fa si che la gente applaude ai funerali, perché così viene meglio in tv, sarebbe utile e giusto il silenzio che si deve a chi diparte per l’ultima dimora. Un silenzio propedeutico alla riflessione, al ricordo, all’esercizio della memoria, che è l’unico concreto modo per l’immortalità della presenza delle persone, oltre la loro vita.

Un poco di silenzio gioverebbe a capire che Piergiorgio Welby si è preso una rivincita contro chi lo voleva un malato, invece che un essere umano. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

The show must go off.

Il Natale della pubblicità italiana è triste e un po’ scemo. E’ lo specchio di una classe imprenditoriale che forse legge i dati Auditel, forse, ma non legge i dati economici.

La ripresa economica è ricominciata: sono aumentati i valori della produzione industriale, sono aumentati gli indici della propensione ai consumi.

Ma la pubblicità è rimasta indietro, molto indietro, arretrata come i testicoli del cane. E’ al palo della tv, sirena incantatrice della passata gestione della cosa pubblica e finanziaria, di quel governo che credeva bastasse fare spot in cui uno diceva “grazie” a chi comprava qualcosa.

Sciocca mossa propagandistica del governo Berlusconi, cui si accodò Upa, l’unione pubblicitari associati, la “confindustria” delle aziende che investono in pubblicità, guidata da Giulio Malgara, che è anche il presidente di Auditel, e che fu addirittura candidato a presidente Rai..

E allora succede che la spettacolarizzazione della pubblicità produce effetti scemi: non basta più un testimonial, ce ne vogliono un tot per spot. Esemplare, nella sua triste apparizione sugli schermi della nostre tv, il caso Tim: quattro testimonial, tutti insieme disperatamente.

Tra cui spicca, malgrado lei, o almeno si spera, Sophia Loren, vestita da suora, ma gravemente deturpata da una regia senza scrupoli e da un serial killer della fotografia, che dice quello che pensano tutti quelli che hanno visto quel triste spettacolino natalizio: è proprio una schifezza.

Metafora della pubblicità italiana? O più semplicemente autoironia involontaria, maldestra (più destra che mal) e per questo sublime nella sua inconfessabile verità, che, come l’erba sotto l’asfalto, salta agli occhi di ha dovuto subire la serialità ossessiva della sua ripetizione televisiva.

Qui non si tratta di parlare male della pubblicità, cosa che fanno in molti, in troppi, per vile compiacenza a un luogo comune. Qui si tratta di sottolineare che se una delle più importanti aziende italiane fa pessima pubblicità c’è qualcosa che non va.

Non solo fa rima, ma fa anche pensare al fatto che la creatività pubblicitaria italiana merita interlocutori più intelligenti, meno legati al carro della tv spazzatura, e più attenti all’etica della comunicazione di massa.

Il che è un altro modo per dire che “the show must go off”. Beh, buona giornata.

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Quasi-quasi.

Quasi stupefacente la notizia seguente, diffusa dall’Ansa il 25 Novembre, alle 18,10:”Loredana Lecciso ha quasi detto che sarebbe disposta a tornare con Albano o, almeno, a fare l’amore con il cantante.”

Lecciso ha quasi detto: meraviglioso, sublime, sensazionale quel quasi. Nell’epoca di berlusconiana memoria, in cui all’affermazione corrispondeva simmetricamente la smentita, il concetto del “quasi detto” è un vero avvenimento mediatico, non ha precedenti.

Non perché non si sia mai verificato: la quasi notizia è la notizia del giorno. In realtà, è tutto quasi-quasi, oggigiorno.

Abbiamo un quasi governo e una quasi opposizione; una quasi guerra e un quasi pacifismo. La convivenza è una quasi famiglia.

Il precariato è un quasi lavoro. Il corteggiamento una quasi molestia. Berlusconi ha avuto un quasi malore. La tv italiana fa quasi pena, i dati Auditel sono quasi veri, la pubblicità italiana è quasi advertising. Dice: abbiamo scoperto l’approccio olistico nella comunicazione. Però, quasi.

Beh, buona giornata.

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Ma chi si crede di essere, Berlinguer?

A Montecatini Terme è andata in onda la recita di Natale. Berlusconi ha simulato il malore del leader supremo.

Soccorso dai sindaci Scapagnini e Papaccioli si è subito ripreso. Uno spot per la manifestazione del 2 dicembre? Una strategia della difesa per il processo Mills? Un chiamarsi fuori, per manifesta inferiorità fisica per lo scandalo delle schede bianche? O un messaggio a Casini: Pierferdi, tu quoque? Sta volta la diretta di Sky ha tradito il guitto, i suoi occhi mentre simulava lo svenimento era vigili: tutto troppo perfetto per essere vero.
Lo hanno tradito, nell’ordine: Scapagnini che gli sentiva il polso, in piedi vicino al palchetto e la guardia del corpo che gli diceva: si lasci, si lasci. (Vatti a fidare delle comparse, mo quelli mi lasciano e io sbatto il culo per terra per davvero).

La battaglia è persa e con la battaglia anche la guerra: il malore è il trucco di Alberto Sordi agli esami di stato. In politica, in economia, nelle elezioni, nelle televisioni, nel calcio, e anche nella leadership del centro destra, i nodi sono venuti al pettine: il trapianto dei capelli non serve, la calvizie è nel consenso.

E’ finita un epoca. I martiri si ritirino a Villa San Martino. Per il centro-destra si preparano tempi Fini.
Beh, buona giornata.

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Che casino.

Pare che l’ex campione di boxe dei pesi massimi, Mike Tyson lavorerà in un bordello nel Nevada, lo stato americano che ospita Las Vegas, la città del gioco d’azzardo legalizzato.

Sembra un barzelletta, ma la notizia viene data per vera. Morsicatore professionale di orecchie sul ring, ex detenuto ed ex vincente, indebitato fino al collo (e che collo!), Tyson nel 2003 dichiara bancarotta, non essendo più in grado di far fronte ai debiti, che ammontano a 38 milioni di dollari, dopo aver dilapidato, pare, i 400 milioni guadagnati durante la sua carriera. Come dire che il sogno americano si è trasformato in un incubo da cui è difficile svegliarsi. Farà causa a Don King, il patron del pugilato americano per 100 milioni di dollari, ottenendo solo 14 milioni di risarcimento.

Tyson ci ha abituato negli ultimi tempi a stupire, ma sarebbe meglio dire infastidirci con le sue storie di sesso violento, a volte anche fasulle: un paio d’anni fa successe anche durante una sua visita in Italia. Ma questa volta l’ha fatta davvero grossa, accettando un lavoro in un bordello.

Forse è nei casini, dopo aver accantonato definitivamente l’idea di un ritorno alla grande sulla scena pugilistica mondiale. Fatto sta che Tyson avrebbe accettato la proposta di lavorare in un bordello di lusso della altrettanto famosa Heidi Fleiss, la cosiddetta “Madam Hollywood”, specializzata nel procurare prostitute d’alta classe a clienti miliardari per poi ricattarli minacciandoli di rendere pubblici i loro sfizi segreti. Pubblicò anche un libro sull’argomento.

Quello che non si capisce è con quale incarico è stato ingaggiato Iron Mike o forse si capisce: quello del midnight cowboy. Come dire, una carriera andata a puttane.

Tutto sommato è una storia triste: liberatosi dal suo protettore, Don King oggi si ritrova nelle grinfie di una mezzana. Non sapendo come farsi pubblicità, Heidi Fleiss ha scelto un testimonial, come succede molto spesso anche da noi quando nella pubblicità non si sa come accontentare i clienti.

Che casino: tutto il mondo è paese. Beh, buona giornata.

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Che peccato.

E’ morto a Los Angeles Robert Altman. Il regista di Mash, Nashville, America Oggi, Pret a Porter, Gosford Park e da ultimo Radio America, aveva 81 anni e nel 2006 aveva ricevuto l’Oscar alla carriera.

“Mash” fu il suo primo film che vidi. Era l’epoca della guerra in Vietnam e vedere una parodia della guerra in quei momenti così brutti dava il senso allegro della genialità.

Anni dopo, nacque la mia prima figlia, Martina e una della canzoni di “Nashville” divenne la sua canzone: “I’m easy.”

Pensiamo spesso male della cinematografia americana, troppo roboante e commerciale. Una volta venne in Italia John Landis, quello dei “Blues Brothers” e di “Lupo mannaro americano a Londra.” Disse che spesso noi europei ce l’abbiamo con i film americani, che monopolizzano le sale, togliendo spazio ai film d’autore. Disse che era vero, ma che quello che generalmente chiamiamo film americano è in realtà un film internazionale, un prodotto commerciale di intrattenimento, nato per tirare su molti dollari, in tanti mercati locali. E che questo modo di concepire il cinema come business sbanca- botteghini penalizzava anche il cinema d’autore americano.

Se è vero quanto dice Landis, con la scomparsa di Altman, il cinema americano ha perso un autore, noi altri buoni film americani. Che peccato. Beh, buona giornata.

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Quando il bullo è il preside.

La preside di un istituto scolastico genovese minaccia di sospendere due studenti sorpresi a baciarsi davanti al portone della scuola. E in segno di protesta, i compagni di classe si rifiutano di frequentare le lezioni, restando cinque ore nel corridoio.

Il fatto, come riportato dal quotidiano ‘Secolo XIX’, è avvenuto nella succursale di Voltri dell’Istituto tecnico per il commercio ‘Carlo Rosselli’. L’effusione non e’ piaciuta alla preside che li ha subito convocati e minacciati di sospensione.

Ecco un esempio di bullismo di una preside, che se la prende con un gesto d’amore in momento nel quale troppi gesti di violenza nelle scuole sono balzati agli onori della cronaca.

Ecco un altro esempio della stupidità degli adulti cui fa da contraltare il bel gesto collettivo dei compagni di scuola dei due giovani innamorati.

Baciarsi davanti al portone di scuola: signora preside, lo sa che cos’è la gioia di vivere? O se l’è bello e dimenticato? Forse ha qualcosa da imparare dai suoi studenti: coraggio, non è mai troppo tardi. Beh, buona giornata.

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Chiamate il Telefono maturo.

Eurispes e Telefono azzurro hanno presentato il rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, frutto di un’inchiesta realizzata su 1.242 adolescenti di età 12-19 anni.

Secondo i dati diffusi, il 70,8% degli adolescenti è poco (33,2%) o per niente (37,6%) interessato alla politica. Solo circa il 7% ne è attratto. Il 53,7% ammette però di capirla poco o per niente. Il problema riguarda i contenuti ma anche la comunicazione: più dei 2/3 dei giovani pensa che i politici siano poco (45%) o per nulla (24%) chiari. C’é poi un problema di affidabilità dei politici: il 71,3% nutre poca (41,7%) o per niente (29,6%) fiducia. Su questo punto, cioè il rapporto con la politica e su come la politica comunica sembrerebbe che i nostri adolescenti siano molto maturi: tutto quello che hanno detto di pensare è semplicemente vero.

Sempre secondo i dati resi noti dalla ricerca di Eurispes e Telefono Azzurro, il 56,4% dei ragazzi vede da 1 a 3 ore; il 13,1% da 4 a 5 ore, il 5,6% per più di 5 ore. Nell’ 83,9% si tratta di una fruizione senza alcun controllo da parte degli adulti. La tv si vede per passare il tempo (46,4%) o per divertirsi (22,6%). Il 13,3% è spinto dal desiderio di essere informato; l’8,4% sostiene che la Tv gli fa compagnia. I programmi più visti sono i film (95,4%), i tg ed i programmi di informazione (70,6%), i programmi comici e di satira (70,2%), i cartoni (64,1%), i programmi musicali ed i varietà (63,4%). La metà dei ragazzi (50,9%) segue in Tv i reality show. In considerazione delle alte percentuali dedicate ai programmi di informazione e a quelli di satira, sembrerebbe che in questo caso gli adolescenti siano addirittura più maturi degli adulti.

Il 93,3% degli adolescenti utilizza il computer, percentuale in cresciuta rispetto al 2005 (89,4%). Il 13,7% degli adolescenti non si collega mai ad Internet. Sul Web si cercano soprattutto informazioni (88,6%) e materiale per lo studio (81,2%). Estremamente diffuso inoltre il download dal Web di musica, film, giochi o video (73,8%). Qui siamo al paradosso: attraverso Internet si cercano informazioni e materiali per lo studio. Che se lo facessero anche i loro padri e madri forse le cose andrebbero meglio, nella politica, nella tv e nella società in genere.

Ciò che se ricava, insomma è che i ragazzi sono migliori degli adulti. Il che in generale è sempre una buona cosa, ma che in particolare pone una domanda: i ragazzi sono così impegnati che non sembrano avere tempo per chiamare il Telefono azzurro.

Proporrei di istituire il Telefono Maturo: questo sì sarebbe utile agli adulti per crescere, per imparare a finirla di far finta di preoccuparsi dei ragazzi, di criticarli e di demotivarli, attraverso i mille trucchi dell’ipocrisia. Invece di preoccuparci di loro, dovremmo preoccuparci di noi: abbiamo accettato un mondo che non siamo stati capaci di cambiare. Guardiamo i ragazzi dal buco della serratura e non ci accorgiamo che sono loro che ci stanno studiando. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Air Adv.

Lele Panzeri ha lanciato con successo e divertimento Air Guitar, chi vuole può vedere un brano della serata suYouTube.

Cosa è successo? Che creativi di ogni ordine e grado, dalla pubblicità ai mestieri limitrofi, ma forse è proprio la pubblicità a essere oramai diventata limitrofa alla creatività, si sono esibiti facendo finta di suonare la chitarra.

Ne è uscita fuori una storia piena di sano divertimento, uno sberleffo, uno sghignazzo. Una serata forte, ritmica, epilettica. Vedere per credere: http://www.youtube.com/watch?v=0jnatde_uw0

La qual cosa ha assunto, forse inconsapevolmente, e qui sta il bello, il significato di una metafora: da qualche tempo a questa parte, i creativi pubblicitari fanno air-advertising.

Mettono le mani sulla tastiera del computer, ma la strategia è stata già pensata, mettono le mani sul layout, ma l’art direction viene dettata, prendono la penna e fanno finta di scrivere titoli già predefiniti, suggeriti, per non dire imposti.

La differenza è che l’air guitar di Lele Panzeri è stato un evento sorprendente, quello che succede tutti i giorni nei reparti creativi è invece noioso, banale, convenzionale, conservativo, alquanto deprimente.

Perché alla fine è air-fritta. Beh, buona giornata.

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Quando la notizia è più forte del commento.

Elezioni, ecco le “porcate” che hanno truccato il voto – di Stefano Corradino
Mercoledì, 15 novembre 2006

Un “grande broglio” per danneggiare il centrosinistra. A tutto vantaggio di Forza Italia. È la tesi formulata dal dvd che uscira’ nelle edicole il 24 novembre accluso al settimanale Diario, diretto da Enrico Deaglio. Un memorandum sulle elezioni di aprile firmata dallo stesso Deaglio e Beppe Cremagnani, con la regia di Ruben H. Oliva. Se il voto fosse stato regolare, e cosi’ non e’ stato afferma Deaglio – la maggioranza di centro sinistra avrebbe adesso 15-20 senatori in piu’'”.

“A sette mesi di distanza dalle elezioni del 9 e 10 aprile – afferma Deaglio – non sono ancora disponibili i dati del ministero dell’Interno sulle schede bianche. E noi invece li abbiamo trovati, e sono dati che fanno “saltare sulla sedia” perche’ sono assolutamente uguali in tutta Italia; e mentre crollano vertiginosamente le schede bianche, circa un milione e duecentomila rispetto alle elezioni di cinque anni fa, l’unico dato difforme riguarda Forza Italia che, rispetto agli exit pool cresceva molto oltre le previsioni, diciamo piu’ o meno con la stessa percentuale”.

