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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Il ministro Tremonti e la crisi economica: d’accordo con Prodi, non del tutto con Berlusconi.

da ilmessaggero.it

A casa o in galera: per i responsabile della crisi economca, dice il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ci sono solo queste due possibilità. «I responsabili di questa crisi fosse per me dovrebbero andare o a casa o in galera. Non possono continuare a tenere in ostaggio il mondo in nome di una illusione. Bisognerebbe mandare a casa i responsabili di tutto questo disastro», ha detto Tremonti alla trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio.

Il ministro ha puntato nuovamente il dito contro la finanza «speculativa e irresponsabile» ed in particolare contro l’uso dei derivati «che valgono 30-40 trilioni di dollari mentre il piano di Obama non arriva neanche ad un trilione». «Bisogna dire comunque che quello che è stato fatto finora, in particolare negli Stati Uniti, non è servito e si rischia di fare solo più debito. Speriamo che Obama, grazie anche alla forza simbolica e politica che ha, possa ottenere un risultato migliore di Bush. Abbiamo però bisogno di una “uscita di sicurezza” in caso di insuccesso e quindi confermo che è necessario
creare una “bad bank” in cui mettere tutta la finanza derivata e isolarla per 50 anni». «Salvare tutto – dice Tremonti- è una missione divina, salvare il salvabile è una missione umana ed è questo il nostro obiettivo. Salvare le famiglie e le industrie e staccare il resto».

Tremonti ha poi definito l’economia «una disciplina ausiliaria. In tempi normali i numeri hanno un senso, in questo momento invece chi non ha previsto nulla non è autorizzato a prevede qualcosa. C’è stata una follia della finanza che ha avuto anche molti sacerdoti. Ora dobbiamo intervenire su questa follia e proprio per questo è necessario isolare i derivati e le altre speculazioni. Se una persona ha un infarto bisogna intervenire sul cuore, e questo è il punto su cui noi dobbiamo intervenire».

L’invito all’ottimismo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è giusto, ma secondo Tremonti «non è una questione di stimolo e consumi ma di regole, se non cambi le regole non fai altro che preparare una nuova crisi». Tremonti ha citato poi un articolo uscito sul Messaggero di Romano Prodi («anche se – ha detto – mi spiace farlo») sul tema della crisi, condividendone le argomentazioni. «Bisogna per un po’ lasciar stare la finanza fine a se stessa», ha spiegato, sottolineando che il richiamo alle regole non è «un limite al mercato, ma alla follia del mercato. E questo è stato un periodo di grande follia».

L’Italia «è più forte di quanto si pensava perché da noi i bisogni sono stati finanziati più con il lavoro e il risparmio che non col debito». «L’eccesso di debito – ha ripetuto Tremonti – non si cura con nuovo debito, privato o pubblico che sia, non è la cura». 

Quanto all’invito del premier a non diminuire i consumi, per Tremonti «Berlusconi ha ragione quando dice che i pessimisti non fanno mai nulla di importante. Da parte mia aggiungo che non basta però detassare e stimolare l’economia se poi uno guarda la tv e si spaventa. È necessario che ci sia un
clima generale migliore». (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Popoli e politiche

Comincia la tregua, finisce l’embargo della libertà di stampa nella Striscia di Gaza.

Per la prima volta dal 27 dicembre Israele ha autorizzato oggi l’ingresso nella striscia di Gaza di giornalisti della stampa estera. Per la prima volta dall’inizio di ‘Piombo Fuso’ e dopo ore di attesa al valico di Erez, fra Israele e Gaza, sei giornalisti hanno potuto entrare nella Striscia nel pomeriggio e raggiungere la vicina citta’ palestinese di Beit Lahya, dove hanno constatato ingenti danni materiali alle abitazioni, alle automobili, e alle infrastrutture. Lo riferisce l’Agenzia Ansa. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro Lavoro

Una nuova puntata del Brunetta-Show.

Il ministro Brunetta, come il Papa, parla molto volentieri di domenica. Stavolta si cimenta con la cassa integrazione, non perché sia il ministro del lavoro, ma perché lui è Brunetta, quindi esterna il suo pensiero su tutto quello che potrebbe metterlo in mostra, anche solo per un dispaccio d’agenzia.

Accade così che l’Agenzia Ansa batta la seguente notizia, ripresa da ilmessaggero.it: <La cassa integrazione non puo’ essere interpretata ‘solo come un reddito che consente un secondo lavoro in nero’, afferma Brunetta.Il ministro della Funzione Pubblica sottolinea che la cig e’ ‘una garanzia del lavoro perso. Bisogna responsabilizzare il lavoratore che, quando va in cassa integrazione, ha l’obbligo di riqualificarsi in modo da avere un’altra chance per un altro lavoro’>.

E Bravo Brunetta, bravo, bravo e bravo Brunetta (sulle note del jingle dello spot Palombini, quello cantato e suonato da Pippo Baudo). Però c’è un però: se un lavoratore viene pagato in nero, vuol dire che il datore di lavoro ha nero da gestire, e se ha nero da gestire, vuol dire che non paga, almeno in parte  le tasse. Insomma, è un fannullone del Fisco. Gli mettiamo i tornelli?  Alla prossima puntata del Brunetta-Show. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Salute e benessere

Caso Eluana:”La decisione d’un ministro ha la forza di impedire che una sentenza abbia corso.”

di EUGENIO SCALFARI da repubblica.it

(…………)

La clinica convenzionata Città di Udine ha comunicato venerdì scorso che non potrà effettuare l’intervento richiesto dalla famiglia Englaro e autorizzato dalla Cassazione, per porre fine alla vita vegetativa di Eluana a diciotto anni di distanza dal suo inizio. La suddetta clinica era disposta ad eseguire ciò che la famiglia voleva e che la magistratura aveva autorizzato, ma ne è stata impedita dall’intervento del ministro Sacconi il quale ha minacciato di far cessare i rimborsi dovuti alla clinica per le degenze dei suoi clienti, costringendola quindi a sospendere la sua attività.

