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Come si dice in lingua greca “come mai sempre in culo agli operai”?

Luce verde di Bruxelles agli aiuti alla Grecia, che oggi ha presentato un piano «solido e credibile» per la Ue ma drastico per i cittadini e soprattutto per i lavoratori del settore pubblico che si vedranno tagliare indennità, 13ma e 14ma mensilità e congelare stipendi e pensioni.

Non ci saranno tagli salariali per il settore privato, ma saranno ridotti straordinari e indennità di licenziamento e resa più elastica la possibilità di mandare a casa i lavoratori. Il Paese è chiamato a fare «grandi sacrifici» per «evitare la bancarotta», ha detto oggi il premier greco Giorgio Papandreou, annunciando l’accordo tra governo, Commissione Ue, Bce e Fmi sul programma pluriennale di risanamento dei conti che farà guadagnare ad Atene gli aiuti della zona euro e del Fondo monetario, sotto forma di prestiti bilaterali.

L’ammontare degli aiuti – che per il ministro francese dell’Economia Christine Lagarde sarà tra i 100 e i 120 miliardi di euro su tre anni – sarà annunciato oggi a Bruxelles nella riunione straordinaria dell’Eurogruppo dedicata all’attivazione del meccanismo di aiuti per Atene. Secondo il piano di austerity che ha presentato oggi il ministro delle finanze Giorgio Papaconstantinou, l’Iva sarà aumentata del 2% e arriverà fino al 23%. Saliranno poi del 10% le tasse su carburanti, alcolici e sigarette e aumenteranno anche quelle sui beni di lusso e sulle lotterie. In tutto, il governo prevede di risparmiare 30 miliardi di euro fino al 2012 – oltre i 4,8 miliardi già annunciati per il 2010 – e di ridurre il deficit dall’attuale 14% sotto il 3% del Pil entro il 2014.

Per la Commissione Ue, il piano di rigore che non ha precedenti in Eurolandia è «solido e credibile» e gli aiuti sono «decisivi per la stabilità della zona euro». Perciò il presidente della Commissione, Josè Manuel Barroso, ha chiesto ai ministri di attivare il meccanismo di prestiti, che per Papandreou salveranno il Paese dalla bancarotta. Si tratta, per il ministro delle Finanze greco, della cifra più alta mai concessa ad un Paese, che proteggerà Atene dall’esposizione sui mercati fino al 2012. L’accordo, ha spiegato Papandreou, comporterà «grandi sacrifici» per i greci. «Si tratta di sacrifici duri ma necessari, senza i quali la Grecia farebbe fallimento», e «evitare la bancarotta è la linea rossa» che il governo non vuole oltrepassare, ha aggiunto il premier socialista.
(Beh, buona giornata).

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Lavoro Leggi e diritto

Morire sul lavoro il Primo Maggio è il tragico emblema di come in Italia si trattano i lavoratori.

Incidente mortale sul posto di lavoro il Primo maggio. La tragedia è avvenuta in una azienda agricola di Alberese (Grosseto) dove un operaio, Lucio Rossi, di 33 anni residente a Rispescia, è morto mentre stava lavorando su una macchina che raccoglie il fieno e lo compatta in covoni cilindrici (rotoballe). Le cause dell’incidente sono ancora da chiarire. La procura di Grosseto ha aperto un’inchiesta e ha disposto l’autopsia.

L’operaio non era un dipendente dell’azienda ma della cooperativa di servizi “Il Sordino”. Era uscito di casa alle 14 per prendere servizio. Durante il lavoro, secondo quanto appreso, è rimasto intrappolato all’interno della macchina e il suo corpo è stato ritrovato proprio all’interno di una rotoballa. Sulla vicenda indagano i carabinieri di Alberese. Sul posto è intervenuta anche la Medicina del lavoro. La macchina è stata posta sotto sequestro.

La vittima lascia la moglie e un bimbo di sette anni. Morire sul lavoro il Primo Maggio è il tragico emblema di come in Italia si trattano i lavoratori. (Beh, buona giornata).

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democrazia Lavoro Leggi e diritto Società e costume

Perché il Primo Maggio suscita disagio, sia a Destra che a Sinistra?

Primo maggio, dov’è la festa? di ILVO DIAMANTI-repubblica.it

SI E’ APERTA una stagione senza feste civili. Dove i riti della memoria, che danno senso e identità alla nostra Repubblica, vengono guardati – e trattati – con insofferenza e indifferenza, da una parte del paese.
In particolare, dalla maggioranza politica di governo. Anzitutto il 25 Aprile, che il premier ha definito “Festa della Libertà”. Non della “Liberazione”. Quasi fosse una celebrazione del suo partito. D’altronde, ha sostenuto un amministratore del PdL, ci hanno liberato gli americani, non i partigiani, che erano comunisti.
Abbiamo motivo di credere, inoltre, che anche il prossimo 2 Giugno susciterà fastidio in alcuni settori del centrodestra, in particolare nella Lega. Che vede nel tricolore e nella nazione i simboli di un passato da superare. D’altronde, le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ormai prossime, non sembrano al centro dell’attenzione di questo governo. Anche perché parlare di Unità d’Italia, in un paese tanto diviso, appare un ossimoro.

Il Primo Maggio non si sottrae al clima del tempo. Al contrario. Non solo perché evoca le lotte del movimento operaio e sindacale. Una versione in grande della “Festa dell’Unità”, dove si canta “Bella Ciao” e sventolano le bandiere rosse. Il Primo Maggio disturba anche – e soprattutto – perché il lavoro e i lavoratori appaiono, ormai, entità inattuali. Si dovrebbe parlare, semmai, del “non lavoro”. Della disoccupazione reale e di quella implicita. Nascosta tra le pieghe dei lavoratori scoraggiati, che non risultano disoccupati solo perché, per realismo, non si “offrono” sul mercato del lavoro. E per questo non vengono calcolati nei “tassi di disoccupazione”. Ma anche dell’occupazione informale. E si dovrebbe parlare, ancora, degli imprenditori, piccoli e piccolissimi, che stentano a continuare la loro attività perché i clienti non li pagano, faticano ad accedere al credito. E non riescono a mantenere l’azienda e i dipendenti. Lavoratori e piccoli imprenditori “disperati”. Per fare parlare di sé, per essere “notiziabili”, devono darsi fuoco, sequestrare i dirigenti, appendersi alle gru. Oppure inventarsi
“l’Isola dei cassintegrati”, all’Asinara, recitando se stessi.

Lo abbiamo detto altre volte, ma vale la pena di ripetersi. C’è uno squilibrio violento fra la percezione sociale e la rappresentazione pubblica – mediatica – del lavoro e dei suoi problemi. La disoccupazione è ormai in testa alle preoccupazioni degli italiani, visto che 38% di essi la indica come l’emergenza più importante da affrontare (Rapporto “Gli Italiani e lo Stato”, Demos per Repubblica, novembre 2009). Eppure se ne parla poco, sui media. Soprattutto in tivù. Tra le notizie di prima serata del Tg1 monitorate dall’Osservatorio di Pavia (per la Fondazione Unipolis) nello scorso settembre, ai problemi legati al lavoro, alla disoccupazione, alla perdita dei risparmi era riservato il 7% sul totale delle notizie.

