Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Di che cosa parliamo quando parliamo di crisi/2.

da ilmessaggero.it

Almeno 35 mila i partecipanti alla manifestazione anti-crisi e anti-globalizzazione in corso a Londra dalle 12 locali di oggi (le 13 in Italia), primo appuntamento in vista del G20 della settimana prossima. Il corteo si è svolto all’insegna dello slogan Lavoro, Giustizia, Clima. Proteste anche in Germania e in Belgio. Il G20 riunisce i 19 paesi più industrializzati (quelli del G8 in primis) con l’Unione europea. E un forum creato per favorire l’internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in sviluppo.

La protesta a Londra. Dal Victoria Embankement, lungo il Tamigi, il corteo è transitato dalla piazza del parlamento di Westminster, con alcuni gruppi che si sono staccati per fare una puntata davanti al numero 10 di Downing Street, la residenza del premier Gordon Brown attualmente in Sudamerica. Il raduno, battezzato ‘Put People First’ (La gente prima di tutto), è stato preparato da una coalizione di oltre 100 gruppi che vanno dalla Tuc, la confederazione dei sindacati britannici, agli ambientalisti, ai pacifisti e agli anarchici. Tra gli slogan più gettonati, quello coniato da Barack Obama durante la sua corsa verso la Casa Bianca: ‘Yes, we can’.

Germania. Proteste controil vertcie anche a Berlino e Francoforte. Secondo la polizia in piazza almeno 10 mila persone. Gli organizzatori parlano di 25 mila partecipanti nelle due città.

A Bruxelles una cinquantina di manifestanti hanno indossato maschere raffiguranti i venti leader mondiali del G20. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Di che cosa parliamo quando parliamo di crisi.

da repubblica.it
Onda, cobas e centri sociali contro il G8

Diretta a cura di Katia Ancona, Laura Mari e Valeria Pini

18.30 – Piazza Navona
Dopo essere entrati in piazza Navona, con caschi in testa e passamontagna sul volto, il gruppetto di manifestanti, una ventina di ragazzi in tutto, si è avvicinato ad una delle vie che porta al Senato, presieduta da un cordone di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Hanno atteso qualche minuto al centro piazza, poi si sono slacciati i caschi e sono andati via. Intanto la piazza si sta svuotando.

18.05 – Ancora una Banca
Ancora una banca nel mirino dei manifestanti. Questa volta, a finire sotto “i colpi” dei partecipanti al corteo contro il G8 del welfare, è stata la filiale della Intesa-San Paolo di corso Vittorio Emanuele. Contro la banca, ricoperta di vernice e circondata dalla nube dei fumogeni, anche lancio di bottiglie di birra.

17.56 – Brunetta
Centinaia di scarpe, qualcuna ha anche raggiunto il balcone del primo piano, sono lanciate dallo spezzone degli studenti e dei precari in marcia contro il portone del ministero della funzione pubblica in corso Vittorio.Acceso anche qualche fumogeno depositato davanti al portone. Il corteo ha ripreso la marcia.

17.50 – Caschi e passamontagna
Lancio di fumogeni dai manifestanti del corteo contro il G8 anche contro la banca San Paolo di Corso Vittorio Emanuele. Intanto una ventina di manifestanti sta entrando a piazza Navona con caschi in testa e passamontagna.

17.20 – Autorizzati
Sono tutti autorizzati i cortei che sfilano oggi a Roma per protestare contro il vertice dei ministri del Lavoro del G8 che si terrà nella capitale da domani fino al 31 marzo.
I percorsi sono stati tutti segnalati per tempo dagli organizzatori e non violano in nessun modo il protocollo che regola lo svolgimento dei cortei nella Capitale.

17.10- All’Altare della patria
Alcuni manifestanti hanno lanciato due fumogeni all’interno dell’Altare della Patria.

17.05 – La sfida
“Siamo in seimila da tutta Italia”. Gli organizzatori del corteo partito da piazza Esedra, nella capitale, per protestare contro il vertice dei ministri del Lavoro del G8 che si terrà nella capitale da domani fino al 31, stimano questa cifra sui partecipanti alla manifestazione che raggruppa vari cortei partiti da diversi punti della capitale. Dal megafono, uno degli organizzatori spiega le ragioni del corteo: “sfidiamo le nuove leggi liberticide sugli scioperi”.

16.58 – Tocca alla Carim
Lancio di vernice rossa e petardi anche contro la banca Carim di via Cavour, al passaggio del corteo contro il G8. “Vernice rosse contro tutte le banche – urla al megafono un manifestante – Adesso dovete darci il denaro, vogliamo reddito, case”.

16.50 – “Casa per tutti”
Le vetrine di un’agenzia immobiliare della Pirelli Re, in via Cavour, sono state completamente ricoperte di vernice bianca da alcuni dei partecipanti al corteo contro il G8 sociale. Accanto, con lo spray rosso, le scritte ‘casa per tutti’ e ‘soldi nostri’

16.45 – Paolo Ferrero
“Ottima manifestazione, che tiene assieme tutti gli strati sociali colpiti dalla crisi: lavoratori ex garantiti, precari, disoccupati, studenti. Quindi molto utile e importante”. Lo ha detto il segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero che sta partecipando alla manifestazione organizzata da Cub, Cobas e Sdl che sta sfilando per le strade del centro di Roma. Una manifestazione – ha aggiunto Ferrero – che chiede al governo di cambiare politica visto che sino ad ora ha fatto solo gli interessi di chi la crisi l’ha provocata e non dei lavoratori che la stanno pagando”.

16.40 – Contatto
Il gruppo di manifestanti ha tentato di uscire dal corteo a piazza di Esquilino per dirigersi dove c’è la sede dell’assicurazione legata alla vendita delle case a via Pincherle. C’è stato un contatto con le forze dell’ordine e poi il gruppetto con il volto coperto da passamontagna è stato richiamato dagli altri manifestanti a rientrare nel corteo.

16.35 – “Palestina Libera”
Al grido di “Palestina libera” è stata esposta da San Pietro in Vincoli una bandiera Palestinese grande diversi metri. Sotto, uno striscione con la scritta “Boicottiamo Israele”. A farlo, durante il corteo dei sindacati, il Comitato che sta avviando una campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani a seguito dell'”Aggressione alla Striscia di Gaza”.Il comitato spiega che la campagna nasce in seguito della “Aggressione alla Striscia di Gaza e il sostegno del dramma dei palestinesi”.

16.25-Momenti di tensione
In piazza dell’Esquilino un gruppo di manifestanti ha lanciato oggetti e qualche petardo in direzione della polizia schierata nei pressi del Viminale. Sono risuonate un paio di forti esplosioni. Il corteo ora sta comunque procedendo sul suo percorso e, dopo alcuni momenti di tensione, sembra senza conseguenze, tutti i manifestanti stanno riprendendo a marciare.

16.10 – Contro la Unipol
Lanci di vernice e petardi contro la Unipol di via Cavour

16.05 – A via Cavour
Il corteo con in testa le organizzazioni sindacali sta percorrendo via Cavour all’altezza della stazione della metropolitana. Il corteo è scortato da agenti delle forze dell’ordine in divisa. Sventolano bandiere di Rdb-Cub e Cobas. Tra gli esponenti politici presenti Giovanni Russo Spena (Prc), il consigliere provinciale di Sa Gianluca Peciola e il capogruppo di Sa in Campidoglio Andrea Alzetta.

