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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Ma quale ripresa: in Italia Pil a -5,2 e tasso di disoccupazione a 8,3.

Nubi nere continuano a caratterizzare la situazione economica. I dati dell’Istat non lasciano dubbi. Si parte dal brusco innalzamento del deficit-pil nei primi nove mesi del 2009, un dato quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Si prosegue con l’occupazione che, a novembre, è diminuita di 389.000 unità rispetto allo stesso mese del 2008 e di 44.000 rispetto ad ottobre. Sempre secondo l’Istat il tasso di disoccupazione a novembre ha raggiunto l’8,3%, il dato più alto da aprile 2004.

Deficit-Pil. Nei primi tre trimestri del 2009, comunica l’istat, l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al pil è stato del 5,2%, contro il 2,8% di gennaio-settembre del 2008 (era 6,1% al termine del secondo trimestre del 2009). Solo nel terzo trimestre dell’anno scorso il disavanzo pubblico è stato pari al 3,3% (era 3,2% ad aprile-giugno), più che raddoppiato rispetto all’1,3% dello stesso periodo del 2008. Nel terzo trimestre del 2009 il saldo primario è stato positivo e pari a 2,244 miliardi (era 14,921 miliardi nello stesso periodo del 2008), con un’incidenza positiva sul pil dello 0,6%, mentre era +3,9% a luglio-settembre dell’anno prima.

Nei primi nove mesi del 2009, il saldo primario rispetto al pil è negativo e pari allo 0,8%, contro il +2,3% dello stesso periodo del 2008. A luglio-settembre, aggiunge l’istituto di statistica, il saldo corrente (risparmio) è stato negativo e pari a 940 milioni, contro il valore positivo di 6,499 miliardi dello stesso trimestre dell’anno precedente, con un’incidenza negativa sul pil pari allo 0,2% (+1,7% nello stesso periodo del 2008). Nei primi nove mesi del 2009, inoltre, il saldo corrente in rapporto al pil è negativo e pari al 2,3% (era +0,3% nei primi tre trimestri del 2008).

Disoccupazione. Il tasso di disoccupazione a novembre ha raggiunto l’8,3%, il dato più alto da aprile 2004. A novembre 2008 il tasso di disoccupazione si era attestato al 7,1%. Le persone in cerca di occupazione nel mese erano 2.079.000, cioè 313.000 in più rispetto ad un anno prima e 30.000 in più rispetto ad ottobre. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 26,5%, segnando una riduzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente contro un aumento di 2,9 punti percentuali rispetto a novembre 2008.

Occupazione. L’occupazione a novembre è diminuita di 389.000 unità rispetto allo stesso mese del 2008 e di 44.000 rispetto ad ottobre. Lo rileva l’Istat sulla base dei dati destagionalizzati precisando che il calo tendenziale è dell’1,7% mentre quello congiunturale è dello 0,2%.

Eurozona. La disoccupazione nell’eurozona a novembre ha toccato quota 10% rispetto al 9,9% di ottobre. E’ il dato destagionalizzato diffuso da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, che precisa come si tratti del tasso più elevato da agosto 1998. Nel novembre 2008 il dato era pari all’8%. I dati sono stati diffusi da Eurostat, secondo cui i disoccupati nell’Eurozona sono 15,712 milioni nell’area euro a novembre (+185 mila da ottobre) e 22,899 milioni nell’Ue (+102 mila). Beh buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia

Col Pil a-5% e il debito pubblico al 117% si chiude un terribile 2009. Mentre il giornale di Confidustria premia il ministro dell’Economia “uomo dell’anno”. Sembra uno scherzo, ma è tutto vero.

UN PREMIO PER GIANNI-la voce.info
In quest’anno di crisi, con l’economia che fa meno 5 e il debito pubblico tornato al 117 per cento del pil, il maggiore quotidiano economico italiano ha voluto istituire, per la prima volta nella sua storia, un premio all’uomo dell’anno nell’economia italiana.

E come si apprende dal titolo di testa del 31 dicembre 2009, “le grandi firme del Sole 24 Ore” lo hanno attribuito a Giulio Tremonti, ministro dell’Economia. Secondo posto a Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Il terzo posto a Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria.

Anche lavoce.info non poteva mancare all’appuntamento con i grandi premi di fine anno. Abbiamo così istituito il Premio Indipendenza 2009. E siamo lieti di annunciare che lo abbiamo assegnato a Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore per il coraggio mostrato nel premiare nell’ordine: 1) il più grande azionista dei più grandi soci di Confindustria, colui che decide quanti soldi dare alle imprese che versano le quote associative a Confindustria, nonché suo grande sponsor per la guida del quotidiano di Confindustria; 2) l’amministratore delegato del più grande gruppo privato socio di Confindustria, proprietaria del Sole 24 Ore; 3) la presidente di Confindustria, proprietaria del Sole 24 Ore.

Nell’assegnare a Riotta il prestigioso riconoscimento vorremmo porgli due domande, una facile e una più difficile, nella tradizione delle sue interviste ruvide ed affilate.

Prima domanda: come ha accolto Emma il riconoscimento di “uomo dell’anno”? In tempi di sconfinamenti di genere, la risposta non è ovvia.

Seconda domanda, quella difficile: chi sono le grandi firme del Sole24Ore? Ne abbiamo interpellate alcune a caso, tra gli economisti maggiormente citati nelle publicazioni scientifiche e riconosciuti a livello internazionale, che collaborano al giornale.

Nessuno aveva mai sentito parlare del concorso e del premio. Meglio così. In simili atti di coraggio solo ed unicamente il comandante deve esporsi. Che tempra quel Gianni! (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Le previsioni sull’andamento della crisi economica del Ministro dell’Economia del Governo italiano: “ho molta fiducia nella saggezza degli italiani, dei lavoratori, degli imprenditori”.

Il futuro degli uomini dipende dagli stessi uomini e volerlo sapere a prescindere dall’uomo è arroganza e superstizione: lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in un’intervista rilasciata al Tg1 delle ore 20 del 3 gennaio.

«Il nostro futuro non è un destino fisso, un progresso o un declino inevitabile – dice Tremonti – Il nostro futuro dipende da noi, dalla nostra libertà, responsabilità, dalla nostra saggezza, dalla nostra speranza. Io per esempio, per questo tempo che stiamo vivendo, ho molta fiducia nella saggezza degli italiani, dei lavoratori, degli imprenditori. E’ per questa ragione che ho speranza. Il futuro degli uomini non è né un oroscopo, né un software, né un palinsesto, né un programma di computer».

Noi pensavamo che il futuro dell’Italia fosse una prerogativa delle scelte di politica economica del Governo. Noi pensavamo che il ministro dell’Economia facesse delle scelte con la consapevolezza di un coerente progetto di rilancio della nostra economia. Macché: lui “ha speranza”, lui “ha fiducia”.

Tornano alla mente le parole di un immobiliarista che qualche tempo fa ebbe a dire, con disarmante candore: “troppo facile fare il fro… col cu… degli altri”. Beh, buona giornata.

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democrazia Lavoro Leggi e diritto

Riforme costituzionali o privatizzazione della Costituzione?

«La riforma non dovrà riguardare solo la seconda parte della Costituzione, ma anche la prima. A partire dall’articolo 1: stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla». Renato Brunetta dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La tv rende stupidi. Ma non sono mica stupidi tutti quelli che quardano la tv.

Miracolo in tv: una fiction “seria e di successo”.Il falso dogma televisivo della insopportabilità da parte del pubblico dei temi sociali- Giuseppe Giulietti-blitzquotidiano.it

Per anni ci siamo sentiti ripetere che “la gente in tv” non vuole sentire o vedere rotture di scatole e tanto meno temi ansiogeni o sgraditi. Nell’ipotetico elenco venivano inseriti tutti i temi legati alle povertà, alla questione sociale, alle morti sul lavoro e da lavoro.

Lo abbiamo sentito ripetere tante volte che quasi quasi ci eravamo cascati anche noi, avevamo assunto questa tesi alla stregua del dogma trinitario per un cattolico fervente.

Per questa ragione non volevamo credere agli odierni risultati auditel che assegnano la ragguardevole cifra di 6 milioni di spettatori alla fiction “Un caso di coscienza”, prodotta dai Rai Fiction, trasmessa da Rai uno e curata da Andrea Purgatori. La puntata, infatti, era dedicata alle morti sul lavoro, alla risoluzione di alcuni misteri italiani.

Miracolo natalizio, o meglio post natalizio, ha voluto che milioni di cittadini seguissero la puntata dall’inizio alla fine, contrastando il primato niente di meno che al Grande fratello.

E’ bastata dunque una serata diversa e una fiction ben pensata, ben girata, ben interpretata a smentire qualche quintale di luoghi comuni.

Questo tipo di ricostruzioni ispirate alla realtà hanno un loro pubblico, anzi c’è una grande domanda di prodotti che raccontino l’Italia reale che non può essere esaurita da grandi fratelli e medie sorelle.

La loro progressiva cancellazione dai principali palinsesti non è stata decisa da una fantomatica pubblica opinione, ma da una sapiente regia di un ristrettissimo gruppo di proprietari e di signori degli appalti che così hanno deciso per ragioni politiche, commerciali, per opportunità e per opportunismo.

Siamo quasi certi che alcun editorialista dedicherà la sua attenzione al successo di questa fiction e agli argomenti trattati nella puntata, eppure sarebbe un bel tema per riflettere sulle tante contraddizioni che ci circondano e talvolta ci attraversano.

Forse si potrebbe scoprire che i partiti dell’amore sono tanti e distanti tra di loro, tra questi c’è anche il partito di chi ancora si appassiona ai grandi temi sociali, rimossi da tante parte della politica, ma non da milioni di italiani,sempre in attesa del partito che non c’è.

Una ultima annotazione: il regista della fiction si chiama Luigi Perelli, fu anche uno dei registi de La Piovra.

Non ditelo al capo dell’altro partito dell’amore, già voleva “strozzare” gli autori de La Piovra, non vorremmo che adesso volesse bisoffocare il bravo e appassionato Perelli. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Lavoro

Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Si è dimenticato le comunità religiose diverse dalla Chiesa Cattolica. Ha fatto sociologia, invece che politica sul vero grande problema del 2010: la disoccupazione, il nocciolo della crisi. Ma si è ricordato di fare eccessive aperture al berlusconismo. Peccato.

IL TESTO INTEGRALE
Messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Roma, 31 dicembre 2009

Buona sera a voi che siete in ascolto.

Nel rivolgervi, mentre sta per concludersi il 2009, il più cordiale e affettuoso augurio, vorrei provarmi a condividere con voi qualche riflessione sul difficile periodo che abbiamo vissuto e su quel che ci attende.

Un anno fa, molto forte era la nostra preoccupazione per la crisi finanziaria ed economica da cui tutto il mondo era stato investito. La questione non riguardava solo l’Italia, ma avevamo motivi particolari di inquietudine per il nostro paese.

Oggi, a un anno di distanza, possiamo dire che un grande sforzo è stato compiuto e che risultati importanti sono stati raggiunti al livello mondiale : non era mai accaduto nel passato, in situazioni simili, che i rappresentanti degli Stati più importanti, di tutti i continenti, si incontrassero così di frequente, discutessero e lavorassero insieme per cercare delle vie d’uscita nel comune interesse, e per concordare le decisioni necessarie.

Proprio questo è invece accaduto nel corso dell’ultimo anno. L’Italia – sempre restando ancorata all’Europa – ha dato il suo apprezzato contributo, con il grande incontro del luglio scorso a L’Aquila, e ha per suo conto compiuto un serio sforzo.

Dico questo, vedete, guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro paese. Perché, lo so bene, abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza. Nello stesso tempo, nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità, da parte delle imprese, delle famiglie, del mondo del lavoro.

Perciò guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno.

Non posso tuttavia fare a meno di parlare del prezzo che da noi, in Italia, si è pagato alla crisi e di quello che ancora si rischia di pagare, specialmente in termini sociali e umani.

C’è stata una pesante caduta della produzione e dei consumi; ce ne stiamo sollevando; si è confermata la vocazione e intraprendenza industriale dell’Italia; ma ci sono state aziende, soprattutto piccole e medie imprese, che hanno subìto colpi non lievi; e a rischio, nel 2010, è soprattutto l’occupazione. Si è fatto non poco per salvaguardare il capitale umano, per mantenere al lavoro forze preziose anche nelle aziende in difficoltà, e si è allargata la rete delle misure di protezione e di sostegno; ma hanno pagato, in centinaia di migliaia, i lavoratori a tempo determinato i cui contratti non sono stati rinnovati e le cui tutele sono rimaste deboli o inesistenti; e indubbia è oggi la tendenza a un aumento della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile.

Vengono così in primo piano antiche contraddizioni, caratteristiche dell’economia e della società italiana. Dissi da questi schermi un anno fa: affrontiamo la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo, facendo i conti con le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo – dalla crisi deve e può uscire un’Italia più giusta. Ebbene, questo è il discorso che resta ancora interamente aperto, questo è l’impegno di fondo che dobbiamo assumere insieme noi italiani.

Ma come riuscirvi? Guardando con coraggio alla realtà nei suoi aspetti più critici, ponendo mano a quelle riforme e a quelle scelte che non possono più essere rinviate, e facendoci guidare da grandi valori: solidarietà umana, coesione sociale, unità nazionale.

Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto maggiori problemi: le coppie con più figli minori, le famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte anche in Parlamento ci dicono che nel confronto internazionale, elevato è in Italia il livello della disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi “atipici”, comunque temporanei.

Le condizioni più critiche si riscontrano nel Mezzogiorno e tra i giovani. Sono queste le questioni che richiedono di essere poste al centro dell’attenzione politica e sociale, e quindi dell’azione pubblica. L’economia italiana deve crescere di più e meglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale. E perché cresca in modo più sostenuto l’Italia, deve crescere il Mezzogiorno, molto più fortemente il Mezzogiorno. Solo così, crescendo tutta insieme l’Italia, si può dare una risposta ai giovani che s’interrogano sul loro futuro.

C’è una cosa che non ci possiamo permettere: correre il rischio che i giovani si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi, di avere un’occupazione e una vita degna nel loro, nel nostro paese. Ci sono nelle nuove generazioni riserve magnifiche di energia, di talento, di volontà: ci credo non retoricamente, ma perché ho visto di persona come si manifestino in concreto quando se ne creino le condizioni.

Ho visto la motivazione, ho visto la passione di giovani, tra i quali molte donne, che quest’anno mi è accaduto di incontrare nei laboratori di ricerca; la motivazione e l’orgoglio dei giovani specializzati che sono il punto di forza di aziende di alta tecnologia; la passione e l’impegno che si esprimono nelle giovani orchestre concepite e guidate da generosi maestri. E penso alla motivazione e alla qualità dei giovani che si preparano alle selezioni più difficili per entrare in carriere pubbliche come la magistratura.

Certo, sono queste le energie giovanili che hanno potuto prendere le strade migliori; e tante sono purtroppo quelle che ancora si dibattono in una ricerca vana. Ma ho fiducia nell’insieme delle nuove generazioni che stanno crescendo; a tutti i giovani la società e i poteri pubblici debbono dare delle occasioni, e in primo luogo debbono garantire l’opportunità decisiva di formarsi grazie a un sistema di istruzione più moderno ed efficiente, capace di far emergere i talenti e di premiare il merito.

Più crescita, più sviluppo nel Mezzogiorno, più futuro per i giovani, più equità sociale. Sappiamo che a tal fine ci sono riforme e scelte da non rinviare: proprio negli scorsi giorni il governo ne ha annunciato due su temi molto impegnativi, la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma fiscale. La prima è chiamata in particolare a dare finalmente risposte di sicurezza e tutela a coloro che lavorano in condizioni di estrema flessibilità e precarietà.

La riforma annunciata per il fisco, è poi assolutamente cruciale; in quel campo, è vero, non si può più procedere con “rattoppi”, vanno presentate e dibattute un’analisi e una proposta d’insieme. E in quel dibattito si misurerà anche una rinnovata presa di coscienza del problema durissimo del debito dello Stato. Intanto, il Parlamento si è impegnato a riordinare la finanza pubblica con la legge sul federalismo fiscale e a regolarla con un nuovo sistema di leggi e procedure di bilancio. Due riforme già votate, su cui il Parlamento è stato largamente unito.

E vengo alle riforme istituzionali, e alla riforma della giustizia, delle quali tanto si parla. Ho detto più volte quale sia il mio pensiero; sulla base di valutazioni ispirate solo all’interesse generale, ho sostenuto che anche queste riforme non possono essere ancora tenute in sospeso, perché da esse dipende un più efficace funzionamento dello Stato al servizio dei cittadini e dello sviluppo del paese. Esse dunque non sono seconde alle riforme economiche e sociali e non possono essere bloccate da un clima di sospetto tra le forze politiche, e da opposte pregiudiziali.

La Costituzione può essere rivista – come d’altronde si propone da diverse sponde politiche – nella sua Seconda Parte. Può essere modificata, secondo le procedure che essa stessa prevede. L’essenziale è che – in un rinnovato ancoraggio a quei principi che sono la base del nostro stare insieme come nazione – siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia di opposizione.

Ho consigliato misura, realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una condivisione quanto più larga possibile, come ha di recente e concordemente suggerito anche il Senato. Voglio esprimere fiducia che in questo senso si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili recriminazioni e contrapposizioni.

Il nuovo slancio di cui ha bisogno l’Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicuro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi. Valori di solidarietà: e il paese, in effetti, se ne è mostrato ricco in quest’anno segnato da eventi tragici e dolorosi, da ultimo sconvolgenti alluvioni. Se ne è mostrato ricco stringendosi con animo fraterno alle popolazioni dell’Aquila e dell’Abruzzo colpite dal terremoto, o raccogliendosi commosso attorno alle famiglie dei caduti in Afganistan, e come sempre impegnandosi generosamente in molte buone cause, quelle del volontariato, della fattiva e affettuosa vicinanza ai portatori di handicap, ai più poveri, agli anziani soli, e del sostegno alla lotta contro le malattie più insidiose di cui soffrono anche tanti bambini.

E’ necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari: penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca.
Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia, nei modi e nei limiti stabiliti, per svolgere un onesto lavoro o per trovare rifugio da guerre e da persecuzioni: le politiche volte ad affermare la legalità, e a garantire la sicurezza, pur nella loro severità, non possono far abbassare la guardia contro razzismo e xenofobia, non possono essere fraintese e prese a pretesto da chi nega ogni spirito di accoglienza con odiose preclusioni. Anche su questo versante va tutelata la coesione, e la qualità civile, della società italiana.

Qualità civile, qualità della vita: aspetti, questi, da considerare essenziali per valutare la condizione di una società, il benessere e il progresso umano. Contano sempre di più fattori non solo di ordine materiale ma di ordine morale, che danno senso alla vita delle persone e della collettività e ne costituiscono il tessuto connettivo.

E’ necessario che si riscoprano e si riaffermino valori troppo largamente ignorati e negati negli ultimi tempi. Più rispetto dei propri doveri verso la comunità, più sobrietà negli stili di vita, più attenzione e fraternità nei rapporti con gli altri, rifiuto intransigente della violenza e di ogni altra suggestione fatale che si insinua tra i giovani.

Considero importante il fatto che nel richiamo alla solidarietà e ai valori morali incontriamo la voce e l’impegno di religiosi e di laici, della Chiesa e del mondo cattolico. Così come nel discorso su una nuova concezione dello sviluppo – che tenga conto delle lezioni della crisi recente e dell’allarme per il clima e per l’ambiente – ritroviamo l’ispirazione e il pensiero del Pontefice. Vedo egualmente sentita da quel mondo l’esigenza dell’unità della nazione italiana.

In realtà, non è vero che il nostro paese sia diviso su tutto: esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica. Tensioni che è mio dovere sforzarmi di attenuare. E’ uno sforzo che mi auguro possa dare dei frutti, come è sembrato dinanzi a un episodio grave, quello dell’aggressione al Presidente del Consiglio: si dovrebbero ormai, da parte di tutti, contenere anche nel linguaggio pericolose esasperazioni polemiche, si dovrebbe contribuire a un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico.
Io posso assicurarvi che sono deciso a perseverare nel mio impegno per una maggiore unità della nazione : un impegno che richiede ancora tempo e pazienza, ma da cui non desisterò.

Anche perché nulla è per me come Presidente di tutti gli italiani più confortante che contribuire alla serenità di tutti voi. Mi hanno toccato le parole del comandante di un contingente dei nostri cari militari impegnati in missioni all’estero. Mi ha detto – dieci giorni fa in videoconferenza per gli auguri di Natale – che lui e i suoi “ragazzi” traggono serenità dai miei messaggi quando gli giungono attraverso la televisione.