La decisione d’un ministro ha cioè la forza di impedire che una sentenza abbia corso. Si tratta d’un fatto di estrema gravità politica e costituzionale, di un precedente che mette a rischio la divisione dei poteri e la natura stessa della democrazia. Poiché si invoca da molte parti una riforma della giustizia condivisa con l’opposizione, a nostro giudizio si è ora creata una questione preliminare: non si può procedere ad alcuna riforma condivisa se non viene immediatamente sanata una ferita così profonda. Se la volontà politica di un ministro o anche di un intero governo può impedire l’esecuzione di una sentenza definitiva vuol dire che lo Stato di diritto non esiste più e quindi non esiste più un ordine giudiziario indipendente.

Non c’è altro da aggiungere per commentare una sopraffazione così palese e una violazione così patente dell’ordinamento costituzionale. (Beh, buona giornata).

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Attualità Nessuna categoria Popoli e politiche

In piazza aspettando la tregua sulla Scriscia di Gaza.

da ilmessaggero.it

Corteo a Roma. Il corteo Dalla parte dei Palestinesi è stato organizzato dal comitato Stopmassacrogaza. Partito alle 15.30 da piazza Vittorio, all’Esquilino, il corteo ha raggiunto Porta San Paolo, passando per Santa Maria Maggiore, via Cavour, via San Gregorio, Circo Massimo. Secondo fonti della Questura di Roma, le persone che hanno preso parte al corteo sono state 15mila. Secondo gli organizzatori 200mila.

Manifestazioni in Francia. A Parigi, dietro lo striscione «Resistenza palestinese. Stop alla collaborazione franco-israeliana», hanno sfilato 2.600 persone secondo la polizia, «diverse decine di migliaia» secondo gli organizzatori. Momenti di tensione e suo di lacrimogeni da parte della polizia quando alcuni manifestanti hanno cercato di forzare un cancello dell’Opera, nel centro della città. Al corteo di Marsiglia per denunciare il «massacro del popolo palestinese» hanno partecipato in 2.500 secondo la polizia, 25.000 secondo gli organizzatori.

Inghilterra. In migliaia hanno manifestato in tutto il paese. A Londra in circa 3.500 si sono radunati a Trafalgar Square, dove l’ex premier Tony Blair, rivolgendosi alla folla, ha chiesto al governo di inviare a Gaza la Royal Navy per aggirare il blocco israeliano e scortare le imbarcazioni di soccorso medico e alimentare.

Germania. Circa tremila in piazza in tutto il paese di cui 1600 a Berlino. A Duisburg, oltre al corteo pro-Gaza, c’è stata anche una manifestazione pro-Israele di circa 200 persone.

Turchia. Centinaia di manifestanti anche ad Ankara, davanti all’ambasciata d’Israele e nel centro della città, dove il corteo è stato bloccato dai blindati della polizia.

Grecia. Ad Atene un corteo di più di mille persone, guidato da un gruppo di palestinesi, ha sfilato fino all’ambasciata d’Israele.

Svizzera. A Ginevra, davanti alla sede europea dell’Onu, si sono radunati in centinaia al grido «Israele terrorista». Molti vestivano magliette bianche con sopra la scritta rossa “Gaza”. A Berna circa 1.500 persone hanno invece manifestato a favore di Israele.

Argentina. L’ambasciata israeliana di Buenos Aires ieri sera è stata investita da una pioggia di scarpe, lanciate in segno di protesta da molti delle centinaia di manifestanti, che, sventolando bandiere con scritte anti-israeliane, si erano radunate davanti all’edificio.(Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

Aspettando la tregua sulla Striscia di Gaza.

da repubblica.it

L’OPERAZIONE israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza, ‘Piombo Fuso’, ha avuto inizio il 27 dicembre. Ecco una cronologia.

– 27 dicembre: Israele lancia un’offensiva aerea per fermare il lancio di razzi Qassam. Da Damasco, il leader in esilio di Hamas, Khaled Meshaal, invoca una terza Intifada.

– 28 dicembre: l’esercito di Tsahal si ammassa alla frontiera con Gaza, il ministro della Difesa Ehud Barak dichiara che un’operazione terrestre “è possibile”. Il Consiglio di sicurezza Onu chiede la fine delle ostilità.

– 29 dicembre: decine di razzi Qassam piovono su Israele. Il bilancio delle vittime dall’inizio delle ostilità sale a quattro. Tra i palestinesi, i morti sono 340. Nel campo profughi di Jabaliya muoiono cinque sorelle tra i quattro e i 17 anni.

– 30 dicembre: l’Unione Europea chiede la fine delle ostilità. Il governo israeliano riceve una proposta francese per il cessate il fuoco che respinge il giorno dopo.

– 1 gennaio: i bombardamenti israeliani centrano diversi ministeri, un edificio del Parlamento e tunnel destinati al contrabbando di armi. Ucciso uno dei capi di Hamas, Nizar Rayan.

– 2 gennaio: Israele permette agli stranieri di lasciare la Striscia.

– 3 gennaio: ucciso un alto esponente di Hamas, il terzo in tre giorni. Nel pomeriggio iniziano i tiri di artiglieria che preparano l’offensiva di terra, che scatta in serata con l’avanzata delle truppe corazzate nella Striscia. Hamas minaccia: “Gaza sarà il vostro cimitero”.

– 4 gennaio: il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, chiede l’immediato stop dell’operazione di terra. Israele prosegue l’offensiva. L’esercito conferma la morte del primo soldato. Sessantatre i palestinesi uccisi in 24 ore, il bilancio delle vittime è di 512 morti.

 5 gennaio: il giornale britannico The Times denuncia l’uso di bombe al fosforo bianco parte dell’esercito israeliano. I blindati avanzano, scoppiano violenti combattimenti a Gaza City.

– 6 gennaio: i carri armati entrano a Khan Yunes, nel Sud della Striscia. Quaranta i palestinesi uccisi in un raid contro una scuola gestita dall’Onu a Jabaliya. Barack Obama rompe il silenzio dicendosi “preoccupatissimo” per le vittime civili.

– 7 gennaio: le forze armate israeliane annunciano una tregua di tre ore ogni giorno, per “ragioni umanitarie”.

– 8 gennaio: un carro armato colpisce un convoglio dell’Onu uccidendo due autisti.

– 9 gennaio: il Consiglio di sicurezza Onu approva, con l’astensione Usa, una risoluzione per il cessate il fuoco.

– 10 gennaio: manifestazioni contro l’offensiva in tutto il mondo. A Milano i dimostranti bruciano una bandiera di Israele.

– 12 gennaio: il Consiglio dei diritti umani dell’Onu “condanna con forza” l’offensiva militare israeliana.

– 14 gennaio: in un messaggio audio, il leader di Al Qaeda Osama Bin Laden chiama alla jihad per Gaza. Ban Ki-moon inizia al Cairo una missione in Medio Oriente. Secondo fonti mediche nella Striscia, il bilancio delle vittime supera i mille morti, cinquemila i feriti.

– 15 gennaio: l’artiglieria israeliana colpisce la sede dell’Unrwa, l’agenzia per i rifugiati palestinesi dell’Onu.
Ucciso in un raid il ministro dell’Interno di Hamas, Siad Siam.

– 16 gennaio: summit dei Paesi arabi a Doha, boicottato da Egitto e Arabia Saudita. Usa e Israele siglano un’intesa per agevolare il cessate il fuoco. E il governo Olmert annuncia l’ipotesi di un cessate il fuoco unilaterale a Gaza. (Beh, buona giornata).

 

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Attualità Media e tecnologia Società e costume

Chi di tv ferisce, di tv perisce.

“In tv, soprattutto nei programmi di seconda serata, mi basta al massimo cinque minuti per sentire dire qualcosa contro di me”, ha detto Berlusconi, che aggiunge: “C’e’ una volonta’ di colpire chi si impegna allo strenuo per il bene del Paese, per gli interessi di tutti i cittadini e colpisce anche quelli della sinistra”. Per il presidente del Consiglio, questa situazione “non accade in nessuna tv nazionale del mondo, di nessun Pese civile del mondo”. Berlusconi vittima delle  televisioni fa rima, ma fa verità. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Alitalia: “I debiti li dovevano pagare chi aveva gestito Alitalia prima.”

“I nuovi acquirenti di Alitalia non li ho definiti capitani coraggiosi ma patrioti perche’ hanno messo li’ una montagna di soldi. Hanno comprato tutto cio’ che e’ Alitalia. I debiti li dovevano pagare chi aveva gestito Alitalia prima, lo stesso avrebbe fatto Air France”. Berlusconi dixit. Che dimentica (!?) che i debiti, circa 4 miliardi non li pagherà “chi aveva gestito Alitalia prima”, ma chi paga le tasse adesso e nel prossimo fututo. Beh, buona giornata

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Attualità Popoli e politiche

Israele duramente contestata. Non è successo a “Anno zero”, ma a Washington.

da ilmessaggero.it

WASHINGTON (17 gennaio) – Il ministro israeliano degli Esteri Tzipi Livni è stata duramente contestata da alcuni giornalisti che durante una conferenza stampa di ieri a Washington l’hanno chiamata «terrorista» e hanno paragonato il suo governo a quello dello Zimbabwe.

Lo raccontano oggi i siti dei giornali israeliani, aggiungendo che all’esterno del Washington press club dove si teneva la conferenza un gruppo di attivisti del gruppo pacifista «Code Pink» scandiva lo slogan «c’è un criminale di guerra nell’edificio». Uno dei momenti più tesi è stato quando un giornalista ha iniziato la sua domanda con una lunghissima citazione di un rapporto sulla situazione dei diritti umani a Gaza.

Quando l’uomo è stato sollecitato a dire quale era la sua domanda, questi ha replicato con veemenza: «l’avete lasciata parlare e ora non lasciate che si facciano domande. Da quand’è che qui vengono accolti i terroristi?».

Diversi giornalisti hanno dichiarato nelle loro domande che l’operazione «piombo fuso» avrebbe soltanto allontanato la pace, e una di loro ha paragonato Israele allo Zimbabwe per il divieto ai giornalisti di entrare a Gaza.

La Livni non ha mai perso la pazienza, rispondendo a tutti. All’uomo che le ha dato della terrorista ha detto che Israele «non vuole farsi coinvolgere nelle questioni interne dell’autorità palestinese e che per questo abbiamo lasciato unilateralmente la Striscia di Gaza, ma in cambio abbiamo avuto il terrorismo. Cerchiamo di far tutto per evitare di colpire i civili, ma questo accade». (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia - Lavoro

Berlusconi dice che dobbiamo avere fiducia, Tremonti dice che non crede alle previsioni pessimiste. Intanto, ecco quello che ci manda a dire L’Europa.

“L’esperienza dimostra che le recessioni economiche provocate da una crisi finanziaria tendono ad essere gravi e prolungate”: è quanto si legge nel documento preparatorio dell’Ecofin, che si svolgerà martedì, all’indomani dell’annunciato taglio delle previsioni di crescita per il 2009 da parte della Commissione europea.

“Attualmente – si sottolinea nel documento del Consiglio Ue anticipato dall’agenzia Ansa – la fiducia dei consumatori e delle imprese si trova al livello più basso da decenni e la situazione rischia di deteriorarsi ulteriormente”. Questo nonostante le misure anticrisi adottate “siano già in via di attuazione”. Ma, si legge ancora, “bisognerà pazientare, perché ci vorrà del tempo per vederne gli effetti sull’economia reale”.

Inoltre, si legge ancora nel documento, le condizioni del credito in Europa continuano a essere “difficili” e la priorità assoluta deve essere “ristabilire il normale funzionamento” di tale mercato, “ripristinando la fiducia” di imprese e consumatori. (Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche

“Leggo, ad ogni passo, che Hamas “ha rotto la tregua”, e per questo è stata punita. Ma quale tregua? Non c’è mai stata nessuna “tregua”. Chi l’avrebbe negoziata, visto che Israele non ha mai voluto trattare con Hamas e viceversa?”

di Giulietto Chiesa – Megachip.info

Non si può risalire alle cause, alle responsabilità più lontane. non adesso, mentre la gente, i bambini, muoiono a Gaza. Ma io vorrei risalire la corrente della logica, vorrei riportare le parole al loro significato, che invece cambia e si scolora mentre le ripetiamo.
Dal 27 dicembre (in verità da molto più tempo) siamo sommersi da quasi-dogmi sui quali la nostra lingua s’inceppa.

«Israele ha diritto alla sua esistenza», leggiamo ogni giorno, sentiamo da ogni tribuna. Poi guardiamo le tremende immagini della sua potenza militare, i suoi F-16, i cannoni, gli elicotteri, i carri armati. Facciamo il conto della strage che hanno già fatto: oltre 1000 morti, 4000 feriti di cui 400 gravi o gravissimi. Un terzo sono bambini, la maggior parte sono civili. Dall’altra parte, da quelli che rivendicano il loro diritto all’esistenza e che vogliono essere protetti, non più di dieci vittime.

Triste contabilità, ma inevitabile, perché è la trave nell’occhio che mostra il divario tra Davide e Golia. Solo che Davide è il popolo palestinese. Ma allora chi è che ha «il diritto alla sua esistenza»?

Davvero c’è qualcuno che pensa che la gente di Gaza può minacciare la falange possente dei protettori di Israele, il cui principale è niente meno che l’America? Chi può credere, davvero, che l’esistenza di Israele sia minacciata? La lingua diventa di legno, o dovrebbe, a chi ripete queste parole.
Leggo, ad ogni passo, che Hamas “ha rotto la tregua”, e per questo è stata punita.  Ma quale tregua? Non c’è mai stata nessuna “tregua”. Chi l’avrebbe negoziata, visto che Israele non ha mai voluto trattare con Hamas e viceversa? La verità è che Hamas aveva interrotto nel luglio, unilateralmente, il lancio dei suoi Kassam, nonostante il fatto che da 18 mesi Gaza fosse sottoposta da un blocco pressoché totale, oltre che illegale.

Poi la parentesi di calma si è interrotta. Chi ha le prove delle responsabilità? Nessuno, ma tutti dicono che è Hamas. Quindi, poiché Hamas sono i cattivi, devono essere puniti. I 300 bambini trucidati sono sufficienti, o ce ne vogliono altri 300? O, come si chiede Thomas Friedman su «International Herald Tribune» (14 gennaio), qual è lo scopo di Israele: «sradicare Hamas o rieducarla?».

A colpi di mille morti a lezione.

Leggo che Tsahal, l’esercito di Israele, ha fatto migliaia di telefonate a Gaza. Dicono: andate via della vostra casa perché la bombarderemo. Grazie per l’avvertimento. Ma dove andare? Gaza si chiama striscia perché è un fazzoletto di terra. E Hamas è il vincitore delle uniche elezioni democratiche di Palestina. Quanti devono essere puniti per avere votato Hamas? Ovvio: la maggioranza. Questa sì che è democrazia! Comunque dove cadono le bombe? Dal numero e dalla qualità dei morti si direbbe che cadono dove si vuole che cadano.  

Sessantuno anni fa, nel 1948, quando i “filistei” erano solo la metà di quelli di oggi, sullo stesso territorio, e Al Fatah, e Hamas, erano ancora di là da venire, Ben Gurion diceva allo Stato Maggiore Generale: «Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei beni, il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba». Non c’erano colpevoli o innocenti da distinguere. E’ accaduto sistematicamente in questi anni, adesso sta accadendo di nuovo, sotto i nostri occhi. Ma noi abbiamo perduto le parole per descriverlo.

Le parole più chiare le disse invece Sharon di fronte al parlamento di Tel Aviv il 4 marzo 2002, ma nessuno sembra ricordarsele: «I palestinesi devono soffrir ancora molto di più, fino a che si rendano conto che non otterranno niente con il terrorismo. Se non si rendono conto di essere stati vinti noi non potremo tornare al tavolo del negoziato».

Qui non si parla di Hamas, si dice “palestinesi”. I “palestinesi” hanno votato Hamas proprio perché Israele ha spiegato loro, in questi sessantuno anni, che per altra via non possono ottenere nulla. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Nessun ministro del governo Berlusconi a rappresentare l’Italia martedì prossimo a Washington.

“E’ possibile che il governo italiano non sia in grado di farsi rappresentare alla cerimonia che martedì  prossimo vedrà insediarsi alla Casa Bianca Obama, da nessuno dei suoi ministri, gli stessi che affollano ogni sera i talk show e che non perdono occasione per andare in tv? Ho la massima stima per l’ambasciatore italiano a Washington, la sua presenza è certamente autorevole, ma la rappresentanza del governo è del tutto assente”. Veltroni dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità

Perché la sinistra italiana sventola la bandiera della Palestina.

“Israele ha diritto di esistere e bisogna combattere fino in fondo l’antisemitismo. Ma questo non toglie nulla al fatto che bisogna chiedere che Israele la smetta di fare questo massacro e la smetta di avere politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi”. Ferrero dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche

Piombo Fuso: “Questa è la distorta realtà che Obama erediterà la prossima settimana, e che brutta eredità è.”

L’assedio israeliano a Washington – Obama davanti ai fatti compiuti

di Rami G. Khouri – «Daily Star», Beirut (da megachip.info)

Se l’attacco israeliano a Gaza iniziato 18 giorni fa aveva in parte lo scopo di mandare un messaggio al prossimo presidente degli USA Barack Obama, il Congresso USA nell’ultima settimana sembra essersi unito allo sforzo di mettere i cappi al nuovo presidente e ipotecare per lui la futura legislazione, ancora prima che entri in carica.

Obama ha cercato di mantenere le distanze e rimanere fuori dalla battaglia politica su Gaza astenendosi dal fare dichiarazioni impegnative. Israele e i suoi molti sostenitori a Washington hanno per lui piani diversi. Lui è rimasto fuori dalla guerra, ma loro l’hanno combattuta per lui — facendogli ingoiare come prima lezione pre-incarico come i presidenti americani si comportano quando Israele rende noti i suoi desideri, se vogliono rimanere al potere.

La Camera dei Rappresentanti ha votato lo scorso venerdì con 390 voti a favore e 5 contro una risoluzione che appoggia completamente Israele nel suo attacco a Gaza, proclamando specificamente “il diritto di Israele a difendere se stesso dagli attacchi di Gaza”. Il giorno prima, il Senato sosteneva a spada tratta Israele e il suo diritto di difendersi contro il terrorismo.

Una simile straordinaria unilateralità dell’appoggio a Israele da parte degli Stati Uniti rispecchia la stessa posizione dell’amministrazione. Sia il Presidente George W. Bush che il Segretario di Stato Condoleeza Rice hanno detto durante incontri con la stampa che Hamas era da biasimare per la guerra attuale e per le sofferenze dei palestinesi di Gaza, e che ogni cessate il fuoco doveva assicurare che Hamas non avrebbe più attaccato Israele. Sembravano incomprensibilmente ciechi alla combinazione dello strangolamento e dell’aggressione su Gaza da parte di Israele. (E per quanto ne sa la stampa, ecco la storia delle vanterie del Primo Ministro Ehud Olmert che avrebbe costretto George Bush e Condi Rice ad astenersi nel voto per una richiesta delle Nazioni Unite di un cessate il fuoco che pure la Rice aveva aiutato a scrivere).

Questo sostegno quasi irrazionale per Israele sia nel potere esecutivo che nel potere legislativo del governo USA ha luogo mentre un coro di condanna internazionale per l’uso sproporzionato della forza include inviti di alcuni funzionari delle Nazioni Unite e rispettabili organizzazioni non- governative a indagare se Israele ha commesso “crimini di guerra”.

Israele sta facendo uso dei due arsenali con cui si sente più a suo agio — la forza militare per uccidere, ferire, terrorizzare e costringere alla fuga migliaia di civili palestinesi, e l’equivalente scempio politico di manganellare l’establishment politico americano fino alla totale sottomissione.

Dopo sei decenni di tentativi, Israele non è riuscito a trasformare i palestinesi in vassalli e schiavi ossequiosi — ma ha avuto successo nel trasformare un sistema politico, altrimenti impressionante, in un gregge di bestiame castrato che si accuccia di fronte alle minaccia che i boia e i pistoleri d’Israele tengono sospesi su di esso.
Gaza avrà presto il suo cessate il fuoco, ma Washington troverà mai sollievo dall’asfissiante stretta politica dei tagliagole di Israele?

Questi voti del Congresso negli ultimi giorni non sono un evento insolito, purtroppo, ma una riaffermazione di routine della stretta asfissiante che Israele mantiene sui rappresentanti eletti di un’altrimenti sana democrazia. Ad esempio, due anni fa, quando Israele attaccò il Libano con un simile ferocia, la Camera dei Rappresentanti USA votò per 410 a 8 il suo appoggio all’aggressione israeliana, e per condannare Hamas e Hezbollah per “gli attacchi non provocati e riprovevoli contro Israele”.

Due anni prima, nel 2004, la Camera votò per 407 a 9 il suo appoggio alla posizione del Presidente Bush secondo cui era “irrealistico” che Israele tornasse completamente alle sue frontiere del giugno 1967.
Su nessun’altra questione di politica estera il Congresso USA mette collettivamente la testa sotto la sabbia, spegne la sua capacità di giudizio indipendente, e dimentica l’impatto delle sue decisioni sull’immagine degli USA nel resto del mondo. Riguardo a nessun’altra parte del mondo il Congresso USA vota secondo gli interessi di un paese straniero e non secondo l’interesse nazionale USA. Questo cieco e irriflesso tuffo nel fanatismo e nel tifo filoisraeliano riflette precisamente la forza della lobby filo-israeliana, e la debolezza delle voci ragionevoli, dell’equilibrio della giustizia come guide della politica estera americana.

Questa è la distorta realtà che Obama erediterà la prossima settimana, e che brutta eredità è. Cattura il peggio di molti mondi e lo fonde in un unico mondo — la perversione, la forza isterica della lobby pro-Israele negli Stati Uniti che compra e atterrisce politici con la stessa facilità con cui si compra un sacchetto di noccioline al circo; i governi arabi, anemici, sconsiderati, senza spina dorsale, che rimangono nudi davanti a Israele e agli USA, e svergognati davanti alla loro gente; e il sistema politico americano, che su questa questione, con l’eccezione di poche persone decenti e coraggiose, si comporta in modo assai poco americano di fronte alle onniscienti forze filoisraeliane che decidono della vita e della morte politica di ognuno.
Qui non c’è niente di nuovo. Mi stupisce solo che gli Americani si aspettino da noi che li prendiamo sul serio e che non ci mettiamo a ridere — o a vomitare — quando ci tengono lezioni sull’esportazione della democrazia. (Beh, buona giornata).

Tradotto da Gianluca Bifolchi, achtungbanditen.splinder.com: [QUI]

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Attualità

Perché la destra italiana sventola la bandiera d’Israele.

“Vogliono fare del rapporto con Israele la testimonianza del loro aver cambiato pelle, perché vengono da una tradizione fascista e antisemita. Quando leggo certi commenti, in cui si polemizza con l’Onu, persino con il Papa, sostenendo che non si può dire che la violenza di Israele sia sproporzionata, trovo in questo un grande cinismo.” D’Alema dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità

Annunziata vs Santoro: chi va per certi mari, certi pesci piglia.

“Non ho visto la trasmissione: diciamo che Lucia Annunziata ha fatto buon uso di un precedente episodio che mi aveva visto protagonista”. Berlusconi dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

Gratuita la censura, gratuita la polemica.

 E’ stata rifiutata la campagna pubblicitaria dell’Unione degli atei, agnostici, razionalisti su due (!?) autobus urbani di Genova. La concessionaria  ha deciso di non concedere gli spazi comunali per lo slogan “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”.

 

Apriti cielo: quelli dell’Unione si sono indiavolati e per tutta risposta hanno chiesto che il Comune di Genova revocasse la concessione alla concessionaria.

E’ vero che campagne simili sono state lanciate a Londra, a Barcellona, a Washington. E’ vero anche che ovunque hanno scatenato polemiche. Poiché  la polemica era appunto l’oggetto della comunicazione della campagna, Unione degli atei ha ottenuto l’effetto desiderato.

 

Con la variante molto più furba di quanto successo a Londra, a Barcellona o a Washington, perché questa è una polemica gratis, ottenuta senza neanche spendere una lira, pardon un euro, per acquistare gli spazi.

 

Ironia della sorte, il tutto è avvenuto a Genova, che lo stereotipo dice essere città abitata da persone parsimoniose (chiedo scusa agli amici genovesi, ma l’occasione era ghiotta, ancorché innocua).  

 

Comunque, questa mi pare proprio la morale della favola: gratuita la censura, gratuita la polemica. Per cui, parafrasando lo slogan, potremmo concludere: “la cattiva notizia è che la campagna non esiste, la buona è che non ne hai più bisogno”. Beh, buona giornata.

 

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

La pubblicità italiana e la carta stampata.

 La notizia è che Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente dell’Upa, l’associazione degli investitori di pubblicità, riferendosi all’analisi proposta da Giovanni Valentini ne “Il sabato del villaggio”, su Repubblica del 10 Gennaio, ha scritto: “Agli editori non posso che prospettare di utilizzare al massimo le loro potenzialità, accelerando la sinergia con la rete e continuando nel buon lavoro fatto fino a ora nell’innovazione dei loro prodotti.” E’ una notizia perché in passato Upa è sembrata essere sempre molto più attenta alla tv che alla stampa.

Fatto sta che è un bene che si torni a parlare di pubblicità e carta stampata. Lo si è fatto recentemente in un convegno a Milano, lo si è letto in questi giorni sui giornali, appunto. E’ un bene perché si mette in discussione, finalmente, un pregiudizio che si è presto trasformato in un preconcetto contro i giornali: l’intrattenimento attira pubblicità più dell’informazione.

E’stato un modo di pensare, da parte del mondo della pubblicità italiana, che ha penalizzato la carta stampata, che non permesso finora un vero sviluppo del web, ma che ha rimpinzato, fino a quasi farla scoppiare la tv. Quando dico scoppiare mi riferisco all’efficacia, o sarebbe meglio dire l’inefficacia del mezzo televisivo, che mostra la corda proprio in tempo di crisi: i consumi crollano nonostante la enorme pressione pubblicitaria televisiva.

La necessità di ampliare a tutta la filiera dei mezzi di comunicazione i messaggi pubblicitari, alleggerendo la pressione sulla tv è una “conditio sine qua non” del ruolo della pubblicità italiana, sul modello di quanto avviene in tutti i mercati occidentali. Bisogna aggiungere che se l’intrattenimento è un “bene voluttuario”, l’informazione è “un bene comune”, un fondamentale della nostra democrazia. La mediazione che i giornali forniscono tutti i giorni tra gli avvenimenti e i significati, vale a dire tra ciò che è successo e ciò che significa, è il ruolo irrinunciabile di ogni paese democratico, che ha il dovere di alimentare l’informazione, corretta e puntuale, perché la democrazia è tale se i cittadini sono consapevoli, aggiornati e partecipati della vita pubblica. Questo dovere e il relativo vantaggio valgono anche per le aziende che spendono soldi in comunicazione commerciale, per informare correttamente i propri clienti attuali e potenziali.

I lettori dei giornali, nonostante ricevano almeno tre copie gratuite di free press e abbiano la possibilità di trovare notizie aggiornate in internet, al cellulare o nei tg televisivi, rinnovano il rito dell’acquisto del quotidiano in edicola“, ha detto recentemente  Ferrucio De Bortoli, direttore de Il Sole 24 ore. A cui ha fatto eco Emanuele Pirella: “I giornali territoriali posseggono autorevolezza e la capacità di essere sulle notizie locali di rilievo per i lettori e di trasformarsi in abili strumenti per la comprensione del mondo. Credo che i quotidiani dovrebbero scimmiottare meno i linguaggi e i modi del web e tornare alla notizia pura, approfondita e autorevole“. Osservazioni pertinenti col problema del rapporto tra la stampa e la pubblicità.

Non ci si può nascondere, tuttavia, quanta diffidenza ci sia su questo punto: i giornalisti non amano la pubblicità, perché la vivono intrusiva del loro lavoro, invadente gli spazi fisici del giornale. Se fanno buon viso a cattivo gioco è solo perché la pubblicità aiuta il giornale a vivere. Insomma, giornalisti e pubblicitari non si amano, va bene se al limite si sopportano. Ha scritto  Giovanni Valentini: “I giornali e i giornalisti sono chiamati a fare la loro parte in questa congiuntura, se vogliono contribuire a salvaguardare i bilanci delle aziende editoriali e insieme la propria professionalità. La svolta del New York Times insegna. Nuove sezioni specializzate, nuovi inserti e supplementi, nuove formule e formati pubblicitari, più in sintonia con le esigenze degli inserzionisti, vanno ideati e proposti al mercato per attrarre maggiori investimenti: oltre alla vendita di uno spazio, insomma, occorre incrementare l’ offerta di un servizio.”

I pubblicitari, dal canto loro hanno a lungo rincorso la tv e attualmente quasi si sentono diminuiti a prendere in mano penna e matita e fare una bella campagna su un quotidiano. Lo diceva recentemente anche Pirella, sottolineando quanto questo atteggiamento sia sbagliato e un poco patetico: “In passato era l’immagine, l’idea, il messaggio scelti dal creativo a fare la differenza in una campagna. Oggi sono i budget, che consentono il ricorso a effetti speciali, a registi famosi ...”.

Quanto ai clienti, cioè agli inserzionisti, essi continuano ad essere persuasi che più spot meno stop alle vendite. “La televisione emoziona, la stampa approfondisce, il web è una opportunità per tutti”, ha scritto Lorenzo Sassoli de Bianchi. Dal quale ci si può permettere di dissentire, non tanto per amor di polemica, quanto per il semplice fatto che è arbitrario attribuire cifre stilistiche ai media. “E’ un fatto assodato che la gente  non legge (o guarda, ndr) la pubblicità, la gente legge (e guarda, ndr) solo quello che le interessa. Qualche volta si tratta di un annuncio pubblicitario”, ha detto una volta Howard Luck Gossage, grande copy writer.

In altri termini, l’esperienza, nonché la pratica ci dice che il consumatore moderno passa senza soluzione di continuità, nell’ arco temporale di una giornata-tipo, dalla tv (la mattina a casa), alla radio (in auto per andare al lavoro), dalle affissioni (che incontra movendosi in città, compresi i mega schermi che cominciano ad essere sempre più numerosi sugli  edifici), ai free press (ai semafori o in metro), dal giornale (che vede la bar durante il caffè, che compra all’edicola, che trova in ufficio), a internet (che ha in ufficio sulla scrivania), da i monitor che sono stati piazzati nelle stazioni ferroviarie e negli aeropori, fino alle news che trova sul telefonino a ogni ora del giorno, fino di nuovo alla tv che ritroverà a casa la sera, rifacendo a ritroso il percorso-tipo, scandito dagli appuntamenti informativi e pubblicitari che ho appena descritto. In questo contesto,  il messaggio pubblicitario non può che essere “neutro” rispetto al mezzo che lo contiene e lo veicola, capace di adattarsi di più alle esigenze di chi il messaggio lo fruisce.

Bisogna essere invece molto d’accordo con Sassoli de Bianchi quando dice: “Noi dell’Upa riteniamo che sia un errore per le aziende sane privarsi di una spinta che ha un obiettivo molto ambizioso: tenere desta la fiducia.” Ma soprattutto, si deve sottoscrivere in pieno quanto aggiunge poco dopo: “E’ vero: i consumi ristagnano e gli investimenti in comunicazione arrancano, ma le aziende sane e le marche hanno il dovere di andare controcorrente.” Sembrerebbe davvero un buon viatico per attraversare la crisi, e uscirne tutti migliori di prima. 

Ridare forza attrattiva alla stampa per la pubblicità significa riscoprire un principio basilare: l’autorevolezza di una testata attribuisce credibilità al messaggio pubblicitario, dunque ristabilisce i fili della fiducia tra marca e consumatore. Contemporaneamente, obbliga il marketing e il creativo a essere all’altezza della reputazione della testata e della sua autorevolezza presso i lettori.

Occorre tuttavia superare vecchi preconcetti e vecchi tabù, anche per consentire alla carta stampata di reggere meglio la concorrenza sempre più aggressiva e invadente della tv che bombarda quotidianamente i telespettatori di spot, mini-spot, telepromozioni e televendite – ha scritto Giovanni Valentini, che aggiunge -Colpisce a questo proposito l’ immediato exploit della tv pubblica in Francia che lunedì scorso, nella sua prima serata senza spot in seguito alla riforma voluta da Sarkozy, ha registrato un boom di tre milioni e centomila spettatori in più.

Qui a quanto pare c’è  il punto della questione: come si fa concretamente a dare più spazio alla pubblicità sulla stampa? In altri termini, come si può passare dalle petizioni di principio ai fatti concreti? Siccome la crisi impone scelte decise,  ecco la headline: depotenziare la tv, riqualificare la stampa.  A tutto vantaggio del resto della filiera della comunicazione commerciale. Infatti, se gli investimenti nella tv rientrano nei parametri di spesa europei, ecco che si libererebbero risorse che andrebbero a tutto vantaggio dell’intera filiera della comunicazione commerciale: dal web al publishing, passando per tutti i veicoli sopra, sotto, accanto e oltre la linea della comunicazione commerciale.

Con il vantaggio che l’idea farebbe la differenza, che la strategia farebbe la differenza, che la qualità e la creatività del messaggio, e non tanto la quantità dei “passaggi tv” farebbero la differenza. Aggiungerei che facendo la differenza  si abbasserebbe di molto il tasso di diffidenza nei media, nelle marche, nei consumi, nella pubblicità. E se ne avvantaggerebbe anche la tv, non solo quella pubblica. Beh, buona giornata.

 

 

 

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Signore e signori, ecco a voi la crisi in tutto il suo splendore./2.

Il Pil italiano crollerà del 2% nel 2009 prima di risalire di appena lo 0,5% nel 2010. La previsione è della Banca d’Italia che segnala anche come “la dinamica del prodotto potrebbe essere ancora più negativa se prendessero corpo i rischi di un ulteriore indebolimento dell’economia mondiale”. Dal Bollettino economico di via Nazionale emerge un quadro a tinte fosche: la recessione è destinata ad approfondirsi e prolungarsi. Beh, buona giornata.

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Social card: bidonati 200 mila nonni. Dal governo.

di ANTONELLO CAPORALE da repubblica.it

Si dice: morire di vergogna. “Avevo il Dixan in mano, anche una confezione di orzo e una scatola di tonno ma mi è venuto un presentimento: vuoi vedere che non funziona? Allora ho preso la tessera e ho chiesto alla commessa di digitare i numeri, io non vedo bene. Non era stata caricata. Avevo i soldi stretti nell’altra mano, già tutti contati, e glieli ho dati e così è finita. Non l’ho più usata”. Maria Pia, 67 anni, è fuggita via dal supermercato di Viareggio rossa in viso, e meno male che non c’era nessuno in fila. Comunque in quel supermercato non ci tornerà più.

La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno. Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta. Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. “E’ anonima naturalmente per non creare imbarazzo”, commentò Silvio Berlusconi il giorno dell’inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d’Italia.

Anonima. Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: “Ha per caso la social card?”. Il no è asciutto e risentito. “Scusi, ma era per capire come pagava”.
Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l’aveva fatta. Un pianto raccolto da una microtelecamera di “Mi manda Raitre” e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull’altro, e un altro ancora. Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa.

La Social Card, il circuito Mastercard. Protagonisti di una favola. Una strisciata e via. La pensionata indigente che alla cassa del panificio, come la donna chic di via Condotti, apre il borsello, non tocca i soldi sporchi, ma sfila la carta di credito. Un secondo magnetico. Se la carta è piena. Se è vuota – e lo sono un terzo delle circa 500 mila distribuite – la pensionata deve restituire il pane e ritirare l’umiliazione pubblica.

Era il 19 giugno, era estate, e il ministro Giulio Tremonti annunciava una vecchia novità: la carta di credito per i poveri. Vecchia perché l’aveva pensata Vincenzo Visco, nell’arcaico ’97: sconti sulla spesa, sugli affitti, sui beni di prima necessità. Vecchia perché l’aveva apprezzata Ermanno Gorrieri, comandate partigiano, fondatore del movimento Cristiano Sociali. Gorrieri è morto nel 2004. Nel 2008 è Tremonti a presenziare e presentare la svolta: una manovrina da 450 milioni di euro, 200 coperti dall’Eni, 50 dall’Enel, altri dalla Robin Tax. Togliere ai ricchi, dare ai poveri: 40 euro al mese, 80 euro accreditati ogni due mesi. Per un anno intero. Quattro mesi di annunci, di serrata organizzazione. Pronti. Si parte il primo dicembre. Attenzione: chi conserva 15 mila euro, in banca o alla posta, pensionato o disoccupato, non ha diritto alla carta di credito dello Stato.

Sono in 520 mila a dicembre a chiedere la social card, pensionati con reddito dai 6 mila euro agli 8 mila, coppie di anziani, famiglie con figli a carico, non oltre i tre anni però. Con una sola casa di proprietà, un’automobile e un’utenza elettrica attiva. In fila, per ore, davanti ai 9 mila uffici postali. Perché chi completava le pratiche entro il 31 dicembre, aveva diritto a 120 euro (ottobre, novembre e appunto dicembre) di partenza. Una corsa verso il nulla. Perché il 30 dicembre, con ottimismo natalizio, l’Inps – che doveva accertare il reddito – dichiarava di aver ricaricato 330 mila tessere. Le altre erano vuote.

Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca. Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l’una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.

Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno. Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura.

Ci vuole del metodo per ideare una così lunga e inutile fatica. Prima fila: farsi certificare la povertà, la disgrazia assoluta. Seimila euro all’anno. In fila, naturalmente per vedersi attestata dal patronato la sospirata povertà. Poi l’Inps, le Poste, sempre in fila, sempre allo stesso modo. Infine, coraggio, andare al supermercato ed esibirla questa maledetta povertà. E poi, duecentomila volte finora, vederla svergognata: “La tessera non è carica”. Ma ha letto bene?

Per la social card un poveretto di Catania è ricoverato (coma farmacologico) in ospedale a seguito di furiosa lite, recita un dispaccio dell’Ansa del 3 gennaio scorso, generata “dalla discussione per l’ottenimento della social card”. Giovanni Spatola, imbianchino di 47 anni, si è costituito ai carabinieri confessando di aver fracassato il cranio del conoscente con una chiave inglese. Chi dei due doveva ottenere la social card? A Verona boom di ritiri. Il dato, riferisce la direzione delle Poste, è connesso alla presenza nel luogo di molti istituti religiosi. Trecento tra suore e frati si sono presentati all’incasso. Nullatenenti. Perciò potevano. A Castelletto di Brenzone, minuscolo villaggio sul lago di Garda, ne sono state elargite più di cinquanta. Come mai? Lì ha sede l’istituto delle piccole suore della Sacra Famiglia. Amen.

“Disagi e umiliazioni di ogni genere. Accreditategli questi benedetti quaranta euro sulle pensioni, così risparmierete dei soldi anche voi”, ha consigliato Pierluigi Bersani ieri alla Camera al ministro dell’Economia. “E’ la truffa del secolo, un flop, il più grande bluff tremontiano”, dice Franco Laratta, il deputato calabrese del Partito democratico mentre raccoglie le firme per un’interpellanza urgente sulla precoce agonia di questa tesserina azzurrissima, molto patriottica con quel fascio tricolore. (Beh, buona giornata).

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