“Uccidete la democrazia”. Hai dato un titolo piuttosto forte al dvd che sta per uscire. Parli di brogli alle elezioni del 9 e 10 aprile scorso. Come si sarebbero determinati?

Il film racconta cio’ che e’ avvenuto nella notte di lunedi’ 10 aprile scorso. Durante il conteggio dei voti, che avvenne per via telematica, il dato fu subito chiaro e cioe’ quello del crollo, – una cosa mai avvenuta nelle elezioni degli ultimi 50 anni – delle schede bianche e delle schede nulle. Un crollo verticale.

Quante?

Piu’ o meno un milione e duecentomila.

Ma non e’ un dato verificabile?

Dovrebbe esserlo. Ma a sette mesi di distanza dalle elezioni questi dati non sono mai stati rivelati dal ministero dell’Interno e noi, pertanto, i cittadini italiani, non sappiamo ancora definitivamente il risultato delle elezioni.

Piu’ di un milione di schede bianche. Si sono volatilizzate?

Dal ministero dell’Interno non abbiamo saputo niente. Qualcuno probabilmente lo sa ma se lo tiene per se. Ma noi quei dati li abbiamo trovati, e sono dati che fanno “saltare sulla sedia” perche’ sono assolutamente uguali in tutta Italia: le schede bianche stanno in una forbice tra l’1 e il 2 per cento.
E questo dal punto vista statistico, logico, matematico, e politico, e da qualunque punto di vista lo si guardi e’ una cosa non solo bizzarra, ma praticamente impossibile. E mentre si verificava quella notte il crollo delle schede bianche scoprivamo un altro particolare curioso.

Quale?
Che Forza Italia, cresceva molto di piu’ rispetto alle previsioni degli exit pool. Una crescita di circa un milione di voti…

Queste sono gia’ dichiarazioni esplosive. C’e’ dell’altro? Questa mattina, alla lettura della pagina sul Corriere in cui si parla del tuo dvd si sono levate gia’ numerose polemiche. E il dvd ancora non e’ uscito…

E’ tutto l’andamento del voto ad essere sospetto e noi lo abbiamo raccontato minuto per minuto. E cio’ comprende anche il comportamento dell’allora ministro dell’Interno: quella notte, per ben tre volte, invece di restare al Viminale, il ministro e’ uscito, piu’ o meno furtivamente, lasciando tutta l’organizzazione del conteggio dei voti ai suoi funzionari, per andare nella residenza privata del premier Berlusconi. E noi, sulla base delle informazioni in nostro possesso, raccontiamo con scrupolo cos’e’ successo in quella notte nel corso di quegli incontri così agitati”.

Qui si parla di brogli, ma alterare le schede non e’ una cosa cosi’ facile…

In realta lo e’. Siamo andati negli Usa a farci spiegare come si fa da un programmatore informatico che e’ stato il primo a denunciare i brogli elettorali in Florida; e lo ha fatto perche’ lui stesso ha costruito un meccanismo per alterare i dati. E ci siamo fatti anche spiegare come sarebbe stato possibile farlo anche in Italia.
Lui ci ha mostrato come, in trenta minuti, si puo’ creare un software per manipolare i dati e bastano 4-5 persone per gestirlo…

Allora, cosa si evince dal tuo docu-thriller? Chi e’ l’assassino della democrazia?

L’assassino e’ questo metodo. E’ questa legge elettorale che si presta a tantissime nefandezze e il sistema di trasmissione dei dati completamente avulso da qualsiasi tipo di controllo. Noi votiamo e poi c’e’ qualcuno che ci dice chi ha vinto le elezioni. Ma i cittadini non hanno alcuna possibilita’ di controllo.

La tua conclusione personale (e politica) ?

Se il voto fosse stato regolare a quest’ora la maggioranza di centro sinistra al Senato avrebbe dai 15 ai 20 senatori in piu’.

da www.articolo21.info

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Yankee go home.

Pare che George W. Bush, dopo la batosta elettorale, abbia abbandonato la linea dura sull’Iraq.

In una dichiarazione nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, il presidente americano avrebbe assicurato di essere pronto “a qualsiasi idea o suggerimento”.

Eccolo forte e chiaro il suggerimento: yankee go home. Beh, buona giornata.

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Bush perde le elezioni, dopo aver perso la guerra.

Un vero successo elettorale per i Democratici al Congresso, un possibile sorpasso al Senato.

Le elezioni di mid-term, quasi un referendum su Bush e le sue avventure militari, sono state una debacle, si potrebbe dire una Baghdad per i Repubblicani, dunque per Bush e il vero capo della cricca che ha occupato la Casa Bianca, Dick Cheney.

Bush ha riconosciuto la sconfitta, proprio come non fu capace di fare uno dei suoi lacchè: Berlusconi non ha imparato niente, neanche dall’amico George.

La prospettiva di un ribaltamento dei rapporti di forza per l’elezioni del prossimo presidente, fra due anni si fanno concrete.

Ciò che ci interessa, però, è la sconfitta della teoria della guerra preventiva, della esportazione della democrazia, delle teorie neo-con sulla supremazia dell’Occidente e della leadership degli Usa nell’Impero. Per l’Europa in generale e per l’Italia in particolare, la sconfitta dei Repubblicani è più importante della vittoria dei Democratici.