Sì, hanno bisogno di maggiore serenità tutti i cittadini in tempi difficili come quelli attuali, lavoratori, disoccupati, giovani alle prese con problemi assillanti, quanti sono all’opera per rilanciare la nostra economia, e quanti servono con scrupolo lo Stato, in particolare le forze armate chiamate a tutelare la pace e la stabilità internazionale, o le forze dell’ordine che combattono con crescente successo le organizzazioni criminali.

E a questo bisogno debbono corrispondere tutti coloro che hanno responsabilità elevate nella politica e nella società.

Serenità e speranza sento di potervi trasmettere oggi. Speranza guardando all’Italia che ha mostrato di volere e saper reagire alle difficoltà. Speranza guardando al mondo, per quanto turbato e sconvolto da conflitti e minacce, tra le quali si rinnova, sempre inquietante, quella del terrorismo. Speranza perché nuove luci per il nostro comune futuro sono venute dall’America e dal suo giovane Presidente, sono venute da tutti i paesi che si sono impegnati in un grande processo di cooperazione e riconciliazione, sono venute dalla nostra Europa, che ha scelto di rafforzare, con nuove istituzioni, la sua unità e rilanciare il suo ruolo, offrendo l’esempio della nostra pace nella libertà.

Questo è il mio messaggio e il mio augurio per il 2010, a voi italiane e italiani di ogni generazione e provenienza che salutate il nuovo anno con coloro che vi sono cari o lo salutate lontano dall’Italia ma con l’Italia nel cuore.

Ancora buon anno a tutti.

(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il 2010 sarà l’anno della disoccupazione.

L’occupazione e’ calata ad ottobre, su base annua, dell’1,9% mentre nei primi 10 mesi di quest’anno il decremento e’ stato dell’1,4%. Lo segnala l’Istat. Sempre ad ottobre, rispetto a settembre, non c’e’ stata invece alcuna variazione. Tornando invece al confronto con il mese di ottobre 2008, l’Istat evidenzia che il calo dell’1,9% e’ da intendersi al lordo della cig. Al netto, infatti, il calo e’ ancora piu’ accentuato e nell’ordine del 3,7%.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Natura Popoli e politiche Salute e benessere

Come per la crisi finanziaria, come per la crisi economica, come per la crisi energetica, i governi del mondo non sono capaci di prendere decisione vere neppure sul Clima. Prendiamone atto.

Copenaghen, ore 16:23 (fonte: AGI)

CLIMA: SI CHIUDE VERTICE, PAESI RASSEGNATI “PRENDONO ATTO”
Con un’intesa minimalista e che ha lasciato tutti insoddisfatti si e’ chiuso ufficialmente poco fa, dopo 13 giorni di passione, il vertice di Copenaghen. In un comunicato tutte le nazioni, anche quelle che fino all’ultimo hanno osteggiato l’intesa e che ieri sera gridavano allo scandalo, alla fine hanno “preso atto” che, anche se non sufficiente, il documento passera’ comunque alla storia come l’accordo di Copenaghen e servira’ da base di lavoro per il futuro. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia

La quarta crisi: al Sole 24ore due anni di stato di crisi, 37 giornalisti lasciano il quotidiano.

Sembrerebbe essere stato raggiunto un accordo tra editore e comitato di redazione in merito alla riorganizzazione de Il Sole 24 Ore, il quotidiano di Confindustria. Secondo l’intesa, 37 giornalisti lasceranno la testata per pensionamento o prepensionamento nel corso dei due anni di stato di crisi. E’ previsto un incentivo all’esodo inversamente proporzionale all’età contributiva e al reddito. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Crisi della pubblicità in Italia: anche nel loro piccolo i creativi della McCann si incazzano.

Sciopero in McCann Erickson-da kttbblog.spinder.com
Ieri in Mc Cann 4 persone hanno scoperto di non avere più un lavoro.
Quello che scrivo mi è stato riportato da un paio di gole profonde che, per ovvie ragioni, hanno chiesto di non essere menzionate.

I 4 sfortunati colleghi sono stati convocati di “sopra”, con “scuse varie”.
Gli è stato comunicato il licenziamento e, tornati “giù”, hanno trovato il loro Mac spento. Non gli è stato possibile portare via nulla.

Il licenziamento sembrerebbe aver colpito il reparto creativo.
Uno dei licenziati sarebbe padre di due bambini.
“il tuo stipendio è troppo alto per il ruolo che ricopri”
2500 euro al mese (ngp -nota gola profonda).

I dipendenti Mc Cann ieri hanno dichiarato uno sciopero e oggi dovrebbe esserci un’altra assemblea.

A quanto pare, altri nove dovrebbero essere licenziati a breve.
Era da almeno sei anni che non si registrava uno sciopero nel nostro settore,
dai tempi della Grey “guidata” da Valeria Monti.

La direzione creativa di Mc Cann viene definita “fuggita a Londra per non affrontare la situazione”. Questa affermazione potrebbe essere gratuita.
La sfiga esiste, è talvolta si è costretti a partire in un momento in cui si preferirebbe restare.
Restiamo sui problemi reali.
Il nostro lavoro ha perso valore perché si sono persi prima i valori.
Questo è successo molto prima dell’ultima crisi economica, ha iniziato ad accadere già nella seconda metà dei dorati anni ’80.

Un’agenzia nuova avviò una politica commerciale improntata su un dumping molto aggressivo, cosa relativamente normale.
Molte grandi agenzie si spaventarono e ne seguirono l’esempio, cosa meno normale.
Smettemmo di farci concorrenza con la forza delle idee, rendendo più deboli le nostre condizioni economiche, i nostri contratti, le nostra fondamenta.

Qualunque professionista operi nel nostro settore deve battersi, nel suo piccolo o nel suo grande, dicendo no a tutte quelle situazioni che possono concorrere a minare ulteriormente il nostro settore.
Mi riferisco alle gare non remunerate, alla mancata applicazione di qualunque tariffario, al fenomeno degli stagisti ad libitum non pagati.
Non parlo di un “cartello”, ma dovrebbe essere evidente a tutti che vendere un radiocomunicato a 100 euro, o una campagna integrata a 10 mila, è una follia.
Sono manovre che posso comprendere in un giovane agli inizi, non in una delle prime 10 agenzie d’Italia.
Continuare ad adeguarci a questa politica commerciale significa essere complici e conniventi con tutte le conseguenze. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Italia d’Autunno: superati 2 milioni di disoccupati.

Più di due milioni di disoccupati in Italia: è la prima volta dal marzo del 2004 che l’Istat rileva un numero così elevato di senza lavoro. A ottobre il tasso di disoccupazione è salito all’8% dal 7,8% di settembre. Il numero delle persone in cerca di lavoro è di 2.004.000, in aumento del 2% ( 39mila persone) rispetto a settembre e del 13,4% ( 236mila) su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile – aggiunge l’istituto di statistica – a ottobre è aumentato al 26,9% dal 26,2% di settembre.

Sono 14.741.000, con un aumento di 210.000 unità rispetto all’ottobre 2008, gli ‘inattivi’, che per la statistica sono i non occupati che nelle quattro settimane che precedono l’indagine non hanno effettuato neanche un’azione attiva di ricerca di lavoro (categoria ampia che include gli studenti, le casalinghe, ma anche i cosiddetti ‘scoraggiati’, cioè i disoccupati di lungo corso che ormai non cercano più lavoro perché si sono convinti che non lo troveranno). Il tasso di inattività è pari al 37,4 per cento, invariato rispetto al mese precedente e in aumento dello 0,4 per cento su base annua.

Penalizzata l’occupazione femminile. Infatti l’occupazione maschile a ottobre 2009 è pari a 13.801.000 unità, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente ( 31 mila unità) e una riduzione dell’1,5 per cento (-217 mila unità) rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente. L’occupazione femminile raggiunge le 9.298.000 unità, con una riduzione rispetto a settembre dello 0,3 per cento (-30 mila unità) e dello 0,7 per cento (-67 mila unità) rispetto ad ottobre 2008. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Lavoro Media e tecnologia Scuola Società e costume

Italia d’Autunno: “Figlio mio, lascia questo Paese”.

di PIER LUIGI CELLI (*)-da repubblica.it

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l’idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.

Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E’ anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l’Alitalia non si metta in testa di fare l’azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell’orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d’altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l’unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po’, non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato – per ragioni intuibili – con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all’infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

(*) L’autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.
(30 novembre 2009)
Beh, buona giornata,

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Leggi e diritto Scuola

Lascia la scuola per aiutare la famiglia. Complimenti al ministro dell’Istruzione e al ministro dell’Economia: sta riuscendo il progetto di una scuola di classe?

(da repubblica.it)
Era uno studente modello, ma le circostanze lo hanno costretto a lasciare la scuola: il padre ha perso il lavoro e in famiglia servono soldi. Succede a Rovereto, in Trentino, dove la preside dell’istituto superiore frequentato dal ragazzo ha deciso di rendere nota la storia. A 17 anni, il diritto allo studio ai tempi della crisi deve i fare i conti con la dura realtà dei grandi.

Flavia Andreatta, preside del Fontana, ha raccontato al quotidiano locale “Trentino” di come sia stata colpita dalle parole dell’adolescente. Un giorno il ragazzo è andato da lei, dicendole: “Devo cercare qualcosa per sostenere la mia famiglia. Non ci sono alternative”. Categorico, con la maturità di chi si sente già responsabile per sè e per gli altri.

La dirigente scolastica ha poi spiegato di aver tentato, insieme ai genitori del ragazzo, di convincerlo a restare tra i banchi, ma invano. “La mamma ha ancora un impiego e avrebbero fatto dei sacrifici, pur di vederlo studiare, però il ragazzo si è sentito un po’ l’uomo di famiglia, con la responsabilità di contribuire al bilancio”, ha spiegato la preside. “Un vero peccato – ha aggiunto – perchè era bravo, con la media del 7. So che adesso ha trovato dei lavori interinali”.

Le difficoltà, a sentire la dirigente scolastica, non sono un caso isolato. Riguardano molte famiglie, “sia di extracomunitari che di italiani – ha proseguito – soprattutto se ci sono più figli e tra i genitori qualcuno è in cassa integrazione o ha perso il lavoro”. Per non parlare, poi, dei viaggi d’istruzione e delle attività extra, che ormai sono spesso considerate un lusso. “C’è chi arriva a fare un mutuo per pagare un viaggio d’istruzione, che magari costa qualche centinaio di euro. Per questo noi stiamo molto attenti a proporre iniziative, perché devono essere alla portata di tutti”.

La storia dell’ex-studente di Rovereto ha già attirato l’attenzione dell’assessore all’Istruzione della Provincia autonoma di Trento, Marta Dalmaso. “Un fatto di questo tipo è molto grave, inaccettabile”. Secondo l’assessore, non sono stati segnalati altri casi analoghi, anche se l’abbandono del percorso di studi per sostenere l’economia familiare è sicuramente un problema attuale. “Mi occuperò personalmente di approfondire la vicenda – ha proseguito Dalmaso, che ha poi lodato il 17enne per la “sensibilità verso i genitori e il sacrificio personale”.
(Beh, buona giornata)

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia

Italia d’autunno: una lettera dall’inferno.

Ricevo e pubblico.

Cari Amici

scusate se vi chiedo un piccolo aiuto;

io a altri 1191 colleghi della ditta Agile ex Eutelia una sede è anche a
Pregnana Milanese (tutti derivanti da aziende come Olivetti e Bull): a fine
anno saremo tutti licenziati probabilmente senza poter usufruire degli
ammortizzatori sociali.

Ben presto a noi si uniranno altri 6600 colleghi di Phonomedia uno dei più
grandi call-center in Italia.

Tutto ciò grazie a degli imprenditori che qualcuno, con un eufemismo, ha
definito “diversamente onesti”

Questo sta accadendo nel silenzio più totale, nonostante varie
manifestazione anche eclatanti (incatenamenti davanti a Ministeri
competenti, salite sui tetti delle sedi, occupazioni delle sedi), sembra che
nessuno si accorga di noi.

Il Governo ci ignora, sembra che il destino di quasi 9000 famiglie non lo
interessi nemmeno!

Non stiamo percependo alcun stipendio nè rimborsi spese ormai da 3 (tre)
mesi !!!!!!!!!!. (conosco colleghi cinquantenni, con mutui e/o affitti, che
per mantenere la famiglia chiedono soldi a genitori e suoceri!!!!!!!!)

Vista la situazione qualcuno ha pensato di usare il tam-tam delle mail come
la vecchia “catena di S. Antonio” per fare conoscere la nostra situazione al
più alto numero di persone possibile, sperando che arrivi alle orecchie di
qualcuno….”in alto”.

Tutto quello che vi chiedo è: Inviare al più presto una mail con l’allegato
al maggior numero di amici possibile, con la preghiera che loro lo inviino
al maggior numero di amici possibile.

In questo modo in pochi giorni migliaia, forse,milioni di persone saranno al
corrente di quanto ci sta succedendo e chissà che la voce non arrivi a chi è
in grado di farsi sentire.

Per cortesia, fate capire ai vostri amici che NON è la solita catena di
S.Antonio, NON è uno scherzo si tratta di 9000 famiglie che non sapranno
come arrivare a fine mese !.

Vi ringrazio di cuore fin d’ora

gianfranco

(Beh, buona giornata)

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Società e costume

Questo è un breve racconto di un giovane italiano che sta per lasciare il Paese per andare a cercare fortuna all’Estero. Siamo nel 2009, ma l’ingiustizia continua.

LI’ DOVE VOLANO GLI AVVOLTOI, una short story di Mattia D’Alessandro.