Per fare un confronto con le tivù pubbliche di altri paesi europei, nello stesso periodo, Ard (Germania) dedicava ai temi del lavoro e della disoccupazione il 21% delle notizie, Bbc One il 26%, France 2 il 41%. Eppure il tasso di disoccupazione in Italia continua a crescere e oggi ha raggiunto l’8,8% (dati Eurostat). Anche se il paese appare, anche in questo caso, diviso in due. Sotto il profilo territoriale: nel Sud il tasso di disoccupazione si avvicina al 20%. E sotto il profilo generazionale, visto che fra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 28%. Il più alto d’Europa. Quasi 10 punti in più della media europea.

Ma i giovani, è noto, non esistono. Sospesi fra precarietà e dipendenza dalla famiglia. Protetti dai genitori, a cui affidano le chiavi del futuro (in cambio di quelle di casa). In modo assolutamente consapevole. Come emerge da una recente ricerca condotta da LaPolis dell’Università di Urbino per Coop Adriatica (che verrà presentata nei prossimi giorni). Una frazione minima di giovani (15-35 anni) pensa che, in futuro, riuscirà a raggiungere una posizione sociale migliore rispetto a quella dei genitori. Mentre il 56% pensa il contrario. Ancora: il 23% dei giovani è convinto che, per farsi strada nella vita, la risorsa migliore sia costituita dalla rete di relazioni e di “conoscenze familiari”. Quasi quanto l’istruzione, tradizionale fattore di mobilità sociale. E poco meno dell’esperienza di lavoro e studio in Italia e all’estero (26%). Inoltre, si sono abituati all’esperienza di lavoro temporaneo e intermittente. Ma non rassegnati. Molti di loro, anzi, inseguono il “posto fisso” (39%; ma tra i 15-17enni il 46%). Al tempo stesso si è raffreddato, fra loro, l’entusiasmo per il lavoro in proprio e la libera professione attira, oggi, il 25% di loro. Nell’insieme, il 49% dei giovani oggi si dice orientato verso un’attività autonoma o professionale. Circa 10 punti in meno di 4 anni fa.

Nello stesso periodo, parallelamente, è risalito l’interesse verso la grande impresa e il pubblico impiego. In altri termini, i giovani, sono flessibili “per forza”, non rassegnati alla precarietà. Sanno che li attende un futuro difficile. E per questo fanno affidamento alla famiglia. La considerano la risorsa mezzo per farsi strada nella vita. E, prima ancora, un rifugio e una protezione. Meccanismo fondamentale del welfare all’italiana. Pressoché ignorato dal sistema pubblico.
Così è più chiaro perché il Primo Maggio susciti disagio.

Nel centrodestra, dove è percepito, da molti, una festa comunista. Ma, anche altrove. Perfino a sinistra, dove molti la considerano un rito nostalgico. Dedicato a quando il lavoro era fonte di vita, riferimento dell’identità, motivo di orgoglio. Mentre oggi l’evento sindacale più significativo e partecipato, per celebrare il Primo Maggio, non è una manifestazione rivolta ai lavoratori. Ma il tradizionale concertone rock che si svolge in Piazza San Giovanni, a Roma. Affollata da una massa enorme di giovani. Per una volta, insieme. Per una volta, visibili. Normalmente isolati, intermittenti, frantumati, custoditi, controllati. Normalmente invisibili. Come il lavoro. (Beh, buona giornata).

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L’Italia dell’Era Berlusconi: disoccupazione 8,8%; disoccupazione giovanile 27,7%, la più alta d’Europa. Proprio un bel Primo Maggio!

Solo in un anno, da marzo 2009 a marzo 2010, sono stati persi 367 mila posti di lavoro. Si tratta di una riduzione consistente, spiega l’Istat, che in termini di percentuale si traduce in un calo dello 0,2 per cento rispetto a febbraio e dell’1,6 per cento rispetto a marzo 2009. Il tasso di occupazione è così pari al 56,7% (inferiore, rispetto a febbraio, di 0,1 punti percentuali e di 1,1 punti percentuali rispetto a marzo dell’anno precedente). Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2 milioni 194 mila unità, in crescita del 2,7% (+58 mila unità) rispetto al mese precedente e ben del 12% (+236 mila unità) rispetto a marzo 2009.

Il tasso di disoccupazione, invece, si innalza ai massimi dal secondo trimestre del 2002: sempre secondo l’Istat, si è attestato a marzo all’8,8%, lo 0,2% in più rispetto al mese precedente e l’1% rispetto a marzo 2009. In forte rialzo anche il tasso di disoccupazione giovanile, pari al 27,7%, in calo dello 0,4% rispetto al mese precedente e in aumento di 2,9 punti percentuali rispetto a marzo 2009. Beh, buona giornata.

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L’Italia dell’era Berlusconi: il 60% delle aziende italiane sono fuori legge, 2 milioni e 966 mila lavoratori sono irregolari. Lo dice il ministro del Lavoro, in audizione ufficiale davanti al Parlamento. Scusi, ma lei che ci sta a fare in quel ministero?

Irregolare la Repubblica delle imprese: sei aziende su dieci “fuori legge”-blitzquotidiano.it

Sono il nerbo del paese, la spina dorsale dell’Italia, reggono l’economia. Però si reggono spesso e volentieri sulla bugia, bugia al fisco, all’Inps, alle regole e alle leggi. Fune e colonna vertebrale che sostengono il corpo nazionale, ma anche anima furbetta e impunita. Sono le aziende italiane che vivono e praticano una legalità “altra” da quella ufficiale. Infatti più della metà risultano irregolari ai controlli di Stato peraltro non ossessivi. E, se più della metà applica una legge “altra”, qual è la vera legge, quella dei codici o quella appunto delle aziende? I conti delle aziende “fuori legge” non sono stati ostilmente redatti e tirati da sindacati o consumatori. A “denunciare”, suo malgrado è stato il ministro del lavoro Maurizio Sacconi in audizione ufficiale davanti al Parlamento.

Ispezioni fatte nel 2009: 303.691 le aziende esaminate, di queste 175.144 irregolari, vale a dire circa il 60 per cento. Insomma una Repubblica dell’impresa “fondata sull’eccezione”. Eccezione che in questo caso è la regola.

Ciliegina sulla torta, apposta dallo stesso Sacconi, “a preoccupare è il grado di pericolosità dei luoghi di lavoro, visto che “i dati evidenziano un incremento sostanziale della gravità delle irregolarità riscontrate”.

Tradotti in uomini si parla di 2 milioni e 966 mila i lavoratori irregolari. Non si pensi ad uno stuolo di extracomunitari, però: perché i residenti (italiani e stranieri) sono la componente più rilevante, mentre gli stranieri clandestini rappresentano solo una quota marginale, all’incirca il 12 per cento. (Beh, buona giornata).

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Metti un immigrato nello spot.