16.03 – Gli striscioni
Tra gli striscioni, quello dei precari della scuola e della Cri.Tre manifestanti si sono vestiti da fantasmi: sono gli infermieri precari dell’Asl di Chieti che chiedono la stabilizzazione. “Siamo uniti tutti noi lavoratori perché questa crisi noi non la pagheremo”, scandiscono i manifestanti ai megafoni

16 -Roma blindata
In una Roma blindata il corteo, capitanato dai Cobas, vede il dispiegamento di oltre mille uomini delle forze dell’ordine per presidiare le sedi istituzionali e eventuali obiettivi sensibili ma ancora i manifestanti sono poco più che un centinaio. Muniti di bandiere di Rifondazione, anche gli studenti per esprimere “il diritto allo studio, al lavoro e al dissenso perchè -come recita uno striscone- la crisi la paghiamo noi”.

15.50 – Partiti
Al motto ‘Contro il fascismo e la repressione’ è partito a Roma il corteo organizzato dai sindacati di base, dai centri sociali e dagli studenti per protestare contro il vertice dei ministri del Lavoro del G8 che si terrà nella capitale da domani al prossimo 31 marzo.

15.40- Gli ex
Gli studenti che hanno abbandonato l’Onda si sono schierati dietro gli striscioni di Sinistra Critica

15.35 – Cobas e studenti
I cortei di Cobas e studenti si sono riuniti in piazza dei Cinquecento

15.30-Brunetta
“Se eravamo gueriglieri Brunetta tu non c’eri”. Così gli studenti dell’Onda di Napoli.

15.20 – Nessuna divisa
Ancora non è visibile nessuna divisa di polizia nè carabinieri. Ai vigili urbani il compito di chiudere il traffico al passaggio del corteo.

15.10 – Spena e Alzetta
“Stiamo riconquistando ciò che pensavano di toglierci con i manganelli”, gridano gli studenti con il megafono. Tra gli esponenti politici, presenti Giovanni Russo Spena (prc), il consiglere provinciale Gianluca Peciola e il suo omologo in campidoglio Andrea Alzetta.

15.05 – Fumogeni e petardi
Agli studenti dell’onda, ormai circa 1000, si sono uniti i migranti di action, e i rappresentanti dei centri sociali provenienti dalla stazione tiburtina. In apertura del corteo, tra fumogeni, petardi e slogan contro il protocollo sui cortei firmato da prefettura e comune di Roma.

15 – Slogan
“L’Onda è tronata ed è ancora più incazzata”, “Il corteo batte il protocollo e nessuno ci fermerà”

14.45 – Partono gli studenti
E’ partito da piazzale Aldo Moro il corteo degli studenti diretti a piazza della Repubblica. Ai manifestanti si sono uniti i rappresentanti di Action e dei blocchi precari. Secondo gli organizzatori in piazza ci sono circa 2mila persone. In testa al corteo lo striscione “Guerriglieri anomali contro il G14 per un nuovo welfare”, firmato da “Sapienza in Onda”.

14.30 – Arrivano i precari metropolitani
Con in testa un grosso striscione con su scritto “Hate G8 out of controllo” e cantando in coro “Noi la crisi non la vogliamo”, un centinaio di aderenti ai blocchi precari metropolitani (rete che include centri sociali, movimenti per la casa, studenti e Asia-Rdb) sono partiti in corteo, non autorizzato, dalla stazione Tiburtina diretti alla Sapienza, contro il vertice G8 dei ministri del Lavoro.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Nasce il Pdl, muore l’economia italiana.

(Fonte: repubblica.it)

Ennesima frenata dell’economia. Sulla scia della recessione globale, crollano ordinativi e fatturato dell’industria italiana a gennaio. In base ai dati resi noti dall’Istat, il calo del volume d’affari è stato del 31,3% su base annua, il più basso dal gennaio 1991. Segno meno anche del fatturato che ha registrato in gennaio una diminuzione tendenziale del 19,9%. Ancora una volta i dati Istat rilevano una situazione grave dell’economia già denunciata in termini simili nel novembre scorso quando la comparazione annuale tra fatturato e ordinativi segnavano dati peggiori dal gennaio ’91.

La crisi settore per settore. I cali più significativi su base annua, sempre considerando la correzione per giorni lavorativi (a gennaio i giorni lavorativi sono stati 20 contro i 22 del gennaio 2008), si sono avuti nei settori della fabbricazione dei mezzi di trasporto (-37,1%), della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (33,3%) e della fabbricazione di prodotti chimici (-29,2%).

Per l’auto profondo rosso. Crolla pesantemente il settore auto. A gennaio il fatturato ha segnato un meno 47,4% (26,3% a dicembre). Sul mercato interno, il calo è del 42,8%, e su quello estero del 52,3% (a dicembre erano stati rispettivamente del 29,3% e del 21,3%). Si tratta di dati grezzi. Male anche gli ordinativi. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi economica mette in luce la lotta di classe al contrario.

da ilmessaggero.it

Gli stipendi sono fermi mentre il fisco sembra inarrestabile. In 15 anni, ogni lavoratore ha perduto 6.738 euro come minore capacità di acquisto. Lo sostiene il quarto rapporto dell’Ires-Cgil presentato oggi alla stampa, su salari, produttività e distribuzione dei redditi. Insieme alla perdita di potere d’acquisto, nel rapporto si legge, che nello stesso pericodo esaminato (1993-2008) lo Stato ha beneficiato di 112 miliardi di euro tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag. Dall’analisi dei dati Istat – sempre secondo la Cgil – emerge come le retribuzioni di fatto dal 2002 al 2008 abbiamo accumulato una perdita del potere di acquisto pari a 2.467 euro, di cui circa 1.182 di mancata restituzione del drenaggio fiscale.

Proposta Cgil: 100 euro al mese sullo stipendio. La proposta del sindacato guidato da Guglielmo Epifani rivolta al governo, è che vengano erogati 100 euro medi di aumento mensile in busta paga, aumentando le detrazioni fiscali per lavoratori dipendenti, pensionati e collaboratori.

Più profitti per le imprese. Sempre secondo i dati diffusi dall’istituto di ricerca della Cgil, dal 1995 al 2006 i profitti netti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti di circa il 75% a fronte di un aumento delle retribuzioni di solo il 5%.

Il reddito degli italiani. E ancora: in base alle dichiarazioni dei redditi presso i Caf Cgil, si ha che circa 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 6,9 milioni meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 7,5 milioni dei pensionati prende meno di 1.000 euro netti mensili. Il reddito disponibile famigliare fra il 2000-2008 registra una perdita di circa 1.599 euro nelle famiglie di operai e 1.681 euro nelle famiglie con “capo famiglia” impiegato a fronte di un guadagno di 9.143 euro per professionisti e imprenditori.

Cig: penalizzate le donne. Riguardo alla cassa integrazione, un lavoratore a “zero ore” per un mese vede il suo stipendio abbassarsi dai 1.320 euro netti in busta paga ad appena 762 euro. Una lavoratrice in Cig, sempre a zero ore, con uno stipendio mensile di 1.100 euro netti passa a 634 euro netti. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Gli operai della Continental in Francia: «Hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo».