Rientrai a casa, feci il caffè. Il caffè riporta sempre l’equilibrio. La star del momento mi aveva divorato con la sua rinomata voracità. Tutti me ne avevano parlato, ma io non ci credevo. Ora ero nel suo ventre molle. Ogni volta che mi addormentavo, da quel lunedì di ottobre, sognavo me stesso chiuso in quella placenta aliena. Era il suo ventre ed io lo sapevo. Chiudevo gli occhi ed ero nel grembo della più grossa sgualdrina che il genere disumano abbia mai conosciuto. Gennaro e Luca erano a scuola e non sarebbero rincasati prima delle due. Il caffè, come al solito, non ebbe i suoi classici effetti. Sprofondai nel divano.

La mia postura nel grembo della star era molto diversa da quella fetale. Mi aveva ingoiato del basso. Era come essere chiusi in un sacco a pelo di tessuto organico.

Ero disteso su una striscia di asfalto bollente ed infinita. Intorno prati sterminati. Sintetici di nuova generazione. Sopra di me, un cielo di piombo. Enormi avvoltoi teste di manager volavano in cerchio sopra il mio corpo immobile. La sentivo gracchiare risate e sputare sentenze. Evitavo il loro sguardo. La particolare caratteristica dell’avvoltoio testa di manager è la sua aggressività. E’ l’unico volatile aziendale che attacca anche solo per dimostrare il proprio valore all’interno del branconsiglio di amministrazione. Iniziò a nevicare. Palle di carta. Le classiche con cui si fa canestro in ufficio. Nevicò con un’intensità tale, che in dieci minuti ero ricoperto di palle. Quei maledetti avvoltoi sembrava ridessero di me. Non lo capii mai.

Provai a prenderne una. Era difficile nel mio essere immobile. Ne agganciai una con la mano sinistra. La scartocciai nella mano e alzando leggermente il capo, riuscii a leggere qualcosa. Era una cambiale. Ero sommerso dai pericolosissimi “ pagamenti perenni”. Cambiali, mutui, rate di qualsiasi genere e altre mille ancora. Iniziai a sentire freddo. Troppo freddo. Meglio svegliarsi.

Avevo sognato quasi due ore. Preparai il pranzo. Mia moglie mi chiamò. Le parlai della star. Parlammo tanto. Il sugo bruciò. I bambini tornarono. Tutti in trattoria, che gli ultimi spiccioli si porta via.( potrebbe continuare…)
(Beh buona giornata).

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La crisi economica uccide il lavoro: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”, disse il Ministro della disoccupazione.

Cgil torna in piazza a Roma, Epifani: “Licenziamenti a valanga”-repubblica.it
Maurizio Sacconi, ministro del welfare: “Mi sembra un piccolo mondo antico ancorato al ‘900”

ROMA – La Cgil torna in piazza a Roma contro il governo, da cui esige risposte su lavoro e crisi. La manifestazione nazionale è stata indetta per sottolineare che il peggio della crisi non è affatto alle nostre spalle e che la ripresa sarà lunga e difficile. A sfilare a fianco dei lavoratori della Cgil anche Italia dei Valori, Partito democratico e studenti universitari. Il corteo, partito nel primo pomeriggio da piazza della Repubblica, si è concluso in piazza del Popolo con un intervento del segretario generale Guglielmo Epifani.

“E’ una piazza straordinaria, grazie a tutti voi che siete qui: queste luci vive permettono anche a chi voleva oscurare le nostre ragioni di vederci chiaro e trasparente”: con queste parole il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha aperto il suo intervento dal palco di piazza del Popolo.

“Chiediamo che il governo cambi registro per affrontare i nodi della crisi” ha detto il leader della Cgil Epifani, sintetizzando lo spirito del corteo di protesta. “Questa è una manifestazione che vuole chiedere al governo cose precise perchè gli effetti più negativi della crisi arriveranno nelle prossime settimane e investiranno l’occupazione”, ha aggiunto. “La crisi avrà gli effetti più negativi sull’occupazione nelle prossime settimane” ha detto ancora il segretario della Cgil, sottolineando come “il governo non stia facendo nulla per sostenere il lavoro e i pensionati”.

“In un anno sono stati persi, bruciati, 570 mila posti di lavoro di cui 300 mila di precari: una media di 50 mila posti in meno al mese. Questo il consuntivo di un anno da quando la Cgil lanciò l’allarme valanga disoccupazione”, ha denunciato ancora Epifani. “La valanga che avevamo previsto – ha aggiunto Epifani – non ha più neanche la ciambella di salvataggio della cassa integrazione, ma è fatto di mobilità, ristrutturazioni, chiusure e licenziamenti a valanga e ancora di altri precari senza tutela”.

Sull’analisi mostra di concordare il segretario del Pd Luigi Bersani, che nel messaggio inviato a Epifani invoca “una svolta nella politica economica del governo”. “La vera exit strategy a cui dobbiamo dare priorità oggi è la exit strategy dalla disoccupazione di lunga durata e dalla stagnazione dei redditi da lavoro – ha scritto Bersani – Il governo ha perso 18 mesi preziosissimi, ha lasciato impoverire il nostro migliore capitale sociale e la nostra più innovativa capacità produttiva faticosamente irrobustita negli ultimi anni”.

Critico invece il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: “Mi sembra un piccolo mondo antico che rappresenta un pezzo del Paese, ma rimane ancorato al ‘900 e alle sue ideologie”. Sacconi ha sottolineato tra la Cgil e gli altri sindacati confederali: “Una manifestazione fatta da soli, esaltando in questo modo la separatezza dalle altre organizzazioni sindacali”.

Secondo gli organizzatori al termine della manifestazione c’erano 100.000 lavoratori provenienti da tutta Italia. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta “Il lavoro e la crisi: esigiamo le risposte”. Tante le bandiere della Cgil, della pace, ma anche di partiti della sinistra come il Pd, l’Idv, dei Comunisti Italiani e grossi palloni colorati con la scritta Flc-Cgil.

Nel corteo anche gli striscioni delle aziende in crisi come l’Eutelia: “Eutelia: come arricchire i padroni depredando i lavoratori. Landi, dove sono finiti i soldi e gli immobili di Getronics e Bull?”. I lavoratori hanno raggiunto la capitale con 3 treni e oltre 750 pullman. Tra i partecipanti anche esponenti politici nazionali come Oliviero Diliberto, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero. In testa alla manifestazione la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camusso e il segretario regionale del Lazio Claudio Di Berardino.

La Cgil ha deciso di scendere in piazza senza Cisl e Uil, come ha spiegato ieri Guglielmo Epifani rispondendo alle domande di RepubblicaTv. “Non siamo stati in condizione di fare una manifestazione unitaria sui temi della crisi” ha spiegato il leader della Cgil. “Questo ci è riuscito solo a livello locale, non nazionale. Sarebbe stato meglio farla insieme. Un’iniziativa comune peserebbe di più e i lavoratori, in questo momento, hanno bisogno di tutto il sindacato. Comunque, per riportare al centro i problemi di chi perde il posto, meglio soli che niente”. Da piazza del Popolo Epifani ha lanciato tuttavia un appello a Cisl e Uil: “Mando a dire a Cisl e Uil che se si volesse fare lo sciopero generale sul fisco la Cgil ovviamente è pronta ed è in prima fila”.

