Justin Kruger e Nicholas Epley, ricercatori della Business School dell’Università di Chicago hanno dimostrato come la chiarezza delle e-mail sia altamente sopravvalutata.
Kruger ed Epley, con cinque esperimenti successivi che hanno via via verificato e ampliato i risultati, hanno chiesto a dei volontari di trasmettere messaggi via e-mail o telefono sinceri o sarcastici.
Chi scriveva era convinto, nel 75% dei casi, che il destinatario avesse identificato correttamente il tono del messaggio. Sebbene questo fosse vero per i destinatari del messaggio telefonico, tra coloro che avevano ricevuto le e-mail, solo il 56% era stato in grado di percepire il messaggio in modo appropriato.
A fare maggiore chiarezza non serviva neanche il tipo di rapporto esistente tra scrivente e destinatario, perché i malintesi ci sono in eguale misura tra amici, conoscenti o estranei.
Conclusione: niente nella comunicazione scritta può rimpiazzare il linguaggio non verbale, fatto di ‘segnali paralinguistici’ e ‘segnali prossemici’. Quando ci si dice qualcosa faccia a faccia, chi parla non usa solo le parole, ma il tono della voce e la gestualità, che arricchiscono il messaggio e forniscono all’ascoltatore importanti chiavi di interpretazione.
Le lettere tradizionali erano usate su base mensile o settimanale, la posta elettronica è usata molto più di quella vecchia maniera, ha rimpiazzato il telefono, spesso negli uffici si manda un’e-mail, anche quando sarebbe più facile parlarsi direttamente.
Pensateci bene, quante volte avete usato una e-mail e poi vi siete resi conto che la velocità della posta elettronica ha ulteriormente impoverito il già povero (rispetto alla comunicazione a voce) linguaggio scritto, con conseguenti e spesso spiacevoli equivoci?
Secondo la ricerca di Kruger ed Epley , non è solo un limite dell’e-mail, qualcosa di intrinseco al mezzo, ma anche un atteggiamento del tutto umano, un eccesso di egocentrismo. Secondo i ricercatori americani tutti, per abitudine, sovrastimiamo la nostra abilità di comunicare via e-mail, per un eccesso di autostima.
Benché consapevoli dell’ambiguità dei nostri messaggi, non riusciamo ad ammettere che il nostro interlocutore potrebbe interpretarli in maniera diversa. Questo è dovuto al fatto che seppure cerchiamo di metterci nei panni degli altri e di immaginarne il punto di vista, i sentimenti o i pensieri, usiamo pur sempre noi stessi come punto di riferimento. Non riusciamo insomma ad andare oltre la nostra esperienza soggettiva e nel caso delle e-mail sopravvalutiamo le nostre abilità di scrittori.
C’è addirittura chi sostiene che l’e-mail appartiene al passato, almeno per le nuove generazioni che la usano per lavoro o studio: tra gli amici meglio sms e chat line. A sancire la fuga dalla posta elettronica è uno studio del Pew Internet and American Life Project secondo cui la maggioranza dei giovani predilige i messaggi istantanei o il telefono per comunicare tutto ciò che va dalla chiacchiera alla conversazione intima. Le e-mail vengono usate come canale ufficiale riservato alle faccende ‘più serie’.
La cosa migliore da fare è parlare quando bisogna parlare, scrivere quando bisogna scrivere. E quando si scrive, scrivere come se fosse una lettera, con tutte le cautele e le buone abitudini della posta tradizionale.
Per esempio, è meglio cominciare con una ‘caro’ e finire con ‘cordiale saluto’. Come se usaste la penna. Avere poco tempo, non significa avere fretta. Le comunicazioni sbrigative sono irritanti: scritte, parlate o lette che siano. Beh, buona giornata.