Fa giustizia delle velleità guerrafondaie, delle guerre di civiltà, dello stupro del diritto, con l’arresto, il sequestro e la tortura di cittadini di origine araba, perpetrati con la complicità dei governi europei, ricattati dalla guerra al terrorismo.

Fa giustizia dell’arroganza del vecchio governo, che ha giocato sulla pelle dei nostri soldati in Iraq e in Afghanistan, fa giustizia delle forze che compongono il nuovo governo, che ha giocato sulla pelle del movimento pacifista.

Si apre uno nuovo spiraglio di pace: per quanto piccolo, va subito colto e sviluppato. O rischiamo di pagare le conseguenze della catastrofe della guerra, dello scontro di religione.
Gli sconfitti si leccano le ferite, ma lasciano a noi le conseguenze delle loro malefatte. Beh, buona giornata.

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Figli di genitori minori.

Secondo uno studio condotto tra 2500 operatori turistici in Francia, Stati Uniti, Grecia, Gran Bretagna e Spagna da un’equipe internazionale diretta da Massimo Cicogna, psicoantropologo della Fondazione Ipsa, bambini italiani sono i più maleducati d’Europa.

Disturbano in aereo, in gita scolastica distruggono stanze d’albergo, nei ristoranti schiamazzano e scorrazzano. Nel luglio scorso il comandante di un aereo tedesco che andava a Manchester da Roma ha sbarcato un’intera scolaresca italiana in gita, che rompeva le palle a bordo.

Insomma, i nostri figli sono maleducati, incivili e anche un poco stronzetti. Rispondere “ grazie” per loro è un tabù, mangiare in maniera composta un traguardo inarrivabile, distogliere per un attimo l’attenzione dalla play station per ascoltare l’interlocutore un’impresa ardua, smontare la loro concentrazione su sms e chat a favore dello studio scolastico una battaglia quotidiana, e così via.

Senza contare che la tv ha sostituito il desco: i ragazzini ormai mangiano davanti alla tv, spesso da soli, senza che nessuno si curi di insegnarli non solo come si dovrebbe stare a tavola, ma neppure alcuna cura nel gustare il cibo e men che meno come si prende parte a una conversazione. Del significato dei quello che guardano, manco a parlarne.

Con la forchetta in un mano e il telecomando nell’altra, che volete che venga su? Un tele cafone, un tele troglodita, un tele dispettoso. D’altra parte, che fanno gli adulti: lo stesso, cenano davanti alla tv, con la forchetta in un mano, cercando di togliere ai figli il telecomando con l’altra, dicendogli, con la bocca piena: “Stai composto”.

E tra uno zapping e l’altro, ecco il terzo grado: come è andata a scuola? Che hai fatto? Perché fai questo, che cosa hai fatto? Quello si chiude sulla difensiva. Spesso il dialogo, se di dialogo si può parlare, è in dialetto o peggio in slang: ieri mi sono visto un film (dove, allo specchio, magari sulla fronte). Oppure: domani ci mangiamo una pizza. Come: come si mangiano le parole o peggio le unhie?.

Quando non si parla correttamente, si manca di rispetto all’interlocutore, figli compresi. Dopo aver abbandonato il passato remoto, strangolato il congiuntivo, ecco un’altra vittima del discorso: il riflessivo, come arma impropria del nostro lessico famigliare.

Senza contare gli atteggiamenti stravaccati, privi del senso dell’intimità o della privacy: sbadigli, grattatine impudiche, gestacci, o espressioni scurrili, senza curarsi del fatto che i ragazzini imparano emulando gli adulti, essi ci guardano, prima ancora di ascoltarci.

E allora le cose sono chiare: se i bambini italiani sono i più maleducati d’Europa, secondo voi da chi avranno imparato? Dice, dalla playstation: e chi gliel’ha comperata, abbandonandogliela nella mani, mentre vi facevate smaccatamente i fatti vostri? Dice: dalla tv. Ma davanti alla tv non c’eri pure tu?
Beh, buona giornata.

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Faccetta tosta.

Pare che Maurizio Gasparri, ex ministro delle Comunicazioni, attualmente deputato di An, abbia detto che “la presenza della Gregoraci a Buona domenica è diseducativa”. Ma lei, al centro dello scandalo vallettopoli e ora, con Sara Varone, nel cast del contenitore pomeridiano di Canale 5, replica: “Se causo disagio con la mia presenza a Buona domenica, posso andarmene”.

La vicenda che ha visto la Gregoraci balzare dal nulla al clamore della cronaca è legata alle sue frequentazioni con un altro membro di An, all’epoca portavoce di Gianfranco Fini, l’allora vicepresidente del Consiglio, nonché ministro degli Esteri.

Gli incontri con il membro di An avvenivano alla Farnesina, secondo quanto riportato dalla stampa, che rese note sia intercettazioni telefoniche che i verbali dell’interrogatorio della Gregoraci.

Il membro di An finì prima agli arresti domiciliari e poi a casa, cioè al Secolo d’Italia, giornale di An. Il fatto fece un certo scalpore perché metteva in luce che il membro di An faceva raccomandazioni per la Rai, presso cui la Gregoraci era legata da un contratto. Il quale contratto fu poi accantonato, per cui la Gregoraci passò a Mediaset, dove tutt’ora partecipa a Buona Domenica.