Rabbia operaia
di Alessandro Cisilin – da «Galatea European Magazine» (fonte: megachip.info)

Per l’Europa l’11 marzo evoca l’incubo del più grave attentato terroristico del dopoguerra, cinque anni fa a Madrid. Per la Francia la stessa data rimarrà probabilmente nella storia come l’emblema del cataclisma economico e dell’esplosione della rabbia sociale. In quel giorno i vertici della tedesca Continental annunciavano la chiusura dello stabilimento di Clairoix, nel nord-ovest della Francia, ossia il licenziamento entro un anno di tutti i suoi millecentoventi lavoratori, che si aggiungeranno ai settecentottanta messi in strada ad Hannover. La risposta operaia è stata di una virulenza inedita, espressione del resto prevedibile di chi versa nell’assoluta disperazione.

Molti di loro sono giovani, sotto i quarant’anni, e la maggioranza rifiuta etichette ideologiche. Tutti sono arrabbiati, e “pronti a tutto”. Perfino a impiccare i manichini di due dirigenti, quelli del capo della fabbrica e della società, non senza il rogo di decine di pneumatici – di cui la multinazionale è il quarto produttore mondiale – e copiosi lanci di scarpe e di uova. Le stesse uova sono state anche protagoniste di assalti verso dirigenti in carne e ossa.
In un caso gli operai hanno così messo in fuga il direttore dello stabilimento nell’atto del terribile annuncio. In un altro, qualche giorno più tardi, si sono recati in trasferta nella vicina Reims, riuscendo a penetrare nell’albergo dove i delegati della società stavano a colloquio coi rappresentanti dell’amministrazione locale.

La rabbia tra i “Conti” (così apostrofati i dipendenti Continental) è alimentata anche dal senso del tradimento. Solo pochi mesi fa avevano accettato un compromesso che prevedeva l’allungamento dell’orario lavorativo e altri sacrifici contrattuali in cambio della rassicurazione scritta del mantenimento del posto almeno fino al 2012. L’impresa si difende illustrando il calo del trenta per cento della domanda nei primi due mesi dell’anno, correlata al crollo del settore auto.

Il vicepresidente della Continental Bernhard Trilken aggiunge poi che «la sovrapproduzione è arrivata alla fine del 2008 a sette milioni e mezzo di pneumatici» e che Clairoix è «la fabbrica meno competitiva al mondo», in quanto eroga salari da almeno millesettecento euro, superiori a quelli degli altri stabilimenti. Cifre rilevanti, non meno tuttavia di quella, riferita da «Le Monde», di un utile netto, generato l’anno scorso da Clairoix stessa, di ben ventisette milioni.

La solidarietà verbale agli operai sembra essere quasi unanime, ma raramente è gradita. Gelida è stata la risposta alle dichiarazioni in ordine sparso dei socialisti. Peggio ancora nei confronti di alcuni deputati dell’Ump, il partito di Sarkozy (“il presidente del potere d’acquisto”), allontanati a spintoni dalla fabbrica, dove si erano presentati per esprimere la loro vicinanza.

La novità dell’azione dei ‘Conti’ sta in effetti proprio nella loro esplicita minaccia di un “conflitto violento”. «Non abbiamo nulla da perdere, e la polizia lo sappia: non siamo infermiere, non ci faremo fregare», ha detto ai media un operaio anziano, nonostante la prossimità della pensione. I sindacati, offesi dal dietrofront della multinazionale, stavolta appoggiano. «Hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo», è il colorito monito di Xavier Mathieu, vertice della Cgt. E secondo il segretario di Force Ouvrière Jean-Claude Mailly «questa violenza è legittima difesa». Una violenza che esce dai confini di Clairoix.

A Pontnox-sur-l’Adour, l’amministratore delegato di Sony France Serge Foucher è stato trattenuto in ostaggio per una notte all’interno dell’impianto, anch’esso prossimo alla chiusura, e rilasciato solo dopo aver accettato riaprire la trattativa sulla cassa integrazione.

Ed è un paese intero a schierarsi a fianco degli operai. Lo si è visto nello sciopero generale del 19 marzo scorso, indetto per protesta contro il piano anticrisi dell’Eliseo – sbilanciato sulle banche e paragonabile per esiguità, nei paesi industrializzati, solo alle misure del governo italiano – con una partecipazione quasi senza precedenti dei lavoratori privati. E col sostegno, secondo i sondaggi, di tre francesi su quattro. (Beh, buona giornata).

acisilin@yahoo.it

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Confindustria lancia un urlo di dolore, il Governo si tappa le orecchie.

Tra la metà del 2008 e la metà del 2010 in Italia verranno persi 507 mila posti di lavoro, il 2,2% dell’occupazione totale. La stima è del Centro Studi della Confindustria. Gli analisti spiegano che nel 2010 il tasso di occupazione salirà al 9%, un valore analogo a quello del 2001 (6,1% il minimo del 2007). Se si considerano anche le persone in cassa integrazione che quindi conservano formalmente il rapporto d’impiego, i posti persi sarebbero 867 mila, cioè il 2,8%.

C’è qualcuno “che si esercita nel piacere del peggio”, ha commentato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi fa rabbia.

(Fonte: repubblica.it)

Non è un buon momento per manager e banchieri. Buone uscite miliardarie e privilegi che appaiono intoccabili attirano ora come non mai indignazione e malcontento, che portano a gesti forti, come la vandalizzazione di proprietà private o addirittura al sequestro.

In Scozia, la scorsa notte la casa di Edimburgo di Sir Fred Goodwin, il discusso ex amministratore delegato del Royal Bank of Scotland da lui ridotta sull’orlo del lastrico, è stata attaccata da alcuni vandali che hanno sfondato i vetri delle finestre e distrutto un’automobile. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo sinora sconosciuto, ma dal nome eloquente “Bank bosses are criminals” che in una e-mail minaccia: “L’attacco Goodwin è solo l’inizio”. L’ex numero uno dell’Istituto finanziario crollato è al centro di aspre polemiche, dopo aver lasciato l’incarico con in tasca una pensione d’oro da quasi 17 milioni di sterline. Fu lui a pilotare le operazioni di acquisizione di quote dell’olandese Abn Amro nel 2007 che contribuirono a far crollare la banca scozzese.

In Francia è stato sequestrato in ufficio Luc Rousselet, il direttore della filiale dell’americana 3m a Pithiviers (a sud di Parigi). L’azienda produttrice di articoli di cancelleria ha annunciato un piano di tagli aziendali nelle 13 filiali francesi, dove lavorano complessivamente 2.700 persone. I sindacati chiedono una mediazione e pongono condizioni per liberarlo.

Neanche due settimane fa un caso analogo si era verificato nella filiale Sony di Pontonx-sur-l’Ardour, a sud di Bordeaux. L’amministratore delegato della Sony è stato ostaggio per una notte, insieme al capo delle risorse umane, dopo l’annuncio dell’azienda del taglio di 8mila posti di lavoro, equivalente all’8 per cento degli impiegati Sony in tutte le sedi del mondo, e la chiusura della filiale di Bordeaux dove lavorano 311 dipendenti.

La tattica dei sequestri di alti dirigenti era già stata sperimentata in Francia un anno fa nella fabbrica della Michelin di Toul in Meurthe-et-Moselle. Già nel 2007, in campagna elettorale per le presidenziali, l’attuale capo dello Stato Sarkozy martellava sulla necessità di limitare i cosiddetti paracaduti d’oro, gli scivoli milionari ai manager licenziati (e ritenuti a torto o ragione incapaci). Se nel 2007 pareva ancora un tema dagli accenti demagogici, adesso la crisi lo rende di bruciante attualità. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

La crisi continua a “bruciare” posti di lavoro: Thyssenkrupp, pronti 3.000 licenziamenti.

(ANSA) – ROMA, 19 MAR – ThyssenKrupp,il maggior gruppo siderurgico tedesco,si prepara a licenziare 3.000 lavoratori con il calo della domanda di acciaio. Il crollo della domanda infatti mandera’ in rosso il suo bilancio trimestrale per la prima volta negli ultimi tre anni. Il gruppo – scrive il Financial Times – ha deciso una riorganizzazione in due unita’ dalle attuali 5, che permettera’ risparmi per 500 milioni. Ciononostante le difficili condizioni di mercato – prevede il gruppo – comporteranno una perdita netta nel secondo trimestre di quest’anno. Per questo la conglomerata tedesca ha intenzione di mettere mano a oltre 3.000 licenziamenti nelle divisioni acciaio, navale e automobilistica, scrive il Ft citando fonti vicine al dossier. Quella decisa da ThyssenKrupp, un colosso che da’ lavoro a circa 200.000 persone e che e’ presente anche in Italia con stabilimenti concentrati a Torino e a Terni, e’ la prima ondata di licenziamenti veri e propri da parte di un grande gruppo industriale tedesco. Le azioni del gruppo siderurgico hanno chiuso in calo del 5,4% a 13,69 euro alla borsa di Francoforte. (ANSA) (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Quello che sta succedendo oltre le Alpi.

(fonte: ilmanifesto.it)

Francia, sciopero: 3 milioni di manifestanti in strada

Lavoratori in corteo a Lione in occasione dello sciopero generale in Francia. REUTERS/Robert Pratta
PARIGI (Reuters) – Circa tre milioni di persone sono scese in strada oggi in Francia, nella seconda ondata di proteste contro la gestione della crisi economica da parte del presidente Nicolas Sarkozy per chiedere maggiori aiuti per i lavoratori in difficoltà.

Le proteste, a cui secondo i sondaggi sono favorevoli circa il 75% degli elettori francesi, riflettono la disillusione crescente della popolazione nei confronti delle riforme messe in atto dal governo, dopo che decine di migliaia di persone hanno perso il lavoro a causa della recessione.

Diverse centinaia di giovani si sono scontrati con la polizia alla fine della maggiore manifestazione sindacale a Parigi, sottolineando le tensioni nella nazione, che ha alle spalle una lunga storia di dimostrazioni pubbliche.

La giornata primaverile ha contribuito al successo delle manifestazioni, infatti il numero dei partecipanti ha ampiamente superato quello del primo giorno di proteste nazionali il 29 gennaio, secondo quanto riferito dai sindacati.

Ma nonostante la massiccia adesione, il primo ministro francese Francois Fillon ha respinto le richieste di maggiori aiuti statali dicendo che non sono previsti ulteriori piani di stimolo.

In centro a Parigi le strade erano occupate da manifestanti che mostravano striscioni ‘anti-Sarkozy’ e intonavano slogan.

In Francia i disoccupati sono oltre due milioni e anche molti di coloro che hanno un lavoro sono in difficoltà a causa dell’elevato costo della vita.

PROBLEMI AL SETTORE ENERGETICO

Lo sciopero generale ha creato grossi problemi anche al settore energetico francese, costringendo alla chiusura alcun centri di produzione di energia elettrica e danneggiando la produzione nelle sei raffinerie della Total, secondo quanto riferito dal sindacato Cgt.

Le otto sigle sindacali del paese hanno indetto una giornata di sciopero generale per oggi per sollecitare il governo e le aziende a fare di più per tutelare lavoro e stipendi a fronte della recessione economica. I lavoratori del settore energetico nella notte hanno ridotto di 10.500 megawatt la capacità produttiva di energia in Francia, di cui 9.000 Mw di capacità nucleare in 11 diversi impianti, secondo quanto riferito dal sindacato Cgt.

L’azienda statale di energia Edf ha dichiarato che il 28% dei suoi lavoratori ha aderito allo sciopero generale, cinque punti percentuali sotto la partecipazione allo sciopero del 29 gennaio.

Un reattore nucleare ha una capacità media di 1.000 Mw.

Le riduzioni non hanno avuto effetti sulle scorte destinate ai consumatori domestici ma hanno diminuito la capacità dell’azienda statale Edf di vendere energia elettrica destinata ai paesi vicini alla Francia.

Nel settore delle raffinerie, i lavoratori hanno scioperato nei sei impianti francesi di Total, seppur con un limitato impatto sulle operazioni di produzione, secondo quanto riferito dalla compagnia.

Cgt invece ha detto che lo sciopero ha provocato una sospensione della attività di raffineria della Total, che ha una capacità di circa 1 milione di barili al giorno.

I dipendenti della raffineria di Gonfreville, nel nord della Francia, hanno iniziato lo sciopero ieri per protestare contro un piano che prevede il taglio di posti di lavoro.

Le proteste si vanno ad aggiungere allo sciopero generale del 29 gennaio scorso, che ha visto un’ampia adesione da parte dei lavoratori del settore energetico e che ha avuto come ripercussione il taglio di circa il 20% della capacità energetica nucleare del Paese.

“Ci aspettiamo una maggiore riduzione della produzione nucleare più tardi e finora siamo stati limitati da Edf che ci ha chiesto di non ridurla ulteriormente”, ha detto un funzionario del sindacato.

Edf gestisce 58 reattori nucleari in Francia con una capacità totale di 63.260 Mw.

Si è fermato anche il principale hub petrolifero francese di Fos-Lavera, vicino a Marsiglia, impedendo a sette navi di caricare, secondo quanto riferito dai funzionari del porto. (Beh, buona giornata).

© 2009 Thomson Reuters. All rights reserved. Reuters content is the intellectual property of Thomson Reuters or its third party content providers. Any copying, republication or redistribution of Reuters content, including by framing or similar means, is expressly prohibited without the prior written consent of Thomson Reuters. Thomson Reuters shall not be liable for any errors or delays in content, or for any actions taken in reliance thereon. “Reuters” and the Reuters Logo are trademarks of Thomson Reuters and its affiliated companies. For additional information on other Reuters media services please visit http://about.reuters.com/media/.

Share
Categorie
Lavoro Leggi e diritto Scuola Società e costume

L’Italia non è un paese per giovani.

di ROSARIA AMATO da repubblica.it

L’età giusta per un ingresso adeguato nel mondo del lavoro? Trentacinque-quarant’anni. E per una stabile affermazione professionale? Dai 50 ai 60. Non si tratta di una boutade, ma dei risultati del rapporto del Forum Nazionale dei Giovani e del Cnel, in collaborazione con Unicredit Group, dal titolo ” Urge ricambio generazionale – Primo rapporto su quanto e come il nostro Paese si rinnova”.