La Cassazione ha deciso niente adozione per quelle coppie che fanno distinzione di pelle tra i bambini. Infatti, la procura della Cassazione dice no a chi vuole essere genitore dichiarandosi indisponibile a ricevere bimbi di pelle nera o di etnia non europea.

La procura della Suprema Corte, sollecitata da un esposto dell’associazione ‘Amici dei bambini’, ha espresso questo orientamento innanzi alle Sezioni Unite che dovranno prendere posizione al più presto. Sono certo sia una decisione saggia, oltre che, evidentemente legalmente ineccepibile, essendo la Cassazione a emanarlo.

Suggestionati da bislacche tesi politiche, alla spasmodica ricerca dei piani bassi del consenso elettorale, gli italiani sembrano aver smarrito il senso del reale, non dico il senso della Storia, ma almeno quello della Geografia: siamo un Paese in mezzo al Mediterraneo, sicché ne abbiamo avuto di immigrazioni, a cominciare dai tempi della Magna Grecia.

Per non parlare delle immigrazioni indo-europee. Una volta Indro Montanelli ebbe a dire che nessuno in Lombardia potrebbe essere certo che un lanzechenecco non si sia coricato, almeno una volta, con l’antenata di una delle nostre nonne.

Ciò non di meno, a Rosarno, in Calabria, normali cittadini si sono fatti ku klux clan contro gli africani, salvo scoprire che la rivolta di gennaio era stata provocata proprio dagli schiavisti delle arance: la magistratura ha disposto una ventina di arresti tra capi clan e caporali del lavoro nero.

Ciò non di meno a Treviso, una masnada di giovinastri dell’estrema destra neo-nazi, al canto di ‘sbianchiamo Samir’ costringono una giovane fanciulla africana e i suoi amici ad abbandonare un bar del centro storico, per evitare risse. Gli avventori hanno scritto ai giornali scandalizzati, il proprietario ha fatto il vago.

Che il nostro Paese abbia bisogno di una dose forte di ragionevolezza è un fatto acclarato. Gli immigrati esistono. Essi vivono, lavorano e consumano fra noi. Essi consumano, dunque spendono. Infatti una primaria compagnia telefonica fa campagne pubblicitarie nelle loro lingue. Ho visto anche che una primaria marca italiana di merende per bambini fare campagne nelle loro lingue.

E allora, facciamo una cosa utile alla convivenza civile e magari anche al business dei nostri clienti: essi esistono, lavorano, portano i bimbi a scuola, vanno nei negozi. È giunto il momento che ‘essi’ vengano presi in considerazione anche nei ‘casting’ degli spot pubblicitari.

Noi italiani siamo multietnici dalla nascita, di che cosa abbiamo paura? Nelle scuole, nei mezzi pubblici, nelle nostre case, nei supermercati ‘essi vivono’, spendono, consumano, comprano.

Bisogna rappresentarli, magari quei coglioni di razzisti, quelli ‘che io non sono razzista, però…’ guardando lo spot, l’annuncio, l’affissione si rendono conto che quelli strani non sono ‘essi’, ma loro stessi. Beh, buona giornata.

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Partigiani dei lavoratori.

di Marco Ferri – da 3D n. 12 del 24 aprile 2010. (pubblicato anche da megachipdue.info).

I lavoratori di Eutelia hanno ottenuto, da un tribunale, che l’azienda vada in amministrazione controllata. Per vie legali. Questo vuol dire che potrebbero accedere alla cassa integrazione. C’è chi parla di vittoria. Va bene. Ma va davvero bene? No.

Se i diritti dei lavoratori di questo nostro Paese sono legati alle tecnicalità delle leggi amministrative, è difficile pensare a un traguardo, figuriamoci a una vittoria politica e sindacale. È, invece, la misura, per altro colma, di come venga trattato il lavoro salariato nell’Era del berlusconismo, che altro non è che la faccia grottesca del neo liberismo in economia, politica, relazioni industriali.

Tuttavia si deve gioire per il destino dei lavoratori di Eutelia, non per convinzione, ma per obbligo. Ma è anche un obbligo ricordare che questo Paese deve molto ai lavoratori. La classe operaia ha decisamente contribuito alla nascita della nostra democrazia. Lo sciopero nelle fabbriche del nord Italia nel marzo del 1943 aprì la strada alla Resistenza. Gli operai furono attivi protagonisti della lotta partigiana fino a salvare le fabbriche, impedendo che fossero distrutte durante la ritirata degli occupanti nel ‘45. La nostra Costituzione dà un riconoscimento formale e sostanziale al ruolo dei lavoratori: è nell’art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro”.

Nel dopoguerra, la classe operaia italiana ha partecipato alla ricostruzione, ha dato impulso alla democrazia, ha abbattuto le gabbie salariali, cioè la divisione dei salari per aree geografiche. La classe operaia in Italia ha fatto da barriera invalicabile contro tutti i tentativi golpisti degli anni ‘70. Ha ottenuto lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori. La classe operaia ha favorito l’integrazione delle grandi emigrazione dal sud, ha gestito la grande incazzatura degli studenti del ‘68, le rivendicazioni femministe, e, più recentemente, le istanze degli immigrati di prima e seconda generazione. La classe operaia in Italia è stata capace di far volare fino al cielo della politica la Sinistra, per poi punirla e appoggiare la Lega al nord: una ricerca della Fiom di Brescia ha svelato che la maggioranza dei suoi tesserati è anche iscritta alla Lega Nord di Bossi.

Gli echi del 25 Aprile, festa della Liberazione, suonano così, quest’anno. Non si può dimenticare il contributo dei lavoratori alla nascita della democrazia. Ma non si deve dimenticare che il progressivo disinteresse alla condizione materiale del Lavoro è in Italia il maggior alleato “oggettivo” alla Vandea berlusconista.

È in questo contesto che la lotta dei lavoratori di Eutelia va valutata. Non sottovalutata.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Lavoro Leggi e diritto

Le indagini della polizia confermano: a Rosarno la rivolta degli immigrati fu provocata dallo schiavismo dei “caporali”.

Rosarno, immigrati sfruttati: caporali arrestati, 10 milioni di beni sequestrati
Extracomunitari costretti a lavorare anche 14 ore, chi si ribellava subiva ritorsioni e minacce-ilmessaggero.it

Lo sfruttamento e le condizioni inique in cui erano costretti a lavorare fu alla base della rivolta degli immigrati avvenuta nei mesi scorsi a Rosarno. È quanto emerso dalle indagini che hanno portato stamani ad una operazione della squadra mobile, dei carabinieri e dei finanzieri contro il fenomeno del caporalato con il sequestro di venti aziende e duecento terreni, per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro, contestualmente all’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 31 persone.

Immigrati sfruttati. Gli investigatori hanno accertato che alla base delle proteste e degli episodi di violenza vi erano le condizioni di assoluta subordinazione in cui versavano gli immigrati finiti nelle mani di persone che li costringevano a lavorare in condizioni inique. Gli immigrati, inoltre, avrebbero subito anche ripetute minacce. I lavoratori extracomunitari erano costretti, infatti, a lavorare mediamente dalle 12 alle 14 ore al giorno ricevendo un compenso di una decina di euro al giorno.