Quanto meno tardiva la tirata morale dell’on, Gasparri, tutto ciò che c’era di diseducativo c’è già stato: in un luogo di interesse pubblico (il Ministero degli Affari esteri), un membro di An ( partito al governo dell’epoca), incontrava per fatti intimi e privati una valletta che lavorava per la Rai (servizio pubblico).

La Gregoraci lavora adesso per una rete privata, per cui problemi di etica con gli organi pubblici non si pongono. Canale 5 è una rete commerciale, il problema se sia o meno edificante la partecipazione della Gregoraci riguarda esclusivamente i telespettatori, che possono agire col telecomando e gli inserzionisti pubblicitari, che possono non gradire quel programma nelle pianificazioni televisive.

Gratùite, a questo punto, suonano le parole dell’ex ministro, nonché fuori luogo le stesse parole della Gregoraci: non è a lui che deve offrire le proprie dimissioni dalla trasmissione. Queste cose le avremmo potute sentire quando lavorava per il servizio pubblico, al quale ha senz’altro causato imbarazzi e disagi. Anche per Fini e colonnelli non furono rose e fiori.

D’altronde, non si sentirono reprimende moralistiche dell’ex ministro, all’epoca delle frequentazioni della Gregoraci con il membro di An. Farlo adesso, ci vuole una bella faccetta tosta. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia

Troppa tv stroppia pure la pubblicità.

L’Italia dei media corre e Internet ha raggiunto il 38% della popolazione, ma gli altri Paesi d’Europa sono già molto lontani. L’Italia resta comunque in coda nell’uso generale dei media. Lo dice il sesto rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione presentato a Roma a fine Ottobre.

Negli ultimi anni ci siamo accostati a più media per assolvere ai nostri bisogni, ma non siamo ancora vicini ai grandi Paesi europei. Resta forte la dipendenza dal modello televisivo tradizionale analogico terrestre.
Se questi sono i dati fatto, sembra che il quadro della situazione non sia molto chiaro ai soggetti economici coinvolti nello sviluppo dei media.

Prendiamo ad esempio la posizione di Giulio Malgara, presidente di Upa, l’associazione che raggruppa le aziende che investono in pubblicità, come è stata riportata da una intervista di Matteo Vitali per advexpress.it, il 18 ottobre scorso.

Sostiene Malgara: “Per quanto riguarda la ridistribuzione degli investimenti su altri mezzi, questo potrebbe avvenire, ma non è cosa certa- dice Malgara- Ad ogni modo, ritengo del tutto ingiusto che una legge (il ddl Gentiloni, ndr) influisca forzatamente nelle strategie di comunicazione e nella gestione dei budget di una azienda. Esistono, oggi, degli investitori che si affidano esclusivamente al mezzo televisivo, pur essendo del tutto liberi di pianificare sugli altri. Ciò significa che la scelta è fatta con cognizione di causa, e che i loro investimenti, una volta ridotti gli spazi televisivi, andranno del tutto, o in gran parte persi.”

Il giudizio del presidente di Upa, che anche il presidente di Auditel sulla Gentiloni è del tutto negativo: “Confermo tutto ciò che ho detto in questi giorni – ha affermato Malgara – il disegno di legge Gentiloni è negativo soprattutto perché, attraverso l’abbassamento del tetto pubblicitario al 45%, la riduzione dell’affollamento orario al 18% (comprese le telepromozioni, ndr) e il passaggio forzato di una rete Rai e una Mediaset sul digitale terrestre entro il 2009, causa una immediata diminuzione degli spazi pubblicitari in un momento in cui, vista la stagnazione o la scarsa crescita dei consumi, il mercato deve essere stimolato.”

La posizione di Malgara appare conservatrice dell’esistente panorama dei media in Italia, nega che lo sviluppo dei media sia un bene anche per gli investitori, nega che l’arrivo di nuovi soggetti possa favorire un migliore rapporto qualità-prezzo degli spazi pubblicitari.

Non vede, Malgara, la possibilità che nuovi soggetti diventino essi stessi utenti di pubblicità, nuovi investitoti, capaci di usare la pubblicità come strumento di una nuova concorrenza.

C’è anche un altro aspetto singolare nelle tesi sostenute da Malgara: egli sostiene che c’è un pericolo di riduzione degli spazi televisivi, in un momento nel quale le aziende hanno invece bisogno di più spazi. Però le nuove norme sul digitale terrestre dovrebbero entrare in vigore nel 2009, fra tre anni.

E poi, c’è da notare che il grande affollamento di questi anni non ha favorito la pubblicità, se è vero, come lo stesso Malgara sostiene, che i consumi languono: a tanta pubblicità televisiva non ha affatto corrisposto la tenuta né dei consumi, né delle quote di mercato.

Questo sistema dei media italiani, che vede una concezione “tolemaica” dei media, la tv ferma al centro dell’universo dei mezzi di comunicazione di massa, allora, non è solo retrogrado, ma palesemente inefficace alle esigenze, non solo dei telespettatori-consumatori, ma anche delle aziende-utenti di pubblicità.

Senza contare, che la posizione dominante delle tv, in particolare di Mediaset ha determinato una politica dei prezzi, tale per cui le aziende hanno cominciato a fare economie sui costi della creatività e sulle percentuali per l’acquisto e la pianificazione dei mezzi, con il risultato di un impoverimento delle idee, che a sua volta ha determinato una omologazione dei messaggi, che ha allontanato i telespettatori-consumatori dagli standard di gradimento dei messaggi. E la creatività italiana dai circuiti internazionali.

Strana la posizione di Lorenzo Strona, presidente di Unicom.

Dopo aver detto che la posizione dominante della tv è colpa della stampa (!?) che non è in grado di soddisfare le esigenze dei piccoli e medi investitori, a proposito del ddl Gentiloni dice ad advexpress.it, il 17 ottobre: “Stante questa situazione, appare di tutta evidenza l’inopportunità dell’iniziativa di porre artificialmente barriere alla naturale evoluzione delle dinamiche di mercato. Le nostre imprese, le medie soprattutto, per tentare di ovviare all’apatia del mercato, hanno necessità di aumentare la loro visibilità e di proporre ogni giorno nuovi stimoli al consumatore. Penalizzarne -continua Strona- la capacità di comunicare significa deprimerne ulteriormente la capacità di competere, con danni rilevanti a carico dell’intero sistema economico del Paese”.

Strana la posizione di Strona, dicevamo: più concorrenza tra media e all’interno degli stessi media penalizzerebbe il mercato. Il problema italiano, per Strona è poco spazio in tv per gli investitori. Per Strona, l’affollamento non esiste, è “una naturale evoluzione delle dinamiche del mercato”.

Pubblicità Italia Today, news letter del settore della pubblicità, il 16 ottobre scorso pubblica una sintesi delle posizioni espresse dai responsabili dei centri media, cioè da quelle agenzie che acquistano spazi televisivi per conto degli investitori. Il quadro che ne emerge è di un gran timore che la situazione del mercato muti.

Vediamo brevemente: “Le centrali chiedono tempo prima di dare un giudizio più dettagliato- scrive Pubblicità Italia-, ma non possono fare a meno di manifestare qualche motivo di perplessità circa gli aspetti più sostanziali del progetto di riforma della Gasparri.”

Secondo la testata di settore, Walter Hartsarich di Aegis lamenta da un lato la decisione di colpire una grande azienda italiana (Mediaste, ndr), sottolineandone il problema occupazionale, e dall’altro la limitazione che ne deriva a una pianificazione libera e di massimo rendimento. Ernesto Pala di Zenith ritiene che le risorse liberate dalla raccolta di Publitalia (la concessionaria di Mediaste, ndr) potrebbero andare perse, non ridistribuirsi cioè sul mercato a causa della mancanza di altre audience interessanti e del tetto di raccolta di Sipra (la concessionaria della Rai, ndr).
P
ositivo invece sulla riforma Auditel, ma con la speranza che si estenda a tutto il sistema “Audi”. Marco Muraglia di Muraglia Calzolari & Associati si esprime invece sulla possibilità che ad una apertura del mercato delle frequenze non corrisponda un’offerta di contenuti nuovi e di qualità. Alessandro Mandelli di Mpg preannuncia un innalzamento dei prezzi dovuto alla contrazione dell’offerta di spazi, che costringerà i centri media a cercare alternative al mezzo televisivo.

Fabio Ferrara (Starcom) è più positivo sulla riforma, ma indica come la vera rivoluzione la stia in realtà già facendo il mercato, anche con il calo di ascolti della tv generalista.

Come è possibile constatare, siamo all’eccesso colposo di cautela, come se ci si muovesse in campo minato, la qual cosa la dice lunga sulla predominanza delle concessionarie delle tv sulle decisioni dei centri di acquisto degli spazi.

Per fortuna dei telespettatori-consumatori e delle aziende-utenti di pubblicità, non tutti la pensano così.
Marcella Bergamini, media group director di Danone ha detto a Claudia Albertoni di advexpress.it, il 24 ottobre scorso . “In Danone pensiamo che stia iniziando un’era di grande cambiamento: tutti gli attori della comunicazione dovranno adottare un approccio diverso, ma questo non significa automaticamente che gli effetti saranno a priori negativi o penalizzanti.”

“ Non crediamo- ha aggiunto Bergamini- sia tanto importante guadagnare più o meno spazi, ma ottenere campagne visibili ed efficaci. A questo proposito, oggi in tanti riportiamo numeri che attestano una minore efficacia della tv imputabile anche all’eccessivo affollamento. Quindi, perché non pensare in positivo? Vedo piuttosto un incentivo all’eccellenza, dato che altre tv e media diversi – in particolare quelli che oggi lamentano difficoltà di affermazione per le logiche dell’attuale sistema – dovranno mettersi in gioco e provare a esprimere le loro potenzialità.”

Dalle agenzie di pubblicità, quelle creative, quelle che studiano e realizzano le campagne, i cui spot sono al centro del dibattito sull’affollamento e l’efficacia del mezzo televisivo arriva un pesante silenzio.

Come se lo stato dei media italiani non fosse cosa che riguarda chi inventa i messaggi, come se non riguardasse proprio i veicoli su cui i messaggi creativi viaggiano, in quel tragitto che va dalle aziende ai consumatori, passando per tutti i media, ma che in Italia trovano un via obbligata: la tv.

Per prudenza o per timorosa compiacenza, si fa finta di non sapere, o comunque si evita accuratamente di dire che la qualità dei messaggi ha necessità di qualità dei mezzi per divulgarli. Che la morte della creatività è nell’invadenza, nella disapprovazione, nella noia che la ripetitività provoca presso il telespettatore-consumatore. Che l’anomalia del sistema televisivo italiano è la causa principale della perdita di autorevolezza dei pensieri, dei concetti, delle idee che caratterizzano l’advertising made in Italy.

Quando vedono una campagna pubblicitaria italiana, la cosa più carina che fanno i creativi di Londra, di Parigi, di Barcellona, di Amsterdam, di New York, ma ormai sempre più spesso anche di Santiago del Cile, di San Paolo del Brasile, per non dire Shanghai o di Sidney è scuotere, sconsolatamente scuotere la testa.

E lo fanno anche gli imprenditori italiani, che quando vanno all’estero, la creatività se la scelgono in loco, mica se la portano da casa. Beh, buona giornata.

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Il water boarding, ovvero come trattare i detenuti a Panebianco e acqua.

Intervistato dal conservatore Scott Hennen, Dick Cheney, vice presidente degli Usa ha sostenuto la necessità in casi estremi di ricorrere alla tecnica di interrogatorio che prevede di stimolare i sensi di un detenuto, in modo da dargli la sensazione di essere sul punto di affogare.

Il metodo sarebbe stato utilizzato dalla Cia per ottenere informazioni da Khalid Sheikh Mohammed, il presunto stratega dell’attacco dell’11 settembre 2001. Gli interrogatori a Mohammed “ci hanno permesso di rendere più sicura la nazione – ha detto Cheney -, Mohammed ci ha fornito informazioni di enorme valore”.

Il vicepresidente si è detto convinto che non ci sia molto da riflettere sul fatto di “inzuppare” un detenuto, se questo serve a salvare vite, ma ha aggiunto di essere stato “criticato più volte come ‘vicepresidente per la tortura’. Noi non torturiamo – ha proseguito Cheney nell’intervista – non è ciò in cui siamo impegnati. Rispettiamo i nostri obblighi nei trattati internazionali di cui siamo parte e via dicendo.

Ma il fatto è che si può avere un programma di interrogatori molto solido senza la tortura e abbiamo bisogno di essere in grado di attuarlo”. Il vicepresidente non ha però apertamente confermato che il leader di al Qaeda sia stato sottoposto al ‘water boarding’.

Che cos’è il water boarding? Il ‘water boarding’ prevede di tenere un prigioniero in una posizione con i piedi rialzati rispetto alla testa, legato a una tavola, con il volto coperto da un pezzo di tessuto: in queste condizioni, viene fatta scorrere acqua su bocca e naso per dare la sensazione di essere sul punto di affogare.

Di ritorno da un viaggio in Missouri e Carolina del sud, il vice di Bush ha negato di essersi riferito a quella o ad altre tecniche per interrogare i presunti terroristi quando ha definito una cosa “ovvia” lasciar “inzuppare un po’ nell’acqua” un detenuto. “Non parlo di tecniche, non lo farei mai”, ha puntualizzato, “ho detto che un certo programma di interrogatori per un numero ristretto di detenuti è molto importante ed è stata una delle nostre più preziose fonti di informazioni”.

Dick Cheney tenta di arginare le polemiche sollevate da una sua frase che sembrava avallare la tecnica di interrogatorio del ‘water boarding’, in cui si fa credere al detenuto che stia per annegare.

Le parole di Cheney avevano provocato la furiosa reazione delle organizzazioni per i diritti umani: il ‘water boarding’, è stato paragonato da più parti a una forma di tortura. Cheney è stato accusato di aver dato la propria approvazione a interrogatori che prevedono un finto affogamento, ma la Casa Bianca ha negato che si riferisse ad alcun metodo specifico.

A pochi giorni dalle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, con le quali saranno rinnovati tutti i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti e 33 su cento al Senato, la vicenda ha finito per diventare il caso del giorno per i giornalisti della Casa Bianca, che hanno approfittato di un incontro tra il presidente George W.Bush e il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, per chiederne conto al presidente. “Questo Paese non tortura, non tortureremo – ha assicurato George W. Bush – interrogheremo le persone che catturiamo sul campo di battaglia per determinare se possiedano o meno informazioni che saranno utili a proteggere la nazione”.

Il fatto è che Gauntanamo Bay non è in nessun di battaglia. Né sono sul campo di battaglia tutti coloro che sono stati rapiti e torturati su e giù per l’Europa, Italia compresa.

Angelo Panebianco sulle colonne del Corriere della Sera, quest’estate, prima che si capisse che l’attentatone di Heathrow era un bufala ordita dai servizi inglesi con la complicità di quelli pakistani, ebbe a scrivere: “Immaginiamo che tra qualche mese venga fuori che l’Apocalisse dei cieli, il grande attentato destinato a oscurare persino gli attacchi dell’Undici Settembre, con migliaia di vittime innocenti, sia stato sventato solo grazie alla confessione, estorta dai servizi segreti anglo-americani, di un jhadista coinvolto nel complotto, magari anche arrestato (sequestrato) illegalmente. Chi se la sentirebbe in Europa di condannare quei torturatori? La risposta è: un gran numero di persone. In Italia più che altrove.”

Il fatto è che per via delle elezioni di mid term, Dick Cheney smentisce di aver lodato il water boarding, Bush nega che gli americani torturano.

Povero Panebianco, vuoi vedere che è rimasto senza companatico? Insha’Allam (Madgi). Beh, buona giornata.

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