Con la Cgil sono centinaia, fa sapere l’Unione degli universitari, gli studenti in piazza, all’indomani del primo ok del Senato a una legge finanziaria fortemente contestata anche sui risvolti per ricerca e istruzione. Riguardo alla scomparsa dei fondi destinati ai giovani ricercatori dell’università, il leader della Cgil ha detto “è una finanziaria che non dà nulla al lavoro, agli investimenti e al Mezzogiorno e non c’è soluzione neanche per i precari dell’università”. “Manca la promessa di stabilizzare i giovani ricercatori precari”, ha spiegato il segretario generale della Cgil, aggiungendo: “gli interventi del governo vanno contro il mondo del lavoro”.

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L’Italia del 2009, il Paese che guarda la tv, non si accorge della crescente disoccupazione, e non dà lavoro ai giovani talenti.

Ho sognato la star del momento, un racconto di MATTIA D’ALESSANDRO
Esasperati ed esasperanti colpi di tosse. Fu così che mi svegliai. Note poco note di bassi baritonali. Ero perfino riuscito a creare una melodia nella mia mente. A colpi di polmone. Fuori non si vedeva, ma sembrava il solito lunedì d’ottobre. Scesi dal letto, la mia spina dorsale si drizzò. Una sensazione mai sentita prima. La parrucca della zia Ester galleggiava su un mare di inchiostro. Tutto galleggiava su un mare di inchiostro. Poi qualcosa mi azzannò la caviglia. Svenni.

Al mio risveglio ero ancora nella stanza piena d’inchiostro. Mi affacciai dal letto per vedere a terra, tutto era stato pulito. Sui muri ancora i segni di quel mare nero. Cos’era stato? Di colpo ricordai del morso alla caviglia. Scalciai le coperte per vedere i segni. Quello che apparve da sotto le coperte era ed è ancora difficile a narrarsi. Un colpo di vento spalancò le finestre. Poi qualcosa di vivo mi avvolse e con me, tutta la casa. Non riuscii più a guardarmi le caviglie. L’aria era satura di polvere. Feci appena in tempo a rannicchiarmi sotto le coperte. Mi addormentai.

Rimasi un tempo infinito tra sonno e sogno. Continuavo a vedere le mie caviglie. Un mostro, mai visto prima, stava mordendole. Anzi peggio. Iniziava ad ingoiarmi, ma con lentezza. La sensazione era quasi piacevole, ogni tanto però, il mostruoso essere scaricava delle piccole dosi di elettricità sulle mie carni. Ero rapito da quella cosa. Non mi sarei mai più svegliato.

Salutai i miei piccoli, uno sguardo sfuggente alla foto di mia moglie. Entrai in macchina.

Temperatura interna: meno cinque gradi centigradi. Avvertii ancora un leggero mal di testa fino all’arrivo in azienda. Il posto auto, interno. Cancello automatizzato. Schiacciai il pulsante per l’apertura, nulla.

Dall’altro ingresso, grida e schiamazzi. Scesi dall’auto, mi avvicinai, nel gelo. Un cordone di polizia piantonava l’ingresso. I colleghi erano disperati. Alcuni cercavano di sfondare il cordone. Volò qualche manganellata.

Rientrai in macchina e tornai a casa. Mentre guidavo mi tornò in mente il mostro del sogno. Mi aveva già divorato, ero disoccupato.
Potrebbe continuare…
(Beh, buona giornata)

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“Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.”

C’erano una spagnola, una svizzera e una cinese. Tre modi di vivere la Crisi
di Loretta Napoleoni – lanapoleoni.ilcannocchiale.it.

A un anno dallo scoppio della crisi, l’impatto della recessione altera il bilancio familiare e costringe le famiglie a modificare il livello di vita. Questo processo varia da paese a paese in funzione dell’impatto che la recessione ha sull’economia nazionale.
Se mettiamo a confronto tre famiglie medie: una cinese, una svizzera e una spagnola, ci rendiamo subito conto di quanto importante sia la politica economica dei governi sul bilancio familiare di fronte alla crisi economica.

Gli spagnoli si trovano nella situazione peggiore. Spagna e Irlanda sono le economie europee maggiormente colpite dalla recessione e questo perche’ negli ultimi 10 anni hanno abbracciato in toto il modello neo-liberista. Questo e’ stato l’artefice di una crescita fittizia che ha proiettato questi due paesi nella rosa di quelli maggiormente industrializzati creando la bolla immobiliare. In Spagna poi il boom del turismo di massa l’ha ulteriormente gonfiata. E’ quindi facile intuire perche’ il tasso di disoccupazione spagnolo sta per superare il 20%, una cifra da grande depressione, segue a ruota quello irlandese pari al 15%.

Anche se gli emigranti dell’area del Magreb – gente che ha lasciato la famiglia nel nord Africa e che quindi possiede una mobilita’ del lavoro molto elevata – incidono sul numero di disoccupati spagnoli, il problema dell’occupazione rimane centrale all’economia della famiglia. Gran parte dei nuovi disoccupati finiscono per essere mantenuti da quella d’origine: i piu’ giovani tornano a vivere a casa e le coppie vengono aiutate economicamente dai genitori. Questo processo impoverisce la popolazione e allo stesso tempo erode le riserve di risparmio della famiglia. Tutto cio’ porta alla caduta dei livelli di benessere. I dati della bilancia dei pagamenti spagnola ce lo confermano.

A luglio il deficit della bilancia commerciale e’ sceso a 2 mila miliardi di euro da piu’ di 7 mila appena un anno prima. Negli anni della grande crescita corrispondeva al 10% del Pil, oggi si sta velocemente riducendo al punto che entro il primo trimestre del 2010 la bilancia dovrebbe andare in pareggio. A monte c’e’ una forte contrazione delle importazioni. Se si considera che durante gli ultimi 12 mesi le esportazioni sono aumentate ci accorgiamo che la famiglia media spagnola sta riducendo drasticamente i propri consumi.

La disoccupazione riduce anche la domanda di nuovi alloggi, se ne vedono a centinaia di migliaia, tutti vuoti, nei nuovi quartieri alla periferia delle citta’ spagnole. La stagnazione del mercato immobiliare ha ripercussioni serie sul credito nazionale. La gran parte dei non performing loans NPL, i mutui non pagati, appartiene a questo settore. Si tratta di piu’ di 80 miliardi di euro, di cui circa un 70% sono stati ristrutturati e dovranno presto essere ripagati. Ancora piu’ preoccupante e’ il totale di crediti accumulato dal settore immobiliare spagnolo: 470 miliardi di euro, pari al 50% del Pil del paese. Di questi circa 320 miliardi di euro sono stati accesi per costruire immobili commerciali: uffici, negozi, cinema e centri commerciali. Se la famiglia spagnola non riprende a spendere questi mutui andranno ad aumentare i NPL delle banche e ci sara’ sempre meno liquidita’ per l’impresa e la famiglia.