Già i titoli dei vari capitoli del rapporto la dicono lunga sulle conclusioni dei ricercatori: “Non è un Paese per giovani: l’emarginazione politica di una generazione”. Oppure “In paziente attesa del proprio turno. Diventare medico in Italia”. O ancora: “L’odissea dei giovani avvocati tra la libera professione e la trappola del precariato”. I vari percorsi professionali analizzati nel corso dell’indagine differiscono tra loro per le caratteristiche, ma non per le enormi difficoltà incontrate in misura sempre maggiore dai giovani, soprattutto negli ultimi anni.

“Il quadro che emerge non è incoraggiante – osservano gli autori del rapporto – e lo spaccato della gioventù italiana è permeato da una forte sicurezza individuale e sociale: i giovani italiani, seppur capaci e meritevoli, a fatica riescono ad affermarsi professionalmente e ad emanciparsi dalla propria famiglia prima dei quarant’anni. Non a caso si è andata affermando una nuova categoria sociale: quella dei giovani-adulti. Né tanto meno i giovani italiani sono nelle condizioni di poter incidere sulle scelte politiche, economiche e sociali della nazione, essendo esclusi da tutti i cosiddetti “circuiti” del potere”.

Under-35: precario uno su due. Prima ancora che dalla politica, tuttavia, l’emarginazione dei giovani italiani nasce nel mondo del lavoro. “Incertezza, disoccupazione, bassi salari sono tre dei principali fattori di disagio con cui i giovani guardano al problema del lavoro”, dice il presidente del Cnel Antonio Marzano. I dati: oltre un collaboratore su due ha meno di 35 anni. Ma non si tratta di contratti d’ingresso: secondo l’Istat, il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, a distanza di un anno erano ancora nella stessa posizione. Naturalmente chi lavora per 10 anni a progetto, come collaboratore, o a tempo determinato “ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo di fatto escluso dalle posizioni di vertice”.

Per i giovani retribuzioni più basse. Lavori meno importanti, retribuzioni più basse. “Se nel 2003 il guadagno medio lordo di un giovane d’età compresa tra i 24 e i 30 anni – si legge nel rapporto – era di 20.252 euro, rispetto ai 25.032 euro percepiti dagli over50, nel 2007 il divario si è significativamente ampliato: a fronte dei 22.121 euro corrisposti agli under30, i 51-60enni hanno percepito una retribuzione media lorda di 29.976 euro”.

E i disoccupati sono in forte aumento. Ma tra gli under-35 non ci sono solo i precari malpagati, ci sono anche i disoccupati, e ce ne sono molti di più che nelle altre fasce di età. “Tra il 2006 e il 2007 crescono di circa 200.000 i giovani inattivi, cioè ragazzi che non lavorano e non cercano lavoro. Questi giovani hanno avuto un brusco cambiamento di status: nel 2006 erano formalmente inseriti nelle forze di lavoro (come occupati o persone in cerca), mentre nel 2007 hanno deciso di non provare nemmeno a cercare un lavoro”. A questi si aggiungono 430.000 giovani che nel 2006 erano in cerca di prima occupazione, e l’anno successivo sono risultati inattivi.

Classi dirigenti sempre più vecchie. Visto che i giovani sono tenuti fuori dal mondo del lavoro, o al più lavorano in posizione marginali, guadagnando poco, le classi dirigenti negli ultimi anni sono invecchiate inesorabilmente. Da un’analisi condotta sulla banca dati del Who’s who (il database dei top manager pubblici e privati) risulta “un sensibile aumento dell’età delle classi dirigenti italiane: si è passata da una media di 56,8 anni a una di quasi 61 (60,8 anni). Un sistema di potere che invecchia di anno in anno, quello italiano, in tutti gli ambiti: anche i neoparlamentari hanno un’età media di 51 anni. Dal 1992 a oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti alla Camera, fatta eccezione per la XII Legislatura (nella quale costituivano il 12,4%). Infatti negli anni ’90 sembrava essersi instaurata, almeno nel Parlamento, una dinamica favorevole ai giovani, ma nell’attuale decennio si è decisamente interrotta. E quindi i giovani dai 25 ai 25 anni, che costituiscono il 18,7% della popolazione maggiorenne, hanno una rappresentanza pari solo a un terzo dell’incidenza effettiva sugli elettori.

La Lega Nord il partito più “giovane”. La rappresentanza giovanile è scarsa in tutti i partiti, con l’unica eccezione della Lega Nord, che presenta nell’ultima legislatura un 20,1% di eletti tra gli over35 contro l’11,4% tra i 25-35enni; per gli altri partiti la percentuale di eletti in età matura è quasi il triplo (47,4%). Anche nelle amministrazioni comunali, sostengono gli autori del rapporto, “nell’ultimo decennio gli under35 hanno perso terreno: finanche a livello locale le oligarchie di partito tendono ad estromettere le nuove generazioni dal governo del territorio”.

L’Università: nessun ricambio generazionale. Il rapporto analizza poi alcune professioni in particolare. Si comincia dal mondo accademico, sclerotizzato in misura inimmaginabile: tra i professori ordinari l’età media è di 59 anni. “Nel dettaglio, la metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su 100 (7,6%) hanno compiuto i 70 anni”. Non va meglio per le fasce più basse: l’età media dei professori associati è di 52 anni, e quella dei ricercatori è di 45. Solo il 3,4% di chi ottiene un dottorato di ricerca, infine, ha meno di 28 anni.

Ma va male anche nelle libere professioni. Non va meglio nelle libere professioni. Il giornalismo, la medicina, l’avvocatura e il notariato hanno tempi di accesso lunghissimi: “Per i più stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione di susseguono senza soluzione di continuità fino a oltre 40 anni. Qualche esempio: l’età media dei praticanti giornalisti è di 36 anni. I medici con non più di 35 anni sono poco meno del 12%, mentre i 35-39enni, rispetto a 11 anni fa, sono diminuiti del 13,8%. Mentre gli avvocati, pur iscritti all’albo, sono costretti per anni e anni a un ruolo umiliante di garzoni di bottega, e tra i notai due su dieci sono figli d’arte.

I padri tolgono in pubblico e restituiscono in privato. In questo scenario desolante il ruolo delle famiglie è ambiguo. Infatti in Italia ci sarebbero tutte le condizioni perché esploda un feroce conflitto generazionale tra i padri che mantengono il potere fino alla tomba e i figli esclusi, ma non esplode un bel niente perché, rilevano gli autori dell’indagine, “i genitori italiani sono tra i più generosi d’Europa quando è necessario dare un aiuto ai propri figli”, mentre “nel momento in cui sono chiamati a pensare ai giovani in quanto tali (e quindi ai figli degli altri) diventano molto egoisti”. In pratica, conclude il rapporto, “ci troviamo di fronte a una vera e propria legge del contrappasso: ciò che i genitori tolgono ai propri figli nella vita pubblica, è restituito (e con interessi molto alti) all’interno dei nuclei familiari”. Ma le conseguenze non sono positive: “Il rischio è che i giovani, rassegnati a questo immobilismo sociale, continuino ad accettare la propria condizione di emarginati in una società organizzata per caste e al cui vertice si trova una gerontocrazia inamovibile”.

Share
Categorie
Attualità Lavoro Leggi e diritto Popoli e politiche

Il giudizio dell’ONU su i valori della Destra al governo in Italia.

“È evidente e crescente l’incidenza della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani fondamentali nei confronti degli immigrati in Italia. Nel paese persistono razzismo e xenofobia anche verso richiedenti asilo e rifugiati, compresi i Rom. Chiediamo al governo di intervenire efficacemente per contrastare il clima di intolleranza e per garantire la tutela ai migranti, a prescindere dal loro status”. ILO, organizzazione internazionale del lavoro, dipartimento ONU dixit. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Il governo accontenta Confindustria. Dunque, era vero che i soldi non erano veri.

“Il governo – dice la presidente di Confindustria Marcegaglia – ha dato garanzia alle imprese che nei prossimi giorni sarà innalzata da 560.000 a un milione di euro la soglia di compensazione debiti-crediti con l’erario”. Alla luce delle parole del premier, il presidente di Confindustria ha giudicato l’incontro “positivo e costruttivo”, sufficiente per concludere che sulle piccole imprese è “stato raggiunta un’intesa”. “Su alcuni punti abbiamo visto soldi veri, mentre su altri punti ci saranno”, ha detto Marcegaglia riferendosi alle preoccupazioni che aveva espresso alcuni giorni fa quando, davanti alla platea della piccola industria riunita a Palermo, chiese per la ripresa economica “soldi veri”. Allora era vero che i soldi di prima non erano veri. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Leggi e diritto

Il governo non vuole il tetto agli stipendi dei top manager.

di SERGIO RIZZO da corriere.it

Il Carroccio ha rovesciato sul decreto per gli incentivi alle imprese una valanga di 115 emendamenti. In mezzo, il più peloso di tutti: il tetto agli stipendi dei manager pubblici. Se passerà, nessuno di loro potrà guadagnare più di quanto guadagna un parlamentare. Anche ai banchieri i leghisti vorrebbero imporre provocatoriamente il limite di 350 mila euro l’anno.

C’è solo un dettaglio. Il tetto c’era già, ma uno dei primi atti del governo di cui la Lega Nord è un pilastro decisivo, è stato metterlo in frigorifero. Ricordate la storia? I senatori della sinistra Massimo Villone e Cesare Salvi presentarono un emendamento all’ultima finanziaria di Romano Prodi che imponeva agli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, manager aziendali compresi, un limite massimo pari alla retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione. In cifre, 289 mila euro. L’emendamento provocò feroci mal di pancia. Praticamente tutti i manager pubblici e l’intera prima linea della burocrazia statale e dei principali enti locali erano ampiamente sopra quel tetto. Ma Villone e Salvi riuscirono comunque a far ingoiare il pillolone ai loro riluttanti colleghi della maggioranza. E l’emendamento è passato.

Con il decreto legge di giugno il governo Berlusconi ha deciso di congelare il tetto, per la soddisfazione di molti. Ma soltanto per tre mesi. Giusto il tempo per fare un Dpr con cui il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta di concerto con il suo collega dell’Economia Giulio Tremonti avrebbero dovuto stabilire a chi e in che modo applicare il limite. Ma al 31 ottobre 2008, data fissata per la sua emanazione, di quel provvedimento nemmeno l’ombra. L’offensiva contro i fannulloni aveva assorbito le energie della Funzione pubblica, che prometteva comunque di risolvere il problema entro fine anno. I mesi però sono passati invano e si è arrivati a metà marzo, per avere notizia che solo nelle scorse settimane è stato costituito un gruppo di lavoro misto fra gli esperti di Brunetta e quelli di Tremonti per venire a capo della questione.

Una faccenda che però a quanto pare è piuttosto complicata per le spinte e le controspinte: che cosa si può cumulare, quali redditi si possono escludere dal calcolo, chi deve controllare. Fatto sta che non si sa quando il regolamento sarà emanato.

Inutile girarci intorno. Il tetto agli stipendi nessuno lo vuole, come dimostrano anche i tentativi di aggirare anche in sede locale le disposizioni tese a calmierare le indennità degli amministratori delle municipalizzate. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente. Soprattutto, come si può pretendere di far decidere le dimensioni della tagliola a chi ne dovrà essere vittima? Senza considerare un clamoroso effetto collaterale. Diverse imprese pubbliche hanno interpretato il congelamento del tetto come l’autorizzazione a congelare anche la trasparenza. Da alcuni siti internet aziendali sono spariti gli elenchi dei consulenti e i relativi compensi. Un paio di casi per tutti, quelli della Fincantieri e dell’Anas. Questa la spiegazione fornita dalla società delle strade: «Per la pubblicazione di tali dati l’Anas è in attesa dell’apposito decreto, così come stabilito dalla legge 129/08 del 2 agosto 2008 che converte in legge il decreto legge 97 del 3 giugno 2008. Al momento l’Anas, come tutte le altre società pubbliche, è tenuta a pubblicare sul sito internet solo gli incarichi, non rientranti nei contratti d’opera, superiori a 289.984 euro». Quanti? Uno: quello del presidente Pietro Ciucci. 750 mila euro l’anno, compresa la parte variabile dello stipendio. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Lavoro Leggi e diritto Popoli e politiche

Immigrazione e lavoro nell’Italia ammalata di xenofobia.

di GIOVANNA ZINCONE da lastampa.it

Lavoro prima agli italiani» è una ricetta politicamente appetitosa. La crisi economica in corso sta producendo disoccupazione e la situazione è destinata a peggiorare, anche se non si arrivasse a sfondare il 10%, come prevede la Cgil. Si capisce quindi che i lavoratori italiani chiedano protezioni e tutele. Finora l’immagine dell’immigrato «ruba lavoro» aveva attecchito poco dalle nostre parti. I sondaggi effettuati in anni passati rivelavano la presenza di questo timore soprattutto in Germania a partire dagli Anni 90 e, di recente, in Gran Bretagna.

Da noi l’immigrazione finora aveva generato soprattutto paure legate a flussi fuori controllo: troppo rapidi e consistenti, pieni di irregolari e con una componente criminale vistosa.