Gli extracomunitari che si ribellavano subivano ritorsioni e minacce. La rivolta di Rosarno, infatti, fu determinata proprio dal ferimento a colpi d’arma da fuoco di due lavoratori extracomunitari. Nel corso delle indagini gli investigatori hanno compiuto accertamenti patrimoniali nei confronti degli indagati ed hanno potuto ricostruire la quantità di beni mobili ed immobili ritenuti frutto di illecito arricchimento e, soprattutto, funzionale alla realizzazione delle condizioni di impiego di manodopera in nero. Sono state scoperte anche numerose presunte truffe compiute nei confronti degli enti previdenziali.

Gli arrestati. Nove persone sono state arrestate e portate in carcere, ventuno sono detenute ai domiciliari ed una è stata sottoposta all’obbligo di dimora. Tra le persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare ci sono anche alcuni extracomunitari. Tre di questi sono stati rintracciati ed arrestati nelle province di Caserta, Catania e Siracusa dove si erano trasferiti dopo la rivolta avvenuta a Rosarno. Le indagini, coordinate dalla Procura di Palmi, hanno portato alla luce un sistema di caporalato collocamento illegale di manodopera clandestina destinata ai lavori in agricoltura. Identificate anche le aziende agricole che utilizzavano la manodopera straniera sottopagandola.

Sacconi: caporalato odioso, contrasto è priorità. contrasto Il caporalato rappresenta una odiosa forma di sfruttamento del lavoro. L’attività di contrasto, che è da realizzare in collaborazione tra le diverse forse in campo, è una delle priorità dell’azione di Governo: è la posizione del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che plaude alle iniziative di contrasto al lavoro nero e del caporalato.

Epifani: rafforzata scelta 1 maggio lì. «I fatti di oggi confermano la preoccupazione che c’era e che dà forza alla scelta di festeggiare lì il primo maggio». Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ricordando che «Rosarno è un luogo simbolo che dimostra come dove non c’è legalità non c’è rispetto per il lavoro. La nostra decisione è stata presa proprio per affermare il principio di rispetto per chi lavora spesso in condizioni di schiavitù». (Beh, buona giornata).

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La cifra della comunicazione delle cifre.

Durante i mesi duri e bui della grande crisi economica che ha sconvolto il mondo globalizzato, la tendenza a tenere nascosti i dati preoccupanti è stata palese, per certi versi sfacciata. Lo hanno fatto i governi, figuriamoci se non lo dovevano fare le agenzie di pubblicità. Certo, ci sono stati anche momenti grotteschi: ‘in controtendenza con l’andamento del mercato’ si citavano risultati a due cifre, contemporaneamente si mandavano via persone, però, coerentemente, anche i tagli sono stati a due cifre.

Qualche settimana fa, ho letto una dichiarazione del CEO di un’agenzia italiana, il quale sosteneva di aver chiuso il 2009 con un + 50%, nonostante la sua agenzia non avesse fatto alcuna nuova acquisizione nel corso dell’anno. Sono rimasto di sasso: il nostro eroe deve aver finalmente inventato la pietra filosofale, quella che gli alchimisti hanno cercato inutilmente per tutto il Medio Evo, quella, per intenderci che si credeva potesse ‘creare’ l’oro. Complimentoni. Chissà che marca di alambicchi ha usato.

Comunque, poiché siamo nella stagione delle trimestrali, cominciano a circolare i dati relativi ai primi tre mesi dell’anno. Siccome va sempre e comunque di moda ‘l’ottimismo’ vedremo rispuntare segni più. Che però non sono del tutto veri. Cito a memoria la trimestrale di un noto network, potrei sbagliare di qualche decimale: a fronte di una chiusura 2009 negativa del 8,4%, il noto network in questione dichiara un +1,5 nei primi tre mesi del 2010. Urca, dirà qualcuno, che bravi. E no, cari miei: o nella notte di Capodanno tra il 2009 e il 2010, magicamente si sono recuperati 8,4 punti di svantaggio, per poi salire a 1,5, oppure, quel +1,5 va semplicemente sottratto al l’8,4. Risultato? Chiuso l’anno con- 8,4 si riparte da +1,5, cioè da -7,3.

Certo questi trucchetti di tipo cosmetico vengono fatti anche dai ministri dell’Economia dei paesi sottoschiaffo per la crisi. In Italia, per esempio, l’anno si chiude con un rapporto deficit-Pil a -5,5%. Siccome c’è chi sostiene che nel 2010 ci potrebbe essere una ripresa dello 0,5, vorrà dire che invece che -5,5, il risultato sarà di -5%. Dice: però non è carino dirlo così all’opinione pubblica. Meglio dirgli che c’è una crescita, piuttosto che una riduzione delle perdite. Fate un po’ come volete, ma, come diceva Totò, ‘è la somma che fa il totale’. Beh, buona giornata.

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Telecom Italia manda via 6.800 dipendenti, mentre l’amministatore delegato si è aumentato lo stipendio del 75% (3,4 milioni di euro annui). E agli azionisti un miliardo di euro di dividendi.

Telecom, annunciati 4.500 nuovi tagli- In 5 anni 13mila lavoratori a casa
Critiche della Cgil: solo un piano finanziario e non industriale-ilmessaggero.it

Un taglio di 6.800 posti di lavoro: è questo il piano annunciato da Telecom Italia ai sindacati da realizzare entro il 2012. Erano 2.300 i tagli già previsti dall’azienda (ma non erano ancora stati realizzati) nei precedenti piani, 4.522 sono invece gli ulteriori tagli, frutto dell’aggiornamento piano industriale presentato lo scorso 13 aprile. «Si tratterebbe, se prendiamo in esame il quinquennio 2008-2012, – sottolinea Emilio Miceli, segretario dello Slc-Cgil – di 13.000 esuberi complessivi, il 20% dei lavoratori dell’azienda in Italia».

Cgil: piano finanziario e non industriale. Il piano è stato presentato oggi dal copo delle risorse umane Antonio Migliardi. Domani è attesa una nota congiunta mentre il 26 aprile è stato convocato il coordinamento nazionale unitario del gruppo, durante il quale verranno esaminate le decisioni dell’azienda e decise le eventuali forme di lotta. «La cosa più insopportabile – spiega Miceli – è che l’obiettivo è quello di poter giungere ad un aumento del dividendo e alla riduzione del debito di 5 miliardi: nessun cliente in più, nessun piano di rilancio, nessun investimento per innovare». Si tratta secondo Miceli di «un piano finanziario e non industriale», senza prospettiva di rilancio, che va a colpire «solo la parte più debole dell’azienda». Piano apprezzato invece dai mercati come sostiene Gaetano Miccichè, direttore generale di Intesa Sanpaolo (azionista di Telecom).

Bernabé aveva annunciato snellimento. In occasione della presentazione dell’aggiornamento del piano, l’amministratore delegato Franco Bernabè, che quest’anno ha visto il suo stipendio toccare i 3,4 milioni di euro (un ritocco all’insù del 75% sul 2009), aveva preannunciato l’intenzione di “snellire” l’azienda per permettere agli investitori una progressiva diminuzione del debito e un contestuale aumento dei dividendi dopo che quest’anno i soci si sono divisi 1 miliardo di euro in cedole, su un utile di 1.581 milioni di euro (in calo di quasi 600 milioni sul 2008). Beh, buona giornata

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Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

L’Italia può dare l’addio a Capitan Findus.

Unilever prepara vendita Findus Italia. In pericolo 600 posti di lavoro a Cisterna
Il 26 incontro con i sindicati. Tra le società interessate la Permira. Operazione tra i 600 e 700 milioni di euro-il messaggero.it

Il gruppo anglo-olandese Unilever sarebbe sul punto di cedere la Findus Italia. Ad affermarlo diverse agenzie straniere citando fra i principali interessati all’acquisizione i gruppi di private equity Permira e Lion Capital, e la BC Partners. L’operazione viene valutata dagli analisti tra i 600 e i 700 milioni di euro.

Trattative dalla prossima settimana. Goldman Sachs è la società incaricata di curare l’operazione e, stando ad alcune indiscrezioni, già la prossima settimana Unilever potrebbe avviare la trattativa.

L’allarme dei sindacati a Cisterna. Le voci su una possibile cessione dello stabilimento Findus di Cisterna di Latina, dove sono occupati circa 600 lavoratori e dove si producono surgelati e i famosi Quattro salti in padella da tempo allarmavano i sindacati. Il prossimo 26 aprile è previsto un incontro fra sindacati e Unilever sul futuro delle attività italiane del gruppo.

Fra i possibili pretendenti alla Findus Italia ci sarebbero, sempre secondo quanto riferisce Reuters, anche la BC Partners già proprietaria della francese Picard, distributore di cibi surgelati e la Pai Partners che ha nel suo portafoglio United Biscuits e Yoplait. La società europea di privare equity Permira, data fra le favorite, ha nel suo portafoglio il gruppo di surgelati Birds Eye Iglo, mentre Lion Capital è titolare di Findus Group quest’ultimo però non ha legami con Findus Italia. Findus Group prima di passare a Lion Capital era infatti di proprietà della Nestlè. Unilever, che fra l’altro produce il tè Lipton e lo shampoo Sunsilk, del suo business europeo dei cibi surgelati ha finora mantenuto solo Findus Italy, dopo aver ceduto nel 2006 Birds Eye e Iglo a Permira per 1,7 miliardi di euro.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il Governo: “Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”. Bankitalia: non è vero.

Bankitalia: cresce la pressione fiscale
Ripresa ancora debole, giù i redditi
Il peso del fisco nel 2009 salito dal 42,9 al 43,2%. L’indebitamento delle famiglie è al 60%, consumi ancora in calo. 700.000 disoccupati in più rispetto all’aprile dell’anno scorso, per i giovani il tasso è al 28,2%. Conti pubblici peggiorati. Lieve ripresa, ma investimenti ancora stagnanti

Bankitalia: cresce la pressione fiscale Ripresa ancora debole, giù i redditi
ROMA – Cresce il peso delle tasse sulle tasche degli italiani: nel 2009 la pressione fiscale è passata dal 42,9 al 43,2%. Lo afferma la Banca d’Italia nel Bollettino Economico. “In Italia la ripresa economica è ancora debole”, scrive via Nazionale, aggiungendo che “sulle prospettive di crescita pesano la debolezza della domanda interna e la lenta ripresa dell’export”. Il reddito disponibile delle famiglie “è calato di oltre due punti percentuali in termini reali nella media dello scorso anno”. Tuttavia “uno stimolo temporaneo ai consumi” dovrebbe arrivare, a partire da aprile, grazie agli incentivi decisi dal governo.

Indebitamento delle famiglie al 60%. L’indebitamento della famiglie italiane è salito, ma resta parecchio al di sotto di quello medio dell’area euro: se da noi il debito è quasi al 60% del reddito, nei 16 Paesi della moneta unica arriva ormai al 95%. “Nel quarto trimestre del 2009 – rileva via Nazionale nel Bollettino di aprile – il debito delle famiglie in rapporto al reddito disponibile è lievemente salito, al 60%. L’incremento ha riflesso prevalentemente l’aumento dei prestiti bancari a medio e a lungo termine e la riduzione del reddito disponibile. Il livello dell’indebitamento rimane comunque nettamente inferiore a quello medio dell’area dell’euro (prossimo al 95% a settembre del 2009)”.

Consumi ancora in calo. I consumi sono deboli e non si vede all’orizzonte un’inversione di tendenza. Dopo la contrazione dei consumi dell’1,8% registrata nel 2009, i segnali per i primi mesi del 2010 non delineano una inversione di tendenza. Il clima di fiducia dei consumatori, in progressivo miglioramento nella seconda metà del 2009, “è tornato a peggiorare quest’anno, riportandosi, in marzo, sui livelli dello scorso giugno”. Sulla fiducia delle famiglie “pesa il maggiore pessimismo circa la situazione economica generale del Paese e l’accresciuta preoccupazione sulle condizioni del mercato del lavoro: la percentuale dei consumatori intervistati che prevede un forte aumento della disoccupazione nei prossimi dodici mesi è salita oltre il 30 per cento in marzo, il doppio di quanto registrato lo scorso luglio”.

Peggiorati i conti pubblici. “La situazione delle finanze pubbliche è notevolmente peggiorata”, rileva la Banca d’Italia, ricordando che l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è salito nel 2009 al 5,3% del Pil, dal 2,7% del 2008. Il risultato è in linea con le valutazioni ufficiali dello scorso luglio, confermate nei mesi successivi. L’aumento del disavanzo, osservano gli economisti di Via Nazionale, “è riconducibile alla marcata crescita della spesa primaria e alla flessione delle entrate, anche se quest’ultima è stata meno pronunciata di quella del Pil nominale”. Il forte peggioramento dei conti è comunque “quasi interamente riconducibile alla flessione dell’attività economica”.

Modesta ripresa ma investimenti stagnanti. L’attività “è in ripresa” ma “ristagnano gli investimenti produttivi”. Nella media del primo bimestre del 2010 l’attività manifatturiera è cresciuta dell’1,4% in termini congiunturali, riguadagnando circa sette punti percentuali rispetto al punto di minimo. Trainato dalla componente estera, l’indice degli ordinativi dell’industria, deflazionato con i relativi prezzi alla produzione, è aumentato dell’1,3% nella media dei tre mesi terminanti in gennaio

In un anno 700.000 occupati in meno. “Rispetto al picco raggiunto nell’aprile del 2008, il numero delle persone occupate è diminuito di oltre 700 mila unità (-3,1%)”, precisa il Bollettino della Banca d’Italia. Il calo dell’occupazione prosegue dunque anche nei primi mesi del 2010: in gennaio e febbraio “la flessione è stata pari in media allo 0,4% sull’ultimo trimestre 2009”, afferma via Nazionale, ricordando come tra ottobre e dicembre scorso l’occupazione abbia registrato, “per il sesto trimestre consecutivo”, un ulteriore calo dello 0,2% sul trimestre precedente. A febbraio pertanto il tasso di disoccupazione “ha raggiunto l’8,5%, 1,2 punti percentuali in più” rispetto allo stesso mese del 2009. Ed è tra i giovani, nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni, che si registra l’aumento più pesante: il tasso di disoccupazione infatti “è cresciuto di quattro punti, raggiungendo il 28,2%”. (beh, buona giornata).

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Il Governo e Confindustria: il gattone gioca con la volpina.

Marcegaglia: «Caro Silvio, le parole non bastano più»-ilsecoloXIX.it
«Impegni precisi, tempi certi». Gli industriali non vogliono «promesse generiche». Emma Marcegaglia incalza il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che l’ascolta in prima fila al forum di Confindustria a Parma. «Anche su questo ti chiedo un impegno», ripete scandendo i sei punti di «una road map precisa», una «agenda vincolante»: per Berlusconi, che «ha vinto in modo chiaro le regionali», e per un governo che ha di fronte tre anni senza elezioni, la sfida su riforme invocate da tempo è «l’ultima, senza appello». Per il fisco «non si possono aspettare tre anni». E serve subito una forte spinta alla crescita: mettere in campo 2,5 miliardi puntando su ricerca-innovazione e infrastrutture. Su questa proposta Emma Marcegaglia vuole risposte presto, entro due mesi: «Sarebbe bello se alla nostra assemblea di maggio tu venissi per dire: sì, ho stanziato questi soldi», dice al premier.

Mentre entro l’anno Confindustria vuole risposte su «una sfida»: generare 50 miliardi di ricchezza e 700mila posti di lavoro spingendo la crescita del 2% l’anno in tre anni. La strada per farlo è «un piano serio per tagliare la spesa pubblica improduttiva dell’1% del Pil l’anno per tre anni»: per Emma Marcegaglia è necessario per reperire risorse, anche per tagliare le tasse, ed è giusto perché con, la crisi, «cittadini e imprese hanno stretto la cinghia» e, sottolinea, «se lo stato chiede solo a noi, e non lo fa, non è tollerabile». Nei sei punti c’è il fisco: «Abbassare le tasse su chi tiene in piedi il Paese, cittadini e imprese», per le aziende a partire dall’Irap. Con un no netto a eventuali manovre correttive. Serve poi un federalismo fiscale efficiente: «C’è chi teme che la Lega voglia fare troppo, noi ti chiediamo che la Lega e il governo facciano sul serio», dice Emma Marcegaglia al premier, per poi strigliare i neo-governatori di Lazio e Calabria che trattano il rinvio del rientro del deficit per la Sanità: «Così non facciamo quello che dobbiamo fare». Nell’agenda ci sono anche le infrastrutture: Emma Marcegaglia chiede «una operazione verità»: il governo ha annunciato risorse per miliardi, allora «vediamo quali sono i soldi spendibili, spendiamoli».

L’associazione dei costruttori «dice che per le opere immediatamente cantierabili sono stati spesi solo 20 milioni». E le Regioni deve attuare il piano casa. Sotto accusa la burocrazia, bisogna semplificare la macchina dello Stato, un «cancro enorme». Mentre sul fronte del’energia bisogna andare avanti con il nucleare, coordinarsi con le regioni sui siti ma poi prendere decisioni. A Silvio Berlusconi la presidente di Confindustria chiede anche che la politica italiana faccia sentire la sua voce in Europa, che orienti gli altri Paesi. Come per il confronto sui nuovi requisiti patrimoniali per le banche: se Basilea Tre sara´ una stretta rischiamo di affondare. Quindi la concorrenza, le liberalizzazioni: «sentir parlare da parte di professionisti di tariffe minime non ha senso. Allora ci mettiamo anche noi tutti in fila, io voglio una tariffa minima per i tubi, io voglio questo, tu vuoi quello… non è possibile».

Berlusconi ascolta. Se poi c’è stato un confronto con Emma Marcegaglia è stato a quattr’occhi, a margine del pranzo ristretto, dove al tavolo c’erano anche altri industriali ed il ministro Maurizio Sacconi. Poco prima la leader degli industriali aveva chiuso due giorni di confronto a Parma sempre rivolgendosi a Berlusconi: «Dovete dimostrare che siete davvero quel governo della cultura del fare per cui tanti italiani vi hanno dato fiducia. È arrivato il momento». (Beh, buona giornata).

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Altro che percentuali elettorali: la disoccupazione giovanile in Italia è al 28,2 per cento.

Vola a febbraio il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), attestandosi a quota 28,2%. La disoccupazione tra i giovani cresce di 0,8 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Lo rende noto l’Istat nella stima provvisoria di febbraio relativa a occupati e disoccupati. I tecnici dell’Istituto sottolineano che il tasso italiano è superiore di 7,6 punti rispetto a quello relativo alla Ue-27 (20,6%). Resta stabile invece il tasso complessivo a 8,5%, con una variazione congiunturale nulla ma in crescita di 1,2 punti percentuali rispetto a febbraio 2009. Il mese scorso sono stati persi 395 mila posti di lavoro. A perdere il lavoro sono stati soprattutto gli uomini: 294 mila a fronte di 101mila donne. Beh, buona giornata.

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L’Italia il Paese che ha meglio affrontato la crisi? Berlusconi lo dice, l’Istat lo smentisce.

Le vendite al dettaglio dei prodotti alimentari sono diminuite a gennaio dell’1% rispetto a dicembre e del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2009. Lo rileva l’Istat precisando che il dato congiunturale è il peggiore da aprile 2007 mentre quello tendenziale è il peggiore dal marzo 2009, quando segnò il -5,2%. Nel complesso le vendite al dettaglio a gennaio sono diminuite dello 0,5% rispetto a dicembre e del 2,6% rispetto a gennaio 2009. Lo rileva l’Istat precisando che il dato congiunturale è il peggiore da dicembre 2008 (allora segnò -0,7%).

Secondo l’istituto di statistica il calo delle vendite su dicembre (-0,5%) è la sintesi tra il -1% delle vendite alimentari (il dato peggiore da aprile 2007) e dello 0,3% dei prodotti non alimentari. Rispetto a gennaio 2009 le vendite alimentari sono diminuite del 3,3% (il calo più consistente da marzo 2009) mentre quelle dei prodotti non alimentari sono diminuite del 2,3%. Il calo tendenziale è stato forte soprattutto nelle imprese della grande distribuzione (-3,1%) mentre le imprese operanti su piccole superfici hanno segnato un -2,2% su gennaio.

Nell’alimentare le imprese della grande distribuzione hanno segnato un calo delle vendite del 3,5% mentre le imprese operanti su piccole superfici hanno registrato un calo delle vendite del 3,1%. Nel comparto non alimentare le aziende della grande distribuzione hanno segnato un calo delle vendite del 2,9% a fronte del calo del 2% dei piccoli negozi. Nell’alimentare gli ipermercati e i supermercati hanno perso il 3% del fatturato al livello tendenziale mentre i discount alimentare hanno segnato un -2,9%. Sul calo complessivo del 2,6% delle vendite a gennaio spicca quello dei prodotti farmaceutici (-4,2%) e delle dotazioni per l’informatica (-4,3%). Reggono meglio la crisi l’abbigliamento e le calzature (-1,2% per entrambi i comparti) la foto ottica (-0,6%) e il settore dei giocattoli, sport e campeggio (-0,9%). Beh, buona giornata.

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L’Italia è diventata un Paese di venditori. (Tanto non lo legge nessuno.)

L’Italia è diventato un Paese di venditori. Si vende il proprio sesso per avere un posto in parlamento, un ministero. Si vende il sesso degli altri, meglio sarebbe dire delle altre, per avere un appalto, una commessa per la fornitura di apparecchiature mediche. Si vende la propria professione per avere un posto da direttore di telegiornale. Si vende la propria faccia sui manifesti elettorali per un posticino in un consiglio regionale. Non produciamo più idee, prodotti innovativi, personalità istituzionali, intuizioni creative.

Non siamo più il Paese che si risollevò dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, per diventare uno dei paesi più industrializzati del Mondo, un Paese che si rimboccò le maniche e ricostruì case, ponti, strade, fabbriche, ma anche diritti, competenze, convivenza civile, scuole per alunni, ma anche scuole di pensiero.

No, ormai vendiamo il vendibile. Così non è per nulla strano che si vendano onorificenze ai pompieri, quelli che si ammazzano di fatica, e spesso ci lasciano la pelle per salvare altre pelli, per toglierci dai guai. I guai, quelli che inavvertitamente facciamo contro di noi. I guai, quelli di cui siamo vittime, per colpa di “inavvertiti” politici e amministratori della cosa pubblica: che sono quelli che chiamano i pompieri quando frana un collina, sulla quale si sono date allegramente licenze edilizie; quando esonda un fiume, attorno al quale si è lottizzato senza pensare alle conseguenze; quando vengono giù le case, costruite con l’ingordigia dell’affarismo, invece che col cemento armato.

Quando è stato intervistato il responsabile amministrativo della Protezione Civile, a proposito della vendita delle onorificenze, egli mostrava orgoglioso il campionario: una medaglia e un paio di fregi alla comoda cifra di 130 euro. Un affare, no!? Ma certo che è un affare.

Il nostro Paese non è forse una grande, smisurata televendita? Alcune centinaia di migliaia di persone parteciperanno a una minifestazionde pubblica in piaza San Giovanni in Laterano. Compreranno la tesi del Governo.

Le posizioni politiche non si confrontano, si vendono nei talk show. Il talento non si esercita, si vende nei talent show. La politica non progetta, vende candidati.

La giustizia non sanziona comportamenti criminali, no, la giustizia vende l’ingiustizia del complotto contro gli eletti dal popolo. E gli imputati vendono la loro impunità.

L’informazione non vende giornali, no, vende “fango” contro quelli che presi con le mani nel sacco, vendono in saldi la loro sfacciata impunità.

Fin tanto che ci sarà qualcuno disposto a comprare la merce (della politica, dell’informazione, dell’intrattenimento, addirittura dell’architettura istituzionale), beh, che volete? È la legge della domanda e dell’offerta.

Ci stanno pignorando beni comuni, libertà collettive, diritti condivisi, l’idea della democrazia, la visione stessa del futuro dei nostri figli. Berlusconi, ogni giorno batte l’asta.

Un piccolo, forse prezioso “consiglio per l’acquisto”: cerchiamo, almeno di non comprare prodotti scaduti (così in basso). È un consiglio gratis.
Beh, buona giornata.

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Lavoro Popoli e politiche

Mentre l’Italia teme gli immigrati, ecco un breve racconto, scritto da un giovane italiano, appena emigrato in Francia.

C’erano un tedesco, un russo e un italiano…, un racconto di Mattia D’Alessandro.

Sono pronto. Sono qui, pronto a versare quattro gocce d’inchiostro per dichiarare la scomparsa della star. Oggi fanno quattro mesi che non si fa più viva. Da quando la mia famiglia è esplosa in mille pezzi. E come se aspettasse il momento peggiore per sparire. La star non è più venuta a trovarmi, neanche nei sogni.
L’Italia ha appena perso contro la Francia dei galli da rugby. Sono quasi felice di non sapere neanche le regole del rugby. Mia moglie ha chiesto il divorzio, meta. L’ha ottenuto, meta. I miei due concetti più importanti resteranno con lei. Buio.
Sono tornato da poco dalla fabbrica. Mi occupo di tappi. Tappi di plastica.
Sono partito in Gennaio. Un amico mi ha dato il suo numero dicendomi che cercavano un addetto alle macchine. Non mi sono neanche chiesto a cosa servissero. Duemilacentodue chilometri per continuare a respirare. E’ strano. E’ tutto troppo strano. Ho ripreso a guadagnare, ma mi manca il respiro. Avevo una casa, una famiglia e un incubo. Ora ho un lavoro, un amico immaginario e il fegato scheggiato.
Non riesco più a piangere. Me ne sono accorto l’altra sera. Mangiavo tranquillo, quando d’un tratto una medusa mi ha punto lo stomaco. Ho impiegato due ora per ripulire la cucina. Sentivo di voler piangere, ma era come se avessi bottoni al posto degli occhi. Erano duri e aridi. Siccità emozionale. Non piango, non rido, ma penso. Poi la stanchezza mi scaraventa sul letto, a volte senza nemmeno spogliarmi e mi lascia immobile per quasi quattro ore.
Piove, qui piove sempre. Sono partito per sviluppare i miei due concetti, non li vedo più. Sono robot. Vivo meccanicamente cercando di limitare l’umanità. La notte non riesco più a sognare, sono robot. In fabbrica ho due colleghi simpaticissimi. A volte mi fanno incazzare. Uno è tedesco e pesa quindici tonnellate, si chiama ZK99. L’altro è russo. Molto più magro, ma estremamente sensibile. Si chiama EEE001. Lavoro con loro tutti i giorni, a volte anche di domenica. Ultimamente il russo si ribella un po’ troppo. Il tedesco fa un gran trambusto, poi di colpo si spegne. Tutte le volte mi tocca leggergli le favole, solo che in questo caso le favole servono a farlo ripartire. Sono favole lunghe, anche di milleduecento pagine. Passo le mie ore a verificare che vadano d’accordo, e devo ammettere che sono pochi i momenti di tranquillità.
Penso spesso alla star, a come si è manifestata nella mia vita e a come l’ ha deformata. Il mio contratto scada tra un mese, mi hanno comunicato che non lo rinnoveranno. Mia moglie ha bisogno di denaro, sempre, costantemente. Ho quasi paura nel sentirla, la sera. Ho la sensazione che tornerò a sognare, per ora, ho ripreso a fumare.
(potrebbe continuare…) (Beh, buona giornata).

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Lavoro Leggi e diritto

Crepa, operaio, crepa. Oggi tre morti sul lavoro.

A Pozzuoli è morto un operaio di 27 anni, nella piazza di via Roma, dove sono in corso lavori di ristrutturazione. Sebastiano Marruso di San Cipriano d’Aversa (Caserta) stava manovrando una gru, quando si è rotto un tubo della pressione idraulica e un pezzo gli è caduto in testa, uccidendolo sul colpo.

Questa mattina verso le 10:30, un operaio di 27 anni è morto folgorato mentre stava effettuando la manutenzione sulla linea elettrica della tratta ferroviaria Torino-Milano nella stazione Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli. Il segretario regionale dell’Ugl del Piemonte, Armando Murella, nell’esprimere cordoglio e vicinanza alla famiglia della vittima, ha denunciato come “in questo periodo siano aumentati gli incidenti che avvengono sulle linee ferroviarie”.

A Pomezia, comune alle porte di Roma, un operaio italiano di 42 anni, è morto verso le 11 precipitando da una scala. L’uomo, dipendente di uno stabilimento di serigrafia, l’Edigraf, di via Honduras, doveva riparare un palo dell’illuminazione all’interno dell’azienda. Mentre stava lavorando, la scala si è rotta facendolo precipitare da un’altezza di otto metri. E’ morto sul colpo. Oltre i carabinieri della stazione di Pomezia, sono intervenuti anche i tecnici dell’Ispesl e della Asl Rm H di Albano. Beh, buona giornata.

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Un venerdì di scioperi e manifestazioni in tutta Italia. Il sindacato vuole “riportare l’attenzione sui problemi legati a lavoro, alle tasse ed ai diritti di cittadinanza”. Trasporti, scuola, uffici pubblici, farmacie, sanità e banche e sarà di 8 ore nel pubblico impiego, 4 ore di sciopero saranno osservate negli altri settori e nelle aziende private. Il Governo continuerà a negare che l’Italia è in una grave crisi economica e occupazionale?

(fonte:repubblica.it)
Sarà un venerdì di scioperi e manifestazioni in tutta Italia. L’astensione nazionale dal lavoro, proclamata dalla Cgil sui temi dell’occupazione, del fisco e dell’immigrazione, riguarderà infatti trasporti, scuola, uffici pubblici, farmacie, sanità e banche e sarà di 8 ore nel pubblico impiego, a differenza delle quattro che saranno osservate negli altri settori e nelle aziende private.

Il sindacato, così facendo, vuole “riportare l’attenzione sui problemi legati a lavoro, alle tasse ed ai diritti di cittadinanza”. Aderiranno numerose associazioni e movimenti, tra cui anche Pd, Popolo viola, Federazione della sinistra, Sel, Arci, Auser, Anpi, Udu e Rete degli studenti.

Alla luce degli scioperi, domani sono previsti disagi nei trasporti, perché bus, tram e metropolitane si fermeranno con orari diversi da città a città, fatte salve le fasce di garanzia. Stop dalle 10 alle 14 anche per piloti, assistenti di volo e personale di terra di aeroporti e compagnie aeree, mentre i ferrovieri si asterranno dalle 14 alle 18. Interessati allo sciopero anche navi e traghetti che ritarderanno di 4 ore le partenze, i camion per tutto l’arco della giornata; i lavoratori di porti ed autostrade sciopereranno 4 ore per ciascun turno di lavoro e il personale dell’Anas per l’intera giornata. Lo sciopero interesserà anche l’autonoleggio, il soccorso autostradale, le autoscuole, i trasporti funebri e gli impianti a fune. Salve le emergenze, lo sciopero riguarderà anche i servizi sanitari, gli ospedali e inoltre scuole, caserme, farmacie e banche.

Astensione dal lavoro, poi, per i lavoratori dell’agroindustria, quelli delle assicurazioni, artigiani, educatori e insegnanti con il personale scolastico in generale, i dipendenti delle tlc (compresi Poste e Telecom) e quelli del commercio e del turismo, gli impiegati e gli operai metallurgici e i lavoratori dei settori chimica e tessili.

A Roma, per esempio, lo sciopero riguarderà gli operatori dell’Ama a partire dal primo turno di venerdì per arrivare, tenuto conto dell’organizzazione dei servizi aziendali, intorno alle 4.30 della mattina di sabato. Interessati dallo sciopero, con le stesse modalità, anche gli operatori del comparto funerario.

Per quanto riguarda le mobilitazioni di piazza, saranno due i cortei che percorreranno le strade della capitale: quello organizzato dalla Cgil partirà alle 9 da piazzale Flaminio diretto verso piazza Mazzini, dove dovrebbe concludersi intorno alle 13 attraversando le vie del quartiere Prati. Davanti alla sede Rai parleranno il segretario generale del sindacato di Roma e Lazio, Claudio Di Berardino, e il segretario nazionale, Enrico Panini.

I Cobas della scuola e gli studenti, invece, hanno intenzione di ‘assediare’ il ministero di viale Trastevere arrivando intorno alle 14.30 con un corteo nazionale che partirà da piazza della Repubblica alle 9.30. L’Unicobas ha dato invece appuntamento agli iscritti, sempre a partire dalle 10 in largo Chigi. Faranno sentire le loro ragioni anche gli studenti. Unione degli studenti e Link-Coordinamento universitario hanno organizzato decine di cortei e iniziative pubbliche (a Milano in Largo Cairoli, a Roma in piazzale Flaminio, a Napoli in piazza Garibaldi) all’insegna dello slogan “Ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli!”. Unione degli universitari e Rete degli studenti medi occuperanno diverse piazze issando striscioni con su scritto “Le vostre tasse le paga il nostro futuro!”.

Il servizio di trasporto pubblico a Roma sarà interessato da una protesta di quattro ore, dalle 9.30 alle 13.30. Non saranno garantite, ha spiegato una nota di Roma Servizi per la mobilità, le corse di bus, filobus, tram, metropolitane e ferrovie Roma-Lido, Roma-Giardinetti e Roma-Civitacastellana-Viterbo. Le modalità dello sciopero prevedono che, al termine della protesta, i mezzi coinvolti riprendano servizio dai depositi di appartenenza. Il Campidoglio ha disposto, per la durata relativa alla fascia oraria mattutina, l’apertura delle zone a traffico limitato del centro e di Trastevere.

La protesta della Cgil si svolgerà in tutte le principali città d’Italia. Il segretario generale Guglielmo Epifani sarà a Padova dove parteciperà al corteo di protesta e dove terrà il suo intervento. Agostino Megale, segretario confederale parteciperà alla manifestazione a Milano, Susanna Camusso a Genova, Vera Lamonica a Reggio Emilia, Fabrizio Solari a Massa Carrara, Paola Agnello Modica a Bari e Morena Piccinini a Rosarno.

(Beh, buona giornata).

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Anche Confindustria nel suo “piccolo” si incazza per il casino elettorale.

(fonte: AGI)
“Siamo preoccupati e delusi perché l’economia italiana va ancora male ed è necessario e urgente prendere decisioni per tornare a crescere. A pochi giorni dalle elezioni non si sente minimamente parlare di programmi non si sente parlare di crisi, economia, di crescita e dei problemi delle imprese e soprattutto dei lavoratori e dell’occupazione. Noi facciamo un richiamo forte alla politica: quello di concentrarsi su questi temi che sono i temi che veramente interessano alle persone”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia in un’intervista al Tg2. Beh, buona giornata.

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