In Svizzera, invece, la situazione e’ ben diversa. La recessione e’ stata meno seria di quanto ci si aspettasse al punto che il paese soffre meno della vicina Germania il suo partner commerciale piu’ importante. La contrazione delle esportazioni e la crisi finanziaria, con in testa le due maggiori banche la UBS e il Credit Suisse, hanno fiaccato l’economia. Ma la reputazione del paese, quale centro bancario internazionale, ha retto bene e le aspettative per il 2010 sono per una modesta crescita, pari allo 0.5%. E questa ripresa sara’ guidata proprio dal settore finanziario.

Molti addirittura credono che nel lungo periodo la crisi del credito sara’ positiva per la Svizzera perche’ rafforzera’ la solidita’ delle banche. I valori del NPL rispetto al totale dei prestiti sono scesi sotto l’1%, segno che il sistema e’ solido. Questi dati dovrebbero facilitare la penetrazione dei mercati esteri, condizione importantissima affinche’ il paese continui a crescere. A quanto pare la crisis del credito ha fatto crollare la fiducia nei confronti del settore bancario americano e britannico, i due principali rivali di quello Svizzero. Secondo il WEF Competitive Network, che compila una lista mondiale della competitivita’ dei settori finanziari, l’America e’ scesa a quota 108, al pari della Tanzania. La Svizzera ha retto ed si e’ stabilizzata al 44esimo posto mentre le banche inglesi sono precipitate al 126esimo.

E’ facile capire perche’ l’impatto economico della recessione sulla famiglia media svizzera e’ stato quasi nullo. Le spese non sono cambiate anche perche’ la disoccupazione rimane relativamente bassa rispetto al resto dell’Europa, 4,1% quando un anno fa’ era di 3,4%. Gli indicatori economici ci dicono che a sostenere l’economia e’ stata la domanda interna che e’ rimasta stabile, i consumi e l’investimento immobiliare che non sono crollati come in altri paesi ma si sono mantenuti a livelli medio alti. L’impatto psicologico invece c’e’ stato e ce ne accorgiamo quotidianamente. Nel paese si risparmia di piu’.

Dall’altra parte del mondo, in Cina, la crisi si e’ diventata fonte di grandi opportunita’. La famiglia media cinese oggi vive meglio che un anno o due anni fa’ perche’ ha piu’ denaro a disposizione. Il pacchetto di stimoli lanciato dal governo all’indomani del crollo della Lehman Brothers ha sostenuto la domanda interna, al punto che questa e’ riuscita a compensare la caduta di quella estera. Lo stato ha aperto linee di credito a tassi vantaggiosissimi per chi viveva in campagna e voleva acquistare beni di consumo durevoli, dalle lavatrici ai televisori al plasma. La domanda di piccole autovetture nelle campagne, ad esempio, e’ cresciuta al punto che la Cina oggi acquista piu’ macchine degli Stati Uniti. A giugno piu’ di un milione di nuove vetture hanno lasciato i concessionari, pari a un aumento del 36% rispetto all’anno precedente. E questo senza un programma di rottamazione simile a quello occidentale.

L’economia cinese si e’ contratta solo nel quarto trimestre del 2009 per poi riprendere a crescere subito dopo. Il governo ha immesso ingenti quantita’ di denaro nel circuito delle banche e le ha incoraggiate a concedere prestiti a chi ne avesse bisogno. Le prime ad attingere a questo credito sono state le piccole e medie imprese. Questa strategia e’ stata possibile perche’ la Cina negli ultimi quindici anni ha accumulato riserve monetarie ingenti che ammontano a piu’ di 2 mila miliardi di dollari, le piu’ alte al mondo. Allo stesso tempo il settore bancario e’ arrivato alla crisi con livelli di indebitamento bassissimi. I valori dei NPL sono tali da permettere alle banche di alzare la soglia del rischio, alla fine del 2009 ammonteranno a meno del 4% del Pil del paese.

La famiglia media cinese non si e’ quindi neppure resa conto della recessione che c’e’ stata solo per un brevissimo periodo di tempo. La disoccupazione, che rimane bassa, e’ aumentata nel 2007 e parte del 2008 tra i lavoratori migranti, quelli che lasciano le campagne per cercare lavoro nelle zone industriali speciali del sud del paese e in quelle a ridosso di Pechino e Shanghai. A far cadere l’occupazione non e’ stata la recessione a le imprese straniere che si sono de localizzate a seguito della nuova legislazione del lavoro che protegge maggiormente la manodopera cinese dallo sfruttamento dell’impresa. Lo stato e’ riuscito ad assorbire gran parte di questa manodopera impiegandola in lavoro pubblici di ogni tipo, dalla pulizia delle facciate dei palazzi di Shanghai alla costruzione di una nuova ed efficientissima rete ferroviaria.

Tre storie e tre realta’ diverse che ci ricordano quanto sia importante la protezione dello stato dagli abusi di ogni tipo, non solo quelli finanziari. Il mercato funziona, su questo non c’e’ dubbio, ma come tutti i meccanismi economici non e’ infallibile e quando sbaglia le conseguenze ricadono sulla societa’. Lo stato deve essere sempre pronto a proteggerci da questi cataclismi. (Beh, buona giornata).

(tratto da il Caffè-Link: http://lanapoleoni.ilcannocchiale.it/2009/10/22/crisi_e_famiglie.html.)

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Quanti sono i disoccupati in Italia?

Il governatore della Banca d’Italia dice che in un anno, da settembre 2008 a settembre 2009 sono stati persi 650 mila posti di lavoro. Ed è probabile che negli ultimi mesi del 2009 ci saranno ulteriori perdite.

Il ministro del Welfare dice che si stimano a 1,8 milioni i disoccupati totali, mentre gli occupati superano i 23 milioni, con una perdita nel corso dell’anno di 378 mila unità.

Secondo i dati della Cgil, i disoccupati in Italia hanno superato quota tre milioni. I senza lavoro nel secondo trimestre dell’anno risultano essere 3,2 milioni e il tasso di disoccupazione sarebbe del 12,1%, ben superiore al dato Istat (7,4%).

Ma insomma, quanti sono i discoccupati in Italia? Beh, buona giornata.

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Il governatore della Banca d’Italia: “Siamo meno sicuri che si stia effettivamente avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche”.

La crisi rovinosa si è fermata, ma la certezza di una nuova stabilità è ancora lontana. E’ il monito lanciato dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nel corso del suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio. “La caduta in cui le nostre economie si stavano avvitando, tra la fine del 2008 e l’inizio di quest’anno – dice il numero uno di via Nazionale – si è fermata. Siamo meno sicuri che si stia effettivamente avviando una ripresa duratura, che non poggi solo sul sostegno straordinario delle politiche economiche”. Anche da qui deriva la necessità, ”urgente”, di riprendere “il cammino delle riforme”.

Draghi diffonde anche cifre poco incoraggianti sul fronte dell’occupazione: in un anno, da settembre 2008 a settembre 2009 – sono stati persi, rivela, 650 mila possti di lavoro. Ed è probabile che negli ultimi mesi del 2009 ci saranno ulteriori perdite. Beh, buona giornata.

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