Si tratta di preoccupazioni non prive di riscontri nella realtà, anche se amplificate dalla tradizionale diffidenza che gli umani provano nei confronti degli stranieri non danarosi. A questi incubi, già sufficientemente lievitati, se ne sta sommando un altro: quello di un’occupazione scarseggiante sottratta agli italiani da mani straniere. In un punteggio che va da 1 a 10, questa paura ha già superato la media del 5, mentre in passato il timore di essere spiazzati dagli stranieri riguardava solo un terzo circa degli intervistati. La ricetta che il leader leghista propone vuole sfamare una paura in crescita. Ma non è priva di controindicazioni. La nostra appartenenza alla Ue implica l’impossibilità di discriminare comunitari, quindi i romeni che sono la prima comunità immigrata in Italia. In secondo luogo, il meccanismo discriminatorio costituirebbe una lungaggine burocratica in più, dunque un passo indietro rispetto alla maggiore libertà e allo snellimento nelle pratiche di assunzione messi in atto con l’abolizione delle liste di collocamento. E in una congiuntura che richiede di non incentivare chiusure di attività in Italia e delocalizzazioni all’estero, rimettere fardelli burocratici e divieti nella gestione della forza lavoro sul territorio nazionale non giova. Aggiungo che forse neppure funzionerebbe. In Italia c’è già l’obbligo di verificare che non ci siano italiani o comunitari disponibili al momento di rilasciare permessi di lavoro a immigrati non comunitari. Quindi, in teoria, a nuovi immigrati da fuori. In pratica, tutti sappiamo che il grosso dei «nuovi» immigrati è costituito da individui che hanno già un datore di lavoro, di solito poco propenso a cercarsi un altro dipendente. Perciò la verifica di mancanza di alternative nazionali o comunitarie allo straniero riguarda già una parte di lavoratori stranieri, quelli teoricamente inseriti nei decreti flussi. E, in questo caso sperimentato, la precedenza si è risolta quasi sempre in un atto formale: i Centri per l’Impiego appendono in bacheca l’avviso di richiesta, lo mettono sul sito e spesso non si presentano candidati italiani. E poi, come in tutti i Paesi del mondo, anche nel nostro una gran parte delle assunzioni non avviene attraverso i Centri dell’Impiego, ma segue la via del passa parola, via sulla quale il semaforo rosso agli immigrati non si colloca agilmente.

Infine, si tratterebbe d’imporre per legge quello che i datori di lavoro italiani già fanno in pratica. L’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha commissionato ricerche empiriche sulla discriminazione in vari Paesi europei. Il metodo adottato consiste nel far rispondere ad annunci di lavoro squadre di candidati assolutamente identici sotto tutti i punti di vista, a parte l’appartenenza: una squadra è costituita da cittadini di etnia nazionale, l’altra è fatta da membri di minoranze immigrate. E si vede, ad esempio, che già al momento della prima telefonata il posto per il nazionale c’è ancora, mentre all’altro candidato si comunica che è stato assegnato. Oppure, al nazionale si danno opportunità di prova che all’altro non vengono offerte. Il metodo ha ovvi limiti: pochi casi, solo annunci, lavori di un certo tipo. Il risultato è comunque che in tutti i Paesi osservati si discrimina, e in Italia più che altrove. Insomma, a parità di merito, sembra che il datore di lavoro italiano tenda già a privilegiare il connazionale senza che la legge glielo imponga.

Eppure i dati, almeno fino allo scoppio della crisi, rivelavano un incremento relativamente più forte delle assunzioni degli immigrati. I tassi di attività e di occupazione erano più alti tra gli immigrati, ma lo era anche il tasso di disoccupazione. Prima della crisi la manodopera immigrata funzionava, quindi, come un polmone che aspira ed espira lavoro più intensamente e velocemente. È ipotizzabile che la crisi porti a più rapide e forti «espirazioni». Già nel secondo trimestre del 2008 il tasso disoccupazione generale è aumentato dell’1% rispetto al trimestre dell’anno precedete, quello degli immigrati dell’1,2%. Ma un dato più recente seppure parziale, quello dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, segnala una situazione drammatica: a gennaio 2009 il 24% della disoccupazione nel Veneto era costituito da stranieri, con un picco del 32% a Treviso. Le piccole aziende, dove si concentra il lavoro immigrato, sono poco tutelate dagli ammortizzatori sociali, e il rischio di perdere, con il lavoro, il permesso di soggiorno e quindi di diventare irregolare è alto.

Gli imprenditori sono preoccupati. È vero che molti lavoratori stranieri stanno rientrando nel Paese d’origine, ma cosa accadrebbe se a quelli che rimangono, disoccupati e con scarse tutele, fosse davvero sbarrata anche la via verso una nuova occupazione? Le tensioni sociali che può comportare una massa di stranieri emarginati sono notoriamente gravi. Anche in questi giorni le rivoltose banlieues francesi ce lo ricordano. Imporre agli imprenditori (e alle famiglie) l’obbligo di assumere un italiano meno capace e diligente a scapito dell’immigrato meritevole che si sarebbero liberamente scelti non funziona. Certo non è una via burocraticamente facile ed economicamente fruttuosa. È un colpo alla coesione sociale e non so neppure se sia eticamente accettabile. La condizione di cittadino comporta per definizione dei privilegi; però l’essere nato sotto un altro cielo è un caso, non una colpa. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Lavoro Leggi e diritto

Scherzo (macabro) del destino: allarme antincendio al processo per l’incendio della Thyssen Krupp.

L’udienza odierna per il processo alla Thyssen in corso a Torino, iniziata con l’esame del teste Giuseppe Caravelli, e’ proseguita con l’audizione di un altro testimone, Roberto Chiarolla, capoturno dello stabilimento torinese. Il dibattimento e’ stato poi sospeso per una ventina di minuti perche’ e’ scattato l’allarme antincendio, a causa dell’apertura inavvertita di un’uscita di sicurezza presente nel corridoio della maxi-aula 1. Il suono troppo acuto dell’allarme impediva lo svolgimento del processo per cui la presidente della Corte d’Assise Maria Iannibelli ha deciso per una breve sospensione. L’allarme e’ stato spento dopo qualche minuto ma ha poi ripreso a suonare perche’ qualcuno ha nuovamente aperto la porta.(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Crisi: Massimo D’Alema, minimo Tremonti.

Operazione di maquillage”, “misure molto limitate”. Cosi’ Massimo d’Alema ha definito gli interventi anticrisi del governo, parlando con i giornalisti a Torino a margine di un incontro con i lavoratori di alcune aziende in crisi. “Il governo ha spostato i soldi da un capitolo all’altro – ha sottolineato – ad esempio ha preso i fondi sociali delle regioni e li ha usati per finanziare gli ammortizzatori sociali”. Poi dando ragione a Emma Marcegaglia ha aggiunto: “si tratta di operazioni dove, come ha giustamente detto la presidente di Confindustria , non ci sono soldi veri.” Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Pil:-4%. Occupazione: -1.000.000. Ecco la crisi che Berlusconi vorrebbe passasse da sola.

Nel triennio 2008-2010 il Pil italiano potrebbe scendere del 4%. E’ quanto calcola l’Ires-Cgil secondo la quale il dato deriva da un calo dell’1% nel 2008 e da un drastico ribasso del Pil nel 2009 che dovrebbe superare il 3%. Nel 2010 la diminuzione dovrebbe ridursi ad un -0,1%. La flessione dell’occupazione in
Italia dovrebbe portare ad un tasso di disoccupazione del 10,1% nel 2010. E’ quanto stima l’Ires-Cgil secondo la quale nel 2009 il tasso dovrebbe salire al 9,3% dal 7,4% del 2008. (Beh buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

L’occupazione crea preoccupazione.

(fonte: repubblica.it)
Il numero di persone con un lavoro, nei paesi dell’area euro, è diminuito nel quarto trimestre del 2008 dello 0,3%, pari a 453 mila unità. Lo rende noto Eurostat, l’ufficio europeo di statistica, che anche per l’Unione (i Ventisette) registra un calo dello 0,3% (672.000 persone). Un anno fa la diminuzione era stata dello 0,1% nella zona dell’euro e dello 0,2% nell’Unione.

Su base annua, nell’ultimo trimestre del 2008 il tasso di occupazione è rimasto stabile in entrambe le zone, dopo un aumento dello 0,6% sia nell’area euro che nella Ue, nel terzo trimestre.

Nel quarto trimestre dell’anno, le stime di Eurostat indicano complessivamente in 225,3 milioni le persone con un’occupazione, di cui 145,4 milioni merlla zona dell’euro.

Eurostat conferma anche le stime dello scorso 2 marzo relative al tasso annuo di inflazione che, nei paesi che compongono l’area euro, in febbraio è stato dell’1,2%, contro l’1,1% del mese precedente. Un anno fa l’inflazione si era attestata al 3,3%, mentre il tasso mensile, a febbraio, è stato dello 0,4%.

Quanto ai Ventisette, il tasso annuo d’inflazione a febbraio è stato dell’1,7%, dunque in calo rispetto all’1,8% di gennaio. Un anno fa era stato del 3,5%, mentre il tasso mensile anche nell’Ue è stato dello 0,4%. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

“L’idea che la crisi sia destinata dopo un po’ a risolversi “da sola” e che quindi si tratti solo di aspettare, è sbagliata”.

di Paolo Ferrero da liberazione.it

Le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro nei primi mesi di quest’anno rappresentano plasticamente la gravità della crisi. Una crisi che non è caduta dal cielo, non è il frutto di qualche cattivo banchiere che ha falsato le regole del gioco; una crisi che è il frutto proprio di quelle politiche liberiste che i capitalisti hanno portato avanti dagli anni ’80 e che sono state condivise a livello politico sia dal centro destra che dal centro sinistra.

Al centro di queste politiche abbiamo avuto la finanziarizzazione dell’economia e la sistematica compressione dei salari, delle pensioni e dello welfare. Politiche tutte orientate all’esportazione e alla speculazione finanziaria a breve hanno prodotto la situazione attuale: le banche sono piene zeppe di titoli che non valgono nulla e milioni di lavoratori non hanno i soldi per arrivare a fine mese, cioè per comprare le merci e i servizi che producono.

Questa crisi è quindi una crisi del meccanismo di accumulazione capitalistico, non solo una crisi economica ma ambientale e alimentare. Da una crisi di questa natura non è possibile uscire senza una radicale messa in discussione della distribuzione del reddito e del potere e senza riprogettare il modello di sviluppo: cosa, come, per chi produrre.

Se non si affrontano tali nodi, l’idea che la crisi sia destinata dopo un po’ a risolversi “da sola” e che quindi si tratti solo di aspettare, è sbagliata.

Da questo punto di vista è evidente che la politica che sta facendo il governo Berlusconi non è finalizzata all’uscita dalla crisi da piuttosto all’uso della crisi a fini politici.(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Lavoro Scuola

“Sarà una primavera di conflitto”, prevedono i comitati dell’Onda.

di CHIARA BRUSA GALLINA da repubblica.it

Si sta alzando la marea. L’Onda studentesca si prepara a tornare in piazza dopo i bagni di folla dell’autunno scorso. Sono giorni di organizzazione, questi: assemblee, discussioni e poi la propaganda virale sul web, che fin dall’inizio ha contraddistinto il movimento contro i tagli del governo alla scuola e contro le leggi targate Gelmini. L’occasione per farsi sentire è lo sciopero indetto dalla Flc Cgil per il 18 marzo. Torino, Palermo, Roma. E poi Padova, Napoli, Milano, Genova. Gli universitari ci saranno, insieme ai ricercatori e lavoratori precari degli atenei.

“Lo sciopero lanciato dal sindacato è una prima occasione di rilancio: torniamo in piazza”, è l’appello della Sapienza in Onda sul sito di Uniriot. L’invito è rivolto anche a “precari e studenti medi” perché questo è un momento “decisivo” per il movimento. Che ci tiene a ribadire la sua “autonomia e irrappresentabilità”, il suo non essere etichettabile sotto l’egida di un partito o di una confederazione. Si battono per il futuro dell’istruzione. Un futuro che, avvisano, di fatto è un presente: “Le conseguenze dei tagli del governo si vedono già – afferma Alioscia Castronovo dell’Onda di Lettere dell’università romana La Sapienza – è stato annunciato il prossimo aumento delle tasse e del numero chiuso”.

“In molte facoltà non usciranno i nuovi bandi di dottorato – dice Isabella, dottoranda in studi politici a Torino – e noi dell’Onda torinese aspettiamo anche l’appuntamento del 24 marzo, quando il senato accademico discuterà il bilancio e si materializzeranno le conseguenze dei tagli”.

Dopo l’approvazione della legge 133 e del dl 180, cioè la riforma Gelmini sull’università, si misurano i primi effetti. Ma tra i motivi della protesta c’è anche il ddl 116, meglio conosciuto come norma “ammazzaprecari”, che dev’essere approvato dal Senato entro marzo. Dalla scuola al lavoro: “Il tema è anche quello di costruire un nuovo welfare dentro e contro la crisi”, chiarisce Andrea Ghelfi, studente di lettere e filosofia di Bologna. Così, tra gli appuntamenti che l’Onda sta segnando in calendario, c’è il 28 marzo, data del G14 sul welfare a Roma e dello sciopero generale dei sindacati di base. E poi ci sono il 4 aprile, manifestazione nazionale della sigla di Epifani, e il 18 e 19 maggio, quando a Torino si terrà il G8 delle università.

“Sarà una primavera di conflitto”, prevedono i comitati dell’Onda. Per ora la contestazione è un cantiere in fermento: si stanno decidendo il dove, il come e il quando prima del 18 marzo che, riflettono da Palermo, è “il momento della grande scommessa, il rilancio dell’Onda, il primo degli appuntamenti politici della nuova mareggiata”. Roma: ore 9, piazzale della Minerva. Bologna: corteo da piazza Verdi, ore 11. Milano: si parte alle 9 da Porta Venezia. Stessa ora a Genova, da piazza Caricamento. A Padova riunione lunedì per un’assemblea in cui “concretizzare tappe e modalità”. E poi Torino, Napoli, Palermo.

Ma si faranno ancora i grandi numeri di ottobre e novembre scorsi? “Sarebbe ingenuo pensare di essere ancora così tanti – dice Dana Lauriola, dell’Onda torinese – ma è importante che scendiamo in piazza insieme a lavoratori e precari”. “Il problema non è avere un corteo numeroso come quello di novembre – sottolinea Alioscia – ma rilanciare i temi, risvegliare un livello di consenso”. L’Orientale 2.0 di Napoli chiede la costruzione di un’assemblea unitaria delle realtà dell’Onda “per restituire continuità e progettualità all’enorme energia accumulata nelle mobilitazioni dell’autunno”.

Non che da allora tutto sia rimasto fermo, come dimostrano le incursioni dei ragazzi alle inaugurazioni dell’anno accademico. “Non eravamo sotto i riflettori, ma abbiamo continuato a lavorare: noi precari delle discipline umanistiche-sociali a Torino ci troviamo settimanalmente”, racconta Isabella. “A Bologna stiamo sperimentando un processo di autoriforma, abbiamo ottenuto che vengano riconosciuti con i crediti quattro seminari autogestiti, costruiti con docenti e ricercatori”. (Beh, buona giornata).

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: