Categorie
Attualità democrazia Media e tecnologia Società e costume

Il caso delle dieci domande di Repubblica ha fatto il giro del mondo: “Mr. Berlusconi, why don’t you answer the press?”, scrive The Huffington Post.

Sui giornali esteri sempre spazio alle 10 domande poste da “Repubblica”.Così la stampa internazionale chiede al premier di rispondere. Stupore per la mancata solidarietà al nostro giornale di ALESSIA MANFREDI- repubblica.it

Così la stampa internazionale chiede al premier di rispondere
Il primo ad occuparsene è stato il Times londinese di Rupert Murdoch, poi il caso delle dieci domande poste da Repubblica a Silvio Berlusconi sul suo rapporto con la diciottenne Noemi Letizia, rimaste senza risposta, ha fatto il giro della stampa estera.

Dalla Gran Bretagna alla Spagna ad altri paesi, autorevoli quotidiani hanno mostrato il loro sostegno a Repubblica, dando ampio spazio all’inchiesta, sottolineando il silenzio e l’ira del premier. Altri hanno semplicemente riferito il caso. In un’intervista a Repubblica, il direttore di Die Zeit, Giovanni Di Lorenzo, ha detto che insultare un quotidiano “in Germania provocherebbe l’immediata solidarietà di tutti gli altri media, indipendentemente dal loro orientamento politico”. Alla questione sono stati dedicati diversi articoli e commenti. Ecco i principali.

“Public Duty and Private Vendetta”, The Times, 18 maggio 2009. Le lamentele di Silvio Berlusconi, che si ritiene vittima di diffamazione, non hanno alcun senso, si legge nell’editoriale non firmato del Times, che, secondo la tradizione anglosassone, riflette l’opinione della direzione del giornale. Le domande di Repubblica, continua il Times, non sono un’intrusione nella vita privata, ma sono legate al suo ruolo di politico e magnate dei media. E l’attacco di Berlusconi al giornale è un tentativo di intimidire il dissenso.

“Mr. Berlusconi, why don’t you answer the press?”, The Huffington Post, 20 maggio 2009. Il caso approda anche sull’influente sito di informazione online di Arianna Huffington.

“In praise of La Repubblica”, The Guardian, 23 maggio 2009. Anche il Guardian dedica un editoriale al caso, intitolato, semplicemente, “Elogio a La Repubblica”. “Nonostante rumori minacciosi da parte di Silvio Berlusconi, il principale quotidiano di centro-sinistra si è rifiutato di smettere di chiedere risposte alle 10 domande poste al premier circa la sua relazione con una adolescente napoletana, Noemi Letizia”, si legge nel testo, che insiste sul diritto della stampa in una società democratica a fare domande e conclude: “Repubblica sta facendo una battaglia solitaria e merita sostegno”.

“Papi, en la encrucijada”, El Pais, 20 maggio 2009. “Papi, al crocevia” titola il commento del quotidiano spagnolo, che ripercorre l’origine della crisi, dalle dichiarazioni di Veronica Lario, sottolineando l’anomalia di Berlusconi, capo del governo, “editore del maggior gruppo mediatico del Paese”, il suo controllo quasi totale della informazione televisiva, fino alle domande di Repubblica, seguite da ira e silenzio. Sarebbe salutare per la democrazia italiana, argomenta El Pais, “che Berlusconi prendesse carta e penna e spiegasse al mondo perché lo chiamano papi”.

“How one newspaper’s shameful questions have rattled Silvio Berlusconi”, The Observer, 24 maggio 2009. Il giornale inglese ripercorre in un lungo articolo l’intera vicenda Noemi, le domande “vergognose” di Repubblica che hanno innervosito il presidente del Consiglio, provocato una dura reazione da parte della stampa di destra, e innescato gli insulti del premier al cronista di Repubblica.

“Les questions sur les starlettes font enrager Silvio Berlusconi”, La Tribune de Geneve, 16 maggio 2009. E’ un Silvio Berlusconi “sull’orlo di una crisi di nervi” quello che se la prende con il principale quotidiano di Roma, secondo il quotidiano svizzero. Le domande di Repubblica, per far luce sulle molte zone d’ombra sono rimaste senza risposta perché il Cavaliere ha invocato il complotto, si legge sul quotidiano.

“L’origine des liens entre Berlusconi et la jeune Noémie”, Le soir, 24 maggio 2009. Il giornale belga riprende il caso usando un servizio della France Presse.

“L’affaire Noemi poursuit Berlusconi”, Le Figaro, 25 maggio 2009. Anche il quotidiano francese conservatore, che ieri sul caso titolava “La Repubblica mette in imbarazzo Berlusconi” continua a dare spazio alla vicenda Noemi, che “sta perseguitando il presidente del Consiglio”, dando conto della campagna di Repubblica, delle incongruità rivelate dall’inchiesta sul rapporto fra la ragazza ed il presidente del Consiglio e della richiesta di spiegazioni in Parlamento da parte dell’opposizione.

“L’insubmersible”, Slate.fr, 25 maggio 2009. Sul sito di informazione online diretto da Jean Marie Colombani, un lungo articolo di Marc Lazar riflette sull’enigma Berlusconi: accerchiato dai guai, dalla “strana relazione con la ragazza napoletana”, incalzato dalla stampa d’opposizione, “accusata di aver rivelato informazioni su di lui e di chiederne conto, come è normale in democrazia”, e ancora dal caso Mills e dall’economia in rosso. Eppure inaffondabile.

“Italie: la vie privée de Silvio Berlusconi continue de troubler la campagne”, Le Monde, 25 maggio 2009. Aumentano i guai per Silvio Berlusconi, si legge sul quotidiano francese. “Le spiegazioni contraddittorie date dal presidente del Consiglio” su Noemi Letizia “sono state smentite da un ex fidanzato della ragazza”.

“Sa liaison dangereuse”, La dernière heure, 25 maggio 2009. Berlusconi non ha finito di spiegare la sua relazione con un’adolescente, si legge sul quotidiano belga.

“Berlusconi e la 18enne: Cos’è successo veramente?”, Die Welt, 25 maggio 2009. Il quotidiano tedesco riprende le rivelazioni di Repubblica e rileva come la crisi “privata” in casa Berlusconi sia diventata ormai affare di stato.

Sulla stessa linea la Suddeutsche Zeitung, “Berlusconi, das model und die “lüge”, Berlusconi, la modella e la “bugia”.

E Bild:”So lernte Berlusconi die 18-Jährige wirklich kennen”, Così Berlusconi conobbe davvero la diciottenne.

“Ex Noemi klapt uit school over Berlusconi”, De Telegraaf, 25 maggio 2009. “L’ex di Noemi rivela”, si legge sul quotidiano olandese, che riprende l’intervista a Repubblica di Gino Flaminio.

Anche De Volkskrant parla delle rivelazioni dell’ex fidanzato di Noemi: “‘Berlusconi loog over relatie met minderjarige”‘, “‘Berlusconi ha mentito sulla sua relazione con la minorenne'” è il titolo del pezzo. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Società e costume

Il caso della fanciulla che chiama papi il premier: in Italia i diritti e la dignità delle donne rimangono sempre sulla carta. Velina.

Rotto l’incantesimo del nuovo Don Rodrigo di GAD LERNER-Repubblica.

Forse ora la smetterà d’insistere sulla propria esuberanza sessuale, sulle belle signore da palpare anche tra le macerie del terremoto e sulle veline che purtroppo non sempre può portarsi dietro.

A quasi 73 anni d’età, Silvio Berlusconi si trova per la prima volta in vita sua a fare davvero i conti con l’universo femminile così come lui l’ha fantasticato, fino a permearne la cultura popolare di massa di questo paese. Lui, per definizione il più amato dalle donne, sente che qualcosa sta incrinandosi nel suo antiquato rapporto con loro.

Le telefonate notturne a una ragazzina, irrompendo con la sproporzione del suo potere – come un don Rodrigo del Duemila – dentro quella vita che ne uscirà sconvolta. E poi il jet privato che le trasporta a gruppi in Sardegna per fare da ornamento alle feste del signore e dei suoi bravi. Ricompensate con monili ma soprattutto con aspettative di carriera, di sistemazione. L’immaginario cui lo stesso Berlusconi ha sempre alluso nei suoi discorsi pubblici è in fondo quello di un’Italietta anni Cinquanta, la stagione della sua gioventù: vitelloni e case d’appuntamento; conquista e sottomissione; il corpo femminile come meta ossessiva; la complicità maschile nell’avventura come primo distintivo di potere. Nel mezzo secolo che intercorre fra le “quindicine” nei casini e l’uso improprio dei “book” fotografici di Emilio Fede, riconosciamo una generazione di italiani poco evoluta, grossolana nell’esercizio del potere.

Di recente Lorella Zanardo e Marco Maldi Chindemi hanno riunito in un documentario di 25 minuti le modalità ordinarie con cui il corpo femminile viene presentato ogni giorno e a ogni ora dalle nostre televisioni, con una ripetitiva estetica da strip club che le differenzia dalle altre televisioni occidentali non perché altrove manchino esempi simili, ma perché da nessuna parte si tratta come da noi dell’unico modello femminile proposto in tv. La visione di questa sequenza di immagini e dialoghi è davvero impressionante (consiglio di scaricarla da www. ilcorpodelledonne. com). Viene da pensare che nell’Italia clericale del “si fa ma non si dice” l’unico passo avanti compiuto nella rappresentazione della donna sia stato di tipo tecnologico: plastificazione dei corpi, annullamento dei volti e con essi delle personalità, fino a esasperare il ruolo subalterno, spesso umiliante, destinato nella vetrina popolare quotidiana alla figura femminile senza cervello. Cosce da marchiare come prosciutti negli spettacoli di prima serata, con risate di sottofondo e senza rivolta alcuna delle professioniste, neppure quando uno dopo l’altro si sono susseguiti gli scandali tipicamente italiani denominati Vallettopoli.

In tale contesto ha prosperato il mito del leader sciupafemmine, invidiabile anche per questo. Fiducioso di godere della complicità maschile, ma anche della rassegnata subalternità di coloro fra le donne che non possano aspirare a farsi desiderare come veline.

Tale è stata finora l’assuefazione a un modello unico femminile – parossistico e come tale improponibile negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito, in Germania, in Spagna – da far sembrare audacissima la denuncia del “velinismo politico” quando l’ha proposta su “FareFuturo” la professoressa Sofia Ventura. Come se la rappresentazione degradante della donna nella cultura di massa non avesse niente a che fare con la cronica limitazione italiana nell’accesso di personalità femminili a incarichi di vertice. Una strozzatura che paghiamo perfino in termini di crescita economica, oltre che civile.

Così le ormai numerose indiscrezioni sugli “spettacolini” imbanditi nelle residenze private di Berlusconi in stile harem – mai smentite, sempre censurate dalle tv di regime – confermano la gravità della denuncia di Veronica Lario: “Figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica”. Una sistematica offesa alla dignità della donna italiana resa possibile dal fatto che “per una strana alchimia il paese tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore”.

Logica vorrebbe che dopo le ripetute menzogne sulla vicenda di Noemi Letizia tale indulgenza venga meno.
La cultura misogina di cui è intriso il padrone d’Italia – ma insieme a lui vasti settori della società – risulta anacronistica e quindi destinata a andare in crisi. Si rivela inadeguata al governo di una nazione moderna.
Convinto di poter dominare dall’alto, con l’aiuto dei suoi bravi mediatici, anche una realtà divenuta plateale, l’anziano don Rodrigo del Duemila per la prima volta rischia di inciampare sul terreno che gli è più congeniale: l’onnipotenza seduttiva, la cavalcata del desiderio. L’incantesimo si è rotto, non a caso, per opera di una donna. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Società e costume Sport

A Berlusconi non gliene va bene una.”Sono anni che compri bidoni e figurine, quest’anno chi compri … le veline?”

Nel giorno della festa di Maldini, settantamila persone con una sciarpa celebrativa in mano, lo stadio di San Siro ha messo in scena anche una contestazione alla società e a Berlusconi, arrivato allo stadio proprio per festeggiare l’addio al Meazza del capitano rossonero. Ma ha trovato un clima molto diverso da quello che si aspettava. Dal secondo anello della curva sud dello stadio, dove risiede il tifo ultrà rossonero, sono arrivati anche fischi indirizzati alla società e al presidente del Milan. E soprattutto sono stati esposti pesanti striscion di contestazione. Il più pesante questo: “Sono anni che compri bidoni e figurine, quest’anno chi compri … le veline?”. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità Società e costume

Il padre della fanciulla che chiama papi il premier annuncia querele.

Il padre di Noemi annuncia la querela “Il racconto di Flaminio è diffamatorio”-repubblica.it

ROMA – Benedetto Elio Letizia, padre di Noemi, annuncia, in un comunicato dettato all’agenzia Ansa dal suo legale, l’avvocato Giulio Costanzo, la decisione di querelare Repubblica e l’ex fidanzato della figlia Gino Flaminio. Il giovane nell’intervista rilasciata a Repubblica racconta come il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha conosciuto Noemi.

Secondo Letizia, “il racconto reso dal signor Flaminio, apparso oggi sul quotidiano la Repubblica e relativo a mia figlia Noemi, è gravemente diffamatorio, perché le attribuisce cose mai fatte nè dette nè pensate. Ciò che si legge è un nuovo momento di mera notorietà che il quotidiano la Repubblica, strumentalizzando, ha voluto concedere al signor Flaminio, a danno nuovamente dell’immagine di mia figlia Noemi”.

“Ovvio – conclude Letizia – che il signor Flaminio, nonché il quotidiano la Repubblica, dovranno rispondere di tutto in tribunale. Abbiamo già chiesto, infatti, ai nostri legali di redigere e sporgere querela. Naturalmente saranno chiamati a rispondere anche tutti coloro che dovessero riprendere in tutto o in parte questa incredibile narrazione”. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità democrazia Società e costume

L’intervista all’ex fidanzato della fanciulla che chiama papi il premier: un colpo durissimo al consenso in vista delle elezioni.

Parla Gino, l’ex fidanzato della ragazza di Portici. La prima telefonata del Cavaliere: “Sono colpito dal tuo viso angelico”. “Così papi Berlusconi entrò nella vita di Noemi” di GIUSEPPE D’AVANZO e CONCHITA SANNINO-la Repubblica

NAPOLI – Il 14 maggio Repubblica ha rivolto al presidente del consiglio dieci domande che apparivano necessarie dinanzi alle incoerenze di un “caso politico”. Veronica Lario, infatti, ha proposto all’opinione pubblica e alle élites dirigenti del Paese due affermazioni e una domanda che hanno rimosso dal discreto perimetro privato un “affare di famiglia” per farne “affare pubblico”. Le due, allarmanti certezze della moglie del premier – lo ricordiamo – descrivono i comportamenti del presidente del Consiglio: “Mio marito frequenta minorenni”; “Mio marito non sta bene”.

Al contrario, la domanda posta dalla signora Lario – se ne può convenire – è crudamente politica e mostra le pratiche del “potere” di Silvio Berlusconi, pericolosamente degradate quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate “veline” senza altro merito che un bell’aspetto e l’amicizia con il premier, legami nati non si sa quando, non si sa come. “Ciarpame politico” dice la moglie del premier.
Silvio Berlusconi non ha ritenuto di rispondere ad alcuna delle domande di Repubblica.

E, dopo dieci giorni, Repubblica prova qui a offrire qualche traccia e testimonianza per risolvere almeno alcuni dei quesiti proposti. Per farlo bisogna raggiungere Napoli, una piccola fabbrica di corso San Giovanni e poi un appartamento, allegramente affollato di amici, nel popolare quartiere del Vasto a ridosso dei grattacieli del Centro Direzionale. Sono i luoghi di vita e di lavoro di Gino Flaminio.

Gino, 22 anni, operaio, una passione per la kickboxing, è stato per sedici mesi (dal 28 agosto del 2007 al 10 gennaio del 2009) l'”amore” di Noemi Letizia, la minorenne di cui il premier ha voluto festeggiare il diciottesimo anno in un ristorante di Casoria, il 26 aprile. Gino e Noemi si sono divisi, per quel breve, intenso, felice periodo le ore, i sogni, il fiato, le promesse. “Quando non dormivo da lei a Portici – è capitato una ventina di volte – o quando lei non dormiva qui da me, il sabato che non lavoravo mi tiravo su alle sei del mattino per portarle la colazione a letto; poi l’accompagnavo a scuola e ci tornavo poi per riportarla indietro con la mia Yamaha. Lei qualche volta veniva a prendermi in fabbrica, la sera, quando poteva”.

Gino Flaminio è in grado di dire quando e come Silvio Berlusconi è entrato nella vita di Noemi. Come quel “miracolo” (così Gino definisce l’inatteso irrompere del premier) ha cambiato – di Noemi – la vita, i desideri, le ambizioni e più tangibilmente anche il corpo, il volto, le labbra, gli zigomi; in una parola, dice Gino, “i valori”. Il ragazzo può raccontare come quell’ospite inaspettato dal nome così importante che faceva paura anche soltanto a pronunciarlo nel piccolo mondo di gente che duramente si fatica la giornata e un piatto caldo, ha deviato anche la sua di vita. Quieto come chi si è ormai pacificato con quanto è avvenuto, Gino ricorda: “Mi è stato quasi subito chiaro che tra me e la mia memi non poteva andare avanti. Era come pretendere che Britney Spears stesse con il macellaio giù all’angolo…”.

È utile ricordare, a questo punto, che il primo degli enigmi del “caso politico” è proprio questo: come Berlusconi ha conosciuto Noemi, la sua famiglia, il padre Benedetto “Elio” Letizia, la madre Anna Palumbo?
A Berlusconi è capitato di essere inequivocabile con la Stampa (4 maggio): “Io sono amico del padre, punto e basta. Lo giuro!”. Con France2 (6 maggio), il capo del governo è stato ancora più definitivo. Ricordando l’antica amicizia di natura politica con il padre Elio, Berlusconi chiarisce: “Ho avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori. Questo è tutto”.

Un affetto che il presidente del consiglio ha ripetuto ancor più recentemente quando ha presentato Noemi “in società”, per così dire, durante la cena che il governo ha offerto alle “grandi firme” del made in Italy a Villa Madama, il 19 novembre 2008: “È la figlia di miei cari amici di Napoli, è qui a Roma per uno stage” (Repubblica, 21 maggio). All’antico vincolo politico, accenna anche la madre di Noemi, Anna: “[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista”.

Berlusconi, qualche giorno dopo (e prima di essere smentito da Bobo Craxi), conferma. “[Elio] lo conosco da anni, è un vecchio socialista ed era l’autista di Craxi”. (Ansa, 29 aprile, ore 16,34). Più evasiva Noemi: “[Di come è nato il contatto familiare] non ricordo i particolari, queste cose ai miei genitori non le ho chieste”. (Repubblica, 29 aprile). Decisamente inafferrabile e chiuso come un riccio, il padre Elio (ha rifiutato di prendere visione di quest’ultima ricostruzione di Repubblica). Chiedono a Letizia: ci spiega come ha conosciuto Berlusconi? “Non ho alcuna intenzione di farlo” (Oggi, 13 maggio).

Gino ascolta questa noiosa tiritera con un sorriso storto sulle labbra, che non si sa se definire avvilito o sardonico. C’è un attimo di silenzio nella stanza al Vasto, un silenzio lungo, pesante come d’ovatta, rispettato dagli amici che gli stanno accanto; dalla sorella Arianna; dal padre Antonio; dalla madre Anna. È un silenzio che si fa opprimente in quella cucina, fino a un attimo prima rumorosa di risate e grida. La madre, Anna, si incarica di spezzarlo: “Quando un giorno Gino tornò a casa e mi disse che Noemi aveva conosciuto Berlusconi, lo presi in giro, non volli chiedergli nemmeno perché e per come. Mi sembrava ridicolo. Berlusconi dalle nostre parti? E che ci faceva, Berlusconi qui? Ripetevo a Gino: Berlusconi, Berlusconi! (gonfia le guance con sarcasmo). Un po’ ne ridevo, mi sembrava una buffonata di ragazzi”.

Gino la guarda, l’ascolta paziente e finalmente si decide a raccontare:
“I genitori di Noemi non c’entrano niente. Il legame era proprio con lei. È nato tra Berlusconi e Noemi. Mai Noemi mi ha detto che lui, papi Silvio parlava di politica con suo padre, Elio. Non mi risulta proprio. Mai, assolutamente. Vi dico come è cominciata questa storia e dovete sapere che almeno per l’inizio – perché poi quattro, cinque volte ho ascoltato anch’io le telefonate – vi dirò quel che mi ha raccontato Noemi. Il rapporto tra Noemi e il presidente comincia più o meno intorno all’ottobre 2008. Noemi mi ha raccontato di aver fatto alcune foto per un “book” di moda. Lo aveva consegnato a un’agenzia romana, importante – no, il nome non me lo ricordo – di quelle che fanno lavorare le modelle, le ballerine, insomma le agenzie a cui si devono rivolgere le ragazze che vogliono fare spettacolo. Noemi mi dice che, in quell’agenzia di Roma, va Emilio Fede e si porta via questi “book”, mica soltanto quello di Noemi. Non lo so, forse gli servono per i casting delle meteorine. Il fatto è – ripeto, è quello che mi dice Noemi – che, proprio quel giorno, Emilio Fede è a pranzo o a cena – non me lo ricordo – da Berlusconi. Finisce che Fede dimentica quelle foto sul tavolo del presidente. È così che Berlusconi chiama Noemi. Quattro, cinque mesi dopo che il “book” era nelle mani dell’agenzia, dice Noemi. È stato un miracolo, dico sempre. Dunque, dice Noemi che Berlusconi la chiama al telefono. Proprio lui, direttamente. Nessuna segretaria. Nessun centralino. Lui, direttamente. Era pomeriggio, le cinque o le sei del pomeriggio, Noemi stava studiando. Berlusconi le dice che ha visto le foto; le dice che è stato colpito dal suo “viso angelico”, dalla sua “purezza”; le dice che deve conservarsi così com’è, “pura”. Questa fu la prima telefonata, io non c’ero e vi sto dicendo quel che poi mi riferì Noemi, ma le credo. Le cose andarono così perché in altre occasioni io c’ero e Noemi, così per gioco o per convincermi che davvero parlava con Berlusconi, m’allungava il cellulare all’orecchio e anch’io sentii dalla sua voce quella cosa della “purezza”, della “faccia d’angelo”. E poi, una volta, ha aggiunto un’altra cosa del tipo: “Sei una ragazza divina”. Berlusconi, all’inizio, non ha detto a Noemi chi era. In quella prima telefonata, le ha fatto tante domande: quanti anni hai, cosa ti piacerebbe fare, che cosa fanno tua madre e tuo padre? Studi? Che scuola fai? Una lunga telefonata. Ma normale, tranquilla. E poi, quando Noemi si è decisa a chiedergli: “Scusi, ma con tutte queste domande, lei chi è?”, lui prima le ha risposto: “Se te lo dico, non ci credi”. E poi: “Ma non si sente chi sono?”. Quando Noemi me lo raccontò, vi dico la verità, io non ci credevo. Poi, quando ho sentito le altre telefonate e ho potuto ascoltare la sua voce, proprio la sua, di Berlusconi, come potevo non crederci? Noemi mi diceva che era sempre il presidente a chiamarla. Poi, non so se chiamava anche di suo, non me lo diceva e io non lo so. Lei al telefono lo chiamava papi tranquillamente. Anche davanti a me. Magari stavamo insieme, Noemi rispondeva, diceva papi e io capivo che si trattava del presidente. Quando ho assistito ad alcune telefonate tra Berlusconi e Noemi, ho pensato che fosse un rapporto come tra padre e figlia. Una sera, Emilio Fede e Berlusconi – insieme – hanno chiamato Noemi. Lo so perché ero accanto a lei, in auto. Ora non saprei dire perché il presidente le ha passato Emilio Fede, non lo so. Pensai che Fede dovesse preparare dei “provini” per le meteorine, quelle robe lì”. (Ieri, a tarda sera, durante Studio Aperto, Fede ha affermato di aver conosciuto la nonna di Noemi. Repubblica ha chiesto a Gino se, in qualche occasione, Noemi avesse fatto cenno a questa circostanza. “Mai, assolutamente”, è stata la risposta del ragazzo).

“Comunque, quella sera, sentii prima la voce del presidente e poi quella di Emilio Fede – continua Gino – Non voglio essere frainteso o creare confusione in questa tarantella, da cui voglio star lontano. Nelle telefonate che ho sentito io, Berlusconi aveva con Noemi un atteggiamento paterno. Le chiedeva come era andata a scuola, se studiava con impegno, questa roba qui. Io però ho cominciato a fuggire da questa situazione. Non mi piaceva. Non mi piaceva più tutto l’andazzo. Non vedevo più le cose alla luce del giorno, come piacevano a me. Mi sentivo il macellaio giù all’angolo che si era fidanzato con Britney Spears. Come potevo pensare di farcela? Gliel’ho detto a Noemi: questo mondo non mi piace, non credo che da quelle parti ci sia una grande pulizia o rispetto. Mi dispiaceva dirglielo perché io so che Noemi è una ragazza sana, ancora infantile che non si separa mai dal suo orsacchiotto, piccolo, blu, con una croce al collo, “il suo teddy”. Una ragazza tranquilla, semplice, con dei valori. Con i miei stessi valori, almeno fino a un certo punto della nostra storia”.

Intorno a Gino, questo racconto devono averlo già sentito più d’una volta perché ora che il ragazzo ha deciso di raccontare a degli estranei la storia, la tensione è caduta come se la famiglia, i vicini di casa, gli amici già l’avessero sentita in altre occasioni o magari a spizzichi e bocconi. C’è chi si distrae, chi parlotta d’altro, chi parla al telefono, chi si prepara a uscire per il venerdì notte. Gino sembra non accorgersene. Non perde il filo e a tratti pare ricordare, ancora una volta, a se stesso come sono andate le cose.

“Ho cominciato a distaccarmi da Noemi già a dicembre. Però la cosa che proprio non ho mandato giù è stata la lunga vacanza di Capodanno in Sardegna, nella villa di lui. Noemi me lo disse a dicembre che papi l’aveva invitata là. Mi disse: “Posso portare un’amica, un’amica qualunque, non gli importa. Ci saranno altre ragazze”. E lei si è portata Roberta. E poi è rimasta con Roberta per tutto il periodo. Io le ho fatto capire che non mi faceva piacere, ma lei da quell’orecchio non ci sentiva. Così è partita verso il 26-27 dicembre ed è ritornata verso il 4-5 gennaio. Quando è tornata mi ha raccontato tante cose. Che Berlusconi l’aveva trattata bene, a lei e alle amiche. Hanno scherzato, hanno riso… C’erano tante ragazze. Tra trenta e quaranta. Le ragazze alloggiavano in questi bungalow che stavano nel parco. E nel bungalow di Noemi erano in quattro: oltre a lei e a Roberta, c’erano le “gemelline”, ma voi sapete chi sono queste “gemelline”? Penso anche che lei mi abbia detto tante bugie. Lei dice che Berlusconi era stato con loro solo la notte di Capodanno. Vi dico la verità, io non ci credo. Sono successe cose troppo strane. Io chiamavo Noemi sul cellulare e non mi rispondeva mai. Provavo e riprovavo, poi alla fine mi arrendevo e chiamavo Roberta, la sua amica, e diventavo pazzo quando Roberta mi diceva: no, non te la posso passare, è di là – di là dove? – o sta mangiando: e allora?, dicevo io, ma non c’era risposta. Per quella vacanza di fine anno, i genitori accompagnarono Noemi a Roma. Noemi e Roberta si fermarono prima in una villa lì, come mi dissero poi, e fecero in tempo a vedere davanti a quella villa tanta gente – giornalisti, fotografi? – , poi le misero sull’aereo privato del presidente insieme alle altre ragazze, per quello che mi ha detto Noemi… Al ritorno, Noemi non è stata più la mia Noemi, la mia alicella (acciuga, ndr), la ragazza semplice che amavo, la ragazza che non si vergognava di venirmi a prendere alla sera al capannone. A gennaio ci siamo lasciati. Eravamo andati insieme, prima di Natale, a prenotare per la sua festa di compleanno il ristorante “Villa Santa Chiara” a Casoria, la “sala Miami” – lo avevo suggerito io – e già ci si aspettava una “sorpresa” di Berlusconi, ma nessuno credeva che la sorpresa fosse proprio lui, Berlusconi in carne e ossa. Ci siamo lasciati a gennaio e alla festa non ci sono andato. L’ho incontrata qualche altra volta, per riprendermi un oggetto di poco prezzo ma, per me, di gran valore che era rimasto nelle sue mani. Abbiamo avuto il tempo, un’altra volta, di avere un colloquio un po’ brusco. Le ho restituito quasi tutte le lettere e le foto. Le ho restituito tutto – ho conservato poche cose, questa lettera che mi scrisse prima di Natale, qualche foto – perché non volevo che lei e la sua famiglia pensassero che, diventata Noemi Sophia Loren, io potessi sputtanarla. Oggi ho la mia vita, la mia Manuela, il mio lavoro, mille euro al mese e va bene così ché non mi manca niente. Certo, leggo di questo nuovo fidanzato di Noemi, come si chiama?, che non s’era mai visto da nessuna parte anche se dice di conoscerla da due anni e penso che Noemi stia dicendo un sacco di bugie. Quante bugie mi avrà detto sui viaggi. A me diceva che andava a Roma sempre con la madre. Per dire, per quella cena del 19 novembre 2008 a Villa Madama mi raccontò: “Siamo stati a cena con il presidente, io, papà e mamma allo stesso tavolo”. Non c’erano i genitori seduti a quel tavolo? Allora mi ha detto un’altra balla. Quella sera le sono stati regalati una collana e un bracciale, ma non di grosso valore. E il presidente ha fatto un regalo anche a sua madre. Sento tante bugie, sì, e comunque sono fatti di Noemi, dei suoi genitori, di Berlusconi, io che c’entro?”.

Le parole di Gino Flaminio appaiono genuine, confortate dalle foto, dalla memoria degli amici (che hanno le immagini di Noemi e Gino sui loro computer), da qualche lettera, dai ricordi dei vicini e dei genitori, ma soprattutto dall’ostinazione con cui il ragazzo per settimane si è nascosto diventando una presenza invisibile nella vita di Noemi. Repubblica lo ha rintracciato con fatica, molta pazienza e tanta fortuna nella fabbrica di corso San Giovanni dove tutti i suoi compagni di lavoro conoscono Noemi, la storia dell’amore perduto di Gino. Compagni di lavoro che – fino alla fine – hanno provato a proteggerlo: “Gino? E chi è ‘sto Gino Flaminio?” e Gino se ne stava nascosto dietro un muro.

La testimonianza del ragazzo consente di liquidare almeno cinque domande dalla lista di dieci che abbiamo proposto al capo del governo. La ricostruzione di Gino permette di giungere a un primo esito: Silvio Berlusconi ha mentito all’opinione pubblica in ogni passaggio delle sue interviste. Nei giorni scorsi, come quando disse a France2 di aver “avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori”. O ancora ieri a Radio Montecarlo dove ha sostenuto di essersi addirittura “divertito a dire alla famiglia, di cui sono amico da molti anni, che non desse risposte su quella che è stata la nostra frequentazione in questi anni”. Come di cartapesta è la scena – del tutto artefatta – disegnata dalle testate (Chi) della berlusconiana Mondadori.

Il fatto è che Berlusconi non ha mai conosciuto Elio Letizia né negli “anni passati”, né negli “ambienti socialisti”. Mai Berlusconi ha discusso con Elio Letizia di politica e tantomeno delle candidature delle Europee (Porta a porta, 5 maggio). Berlusconi ha conosciuto Noemi. Le ha telefonato direttamente, dopo averne ammirato le foto e aver letto il numero di cellulare su un “book” lasciatogli da Emilio Fede. Poi, nel corso del tempo, l’ha invitata a Roma, in Sardegna, a Milano.
Le evidenti falsità, diffuse dal premier, gli sarebbero costate nel mondo anglosassone, se non una richiesta di impeachment, concrete difficoltà politiche e istituzionali. Nell’Italia assuefatta di oggi, quella menzogna gli vale un’altra domanda: perché è stato costretto a mentire? Che cosa lo costringe a negare ciò che è evidente? È vero, come sostiene Noemi, che Berlusconi ha promesso o le ha lasciato credere di poter favorire la sua carriera nello spettacolo o, in alternativa, l’accesso alla scena politica (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile)? Dieci giorni dopo, ci sono altre ragionevoli certezze. È confermato quel che Veronica Lario ha rivelato a Repubblica (3 maggio): il premier “frequenta minorenni”. Noemi, nell’ottobre del 2008, quando riceve la prima, improvvisa telefonata di Berlusconi ha diciassette anni, come Roberta, l’amica che l’ha accompagnata a Villa Certosa. La circostanza rinnova l’ultima domanda: quali sono le condizioni di salute del presidente del Consiglio? (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità democrazia Società e costume

Sindrome borderline: ogni riferimento a fatti o persone attualmente esistenti è puramente casuale. O forse no.

(fonte: AGI)
Molti imperatori romani -come Caligola o Nerone, ma anche Giulio Cesare- soffrivano della sindrome borderline, un disturbo della personalita’ caratterizzata da un’instabilita’ pervasiva dello stato d’animo, delle relazioni interpersonali, dell’immagine di se’ e del comportamento; e proprio questa patologia spiegherebbe il comportamento stravagante e a tratti anche folle di molti ‘cesari’.

Ne e’ convinto un psicologo emozionale docente all’Universita’ di Gotinga, Borwin Bandelow, autore di un articolo che la rivista scientifica tedesca “P.M.Perspective” pubblicera’ sul suo prossimo numero. Secondo lo studioso, la cosiddetta “pazzia dei cesari” non era una conseguenza del potere raggiunto, “bensi’ la condizione per raggiungerlo”. I dittatori romani erano emozionalmente instabili e proprio per questo motivo -sostiene l’esperto- riuscivano a raggiungere l’apice della piramide del potere, a Roma.

Alla ricerca di continue conferme, gli imperatori romani avevano comportamenti autodistruttivi e distruttivi degli altri; e sebbene spesso arrivassero da famiglia sconquassate, in realta’ l’origine reale della loro pazzia e’ da rintracciare in un’alterazione congenita ed ereditaria del sistema neurotrasmettitore.

“Tra i narcisisti, ma ancora di piu’ tra i pazienti con la sindrome borderline, il sistema di ricompensa nel cervello non funziona corerttamente”. “Per questo e’ necessario stimolare con forza i recettori delle endorfine per provocare nuovi sentimenti”, ma alcuni imperatori romani raggiungevano questo obbiettivo solo con eccessi di violenza e comportamenti senza freni ed esagerati. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Società e costume

L’Italia nella crisi:”sembrerebbe quasi la fine di una lunga fase di imborghesimento della società italiana e l’inizio, per il ceto medio, della paura di perdere terreno.”

Censis: colpiti dalla crisi la metà degli italiani, il 60% riduce i consumi-sole24ore.com
La crisi ha avuto «ripercussioni significative» su un italiano su due, ma ha consentito ai consumatori di «fare pace con l’euro».

Sono le conclusioni a cui arriva la quarta e ultima edizione del “Diario della crisi”, redatto dal Censis, secondo il quale il 47,6% degli italiani è stato «toccato concretamente» dalle difficoltà economiche, «anche se con intensità differenti: quasi il 40% ha subito perdite nei propri investimenti, mentre il 30% ha subito una riduzione del reddito». Allo stesso tempo, «circa il 60% ha cercato di ridurre i consumi, senza grandi differenze tra chi è intervenuto sulle spese in generale e chi solo su quelle voluttuarie», mentre si è ridotta ulteriormente la già modesta tendenza ad indebitarsi: il ricorso al credito al consumo è infatti sceso del 10% nei primi tre mesi dell’anno rispetto al 2008.

Il Censis sottolinea però che «uno degli effetti più imprevedibili della crisi è quello di aver avviato una fase meno risentita nel rapporto tra gli italiani e la moneta unica europea». In particolare, «il mondo dei salariati a reddito fisso ha conosciuto una piccola rivincita su tutti coloro che erano riusciti a speculare con l’euro. Grazie ad un’inflazione sostanzialmente ferma, al calo dei mutui e dei prezzi del carburante, vi è stato un recupero del potere d’acquisto di questa categoria».

Nonostante ciò, rimarca ancora il Censis, al momento resta «la confusione del ceto medio», che sta pagando la fine delle certezze passate, come la crescita costante, il welfare e la sicurezza del lavoro «specialmente per i figli». Secondo l’istituto di ricerca, «sembrerebbe quasi la fine di una lunga fase di imborghesimento della società italiana e l’inizio, per il ceto medio, della paura di perdere terreno». Una paura ancora forte, tanto che per il 68,3% degli intervistati «non è affatto vero che ormai abbiamo toccato il fondo». Per il 55% degli italiani «il soggetto pubblico non ha fatto qualcosa di concreto per famiglie e imprese», il 15% dei cittadini ha mostrato apprezzamento per il lavoro svolto da Comuni, Province e Regioni. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

E la crisi consumò lo shopping.

Crisi del consumo o crisi del consumismo? di Daniela Ostidich* e Cabirio Cautela*-Il Manifesto

La crisi, ci dicono alcuni ottimisti, non ultimo il nostro Ministro dell’Economia, passerà presto. Sarà anche vero – speriamo – ma l’impressione di chi per professione si confronta quotidianamente con le dinamiche del consumo, è che i riflessi di questa crisi sugli atteggiamenti delle persone non saranno passeggeri. Senza il supporto di particolari ideologie, e trasversalmente per livelli sociali e nazioni diverse, le persone sono state particolarmente colpite (psicologicamente se non finanziariamente) da una crisi che ha messo in evidenza la fragilità di una economia basata sull’acquisto del superfluo, sul precario equilibrio del crescente indebitamento, sulla velocità degli scambi e sull’idea di innovazione e crescita continua.

Ma che relazione esiste tra la crisi – che qualcuno addebita alla “finanziarizzazione” dell’economia reale – e lo shopping, argomento in precedenza bistrattato, oramai entrato nelle aule accademiche sotto domini disciplinari come la sociologia dei consumi, il marketing, l’antropologia culturale? Sicuramente lo shopping – come ci insegnano i sociologi – affascina con molteplici seduzioni le persone, sin dalle origini dell’umanità – nelle sue differenti forme – ma questo momento storico ci offre l’opportunità di analizzarlo in modo più distaccato, fermando il fotogramma e consentendo una riflessione che vada alle radici del suo significato più profondo. È un momento di lutto, insomma, che impone una riflessione seria. Per questo colpisce il modo ancora splendidamente ottimista, quasi fatalistico, e comunque sempre molto – troppo – lontano dalla realtà, con cui certi sociologi guardano al fenomeno del consumo oggi (si veda l’articolo di Vanni Codeluppi su Il Manifesto del 20 marzo 2009).

La nostra convinzione è che lo shopping si configuri come una rete, sia che lo si veda dal punto di vista dello scambio (atto/luogo di acquisto), che della destinazione (i regali, i doni, gli acquisti per altri), che negli aspetti di auto percezione e costruzione della propria identità (rispetto ad una rete sociale esterna), che nella struttura urbanistica del territorio (che diventa tramite le strutture del commercio anche rete di mobilità e direzioni di socialità). La merce è il tramite attraverso cui s’innestano, si sviluppano e si attivano reti di relazione. Attività che viviamo quotidianamente, dal lavoro, alla cura di sé, dallo sport alla mobilità sono universi reticolari di cui le merci costituiscono spesso le infrastrutture, i nodi, la materia che quelle reti abilitano, supportano, condizionano, affermano.

Tutto ciò diventa ancora più fondante in epoche di crisi dove la rete è ancora di salvezza.

In questa visione la “merce” è accesso a reti di relazioni e svela qualcosa del momento storico in quanto ne incarna – almeno in parte – i miti e le preoccupazioni.

La visione più interessante del consumo attuale è quella che lo definisce “liquido”; di merce quindi che appare anch’essa “liquida”, nel senso in cui la intende Zygmunt Bauman: acquista valore per perderlo immediatamente dopo l’acquisto, destino seguito dallo stesso acquirente – “liquido” – che è spinto a livelli di consumo ulteriori dal fatto di spartire con l’oggetto dei suoi desideri – momentanei – la stessa caduca appetibilità.

Se cerchiamo invece le radici più profonde, e quindi più umane, e più vere, delle merci, ci si rende conto come non tutto è riducibile a liquidità. Esistono infatti – ed è impossibile negarlo, se non disegnando una società ben diversa dalla realtà – anche dei consumi “solidi”, con contenuti valoriali ben radicati nelle necessità delle persone: la mela acquistata e mangiata per fame, il regalo fatto o ricevuto da chi si ama – e consumi “gassosi”, che pur non scambiando merci materiali si strutturano su scambi di informazioni, conoscenze, esperienze. Come definire, altrimenti azioni che pur sempre rientrano nella categoria dei consumi come quelli legati alle community e ai social network sul web?

La complessità dello shopping è tale da non poterla semplificare in variabili prospettiche o sottili: è elemento politico – da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Insomma, ci sembra di dover lanciare un appello, sfruttando proprio questo momento economico caratterizzato da una straordinaria crisi che riguarda proprio i consumi. Innanzitutto che per la tensione verso l’interpretazione delle tendenze future non si dimentichi l’analisi della bieca realtà, considerando tutte le dimensioni che lo shopping riveste nella quotidianità delle persone.

Lo shopping in quanto attivatore di reti, per il tramite di merci, è oggetto d’analisi poliedrico che richiede un intervento congiunto di quei domini disciplinari che studiano fenomeni reticolari: le scienze sociali, il design dei servizi, l’urbanistica. La dimensione esperienziale è sicuramente importante e rivelatrice ma non può avocare a sé solamente la capacità di dare significato all’atto del consumo.

In secondo luogo che per amore della materia (la sociologia dei consumi) non ci si scordi di chi consumare non può. L’inferno dei consumi esiste – che Codeluppi se ne renda conto: purtroppo, non è una visione apocalittica che fa dire a Censis che il 13% degli italiani (2008) sono sotto la soglia di povertà. Ed è questo il punto cruciale che segna il salto della crisi – da congiunturale a strutturale – come direbbero gli economisti “vecchia maniera”. Il sistema attuale non solo non garantisce a certi strati sociali l’acquisizione materiale di merci; ma a ciò si aggiunge l’impossibilità di attivare, attraverso gli acquisti, quelle reti (sociali, logistiche, commerciali, relazionali) che sono alla base del funzionamento del sistema di scambio capitalistico. Chi non consuma non accede e non attiva reti relazionali, dirette e derivate, che vivono per il tramite delle merci acquistate.E’ compito di chi governa i sistemi economici e di distribuzione dei redditi garantire questo diritto di accesso – definibile anche in termini di dignità della persone – ma è anche compito di chi studia i consumi tener conto che non è eticamente e metodologicamente proponibile proporre una lettura del sociale che partendo dal presupposto che lo shopping sia rivelatore di dinamiche condivise neghi la rilevanza (o non riconosca l’esistenza) anche di coloro che accesso al consumo non hanno.(Beh, buona giornata).

* Co-autori di “Hell-Paradise Shopping”, L’inferno e il paradiso degli acquisti e del consumo, Franco Angeli, 2009

Share
Categorie
democrazia Leggi e diritto Salute e benessere Società e costume

L’ombra del Cupolone sul Campidoglio: la giunta Alemanno e il fondamentalismo cattolico.

Suscita polemiche l’Agenzia Comunale per le adozioni e l’affidamento, favorevole il XX Municipio.
Posizioni contrastanti soprattutto sui toni e le affermazioni del testo introduttivo al decreto comunale.
di Alessandra Loffredi-Zona.

Nei primi giorni di aprile il Consiglio del XX Municipio, non senza contrasti, esprimeva parere favorevole nei confronti della delibera comunale per l’istituzione di un’ Agenzia delle Adozioni e dell’Affidamento. Promossa dal Consigliere Capitolino Bianconi, la proposta del Consiglio Comunale ha scatenato discussioni in tutti i Municipi interessati, non tanto riguardo ai contenuti dei suoi quattro punti, quanto piuttosto alla forma e alle affermazioni contenute nella premessa che la supportava.

“Sebbene mi renda conto che le premesse contenute nel decreto possano non essere condivisibili – è opinione di Clarissa Casasanta, Consigliere del nostro Municipio – non dobbiamo permettere che spostino la nostra attenzione da quei possibili interventi, che si renderebbero così attivi sul dispositivo risolutivo, comunque a favore di una fascia debole e fortemente svantaggiata”. Molto diversa la posizione di Elisa Paris, vicepresidente della Commissione Pari Opportunità, che non dissente sulla promozione della riforma dei Consultori e il potenziamento dei Servizi Sociali del Municipio, ma che ritiene la formulazione del decreto un evidente “attacco alla legge 194” poiché “quanto contenuto nella prima parte risulta sconnesso dal deliberativo finale, apparendo più un’affermazione fortemente ideologica che un testo istituzionale”.

Che sia il fine a giustificare i mezzi, o siano piuttosto i mezzi a mascherare un diverso fine, il decreto richiede un’accurata lettura (http://femminismo-a-sud.noblogs.org/gallery/77/Delibera%20sulla%20194.pdf). Nella sua apparente sostanza, presenterebbe interventi effettivamente non innovativi, ma che piuttosto fornirebbero un ulteriore supporto ad aiuti già previsti. “Istituire un’Agenzia Comunale per le adozioni e l’affidamento, affinché la donna non si ritrovi sola nella scelta della vita, il cui compito sia quello di favorire adozioni, con procedura riservata ed urgente, per quei bambini che sono sottratti ad una decisione abortiva di qualunque tipo” recita il primo punto del decreto.

Ebbene, la Legge consente già alle donne, che pur intendendo rinunciare al bambino decidono comunque di portare a termine la loro gravidanza, di partorire assistite in ospedale, nel più assoluto anonimato, non riconoscendo poi il piccolo, che diventa evidentemente presto adottabile. Inoltre, la legge 194 prevede la possibilità di una collaborazione mediante apposite convenzioni dei Consultori familiari con le associazioni di volontariato che hanno lo scopo di assistere le maternità in difficoltà sia prima che dopo la nascita.

“Istituire un fondo per il sostegno economico di giovani ragazze madri appartenenti a qualsiasi nazionalità, finalizzato alla prima accoglienza e all’educazione primaria dei bambini, attraverso l’erogazione di somme in denaro per i primi trentasei mesi di vita” prosegue il decreto. Nel secondo punto, fa sue e amplia forme di sostegno economico già proposte da associazioni di aiuto alla vita come il CAV (collegato con il Movimento italiano per la vita), che con il suo “Progetto Gemma” prevede l’erogazione di una somma minima di 160 euro per 18 mesi tramite il CAV locale (che, ovviamente, vi aggiunge tutti gli aiuti necessari al singolo caso, nei limiti delle sue possibilità). Resta comunque evidente che un miglior sostegno alla maternità, più che contributi parziali, richiederebbe lo stanziamento di fondi per la tutela del lavoro e dei diritti delle donne. “Promuovere, in accordo con lo spirito della legge 194, la riforma dei Consultori, rafforzandone il ruolo sociale di prevenzione all’aborto e di sostegno alle famiglie, previa idonea formazione del personale pubblico”. Ecco che nel suo terzo punto il decreto si presta a diverse interpretazioni. Con la legge 405/1975 si istituivano i consultori e con una successiva modifica del 1996 si prevedeva la presenza di un consultorio familiare ogni 20mila abitanti. Ai consultori veniva riconosciuto un compito fondamentale: trasmettere alle donne la competenza e la conoscenza necessarie per essere in grado di vigilare sulla propria salute riproduttiva, dall’adolescenza alla menopausa. Occupandosi di supportare una maternità responsabile e dunque comprendendo anche le interruzioni di gravidanza, che la legge 194 aveva sottratto alla clandestinità (con una media di 350mila aborti clandestini all’anno).

Grazie ad un approccio multidisciplinare si sosteneva nella donna la sua capacità di autodeterminazione. Questo quanto previsto dalla legge, ma non sempre praticato con efficacia. Bene quindi rafforzare “il ruolo sociale” dei Consultori, ma perché limitarne l’energia alla sola “prevenzione all’aborto”? Stando ai fatti, una diffusa e praticata conoscenza dei metodi anticoncezionali rappresenta la migliore barriera per limitare i casi di aborto (ricordiamo che a ricorrevi sono moltissime minorenni). Questa “idonea formazione del personale pubblico”è forse intesa in tal senso? O piuttosto l’opera di “sostegno alle famiglie” si limiterebbe a quei casi dove si rinunci a praticare un’interruzione di gravidanza? Infine, il quarto punto del decreto, indica di “potenziare, attraverso i Servizi Sociali dei Municipi il sostegno, sia in termini economici che di assistenza alle famiglie, dei malati gravi e dei portatori di handicap più bisognosi”, passando dai temi inerenti l’interruzione di gravidanza ad altro. O forse no? Questo, stando al testo effettivo del decreto, come si vede, piuttosto sintetico. Ampia e ricca di citazioni (persino ingiustificate, dal Papa a Giuliano Ferrara, passando per Pasolini e Norberto Bobbio, non includendo però alcuna donna… ) la polemica introduzione alla proposta del consigliere Bianconi, come se allo stesso premesse maggiormente più che l’affermazione del diritto sociale alla maternità, l’affermazione della propria personale posizione in merito.

“L’aborto farmacologico e chirurgico è diventato il metodo anticoncezionale più diffuso” afferma Bianconi, ma sulla base di quali dati? E sulla base di quali ricerche può sostenere con tanta determinazione che partorire un figlio per poi immediatamente privarsene possa per una donna essere meno lacerante di un tempestivo aborto? Parlando di “cultura mortifera” Bianconi indica donne “obbligate o incentivate ad abortire”, di “certezze ed evidenze della mente e del cuore censurate come espressioni di oscurantismo illiberale dalla comunità della tecno scienza (!?), dai guru in camice bianco” ignorando così, paradossalmente, il diritto all’autodeterminazione, dimenticando il riconoscimento del diritto alla maternità, omettendo i progressi della scienza medica nel campo della procreazione, non riconoscendo gli obiettori di coscienza. Perché mai confondere un progetto di sostegno comunque condivisibile con tante affannate parole?

Era prevedibile che una simile premessa scatenasse contrasti. Solo su un punto,potrebbe esserci una ricomposizione delle polemiche con Bianconi. “Con l’aborto non si è giunti ad una reale emancipazione della donna” sostiene Bianconi. Sì, è vero, non si è ancora giunti ad una reale emancipazione della donna, comunque penalizzata, discriminata, spesso svalutata, nel lavoro come nella maternità. E non saranno atteggiamenti personali estremizzati a facilitare la prosecuzione del suo percorso, ma un reale e tangibile sostegno ai suoi diritti sociali, da qualsiasi angolazione si guardi il problema. Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Pubblicità e mass media Società e costume

Dopo le critiche dei vescovi, la grande paura di Berlusconi: ecco quello che dirà stasera a Porta a Porta. Ma non era una fatto privato?

da repubblica.it
Sul caso Noemi Letizia: “Se avevo qualcosa da nascondere sarei stato un pazzo ad andare li”
E giura sull’autenticità delle foto del party: “Se non ci credete chiedetelo ai camerieri”
Berlusconi: “Tutte calunnie della sinistra e non è vero che frequento minorenni”

Silvio Berlusconi di nuovo all’attacco dell’opposizione e dei giornali, sulla vicenda della separazione chiesta dalla moglie Veronica Lario: “E’ tutta colpa della sinistra e della sua stampa – dichiara, nel corso della registrazione di Porta a porta – che non riescono ad accettare la mia popolarità al 75%. E, visto anche lo stato in cui la sinistra è ridotta, ha cominciato con attacchi personali fondati sulla calunnia”.

In particolare, è sui rapporti con Noemi Letizia e la sua famiglia che il presidente del Consiglio si difende a spada tratta: “E’ una menzogna che frequento minorenni. Il padre di quella ragazza mi aveva chiamato perchè voleva un appuntamento con me e voleva parlarmi: queste cose usciranno domani in un intervista a Chi”.

Da qui le accuse al nostro giornale, che per primo ha rivelato la partecipazione del Cavaliere alla festa dei diciotto anni della ragazza: “Repubblica, sempre Repubblica, aveva fatto un titolo in cui sottendeva una mia frequentazione con una ragazza, che facendo quel giorno diciott’anni fino al giorno prima era minorenne”. E sul fatto che Veromica abbia annunciato la sua intenzione di divorziare sempre su Repubblica, dichiara che “non è stata una cosa casuale e non dico altro”.

Berlusconi respinge al mittente anche i dubbi, circolati oggi su molti blog e siti internet, sull’autentictà delle foto della festa, in possesso del settimanale Chi, fatte vedere in anteprima dal tg di Italia1 Studio aperto: “Mandino un giornalista al ristorante e domandino ai cuochi e ai camerieri se quelle foto sono false. La pervicacia con cui le gazzette della sinistra continuano a dire falsità è sorprendente. Se avessi avuto qualcosa da nascondere, andare a quella festa sarebbe stato folle”. Poi la domanda: “Sarei stato così pazzo da andare in una situazione simile se qualcuno poteva pensare che ci fosse qualcosa di piccante nel rapporto tra il presidente del Consiglio e una ragazza di diciotto anni?”.

Il premier racconta: “Francamente non mi aspettavo questa tempesta, anche se falsificazioni di certa stampa in passato hanno portato a problemi. Già in passato si disse che avevo detto ad una ragazza ‘ti sposerei’ e invece io avevo detto ‘sei proprio una ragazza per bene, sei proprio da sposare'”. Il riferimento è ai suoi complimenti a Mara Carfagna, che avevano provocato la famosa lettera di Veronica al nostro quotidiano, nel 2007.

Insomma, Berlusconi ripete la teoria del complotto, in cui anche la consorte sarebbe caduta: “Tutto falso – attacca – tutto nato dalla trappola in cui anche mia moglie purtroppo è caduta. Le veline sono inesistenti. Sono un’assoluta falsità”. E rifacendosi proprio al giorno in cui le liste per le Europee sono state definitivamente varate, dice: “Sono stato impegnato dalla mattina alla 8 fino alla sera a Varsavia. Non ho avuto modo di levare qualsiasi nome”. La “sforbiciata” agli elenchi è stata fatta, ammette; ma solo perché si doveva ridurre da 100 a 72 candidati, e “sono state eliminate sia uomini che donne. La questione veline è il contrario di quanto la mia formazione politica abbiamo cercato di portare in politica: noi vogliamo rinnovamento e anche persone non ‘sgradevoli’ e non è un male”.

Infine, sui rapporti con la Lario, il premier ripete quanto già dichiarato ai giornali: “Il divorzio deve essere una vicenda privata; ma lei dovrebbe riconoscere il suo errore. Le voglio ancora un mare di bene”. E tra gli errori, spiega, c’è anche l’aver dichiarato che lui non ha partecipato alle feste di diciott’anni dei figli: ”Luigi mi ha detto di non aver fatto la festa. Per Barbara ho sostenuto finanziariamente la sua festa che si è svolta a Las Vegas, gli invitati erano in maschera del ‘700 veneziano”. Quanto a Eleonora, la terza, ”non si ricordava neanche che aveva fatto una festa”. (Beh,buona giornata).

Share
Categorie
Leggi e diritto Società e costume

Le politiche sulla sicurezza del governo non funzionano. Per il sindaco di Roma è tutta colpa di “Romanzo criminale”.

(da repubblica.it)
Gianni Alemanno se la prende anche con le serie televisive di successo come Romanzo criminale colpevoli, secondo lui, di alimentare atteggiamenti pericolosi tra i giovani. Visitando la scuola media nella borgata di Villaggio Prenestino, estrema periferia di Roma, nel cui cortile giovedì scorso un 15enne è stato accoltellato da un altro alunno di 14 anni, il sindaco della Capitale ha tenuto a sottolineare che non si tratta “di una criminalità organizzata, siamo a un altro livello, quello delle bande giovanili”.

Quindi il primo cittadino ha parlato anche di modelli culturali che vengono veicolati alle giovani generazioni, puntando il dito sui programmi televisivi: “L’avevo detto fin dall’inizio che alcune operazioni culturali come la serie tv Romanzo criminale o altre simili non aiutano, hanno lanciato delle mode, degli atteggiamenti e dei modi di fare sbagliati. I giovani, invece non vanno lasciati da soli, faremo tutto il possibile per stare nelle periferie”.

Durante la visita alla scuola media Falcone, Alemanno, che ha incontrato la madre del ragazzino accoltellato, ha parlato con la preside e i rappresentanti delle associazioni di quartiere dei problemi dell’istituto e dell’intera zona che soffre, secondo gli abitanti, di carenza di servizi e spazi di aggregazione. “Ho invitato il presidente del Municipio e i comitati – ha spiegato Alemanno – a formare una consulta per avanzare proposte e ideare progetti sociali per dare ai giovani punti di riferimento”. Il sindaco ha lasciato la scuola con una promessa: “La prima cosa che faremo sarà ristrutturare questa biblioteca”. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Società e costume

Un nuovo war game e un nuovo reality: l’intrattenimento ai tempi della crisi globale.

di Santiago Alba Rico – « Novas de Galiza»

Quando si compiono sei anni dall’invasione, l’occupazione e la distruzione dell’Iraq, con più di 1 milione di morti e 5 milioni di sfollati in un paese oggi senza medici né maestri né poeti, sprovvisto dei servizi minimi, affamato e malato, consegnato a fanatici e criminali, abbandonato alla sua sorte dal resto del mondo, che è più concentrato sul menù del G-20 o sul vestiario di Hillary Clinton, solo la Konami Digital Entertainment ci riporta alla memoria l’esistenza di questo orrore distante.

All’azienda statunitense non dispiace guadagnare denaro se è per aumentare l’insensibilità; non le dispiace vendere i suoi prodotti in tutto il mondo se è per diminuire la coscienza. Con uno sforzo combinato di erudizione e maestria tecnica, raccogliendo immagini d’archivio e testimonianze dei protagonisti, ispirandosi a Shakespeare e ad Hemingway, l’azienda ha creato un videogioco, Sei giorni a Falluja [Six Days in Fallujah, N.d.T.], che permette ai suoi fruitori di sperimentare minuto per minuto le emozioni del fosforo bianco e l’esecuzione dei prigionieri, in mezzo a fragori così falsi da sembrare reali, con una grafica così impossibile da sembrare autentica.

Rassegnati a farsi ricchi a condizione di danneggiare più menti, transigendo sulla fama in cambio di degradare un po’ di più gli spiriti, i creatori di Sei giorni a Falluja affrontano la sfida – dice Peter Tamte, presidente della compagnia – di “presentare gli orrori della guerra in un gioco allo stesso tempo molto divertente”.
Ci sembreranno più orribili gli orrori e più divertente il divertimento? Ci farà orrore divertirci o ci divertirà provare orrore?
Che orrore il piacere di uccidere! Che piacere l’orrore di uccidere! La prima conquista di Falluja nel novembre del 2004, poco credibile, ha ispirato questa versione originale che la prossima conquista di Falluja imiterà; i marines che hanno partecipato alla prima conquista di Falluja, oggi consulenti della Konami Digital Entertainment, si sono sacrificati affinché i marines che conquisteranno per la seconda volta Falluja – ovunque essa sia – possano averla distrutta in un gioco reale prima di distruggerla in una realtà ricreativa.

Mentre in Spagna 5.000 nuovi disoccupati si aggiungono tutti i giorni alle liste dell’INEM e le classi medie ricorrono alle mense cittadine, mentre negli USA 663.000 lavoratori perdevano il loro impiego nel mese di marzo e migliaia di persone vengono quotidianamente sfrattate dalle loro abitazioni, solo la catena televisiva Fox affronta e interviene decisivamente nella crisi economica mondiale. Rassegnata a veder aumentare i suoi indici di ascolto a condizione di imitare Nerone, transigendo sulla ricchezza se è per appoggiare e stimolare la schiavitù, il canale statunitense trasmetterà nelle prossime settimane un nuovo reality show chiamato Qualcuno se ne deve andare [Someone’s Gotta Go, N.d.T.].

Nell’antica Roma gli spettatori del circo si divertivano a vedere come gli schiavi si uccidevano gli uni con gli altri e infierivano tra di loro per sopravvivere fino alla battaglia successiva; gli spettatori statunitensi – e subito dopo gli spagnoli – si divertiranno a vedere come gli impiegati delle aziende in crisi decidono tra di loro, contro loro stessi, chi deve essere licenziato per far ridurre le spese al padrone della compagnia o, che è lo stesso, chi deve sopravvivere fino al prossimo licenziamento.

All’azienda olandese Endemol, contrattata per la produzione, non dispiace dover rivalutare la sua quotazione in borsa se è per disprezzare le vittime del capitalismo; alla Fox non dispiace superare la CNN negli ascolti se è per degradare, umiliare e smobilitare i lavoratori minacciati. Mike Darnell, il genio della telerealtà della Fox, ha dichiarato al Washington Post senza nessun impaccio di essere “convinto che i milioni di statunitensi che temono di perdere il loro lavoro o già l’hanno perso rimarranno incollati al televisore per seguire la serie”. Programma di schiavi per schiavi, il numero di telespettatori aumenterà nella misura in cui si aggraverà la crisi; programma di infelici per infelici, la crisi fornirà così ai rancorosi il motivo di sfogo per una vendetta diretta – non verso i responsabili, no, esclusi dalle deliberazioni – ma verso quelli che ancora sopravvivono ai colpi d’artiglio del capitalismo. La crisi, dopotutto, vale la pena: alcuni guadagnano molto denaro e altri sentono il piacere di perdere tutto di fronte alle telecamere o di vedere altri seguire lo stesso destino sullo schermo.

Sei giorni a Falluja e Qualcuno se ne deve andare sono appena due dimostrazioni di un routinario “stato del mondo e stato dell’animo”, per evocare una definizione che dava Kafka del capitalismo. In entrambi i casi accettiamo come naturale, come normale, come desiderabile, come inevitabile, una realtà che non è mai così orribile – mediante una gag visiva – da non darci anche piacere. Il capitalismo indennizza ogni orrore reale con un gioco ancor più reale; compensa ogni dolore autentico con un piacere di finzione molto più intenso e molto più autentico. Le rivoluzioni non fatte prolungano la sofferenza e avvicinano l’apocalisse, ma è che la sofferenza e l’apocalisse costituiscono il meglio della programmazione. Uccidere, uccidersi, danneggiare, danneggiarsi, non inducono alla rivolta; reclamano semplicemente nuove dosi. Tutto è Apocalisse; tutto è orgasmo. (Beh, buona giornata).

Articolo originale: Todo es dolor, todo es orgasmo

Traduzione di Massimo Marini per Megachip.

Share
Categorie
Pubblicità e mass media Società e costume

Demonio di un Vaticano, ha boicottato le riprese romane di “Angeli e demoni” di Ron Howard.

“Il Vaticano ha fatto pressioni perché non mi fossero messe a disposizione le location per girare ‘Angeli e demoni’ a Roma”. L’accusa giunge attesa e senza preamboli da parte di Ron Howard, registra premio Oscar, che ha presentato oggi alla stampa a Roma in anteprima mondiale il suo ultimo film, “Angeli e demoni”, tratto dal best seller di Dan Brown.

Pierfrancesco Favino, uno degli interpreti del film spiega che a suo giudizio un film che parli’ cosi’ di Roma non si vedeva dai tempi di Fellini. Uno ‘spot’, dunque, fatto ‘a dispetto dei Santi’. “Sapevo che non era possibile girare nelle chiese – spiega Ron Howard -. Gia’ col ‘Codice da Vinci’ mi era stato proibito di girare in Inghilterra, Scozia e Irlanda. Mi aspettavo, quindi, di avere problemi a portare il set nelle chiese romane. Cio’ che non credevo, invece, e’ che non ci fosse alcuna collaborazione per girare in citta’. Ci hanno spiegato che era dovuto alle pressioni fatte dal Vaticano”. Segno dei tempi. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
democrazia Popoli e politiche Società e costume

«Ma smettetela di parlare di Berlusconi; con tutti i problemi che affliggono l’Italia, le sue gag e le sue gaffes sono cose di nessuna importanza».

Berlusconi/ Silvio & Veronica e l’opposizione di Sua Maestà -blitzquotidiano.it
Che l’Italia sia ormai una repubblica monarchica e che re Silvio I sia già informalmente insediato lo dimostra la vicenda delle veline che il premier voleva mettere in lista. Una cosa che nemmeno il defunto dittatore del Turkmenistan, Saparmyrat Nyýazow, avrebbe mai osato. Segno che il potere e il successo ormai rischiano di ottenebrare, almeno di tanto in tanto, la fertile e geniale mente di uno dei più abili e capaci imprenditori e politici della storia d’Italia.

Ne è derivata una sceneggiata napoletana, con la sinistra che strillava e la signora Veronica (ex attrice a sua volta; «più fortunata delle altre», come una velina del presente le ha fatto notare) che richiamava il marito all’ordine. Infine l’urlo di trionfo dell’opposizione, quando Berlusconi ha dato il contrordine compagni, in un diktat da Varsavia (sempre dall’estero arrivano i diktat: ma se deve occuparsi delle cose italiane anche quando è in viaggio, perché si sposta?). Tutto ciò costituisce un indice di quanto in Italia si sia persa la bussola.

Ha scritto un lettore di Blitzquotidiano: «Ma smettetela di parlare di Berlusconi; con tutti i problemi che affliggono l’Italia, le sue gag e le sue gaffes sono cose di nessuna importanza». E ha pienamente ragione. Purtroppo però gag e gaffes sono sintomi di un malessere più grave e profondo.

La storia delle veline dimostra che la legge elettorale è una legge che rafforza la partitocrazia, cioè il super potere dei partiti. Sull’onda di quel movimento politico di massa che ai primi anni novanta portò alla fine della Dc e del Psi per darci il regime di Berlusconi, si era parlato di apertura dei partiti alla società civile, di avvicinamento dei parlamentari agli elettori e sul tema c’erano stati anche referendum e leggi. Poi, con un colpo di mano, Berlusconi ha fatto la sua legge elettorale, che andava benissimo anche alla sinistra orfana del centralismo democratico, in base alla quale chiunque andava bene, anche il cavallo di Caligola.

Nessuno però se ne preoccupa. Gli unici che, in qualche modo, puntano a un avvicinamento della politica agli elettori sono quelli della Lega, che ottengono la vittoria nell’imporre il federalismo fiscale, ma se si accontentano di questo rischiano una vittoria monca.

E intanto Berlusconi dice di voler mettere le veline in lista. Vede l’aria che tira, capisce che non gli conviene, fa marcia indietro. Non è escluso che la sua intelligenza abbia previsto tutto e che magari il caos sulle veline gli sia servito per far passare sotto silenzio qualche altro più importante problema: un po’ come il calciatore che, dovendo battere il rigore, fa la finta per mandare il portiere dall’altra parte.

Il silenzio della destra sulla vicenda nasconde non l’imbarazzo, ma il totale asservimento dello schieramento al volere del Capo.

E il caos sollevato dalla sinistra dimostra che l’opposizione c’è e lotta per lui: è l’opposizione di sua maestà. Infatti, con i suoi strepiti e urla, cosa ha ottenuto l’opposizione? Una bella vittoria di carta. I giornali esultano, e poi?

A Berlusconi è stata risparmiata una ciclopica sciocchezza, che avrebbe costituito un piccolo, forse, ma significativo argomento in campagna elettorale. Invece è stata tolta una castagna dal fuoco alle tante persone benpensanti della destra, è stato fatto capire al Cavaliere che se avesse insistito la storia gli si sarebbe ritorta contro. E ora potrà felicemente inserire delle persone più presentabili, con tante grazie all’opposizione. Di sua maestà, re Silvio I. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Società e costume

La sconcertante intervista alla fanciulla che chiama “il papi” il presidente del Consiglio dei Ministri del Governo italiano.

di Angelo Agrippa da corrieredelmezzogiorno.it

Il suo motto è «Amali tutti, ma non sposar nessuno». Noemi Letizia è una statuaria ragazza, di scintillante bellezza, figlia di un dipendente comunale di Napoli e di una bella signora di Portici, ex miss Tirreno, titolare di un negozio di cosmetici a Secondigliano che le fa da assistente-ombra. È per i diciotto anni di Noemi che Silvio Berlusconi è atterrato in gran segreto a Capodichino domenica sera e ha raggiunto il locale sulla circumvallazione di Casoria dove la festeggiata aveva radunato un centinaio di invitati.

Nell’appartamento di via Libertà a Portici Noemi ci accoglie in cucina, benché si faccia trovare già pronta, in abito lungo e capelli sistemati a boccoli dal parrucchiere, per la trasmissione tv «Stelle emergenti», condotta da Francesca Rettondini, che tutti i martedì su TeleA la impegna come ballerina-valletta-showgirl. «È stata la sorpresa più bella, quella di papi Silvio».

Noemi, lei chiama ‘‘Papi’’ il presidente Berlusconi?
«Sì, per me è come se fosse un secondo padre. Mi ha allevata».

Ha mai conosciuto qualcuno dei figli del Cavaliere?
«No, mai. Anche se lui mi ripete che gli ricordo Barbara, sua figlia. Che ora studia in America».

Com’è nata la vostra amicizia?
«È un amico di famiglia. Dei miei genitori». «Diciamo», interviene mamma Anna, «che l’ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista. Ma non possiamo dire di più».

Non capita a tutte le belle ragazze di ritrovarsi il presidente del Consiglio alla festa di compleanno?
«Infatti, io alla mia non l’aspettavo. È stata una vera sorpresa. Né ho mai raccontato in giro di questa amicizia così forte con Papi Silvio. Nessuno mi avrebbe creduta. Ora, invece, l’hanno visto tutti…»

Cosa le ha regalato?
«Una collana d’oro con un ciondolo».

Berlusconi è sempre stato presente alle sue feste di compleanno?
«No, ma non mi ha mai fatto mancare le sue attenzioni. Un anno, ricordo, mi ha regalato un diamantino. Un’altra volta, una collanina. Insomma, ogni volta mi riempie di attenzioni».

Suo padre non è geloso?
«Assolutamente no. È devotissimo di Papi Silvio».

E la mamma?
«Assolutamente no», risponde la signora Anna, «e poi gelosi di chi, di Silvio?». In cameretta, incorniciata, anche una foto con dedica del premier: “Ad Anna con gli auguri più affettuosi – 20 novembre 2008 – Silvio Berlusconi».

Noemi, lei frequenta il quarto anno della scuola per grafici pubblicitari?
«Sì, la Francesco Saverio Nitti di Portici e sono la prima della classe. La mia insegnante di italiano dice che ho inventato il ‘‘metodo letiziano’’: ho una grande capacità espressiva. Mi piace molto studiare».

Sa chi fu Nitti?
«Nitti…Nitti… Lo abbiamo anche studiato a scuola».

Fu un grande meridionalista e presidente del Consiglio.
«Ah, sì».

Cosa vorrà fare da grande?
«La showgirl. Ho studiato danza, ho iniziato a 6 anni. Ora sto seguendo un corso per guida turistica: al Maggio dei Monumenti sarò impegnata nel Duomo di Napoli. Mi interessa anche la politica. Sono pronta a cogliere qualunque opportunità, a trecentosessanta gradi. Ma non scenderò mai a compromessi».

Sa che ha provocato una fiammante polemica il fatto che Berlusconi vorrebbe candidare letterine e donne dello spettacolo alle europee?
«Fa bene, vuole ringiovanire. E poi se Papi pensa di fare così, stia certo che non sbaglia. Sceglie queste ragazze perché intelligenti e capaci. Non solo perché belle. Il mio motto in politica sarà: ‘‘Meno tasse, più controlli’’. Basta con i furbi che non rispettano le regole».

Lei vuole diventare showgirl e avviarsi all’attività politica. E lo studio?
«Papi Silvio mi ripete sempre che la prima cosa è studiare. Lo sa che ha fondato una università a Milano? L’anno prossimo vorrei frequentarla. Mi iscriverò a scienze politiche».

Noemi, lei ha girato anche un cortometraggio?
«Si chiama Scaccomatto. È stato presentato a Venezia a dicembre scorso. Io interpreto il ruolo della fidanzata di un politico. È tutta una storia di mafia, di intrighi, di caccia ad un diamante».

Insomma, una trama di grande attualità. Torniamo a Berlusconi?
«Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che lui desidera da me. Poi, cantiamo assieme».

Quali canzoni?
«Non ricordo il titolo della sua preferita: aspetti che vedo sui suoi cd. Li ho tutti. Ma come fa quella… ‘‘Mon amour, lalalala’’»

Lei quali canzoni preferisce?
«A me piace la musica italiana. Non le canzoni classiche. I miei cantanti preferiti sono Laura Pausini, Tiziano Ferro, Nek. E poi c’è la colonna sonora di Scugnizzi, che io canto spesso con Papi Silvio al pianoforte o al karaoke».

Mi racconta qual è la sua barzelletta preferita tra le tante che il premier le racconta?
«Vi sono due ministri del governo Prodi che vanno in Africa, su un’isola deserta, e vengono catturati da una tribù di indigeni. Il capo tribù interpella il primo ostaggio e gli propone: ‘‘Vuoi morire o bunga-bunga?’’. Il ministro sceglie: ‘‘bunga-bunga’’. E viene violentato. Il secondo prigioniero, anche lui messo dinanzi alla scelta, non indugia e risponde: ‘‘Voglio morire!’’. Ma il capo tribù: ‘‘Prima bunga-bunga e poi morire».

Nei momenti di relax, Berlusconi cosa le confida?
«Fa tanto per il popolo. È il politico numero uno. Non dorme mai. Io non riuscirei a fare la sua stessa vita. Quando vado da lui ha sempre la scrivania sommersa dalle carte. Dice che vorrebbe mettersi su una barca per dedicarsi alla lettura. Talvolta è deluso dal fatto che viene giudicato male. Io lo incoraggio, gli spiego che chi lo giudica male non guarda al di là del proprio naso. Nessuno può immaginare quanto Papi sia sensibile. Pensi che gli sono stata vicinissima quando è morta, di recente, la sorella Maria Antonietta. Gli dicevo che soltanto io potevo capire il suo dolore».

Perché?
«Ho perso un fratello, Yuri, sette anni fa. A causa di un incidente stradale. Ora è il mio angelo custode».

Noemi, per quale squadra tiene?
«Sono patriottica, tifo Napoli. Poi, la mia seconda squadra è il Milan».

Noemi, quando la vedremo in politica, alle prossime regionali?
«No, preferisco candidarmi alla Camera, al parlamento. Ci penserà Papi Silvio».

(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Società e costume

Il Papa al tempo del “papi”: piazze piene, chiese vuote.

Chiesa cattolica/ Mai stata così forte, ma si avvia all’estinzione per mancanza di preti, dice uno studio
da blitzquotidiano.it

La Chiesa cattolica non è mai stata così forte, non ha mai avuto un consenso così ampio (anche tra chi non crede). Eppure si avvia verso l’estinzione: per mancanza di preti. Lo dice uno studio socio-demografico della Fondazione Agnelli, benedetto dai vescovi italiani , pubblicato dalla rivista MicroMega, diretta da Palo Flores d’Arcais.

Secondo lo studio, la Chiesa, che oggi appare così forte, non è mai stata così debole. Cresce la strana pattuglia degli atei devoti, aumentano i suoi rumorosi difensori politici, ma calano i fedeli. Il papa è applaudito nelle piazze e “passa” spesso in tv, ma le chiese si svuotano. Di più: la crisi di vocazioni sta inaridendo il ricambio dei preti, sempre in minor numero e sempre più vecchi. Allora la Chiesa cattolica romana si sta davvero avviando verso l’estinzione?

L’ipotesi è paradossale. Ma i numeri della scienza statistica danno qualche sostegno al paradosso. Primo shock: i preti diventano sempre più vecchi. L’età media dei sacerdoti diocesani in Italia è ormai di 60 anni. Secondo shock: è sempre più difficile rimpiazzare i preti che se ne vanno. In Italia il 40 per cento di chi esce dalla parrocchia (per pensionamento, per invalidità o per decesso) non viene sostituito. Terzo shock: i preti diminuiscono in tutta Italia.

Oggi sono poco meno di 32 mila i sacerdoti diocesani. I preti erano 69 mila (più del doppio) agli inizi del Novecento, a disposizione di una popolazione di appena 33 milioni di italiani. Insomma: c’era 1 prete ogni 500 abitanti. Oggi la popolazione in Italia ha appena raggiunto i 60 milioni di persone, dunque c’è un prete ogni 2 mila abitanti (per la precisione, 0,53 ogni mille).

Se i preti diocesani non stanno bene, afferma lo studio, non stanno meglio neppure gli ordini religiosi, i frati, i monaci (20 mila persone complessivamente). Statistiche e numeri precisi in questo campo non ce ne sono, ma è un fatto che si svuotano anche le case religiose, i conventi e i monasteri.

In Italia ci sono 26 mila parrocchie. Dunque già oggi nel nostro paese operano, in media, 1,2 preti a parrocchia. Se questo rapporto diminuirà fino ad arrivare sotto l’un sacerdote per parrocchia, le parrocchie rimaste senza prete dovranno chiudere. O si dovranno affidare a preti che stanno nella parrocchia accanto e andranno “in trasferta” a celebrare qualche rito (la messa, la confessione, matrimoni e funerali).

All’estero va anche peggio. Anche in paesi tradizionalmente cattolici come la Spagna e il Belgio: oggi i preti sono solo 0,46 ogni mille abitanti. E ancor più in Francia e Austria: hanno soltanto 0,31 sacerdoti ogni mille abitanti. La Chiesa rischia davvero l’estinzione?

Meno male che c’è il “clero d’importazione”, o “clero immigrato“. In Italia ci sono 1.500 sacerdoti stranieri, nati all’estero ma incardinati nelle diocesi italiane. Mica pochi: sono il 4,5 per cento dei preti diocesani.

Da dove vengono i preti nati all’estero? Dalla Polonia innanzitutto. In totale, sono 232 i sacerdoti prestati all’Italia dal paese di Wojtyla. Poi dallo Zaire: 96. Dalla Colombia: 86. Dall’India: 82. E poi dalla Romania, dal Brasile, dalla Nigeria, dalle Filippine, dall’Argentina, dal Venezuela, dal Congo… Ma anche da Francia, Stati Uniti, Germania, Svizzera…

I preti stranieri sono molto più giovani, hanno un’età media molto più bassa dei locali. Saranno loro la salvezza della Chiesa cattolica?

Come andranno, dunque, le cose tra dieci, vent’anni? Anche se continuassero a entrare ogni anno circa 500 preti, il calo secondo lo studio sarebbe costante, a causa delle uscite. I 32 mila preti di oggi diventerebbero, secondo i calcoli statistici, 28 mila nel 2013, 25 mila nel 2023 (e di questi, 2 o 3 mila saranno stranieri). Le cose andranno peggio se continueranno a calare anche le ordinazioni.

In realtà le cose andranno anche peggio, e per una ragione non religiosa (il calo delle vocazioni), ma prettamente statistica: in Italia c’è una progressiva diminuzione demografica dei maschi. Diminuisce la platea da cui attingere i preti, che per la Chiesa cattolica possono essere solo maschi. Dunque diminuiranno inesorabilmente anche i sacerdoti, anche a tassi di reclutamento costanti.

Dunque – conclude lo studio – la Chiesa cattolica continua dolcemente il suo cammino verso il declino. Sempre più minoranza in una società che apparentemente la applaude, ma in realtà la usa. Per bloccare questa tendenza e almeno stabilizzare il numero dei sacerdoti oggi presenti, dovrebbe verificarsi un incredibile aumento delle vocazioni, con incrementi del 77 per cento nazionale che in alcune regioni, secondo i calcoli degli statistici, dovrebbe essere addirittura del 200 per cento. Sarebbe davvero un miracolo. (Beh, buona giornata).

FONTI INFORMATIVE
Micromega

Share
Categorie
Animali Popoli e politiche Salute e benessere Società e costume

Peste suina: quando lanciano gli allarmi, spesso esagerano. E se esagerassero anche quando dicono che non c’è pericolo?

Il Messico tra polemiche e panico
“Ci staranno dicendo la verità?” da repubblica.it

Strade semideserte, l’esercito che distribuisce a tutti mascherine azzurre, l’ordine di evitare ogni contatto non necessario con la gente, di non stringere mani, non condividere posate o bicchieri, non baciarsi. E’ quasi surreale l’atmosfera asettica che si respira a Città del Messico, paralizzata dall’emergenza influenza suina, e nelle altre zone del Messico dove si trovano i focolai del contagio. E la gente non sa bene come reagire all’allarme: le numerose testimonianze che arrivano ai giornali, alle reti tv, siti e network – locali ed internazionali – raccontano di persone spaventate, trovatesi da un giorno all’altro in un incubo che ha cambiato loro la vita, anche se qualcuno è convinto che l’allarme dato dai media sia esagerato.

“Ho paura, lavoro per una grande compagnia e credo che questa influenza sia molto contagiosa” scrive Nallely L alla Bbc. “E’ tutto molto strano”, continua, “la gente rimane in casa o esce solo per andare a fare la spesa o all’ospedale. La maggioranza gira con le mascherine sulla bocca, concerti, festival, perfino la messa sono stati cancellati. Le trasmissioni alla radio e alla tv sono interrotte da comunicati che informano sui sintomi, e dicono di andare subito dal dottore se ci si sente malati”.

Molti temono che le autorità non stiano dicendo tutta la verità: “Mia cognata vive nello stato di San Luis Potosi”, racconta Migdalia Cruz, da Phoeniz, in Arizona. “Lì ci sono già stati almeno 78 morti, solo in città, non 68 in tutto il Messico come continuano a dire”.

“La verità è che le cose sono ben lontane dall’essere sotto controllo” le fa eco Carla, da Città del Messico. “E’ peggio di quello che crediamo, qualcuno la prende come uno scherzo, ma io no”.

Neppure le famose mascherine azzurre, distribuite per le strade e su bus e metropolitane riescono a tranquillizzare e la fobia è ormai generalizzata: “Mi preoccupa vedere come stanno lavorando i soldati che distribuiscono le protezioni. Perché non si mettono i guanti di lattice?” chiede Amelia Batani, che scrive al forum online del quotidiano messicano El Universal.

Ansia condivisa anche da Araceli Cruz, studentessa di 24 anni, che dice: “Potevano fermarla in tempo, ora hanno lasciato che si diffondesse fra la gente”.

Si ha paura di ammalarsi anche andando al lavoro. Due colleghi di Adriana, che scrive sempre da Città del Messico, hanno avuto sintomi influenzali qualche giorno fa, ma il dottore li ha fatti tornare al lavoro. “Io lavoro in un call center, non ci sono finestre e non è possibile aerare i locali e ci sono almeno 400 persone che ci lavorano”, racconta preoccupata. “Fate voi i calcoli: i locali non sono stati sterilizzati e il rischio di contagio è altissimo”.

La preoccupazione non è solo della gente comune. Anche i medici non sono tranquilli: uno di loro, che si firma “medico mexicano” in servizio negli ospedali messicani scrive nella sezione dedicata di El Mundo, descrivendo una situazione da panico, dando vita ad un’accesa discussione sul forum. “Sono specializzato in malattie respiratorie e in terapia intensiva”, dice. “I trattamenti antivirali non stanno avendo il successo sperato e la gente continua a morire, anche giovani di meno di 30 o 20 anni. Il personale è molto spaventato, data la virulenza del virus. Nella struttura dove lavoro, almeno 3-4 persone al giorno muoiono per questa epidemia”. E aggiunge: “Ci dicono di non parlare con la stampa, che verremo sanzionati se lo facciamo”.

Qualche voce fuori dal coro c’è. Come Jordi, che invita tutti a darsi una calmata e dice che il quadro non è poi così fosco: “Siamo in uno stato di preoccupazione, ma non c’è alcun panico”. Difficile, però, che riesca a rasserenare qualcuno. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Animali Attualità Finanza - Economia - Lavoro Natura Popoli e politiche Salute e benessere Società e costume

Peste suina: la Fattoria degli animali di Orwell si è globalizzata.

La peste nascosta fra i grattacieli
nelle strade un nemico invisibile
di VITTORIO ZUCCONI-Repubblica

WASHINGTON – Nella città della perenne Apocalisse reale e immaginaria, non poteva non sbarcare anche la peste orwelliana, la vendetta dei maiali sugli umani, sotto forma dell’influenza suina, un nemico invisibile che ha colpito il quartiere di Queens con otto studenti ammalati.

Con una densità di undicimila abitanti per chilometro quadrato, più del triplo di Milano, e una umanità che ogni giorno si accalca nelle sue strade, nella carrozze della metropolitana, nei treni dei pendolari, nelle conigliere dei suoi grattacieli, i quattro borghi che formano New York sono il terreno di cultura ideale per ogni batterio, virus e microrganismo che si trasmetta per contatto umano. E dunque l’incubatrice perfetta per la diffusione della nuova psicosi da fine del mondo che dalle porcilaie del Messico ha attraversato la frontiera del Rio Grande e si sta allargando al Nord.
Casi di questa variante del virus influenzale trasmissibile dai maiali e agli umani sono stati registrati anche in passato, creando addirittura una campagna di vaccinazione collettiva del tutto inutile e in molti casi micidiale ordinata dal presidente Ford nel 1976, e da giorni sono segnalati nelle zone di confine con il Messico, Stati come la California, l’Arizona e il Messico.

Ma è lo sbarco a New York del virus, individuato in otto studenti del Liceo San Francesco a Queens a trasformare l’epidemia di questa forma temibile, ma non nuova come le prime notizie frettolosamente indicano, di influenza in un evento che ha raggiunto addirittura la Casa Bianca, dalla quale il Presidente Obama è stato costretto a comunicare di star benissimo, al ritorno dal viaggio in Messico.

Queens è, ancora più di Brooklyn lentamente rinconquistato dalla borghesia middle class debordata da Manhattan, l’ultimo e il massimo melting pot, crogiolo di razze e di lingue, di New York, lo sterminato “borough”, borgo, nel quale convivono emigrati arabi e africani, latinos e asiatici. Fu sopra le casette di Queens, che pochi giorni dopo l’11 settembre, precipitò un aereo di linea, facendo subito pensare a una nuova ondata di attacchi terroristici, che nei mesi scorsi virò senza più motori in funzione il jet che poi miracolosamente planò sul fiume Hudson.
Queens ospita quell’aeroporto nel quale si affolla ogni giorno la babele del mondo, il John F. Kennedy, e che le agenzia per la sicurezza guardano come al formicaio nel quale potrebbero annidarsi le cellule maligne del prossimo attacco.

Era dunque ovvio, se non atteso, che sarebbero stati i leggendari tabloid di New York a sporcare per primi le loro prime pagine con gli annunci della nuova peste, a mettere in guardia, e quindi a causare, l’onda di panico che sta afferrando il popolo della “Grande Mela” e che ha spinto 100 degli studenti del Liceo San Francesco a farsi visitare in massa tutti convinti di avere contratto il virus dell’influenza suina dopo una gita scolastica di massa proprio a Città del Messico. Risultandone infetti soltanto in otto, forse nove, in forme blande, anche grazie alla loro età e salute generale. Ma da ieri, dopo l’esplosione dei titoli e delle news locali, gli ospedali e i pronto soccorso di questa nazione città sono invasi da tutti coloro che esibiscono quei sintomi vaghi e insieme sinistri, mal di gola, stanchezza, brividi, tosse, particolarmente diffusi grazie alle allergie primaverili.

Da sempre, con orgoglio e con ansia contenuta, New York sa di essere, vuole essere la terra dove il mondo finirà, per essersi vista tante volte al cinema in quel ruolo. Anche questa ennesima “pandemia” che spazzerà via l’umanità, come la dovevano spazzare via l’influenza aviaria, la Sars, il prione della mucca pazza, l’Ebola, la febbre gialla, la nuova tubercolosi resistente agli antibiotici, il retrovirus, ha ora in New York il proprio palcoscenico ideale, capace di toccare il mondo che in questa città la lasciato qualcosa di se stesso e porta quel senso oscuro, orwellianamente perfetto, della vendetta del mondo dei maiali contro il mondo degli umani. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

“L’audience come misura del mondo.”

Televisione misura del mondo
di MARCO BELPOLITI da lastampa.it

Uno degli aspetti che più colpiscono nell’attuale processo d’omologazione in corso è l’idealizzazione del banale e dell’insignificante. Certo c’è stata «la casalinga di Voghera», assurta al rango d’intellettuale di riferimento dopo il patronage d’Alberto Arbasino, ma adesso tocca agli intellettuali di X Factor. Secondo Walter Siti, che ne ha scritto sulla Stampa sabato scorso, si tratta di un programma seguito da nutriti gruppi d’ascolto di cui farebbero parte scrittori e intellettuali di grido, che dibattono tra loro, non più di Marx e Nietzsche, di Adorno e Horkheimer, bensì di Morgan e Mara Maionchi.

Colpisce il fatto che le persone esposte allo sguardo ammirato di molti, se non di tutti, non siano più modelli alti, personaggi di rilievo intellettuale o morale, quanto piuttosto uomini e donne modesti, anonimi, assolutamente identici all’uomo della strada o alla donna della porta accanto. Realtà e spettacolo si avvicinano sempre più, così che il secondo ha inglobato la prima. Del resto, lo spettacolo non assolve più alla sua naturale funzione di rappresentare, drammatizzare, far riflettere, appassionare, svolgendo il ruolo catartico per cui era nato, ma s’identifica sempre più con la realtà stessa, così che non esiste più alcuna differenza tra le due cose: tutto è spettacolo, anche la vita, soprattutto quella intima.

Gli psicoanalisti, interessati a quello che accade fuori dalle loro stanze, da tempo ci stanno indicando un aspetto della trasformazione in corso, di cui il voyeurismo e l’esibizionismo televisivo, tipico dei nuovi programmi, ne è la spia più diffusa: una progressiva carenza di identità prima ancora che di valori. Anna Maria Pandolfi, in un preveggente studio di qualche anno fa, postulava per la società attuale un assetto narcisistico estremamente fragile e povero, per il quale «essere visti e conosciuti o solo guardati, quale che sia il prezzo che per ciò si paga, sembra essere l’unico rimedio a un pericoloso vissuto di non valore o addirittura di non esistenza».

L’audience come misura del mondo. La televisione, meglio la neotelevisione berlusconiana – modello straordinario di un ordinario «pensiero unico» -, ha realizzato proprio questo, secondo una tendenza omologante e appiattente a cui anche gli intellettuali raffinati – o presunti tali – si sono equiparati e genuflessi: tutti osservano la stessa cosa. Chi dice, o mostra, cose diverse, chi esce dal coro, con provocazioni oppure con un persistente silenzio, viene immediatamente eliminato. Non è più solo un’invenzione da intellettuali francesi, bensì un dato inconfutabile: la realtà mediatica ha sostituito nella testa di menti illuminate e di scrittori, che si vorrebbero trasgressivi, la realtà fattuale.

Jean Baudrillard, ci ricorda Anna Maria Pandolfi, in alcune pagine illuminanti e terribili, peraltro inascoltate, ci aveva avvisato diversi anni fa: quando tutto è esposto alla vista, non c’è più nulla da vedere. Il nulla sotto forma di rumore di fondo, schiamazzo, pseudo-discussione, è diventato la forma stessa della società italiana dell’inizio del XXI secolo attraverso il suo strumento mediatico più efficace: la televisione. Qualche giorno fa un’importante personalità istituzionale ha sostenuto con una boutade che non era il caso d’insistere sulle responsabilità nei crolli delle case, degli ospedali, degli edifici pubblici dell’Aquila.

Il senso di colpa o la vergogna, sottintendeva l’intervento autorevole dell’uomo politico, non hanno più alcun senso perché rivolti verso il passato. Il futuro è quello che conta. Ma quale futuro? Chi è capace di reggere la presenza del proprio o altrui errore, di ammetterlo o combatterlo, possiede, ricorda la psicoanalista Pandolfi, un Sé sufficientemente saldo e un’identità abbastanza definita per poter entrare nell’area della conflittualità, tollerare la colpa e sopportare la depressione che ne consegue.

Al contrario, chi rigetta tutto questo, dimostra il bisogno «di essere visto e parlato, per garantirsi della sua propria esistenza e negare il vuoto e la futilità del suo mondo interno e, ora, anche di quello esterno, tra i quali peraltro la distinzione non è più così netta». C’è solo da augurarsi che intellettuali intelligenti e acuti, scrittori bravi e di successo, si risveglino dal sonno della ragione che, non partorisce solo mostri, come ci avvisava Goya, ma anche e soprattutto il vuoto di una pseudo-vita omologante e banale. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

“Bisogna cambiare l’antropologia del Paese. Bisogna superare l’indifferenza e l’apatia. Bisogna resistere per costruire il futuro.”

Chi canta fuori dal coro è comunista
di EUGENIO SCALFARI

Non si può non cominciare con le nomine alla Rai. Gli altri giornali minimizzano con l’aria di dire che si è sempre fatto così: la Rai è proprietà del governo e quindi è il governo che ha il potere di decidere trasmettendo le sue indicazioni all’obbediente maggioranza del Consiglio d’amministrazione.

E’ vero, sostanzialmente è sempre stato così ma con qualche differenza di non poco conto. La prima differenza è questa: nessun governo, tranne quelli guidati da Silvio Berlusconi, ha mai avuto a sua disposizione le televisioni commerciali, cioè l’altra metà del cielo televisivo. Il fatto che l’attuale presidente del Consiglio abbia a sua completa mercé la propria azienda televisiva privata e l’intera azienda pubblica (salvo la riserva indiana di Raitre finché durerà) configura quindi una situazione che non ha riscontro in nessuna democrazia del mondo. Non so se sia vero che le nomine siano state decise l’altra sera nella riunione di tre ore nell’abitazione romana del premier. E’ certo comunque che i nomi proposti dal direttore generale Masi saranno ratificati senza fiatare dal Cda della Rai di mercoledì prossimo e saranno tutti “famigli” di Berlusconi, provenienti dalle sue televisioni private o dai suoi giornali o pescati tra le giovani speranze già inserite nell’accogliente acquario dell’azienda pubblica, collaudati custodi del credo berlusconiano nel circuito mediatico.

Non ci sarà purtroppo una sola persona che abbia mai mostrato un barlume d’indipendenza, un soprassalto di dignità professionale, un dubbio sull’assoluta verità predicata dal Capo.

Questo è lo scandalo, questa è la vergogna, alla quale quel poco di cosiddetta indipendenza che ancora esiste nella stampa italiana si sta ormai adattando per assuefazione esprimendo tutt’al più qualche sommesso brontolio subito seguito da rimbrotti all’opposizione, colpevole di ideologismo e di conservatorismo.

Il quadro è desolante. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Il controllo dei “media” non serve soltanto a procacciar voti ma soprattutto a trasformare l’antropologia d’una nazione. Ed è questa trasformazione che ha imbarbarito la nostra società, l’ha de-costruita, de-politicizzata, frantumata, resa sensibile soltanto a precarie emozioni e insensibile alla logica e alla razionalità.

Chi non è d’accordo è comunista. E firme di intellettuali o sedicenti tali accreditano questo scempio culturale e questa menzogna.

Dedicherò dunque al predetto scempio il seguito del mio ragionamento.

* * *

Quindici anni fa partecipai alla presentazione di un libro di Achille Occhetto al circolo della stampa estera a Roma, in quell’occasione il corrispondente di un giornale tedesco mi domandò che fine avrebbero fatto i comunisti dopo che il Pci aveva buttato alle ortiche il suo nome e la sua ideologia.

Risposi che i comunisti dovevano morire e così i loro figli e nipoti fino alla settima generazione. Solo quando fossero tutti fisicamente estinti sarebbe cessata la polemica nei loro confronti. Infatti è quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo e poiché siamo ancora lontani dalla settima generazione l’anatema contro di loro continua e continuerà per un bel pezzo. Non è soltanto il tema prediletto dal nostro premier e dai Bonaiuti di turno, è anche diventato il piatto forte di molti belli ingegni transumanti che all’ombra del revisionismo sono passati dall’anticomunismo di “Lotta continua” e di “Potere operaio” all’anticomunismo di destra. Per loro ormai i comunisti sono diventati un’ossessione, ne vedono la presenza ovunque, alimentano i loro incubi e le loro farneticazioni e ai comunisti attribuiscono tutti i mali antichi, recenti, attuali e futuri che affliggono la politica italiana.

I comunisti. Il Partito comunista italiano. La sinistra italiana. Sono ancora tra noi. Non sono affatto scomparsi. Non sono estinti. Non sono stati rinnegati. Finché questo lavacro definitivo non sarà compiuto l’Italia sarà in pericolo e con essa anche la democrazia.
Ne ha fatto le spese l’ultimo libro di Aldo Schiavone il quale ha risposto al mitragliamento di cui era bersaglio con un articolo su “Repubblica” di qualche giorno fa. Con pungente ironia Schiavone domandava ai suoi interlocutori: che cosa volete che faccia? Debbo suicidarmi? Vi contentereste invece se promovessi un salmodiante corteo di pentiti che percorrano le strade d’Italia autoflagellandosi e invocando perdono per il peccato d’essere stati nel Pci?

La risposta non è ancora arrivata ma sarà sicuramente quella da me anticipata nel 1994, all’alba della stella berlusconiana: dovete morire fino alla settima generazione. Caro Aldo Schiavone, non c’è altra espiazione che basti a cancellare il vostro peccato mortale.

* * *

Tra le persone che mi onorano della loro amicizia c’è Alfredo Reichlin. Abbiamo più o meno la stessa età, ci conosciamo e stimiamo da mezzo secolo sebbene i nostri percorsi culturali siano stati assai diversi. Lui entrò nel Pci ai tempi della Resistenza, io sono di cultura liberale e tale sono rimasto anche se dopo la morte di Ugo La Malfa ho sempre votato per il Pci, poi per i Ds e infine per il Partito democratico che è il più conforme alle mie idee liberal-democratiche.

Reichlin ha scritto qualche anno fa un libro insieme a Miriam Mafai e a Vittorio Foa, che ha avuto molto successo ed è stato portato in teatro da Luca Ronconi. La domanda che quel libro si poneva era appunto perché un democratico è potuto diventare comunista e che cosa faranno i comunisti dopo che il comunismo è scomparso dalla scena politica del mondo.

Tra le risposte ce n’è una di Reichlin che riassumo così: il Pci ha certamente commesso molti errori, ha condiviso un’ideologia sbagliata, ha perfino coperto alcuni crimini, ma non è una realtà discesa sull’Italia come un meteorite. La domanda da porsi è dunque questa: perché la società italiana ha reso possibile la nascita d’un partito come il Pci, al quale si sono iscritti o per il quale hanno votato operai e borghesi, artigiani e contadini, marxisti e liberali, atei e credenti? Che al suo culmine ha quantitativamente raggiunto i voti della Democrazia Cristiana? Che Aldo Moro ha associato negli anni di piombo al governo del paese?

Questa domanda meriterebbe un’analisi seria. Almeno altrettanto seria quanto l’altra domanda speculare: perché la società italiana attuale ha reso possibile la nascita del berlusconismo e gli ha dato uno strapotere che somiglia sempre più ad un regime?

Con una differenza tra le due domande: ragionare sul Partito comunista sta diventando col passare degli anni materia per gli storici; ragionare sul berlusconismo è un tema maledettamente attuale e riguarda la politica e non ancora la storia.

* * *

Si dice che ormai non c’è più differenza tra destra e sinistra. Si inventano nuove classificazioni, per esempio quella tra progressisti, moderati, conservatori. Discorsi inutili e abbastanza noiosi. Scolastici. Lontani dalla realtà.

Il tema di oggi è il rapporto tra i grandi ideali della modernità: libertà eguaglianza fraternità. L’ho già scritto altre volte: l’età moderna è nata da questo trittico di principi e ha dato segnali di decadenza tutte le volte che quel trittico si è indebolito nelle coscienze e nella politica.

Il tema di oggi è quello di ridurre le disuguaglianze senza mettere a rischio la libertà. Questo distingue la sinistra dalla destra.

Bisogna tradurlo in atti politici. Bisogna cambiare l’antropologia del Paese. Bisogna superare l’indifferenza e l’apatia. Bisogna resistere per costruire il futuro. (Beh, buona giornata).

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: