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Un esempio di rara tempestività della Chiesa cattolica contro la pedofilia: il Papa condanna i comportamenti del Capo dei Legionari di Cristo. L’accusato non commenta: è morto due anni fa.

“I gravissimi e obiettivamente immorali comportamenti” di padre Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, “confermati da testimonianze incontrovertibili si configurano, talora, in veri delitti e manifestano una vita priva di scrupoli e di autentico sentimento religioso”.

Lo afferma il comunicato della Santa Sede diffuso al termine delle riunioni in Vaticano.. Papa Benedetto XVI – informa il comunicato del Vaticano – si appresta a nominare un suo delegato e si “è riservato di indicare” le modalità di un “accompagnamento” dei Legionari di Cristo nel profondo processo di revisione.

Padre Degollado, morto nel 2008, è stato accusato di pedofilia, abusi sessuali e tossicodipendenza. Gli si attribuiscono inoltre relazioni con diverse donne; da una donna messicana ebbe una figlia, ma altre donne avviarono cause di riconoscimento della paternità, si ritiene che ebbe almeno due mogli e tre figli. Le prime accuse nei confronti del sacerdote risalgono al 1948.

Sessantanni di porcherie, e una condanna due anni dopo la morte. Una tempestività che lascia davvero senza fiato. Beh, buona giornata.

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Perché il Primo Maggio suscita disagio, sia a Destra che a Sinistra?

Primo maggio, dov’è la festa? di ILVO DIAMANTI-repubblica.it

SI E’ APERTA una stagione senza feste civili. Dove i riti della memoria, che danno senso e identità alla nostra Repubblica, vengono guardati – e trattati – con insofferenza e indifferenza, da una parte del paese.
In particolare, dalla maggioranza politica di governo. Anzitutto il 25 Aprile, che il premier ha definito “Festa della Libertà”. Non della “Liberazione”. Quasi fosse una celebrazione del suo partito. D’altronde, ha sostenuto un amministratore del PdL, ci hanno liberato gli americani, non i partigiani, che erano comunisti.
Abbiamo motivo di credere, inoltre, che anche il prossimo 2 Giugno susciterà fastidio in alcuni settori del centrodestra, in particolare nella Lega. Che vede nel tricolore e nella nazione i simboli di un passato da superare. D’altronde, le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ormai prossime, non sembrano al centro dell’attenzione di questo governo. Anche perché parlare di Unità d’Italia, in un paese tanto diviso, appare un ossimoro.

Il Primo Maggio non si sottrae al clima del tempo. Al contrario. Non solo perché evoca le lotte del movimento operaio e sindacale. Una versione in grande della “Festa dell’Unità”, dove si canta “Bella Ciao” e sventolano le bandiere rosse. Il Primo Maggio disturba anche – e soprattutto – perché il lavoro e i lavoratori appaiono, ormai, entità inattuali. Si dovrebbe parlare, semmai, del “non lavoro”. Della disoccupazione reale e di quella implicita. Nascosta tra le pieghe dei lavoratori scoraggiati, che non risultano disoccupati solo perché, per realismo, non si “offrono” sul mercato del lavoro. E per questo non vengono calcolati nei “tassi di disoccupazione”. Ma anche dell’occupazione informale. E si dovrebbe parlare, ancora, degli imprenditori, piccoli e piccolissimi, che stentano a continuare la loro attività perché i clienti non li pagano, faticano ad accedere al credito. E non riescono a mantenere l’azienda e i dipendenti. Lavoratori e piccoli imprenditori “disperati”. Per fare parlare di sé, per essere “notiziabili”, devono darsi fuoco, sequestrare i dirigenti, appendersi alle gru. Oppure inventarsi
“l’Isola dei cassintegrati”, all’Asinara, recitando se stessi.

Lo abbiamo detto altre volte, ma vale la pena di ripetersi. C’è uno squilibrio violento fra la percezione sociale e la rappresentazione pubblica – mediatica – del lavoro e dei suoi problemi. La disoccupazione è ormai in testa alle preoccupazioni degli italiani, visto che 38% di essi la indica come l’emergenza più importante da affrontare (Rapporto “Gli Italiani e lo Stato”, Demos per Repubblica, novembre 2009). Eppure se ne parla poco, sui media. Soprattutto in tivù. Tra le notizie di prima serata del Tg1 monitorate dall’Osservatorio di Pavia (per la Fondazione Unipolis) nello scorso settembre, ai problemi legati al lavoro, alla disoccupazione, alla perdita dei risparmi era riservato il 7% sul totale delle notizie.

Per fare un confronto con le tivù pubbliche di altri paesi europei, nello stesso periodo, Ard (Germania) dedicava ai temi del lavoro e della disoccupazione il 21% delle notizie, Bbc One il 26%, France 2 il 41%. Eppure il tasso di disoccupazione in Italia continua a crescere e oggi ha raggiunto l’8,8% (dati Eurostat). Anche se il paese appare, anche in questo caso, diviso in due. Sotto il profilo territoriale: nel Sud il tasso di disoccupazione si avvicina al 20%. E sotto il profilo generazionale, visto che fra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 28%. Il più alto d’Europa. Quasi 10 punti in più della media europea.

Ma i giovani, è noto, non esistono. Sospesi fra precarietà e dipendenza dalla famiglia. Protetti dai genitori, a cui affidano le chiavi del futuro (in cambio di quelle di casa). In modo assolutamente consapevole. Come emerge da una recente ricerca condotta da LaPolis dell’Università di Urbino per Coop Adriatica (che verrà presentata nei prossimi giorni). Una frazione minima di giovani (15-35 anni) pensa che, in futuro, riuscirà a raggiungere una posizione sociale migliore rispetto a quella dei genitori. Mentre il 56% pensa il contrario. Ancora: il 23% dei giovani è convinto che, per farsi strada nella vita, la risorsa migliore sia costituita dalla rete di relazioni e di “conoscenze familiari”. Quasi quanto l’istruzione, tradizionale fattore di mobilità sociale. E poco meno dell’esperienza di lavoro e studio in Italia e all’estero (26%). Inoltre, si sono abituati all’esperienza di lavoro temporaneo e intermittente. Ma non rassegnati. Molti di loro, anzi, inseguono il “posto fisso” (39%; ma tra i 15-17enni il 46%). Al tempo stesso si è raffreddato, fra loro, l’entusiasmo per il lavoro in proprio e la libera professione attira, oggi, il 25% di loro. Nell’insieme, il 49% dei giovani oggi si dice orientato verso un’attività autonoma o professionale. Circa 10 punti in meno di 4 anni fa.

Nello stesso periodo, parallelamente, è risalito l’interesse verso la grande impresa e il pubblico impiego. In altri termini, i giovani, sono flessibili “per forza”, non rassegnati alla precarietà. Sanno che li attende un futuro difficile. E per questo fanno affidamento alla famiglia. La considerano la risorsa mezzo per farsi strada nella vita. E, prima ancora, un rifugio e una protezione. Meccanismo fondamentale del welfare all’italiana. Pressoché ignorato dal sistema pubblico.
Così è più chiaro perché il Primo Maggio susciti disagio.

Nel centrodestra, dove è percepito, da molti, una festa comunista. Ma, anche altrove. Perfino a sinistra, dove molti la considerano un rito nostalgico. Dedicato a quando il lavoro era fonte di vita, riferimento dell’identità, motivo di orgoglio. Mentre oggi l’evento sindacale più significativo e partecipato, per celebrare il Primo Maggio, non è una manifestazione rivolta ai lavoratori. Ma il tradizionale concertone rock che si svolge in Piazza San Giovanni, a Roma. Affollata da una massa enorme di giovani. Per una volta, insieme. Per una volta, visibili. Normalmente isolati, intermittenti, frantumati, custoditi, controllati. Normalmente invisibili. Come il lavoro. (Beh, buona giornata).

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Signore e signori, trasmettiamo ora il “partito dell’amore, contro l’odio e l’invidia”: http://tv.repubblica.it/dossier/direzione-pdl-fini-berlusconi/berlusconi-vs-fini-il-remix-su-youtube/46053?video=&pagefrom=1

http://tv.repubblica.it/dossier/direzione-pdl-fini-berlusconi/berlusconi-vs-fini-il-remix-su-youtube/46053?video=&pagefrom=

(Beh, buona giornata).

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Attualità Popoli e politiche Società e costume

Contro le omertà sullo scandalo della pedofilia dei preti: obiezione di coscienza, niente 8×1000 alla Chiesa Cattolica.

I silenzi di Papa Wojtyla – Diamo voce alle vittime, stop all’8 per mille- di GIULIO GARGIA, 3Dnews, settimanale di Cultura, Comunicazione e Spettacolo, inserto del Sabato di Terra, quotidiano ecologista (www.3Dnews.it)

Sorpresa: è stato il quasi santo Woytyla, durante il suo papato, a dare l’imprinting all’atteggiamento di copertura sul problema dei preti pedofili. Ricordiamo almeno 4 casi tornati alla ribalta delle cronache: Groer, in Austria, Paetz e Novak, in Polonia, e Degollado. In almeno 2 casi ( Groer e Degollado ), Ratzinger, all’epoca, provò ad andare fino in fondo, ma fu variamente ostacolato. E in una monarchia assoluta come il papato, alla fine, quella che conta è la volontà del re.

Perchè un papa in procinto di diventare santo e più che venerato, idolatrato dai fedeli, ha fatto questo ? Per avere una risposta plausibile, bisogna tornare a Woytyla vescovo di Cracovia, ai tempi di Solidarnosc. La polizia polacca e il PC erano abituati a costruire dossier sui preti cattolici, impegnati nelle lotte sociale e religiose, amplificando e/o inventando le più diverse accuse per avere un pretesto per processarli.

Un comportamento che creava un riflesso condizionato: rendere impermeabili a ogni accusa, anche la più bruciante, verso chi ti circonda. Questo background Woytyla lo ha portato anche a Roma. E per questo che nel suo papato la questione non è stata mai affrontata, e oggi esplode nelle mani di chi aveva dato segnali, per quanto deboli e insufficienti, di voler almeno “internamente”, nel chiuso delle canoniche, affrontare il problema.

C’è da ricordare anche che spesso mafia e camorra usano questa accusa, la pedofilia, verso i parroci che danno segnali forti contro il loro dominio sul territorio. Ma anche in questo caso, il silenzio non è mai una risposta.

Al contrario, proprio coinvolgere la comunità dei fedeli e l’opinione pubblica è l’unico modo di fare chiarezza anche di fronte alle accuse peggiori. Ma la Chiesa, questo, imparerà mai a farlo ? Si può aiutarla con un segnale forte: sospendiamogli l’8 per mille.

Che i cattolici, dalle dichiarazioni dei redditi, non segnino più la casella che dà i soldi al Vaticano, che poi in parte li distribuisce ai sacerdoti. Dateli, se proprio volete, direttamente al vostro parroco o sacerdote di fiducia.

Sarebbe un segnale esattamente opposto a quanti vogliono invece organizzare una manifestazione di solidarietà al Papa che, al di là delle intenzioni, sventolerà la bandiera dell’impunità. In un abbraccio mortale con chi, fino a ieri – come la Santachè e Borghezio – chiedeva la castrazione chimica per i pedofili.(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia - Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

La creatività, l’anello mancante tra le agenzie di pubblicità e i clienti.

di Marco Ferri-Cappuccino&Cornetto-advexpress.it
Sono state rese note le prime immagini dell”Australopithecus sediba’, il fossile di bambino ritrovato in Sud Africa, che promette di svelare il segreto dell’evoluzione umana. La scoperta è stata fatta dal professor Lee Berger dell’università di Witwatersrand a Johannesburg e potrebbe rivelarsi il sogno di ogni antropologo: ovvero aver scoperto “l’anello mancante” tra l’uomo e le scimmie.

Lo scheletro ritrovato comprende un bacino e arti interi che possono rivelare se la nuova specie camminava in posizione verticale o su quattro zampe. Le ossa delle mani potrebbero invece fornire il primo indizio in merito a quando gli esseri umani abbiano imparato la capacità di tenere i primi attrezzi in pietra.

Siamo invece ancora in attesa di scoprire l’anello mancante tra un CEO della pubblicità italiana e la realtà del mercato della comunicazione commerciale.

A lungo si è pensato che l’anello mancante fosse la creatività. Ma siccome alle Agenzia di pubblicità italiane attualmente manca “l’anello mancante” si aspettano ulteriori sviluppi. Magari “in controtendenza con l’andamento del mercato”. Il fatto è che se dell”Australopithecus sediba’ viveva nell’Età della Pietra, questi qui vivono nell’era dei “Culi di Pietra”. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Società e costume

Ciao e grazie di tutto.

E’ morto in un ospedale della Georgia per polmonite a 68 anni. H. Edward Roberts, considerato da molti – innanzitutto da Bill Gates – il vero inventore del personal computer. Aveva creato a metà degli anni 70 l’Altair 8800, il primo modello di pc che, in un’epoca in cui gli elaboratori elettronici erano ancora grandi come armadi, occupava solo parte di una scrivania. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Società e costume

Velardi, corvo rosso, te lo devi ancora quadagnare il mio scalpo.

di Marco Ferri- 3Dnews, inserto di Terra, quotidiano ecologista.

Immaginate che dott.Jekill si metta in testa di curare mister Hyde. Avrete il novello spin-doctor della politica italiana. Claudio Velardi. Quello che per poco, solo 1,1% non fa perdere le elezioni a Renata “frangetta nera” Polverini, che era partita con un più 20 per cento sulla Bonino.

Quello che, contemporaneamente, fa la campagna elettorale in Campania per il Pd, e riesce nel miracolo di far perdere alla grande De Luca: Caldoro se lo è ciucciato con ben 15 punti di vantaggio. Una botta al cerchio e una alla botte?

Ma và. Il nostro è un professionista: mo’ pare pure che potrebbe prendere in appalto la comunicazione degli assessorati della Regione Lazio. Una bazzecola da 25 milioni di euro, secondo quanto riporta Dagospia.. Un vero professionista della mediocrità della politica italiana. Imperversa su giornali e tv, come un vero parvenu.

Dice di se di essere stato fascista, poi comunista, poi dalemiano, tanto dalemiano da entrare nel suo staff, poi bassoliniano. E finalmente il reuccio del lobbismo. Lobby? Una volta si chiamavano voltagabbana (prima di Dolce&Gabbana, s’intende!). Poi, poi assessore al turismo della Regione Campania. E lì che deve aver imparato a fare il turista cinico delle anomalie della politica italiana, nell’era del berlusconismo. Un po’ mi butto a destra, un po’ mi tengo a sinistra. Meno brillane del Totò di “poi dice che uno si butta a destra”, ma forse più redditizio. Tutto sommato, bisogna riconoscere che Claudio Velardi è l’animale geneticamente modificato di questo nuovo zoo che è il ceto politico italiano.

Non così bravo da far mangiare la polvere agli altri, ma abbastanza per fargli respirare la Polverini. Non ha inventato il doppio binario, ha solo divelto le traversine. Non ha inventato le convergenze parallele: ha sperimentato le divergenze incrociate. Insomma, Velardi è una nuova specie di comunicatore politico: ha innalzato il “fuoco amico” da tragica evenienza a comica strategia di comunicazione. Più che spin-doctor, si dovrebbe definire uno spin-killer. Non costruisce, distrugge. E fattura. La Reti Spa,la sua società di consulenza vanta un fatturato di 5 milioni di euro. Ma lui mira a ben altre mete.

Dice di sé di essere narciso. Chi lo avrebbe mai creduto? Vabbè. Negli USA lo stratega della campagna elettorale di Obama ha fatto eleggere il primo nero alla Casa Bianca. Lui, Claudio Velardi ha fatto molto di più: ha fatto eleggere una nera alla Regione Lazio. Mica bruscolini. Siamo alla farsa della professione del lobbista? Ma no. Per un ex fascista, un ex comunista, un ex questo, ex quello e ex quell’altro, alla fine basta un “ex voto”.

Tanto lo sanno tutti che la comunicazione è tutt’altra cosa. Come diceva Emanuele Pirella, che purtroppo, andandosene, ci ha lasciato un incolmabile vuoto: “La pubblicità deve dire la verità, solo la verità, tutt’altro che la verità”. Ecco allora il riscatto del Velardi, fattucchiere del “tutt’altro”. Beh, buona giornata.

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Attualità Società e costume

Se Berlusconi vince le elezioni, finalmente grandi riforme costituzionali: si comincia dall’Oroscopo.

“Sconfiggeremo il Cancro in tre anni”. Berlusconi dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche Società e costume

Il Papa all’Angelus, in Piazza San Pietro: “Impariamo ad essere intransigenti con il peccato, a partire dal nostro!, e indulgenti con le persone”. La messa è finita, preti pedofili, andate in pace.

(da blitzquotidiano.it)
Il Papa fa retromarcia sui pedofili: “Intransigenti col peccato, indulgenti con le persone: chi è senza peccato scagli la prima pietra”
Il Papa Benedetto XVI, parlando come ogni domenica all’ora dell’Angelus, ha detto una cosa giusta dal punto di vista della Chiesa cattolica, ma molto grave dal punto di vista di uno stato organizzato: “Intransigenti con il peccato, anche il nostro”, ma “indulgenti con le persone”: è stata la massima esposta dal Papa.

Sono parole cristiane, e ciascuno, nel suo privato, fa bene ad attenervisi, anche se non crede, perché è un sano principio etico di convivenza civile. Ma, proprio per la ” contraddizion che nol consente” di Dante, è un concetto che una società organizzata non può accettare.

Nè lo ha accettato la Chiesa nei secoli passati, quando era anche uno Stato con un ampio territorio nell’Italia centrale, e continua a non accettarlo ora, c’è da scommettere, per chi commetta nei crimini nel suo pur limitato e santo territorio.

Sentite da orecchi italiani e peggio ancora a Roma, dove ogni chiesa promette all’ingresso l’indulgenza plenaria quotidiana, sono parole molto dannose.

Dette dal Papa, all’indomani della lettera da lui stesso scritta sullo scandalo della pedofilia che ha travolto la Chiesa in Irlanda, sono parole che vogliono semplicemente dire che una volta chiesto perdono la Chiesa non farà più nulla, come hagià fatto negli anni passati e in particolare proprio su indicazioni dello stesso Ratzinger quando era cardinale.

Prendendo spunto dal brano evangelico dell’adultera, e della famosa frase di Cristo, ‘chi è senza peccato lanci la prima pietra’, Ratzinger ha esortato ad imparare “dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo”: “Impariamo ad essere intransigenti con il peccato, a partire dal nostro!, e indulgenti con le persone”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Salute e benessere Società e costume

Il papa, la pedofilia, l’obbligo del celibato.

Hans Küng: Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia, di Hans Küng, la Repubblica.
Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l`arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell`ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l`opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l`86% dei tedeschi l`atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell`insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l`obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.

Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsia rinunciare alla loro missione.
L`obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all`XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.

Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l`esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l`obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l`arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l`obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l`inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione. In nome della verità, la correlazione tra l`obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione.
Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l`ordinazione al sacerdozio.

Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C`è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all`interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato. In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l`autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d`ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l`azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell`ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.

Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue: Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all`ordine del giornoa quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l`arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.

In nome della verità Joseph Ratzinger, l`uomo che da decenni è il principale responsabile dell`occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz Peter Tebartz-van Elst, che in un`allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un`iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità.
Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».
(Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Società e costume

Il Vaticano e la pedofilia: la “bolla” di papa Ratzinger è solo speculativa?

di Vania Lucia Gaito, da viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.it
“Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall’avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di “ostruzione alla giustizia”. Secondo l’accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo.”

Fa specie sentire il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, parlare di tentativi accaniti di “coinvolgere personalmente il Santo Padre nella questione degli abusi” e dello scandalo della pedofilia. Non me ne voglia, padre Lombardi, ma non c’è bisogno di tentativi, i fatti parlano da soli, basta metterli in fila. A cominciare dal principio, sgomberando il campo dalle chiacchiere.

Il fatto che gli ecclesiastici abbiano pruriti pedofili fin dalla notte dei tempi non c’è bisogno di inventarselo, lo dice un papa, per la precisione Leone X, e lo dice in un atto ben conosciuto, la Taxa Camerae, un documento vergognoso che, ad onta del Vangelo che condanna la simonia come peccato imperdonabile, promette il perdono in cambio di denaro.
I primi due dei 35 articoli di cui si compone la Taxa Camerae riguardano proprio gli ecclesiastici e i loro “peccati”, in particolare il secondo articolo:
“Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi.”
Correva l’anno 1517. Poco meno di cinquecento anni fa. E la Chiesa già sapeva. Solo che fa più comodo, adesso, contare sulla memoria fallace o sulla non conoscenza di chi ascolta le chiacchiere dei vari portavoce.

Ho cominciato da troppo lontano? Veniamo ai giorni nostri, allora. Nel 1962 il cardinale Ottaviani redige un documento noto come Crimen Sollicitationis. Questo documento, prescrive ai vescovi come comportarsi quando un sacerdote viene denunciato per pedofilia. Nel documento c’è scritto, in stampatello e ben evidente: “Servanda diligenter in archivio secreto curiae pro norma interna. Non publicanda nec ullis commentariis augenda”, che vuol dire “Da conservare con cura negli archivi segreti della Curia come strettamente confidenziale. Da non pubblicare, né da integrare con alcun commento”

Il Crimen, in pratica, stabiliva una serie di norme da seguire nei casi di pedofilia clericale. Il processo canonico al sacerdote accusato era un processo diocesano, e a condurlo era il vescovo della diocesi cui il sacerdote apparteneva. Il Crimen va analizzato e “studiato” con cura, poichè è il vademecum che hanno seguito sempre i vescovi nei casi di pedofilia clericale. E fin dal principio risulta chiaro che la stessa esistenza del documento deve essere mantenuta segreta. Perchè?

Analizzando il testo nel dettaglio se ne comprende perfettamente il motivo. Intanto viene definito cosa intendere come peccato di provocazione: “Il crimine di provocazione avviene quando un prete tenta un penitente, chiunque esso sia, nell’atto della confessione, sia prima che immediatamente dopo, sia nello svolgersi della confessione che col solo pretesto della confessione, sia che avvenga al di fuori del momento della confessione nel confessionale, che in altro posto solitamente utilizzato per l’ascolto delle confessioni o in un posto usato per simulare l’intento di ascoltare una confessione.” Insomma, praticamente sempre.

Un’altra prerogativa del Crimen è quella di accomunare l’abusatore all’abusato: entrambi peccatori per aver “fornicato”, anche se l’abusato è stato circuito, plagiato, e, in molti casi, violentato. Nel testo, infatti, (art.73, pag.23 del documento in latino) parlando di “crimine pessimo”, intendendo l’abuso di un bambino o gli atti sessuali con un animale (perchè la Chiesa continua a paragonare, accomunare ed equiparare i bambini agli animali, come ai tempi della Taxa Camerae, a meno che il bambino non sia ancora nato e lì allora la sua vita diventa sacra e inviolabile), si legge che tale peccato è commesso dal sacerdote “cum impuberibus”, cioè “con” il bambino, non “contro”. Perchè, prima di tutto, viene la condanna del sesso, anche quando è fatto contro la propria volontà; poi tutto il resto.

Nei 74 articoli di cui è composto il Crimen, si impartiscono direttive precise. Quella più pressante riguarda sicuramente la segretezza, di cui tutto il documento è imbevuto. Ma cosa prescrive il Crimen? Fondamentalmente questo: coprire, celare, trasferire. L’articolo 4 dice infatti che non c’è nulla che impedisca ai vescovi “se per caso capiti loro di scoprire uno dei loro sottoposti delinquere nell’amministrazione del sacramento della Penitenza, di poter e dover diligentemente monitorare questa persona, ammonirlo e correggerlo e, se il caso lo richiede, sollevarlo da alcune incombenze. Avranno anche la possibilità di trasferirlo, a meno che l’Ordinario del posto non lo abbia proibito perché ha già accettato la denuncia e ha cominciato l’indagine.” Quindi, se si sa che il sacerdote è un pedofilo ma non è stato aperto un processo canonico a suo carico, non c’è nulla che impedisca al vescovo di trasferirlo.

E se invece c’è una denuncia al vescovo? Prima di tutto, la segretezza. Viene fatto giurare a tutti (esistono formule apposite, riportate nel Crimen) di mantenere il segreto, sotto pena di scomunica. Devono mantenere il segreto i membri del tribunale diocesano che “indagano” sulla denuncia, deve mantenere il segreto l’accusato e devono mantenere il segreto anche gli accusatori e i testimoni, pena la scomunica immediata, ipso facto e latae sententiae. Sì, certo, anche la vittima ed eventuali testimoni: “Il giuramento di segretezza deve essere in questi casi fatto fare anche all’accusatore o a quelli che hanno denunciato il prete o ai testimoni.” (Crimen sollicitationis, art. 13, pag. 8 del testo in latino)

“Prometto, mi obbligo e giuro che manterrò inviolabilmente il segreto su ogni e qualsiasi notizia, di cui io sia messo al corrente nell’esercizio del mio incarico, escluse solo quelle legittimamente pubblicate al termine e durante il procedimento” recita la formula A del Crimen. Tuttavia, all’articolo 11 viene specificato che tale silenzio deve essere perpetuo: “Nel trattare queste cause la cosa che deve essere maggiormente curata e rispettata è che esse devono avere corso segretissimo e che siano sotto il vincolo del silenzio perpetuo una volta che si siano chiuse e mandate in esecuzione. Tutti coloro che entrino a far parte a vario titolo del tribunale giudicante o che vengano a conoscenza dei fatti per la propria posizione devono osservare il rispetto più assoluto del segreto – che dev’essere considerato come segreto del Santo Uffizio – su tutti i fatti e le persone, pena la scomunica ‘lata sententiae’ ‘ipso facto’ e senza nessuna menzione sulla motivazione della scomunica che spetta al Supremo Pontefice, e sono obbligati a mantenere l’inviolabilità del segreto senza eccezione nemmeno per la Sacrae Poenitentiariae.”

Tutto questo si è tradotto per decenni in una prassi vergognosa che includeva il trasferimento dei preti pedofili di parrocchia in parrocchia e la richiesta alle vittime di mantenere il segreto, magari tacitandole con piccole somme, sapendo che in molti casi le vittime venivano da ambienti già disagiati e mai avrebbero affrontato la vergogna e le spese di una denuncia alle autorità civili.
Una volta concluso il processo diocesano, se c’erano prove sufficienti a condannare il prete pedofilo (e, caso strano, pare non si siano quasi mai trovate), gli atti dovevano essere trasmessi, sempre in totale segretezza, all’allora Santo Uffizio, poi divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede. In caso non ci fossero prove sufficienti, gli atti dovevano invece essere distrutti.

Ma come mai così poche condanne da parte dei tribunali diocesani? Anche qui, il Crimen detta prescrizioni precise. Innanzitutto, a decidere se la denuncia è fondata o meno è l’ordinario diocesano, cioè il vescovo. Inoltre il documento prescrive: “Se comunque ci sono indicazioni di un crimine abbastanza serie ma non ancora sufficenti a instituire un processo accusatorio, specialmente quando solo una o due denunce sono state fatte, o quando invece il processo è stato tenuto con diligenza, ma non sono state portate prove, o queste non erano sufficienti, o addirittura si sono trovate molte prove ma con procedure incerte o con procedure carenti, l’accusato dovrebbe essere ammonito paternamente, seriamente, o ancora più seriamente secondo i diversi casi, secondo le norme del Canone 2307 […] gli atti, come sopra, dovrebbero essere tenuti negli archivi e nel frattempo dovrebbe essere fatto un controllo morale sull’accusato.”
Chi decide se le prove sono consistenti e sufficienti? Sempre l’ordinario diocesano.

Il Crimen prescrive anche cosa fare nel caso in cui il sacerdote sia stato ammonito ma il vescovo riceve nuove denunce contro di lui: “Se, dopo la prima ammonizione, arrivano contro lo stesso soggetto altre accuse riguardanti crimini di provocazione precedenti l’ammonizione, l’Ordinario dovrebbe vedere, secondo la propria coscienza e giudizio, se la prima ammonizione può essere considerata sufficiente o se procedere a una nuova ammonizione oppure ad eventuali misure successive.”

Con queste premesse, è ovvio che siano in pochissimi i sacerdoti condannati dai tribunali diocesani: i vescovi si limitavano ad ammonire e trasferire, molto spesso solo a trasferire. E la tutela dei bambini? Mai presa in considerazione.

A fare un bilancio della situazione a posteriori, il Crimen non è servito in alcun modo ad arginare il problema della pedofilia clericale, è stato invece utile alla Chiesa a “lavare i panni sporchi in famiglia”. Solo che, con l’andare del tempo, i panni sporchi sono aumentati in maniera sproporzionata. La politica dello struzzo non paga mai, e in questo caso si è dimostrata letale. Negli anni, infatti, gli abusi non sono diminuiti, anzi, il problema si è incancrenito e le vittime sono diventate migliaia.

Non è neppure lontanamente credibile la professione di ignoranza fatta da vescovi e prelati chiamati a rispondere nei tribunali penali, e non diocesani, del loro operato. E sono sempre i fatti a smentirli. Primo fra tutti l’esistenza di una congregazione religiosa dedicata esclusivamente alla cura dei sacerdoti: i Servi del Paraclito. Poco nota, se non agli “addetti ai lavori”, la congregazione dei Servi del Paraclito viene fondata nel 1942 dal sacerdote statunitense Gerald Fitzgerald, a Jemez Springs (Nuovo Messico), con lo scopo di dedicarsi all’assistenza ai sacerdoti in particolare condizioni giuridiche e morali.

Inizialmente, arrivavano a Jemez Springs soprattutto sacerdoti con problemi di alcolismo, ma dal 1965 i Servi del Paraclito cominciarono a trattare anche i sacerdoti pedofili. Con scarsissimi, se non nulli, risultati. Lo stesso fondatore, che dal principio si era opposto alla possibilità di accogliere preti con tali problematiche, fin dagli anni cinquanta inviò numerose lettere a vescovi, arcivescovi ed esponenti della Curia Romana in cui faceva presente la necessità di allontanare dal sacerdozio i preti coinvolti in casi di pedofilia. In una di queste lettere, indirizzata anche al cofondatore della congregazione, scriveva:

“Reverendissimo e Carissimo Arcivescovo,
Carissimo cofondatore

Spero che Sua Eccellenza sia d’accordo e approvi quello che io considero una decisione vitale, da parte nostra: per prevenire uno scandalo che potrebbe danneggiare il buon nome di Via Coeli, non offriremo ospitalità ad uomini che abbiano sedotto o tentato di sedurre, bambini o bambine. Eccellenza, questi uomini sono diavoli e l’ira di Dio ricade su di essi e, se io fossi un vescovo, tremerei se non facessi rapporto a Roma per chiedere la loro forzata riduzione allo stato laicale. E’ blasfemo lasciare che celebrino il Santo Sacrificio. Se i singoli vescovi fanno pressione su di lei, Eccellenza, può dire loro che l’esperienza ci ha insegnato che questi uomini sono troppo pericolosi per i bambini della parrocchia e per il vicinato, sicchè siamo giustificati nel nostro rifiuto di accoglierli qui. Sua Eccellenza può inoltre dire, se lo desidera, che non intende interferire con la regola che l’esperienza ha dettato.
Proprio per queste serpi ho sempre auspicato il ritiro su un’isola, ma anche un’isola è troppo per queste vipere di cui il Gentile Maestro ha detto che sarebbe stato meglio se non fossero mai nati; il che è un modo indiretto di maledirli, non crede?
Quando vedrò il santo padre, dirò a Sua Santità che devono essere ridotti ipso facto allo stato laicale, immediatamente.”

Inutile dire come andò a finire: la politica dello struzzo prevalse e la congregazione accolse i preti pedofili per quello che, caritatevolmente, può essere definito un tentativo di cura. Un caso fra tutti può essere esemplificativo: padre James Porter arrivò a Jemez Springs nel 1967, dopo essere stato destituito da tre incarichi, ogni volta per problemi di pedofilia. Eppure, padre John B. Feit, superiore dei Servi del Paraclito, scrisse per lui accorate lettere di raccomandazione che gli fecero ottenere, alla fine del “trattamento” una diocesi nel Minnesota, dove, appena arrivato, ricominciò gli abusi.
In realtà, Jemez Springs divenne nota come “il carcere dei preti” e funzionò come un “parcheggio” per i sacerdoti su cui pendevano denunce di abusi. Nel 1994, la congregazione dovette chiudere l’esperimento di riabilitazione dei preti pedofili: 17 preti furono coinvolti nel ’91, in 140 cause per abusi sessuali e la Curia pagò 50 milioni di dollari in accordi stragiudiziali.

Identica politica fu seguita dalla Chiesa ogni qualvolta fu messa di fronte alla problematica della pedofilia clericale. Nel maggio 1985 a tutti i vescovi statunitensi fu consegnato un documento noto come “Il manuale”, redatto da due preti e un avvocato: padre Michael Peterson, psichiatra della clinica di S. Luke, il domenicano canonista padre Thomas Doyle e l’avvocato Ray Mouton. Il manuale analizza il problema della pedofilia clericale e le conseguenze, economiche e morali, per la chiesa cattolica. Fornisce direttive per affrontare il problema, ma viene totalmente ignorato. Il risultato anche in questo caso è evidente: milioni di dollari in risarcimenti, diocesi in fallimento o prossime alla bancarotta, un drastico calo di fedeli e soprattutto delle loro generose donazioni.

Lo scandalo, venuto a galla negli Stati Uniti, è solo l’inizio. Altrettanti scandali travolgono l’Australia, il Sudamerica, il Messico, il Canada, l’Alaska, la Polonia, l’Irlanda, la Spagna, l’Inghilterra, la Germania, l’Olanda e moltissimi paesi africani. Una vergogna dietro l’altra, si svelano i retroscena di sacerdoti che hanno molestato, abusato, violentato decine di bambini, alcuni piccolissimi.

Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall’avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di “ostruzione alla giustizia”. Secondo l’accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo.

Tuttavia, anche non tenendo conto di questo “incidente di percorso”, sorgono naturali molti interrogativi sull’operato di Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E, altrettanto naturali, sorgono molti dubbi sulla sua “presa di posizione” drastica e rigorosa nei confronti della pedofilia clericale.
Che fosse ben informato di quanto fosse grave e profonda la piaga degli abusi fra il clero lo afferma lo stesso Ratzinger, nella memorabile nona stazione della Via Crucis del 2005, quando sostituì Giovanni Paolo II ormai morente: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”

E tuttavia, pur consapevole della “sporcizia”, il Prefetto non si armò mai di ramazza per far pulizia. Anzi, in molti casi “celebri” la Congregazione fu assurdamente lenta e le vittime dovettero ricorrere ai giornali per avere almeno una parvenza di giustizia.
Il caso più tristemente famoso è senza dubbio quello che riguarda il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado. Il Vaticano era a conoscenza di molte ombre sull’operato del sacerdote, fin dal 1956, quando il cardinale Valeri lo trovò nella clinica romana Salvator Mundi molto malridotto per l’abuso di morfina. Tuttavia, i procedimenti a carico del fondatore dei Legionari di Cristo non ebbero mai alcun esito, neppure quando, nel 1978 l´ex presidente dei Legionari negli Stati Uniti, Juan Vaca, con un esposto a papa Giovanni Paolo II, accusò Maciel di comportamenti peccaminosi con lui quand´era ragazzo.
Nel 1989 Vaca ripresenta a Roma le sue accuse. Senza risposta, sebbene Ratzinger fosse già dal 1981 a capo dell’ex Santo Uffizio. A febbraio del 1997 con una denuncia pubblica, otto importanti ex Legionari accusano Maciel di aver abusato di loro negli anni Cinquanta e Sessanta.
Nel 1998, il 17 ottobre, due degli otto accusanti, Arturo Jurado Guzman e José Barba Martin, accompagnati dall´avvocato Martha Wegan, incontrano in Vaticano il sottosegretario della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti, e chiedono la formale apertura di un processo canonico contro Maciel. Il 31 luglio del 2000 Barba Martin, assieme all’avvocato Wegan, incontra di nuovo in Vaticano monsignor Girotti. Ma sempre senza alcun risultato.
Finchè, nel 2006, appena cinquant’anni dopo le prime denunce, finalmente la Congregazione per la Dottrina della Fede prende una risoluzione esemplare: invita padre Maciel a ritirarsi ad una vita di preghiera e meditazione. Oggi, a distanza di pochi anni, continuano a spuntare scandali che riguardano Maciel e i Legionari, come la presenza (accertata) di una figlia in Spagna, frutto di una violenza ad una minorenne, diversi presunti figli in Messico, dei quali, tra l’altro, non si sarebbe fatto scrupolo di abusare. Insomma, il Vaticano ha aperto un’inchiesta. Molto rassicurante.

Stessa sorte subita, più o meno, da procedimenti a carico di sacerdoti italiani. Celebre il caso di don Cantini in Toscana, per esempio. Stranamente, la Congregazione guidata da Ratzinger ha sempre impiegato decenni ad indagare sui sacerdoti pedofili, soprattutto quando si trattava di sacerdoti influenti, salvo poi scoprire che, a causa del tempo trascorso, il delitto era caduto in prescrizione. Ad onor del vero, c’è da dire che in alcuni casi sono anche state comminate condanne da far tremare i polsi: litanie alla Madonna, rosari, perfino divieto di celebrare messa in pubblico. Se non è “tolleranza zero” questa…

Poi viene fuori che il fratello del papa distribuiva scapaccioni ai membri del coro da lui diretto e che sapeva che il rettore dell’Internat, il convitto in cui i coristi vivevano, li picchiava sistematicamente, con durezza e spesso persino senza alcun motivo che potesse spingerlo a decidere una punizione. E tuttavia non aveva mai fatto nè detto nulla perchè, essendo il convitto un’istituzione indipendente, non aveva il potere di denunciarlo. Certo, perchè serve “essere autorizzati” per denunciare violenze e abusi. Non basta l’amore per il prossimo, quello per cui Cristo s’è fatto mettere in croce. Non basta il senso di giustizia, non basta il desiderio di tutelare i bambini. Salvo poi scusarsi, vent’anni, trent’anni dopo, e solo dopo che si è sollevato lo scandalo. Questo desiderio di scusarsi come mai non è mai stato avvertito prima che l’ex direttore del coro finisse nell’occhio del ciclone e sulle pagine dei giornali?

Senza parlare delle prese di posizione nettissime di papa Ratzinger. Un esempio? Il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti, nel corso del quale, tra i festeggiamenti del suo compleanno con Bush alla Casa Bianca e la visita a Ground Zero, il Papa ha sostenuto l’inconciliabilità tra il sacerdozio e la pedofilia. Praticamente la scoperta dell’acqua calda.

Senza contare che in quella visita non era stato neppure previsto un incontro con le vittime. Ratzinger fu spinto dall’opinione pubblica e dai media americani ad un incontro estemporaneo con quello che i giornali italiani hanno caritatevolmente definito “un gruppo di vittime”: cinque persone ricevute in piedi, meno di mezz’ora in tutto, nella cappella privata della nunziatura apostolica di Washington. Contemporaneamente, però, ospiti del papa durante quel viaggio sono stati tre vescovi celebri per aver coperto i preti pedofili: il cardinale Egan e il cardinale Mahony, che sono stati gli anfitrioni di

Ratzinger durante i giorni trascorsi a New York, e il cardinale Francis George, che ha accolto il papa a Washington.
Dunque, fuori dalle chiacchiere e dai proclami, i fatti, nudi e crudi, parlano da soli.
E’ questa la “tolleranza zero” di cui il Vaticano fa tanto parlare? (Beh, buona giornata).

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L’Italia è diventata un Paese di venditori. (Tanto non lo legge nessuno.)

L’Italia è diventato un Paese di venditori. Si vende il proprio sesso per avere un posto in parlamento, un ministero. Si vende il sesso degli altri, meglio sarebbe dire delle altre, per avere un appalto, una commessa per la fornitura di apparecchiature mediche. Si vende la propria professione per avere un posto da direttore di telegiornale. Si vende la propria faccia sui manifesti elettorali per un posticino in un consiglio regionale. Non produciamo più idee, prodotti innovativi, personalità istituzionali, intuizioni creative.

Non siamo più il Paese che si risollevò dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, per diventare uno dei paesi più industrializzati del Mondo, un Paese che si rimboccò le maniche e ricostruì case, ponti, strade, fabbriche, ma anche diritti, competenze, convivenza civile, scuole per alunni, ma anche scuole di pensiero.

No, ormai vendiamo il vendibile. Così non è per nulla strano che si vendano onorificenze ai pompieri, quelli che si ammazzano di fatica, e spesso ci lasciano la pelle per salvare altre pelli, per toglierci dai guai. I guai, quelli che inavvertitamente facciamo contro di noi. I guai, quelli di cui siamo vittime, per colpa di “inavvertiti” politici e amministratori della cosa pubblica: che sono quelli che chiamano i pompieri quando frana un collina, sulla quale si sono date allegramente licenze edilizie; quando esonda un fiume, attorno al quale si è lottizzato senza pensare alle conseguenze; quando vengono giù le case, costruite con l’ingordigia dell’affarismo, invece che col cemento armato.

Quando è stato intervistato il responsabile amministrativo della Protezione Civile, a proposito della vendita delle onorificenze, egli mostrava orgoglioso il campionario: una medaglia e un paio di fregi alla comoda cifra di 130 euro. Un affare, no!? Ma certo che è un affare.

Il nostro Paese non è forse una grande, smisurata televendita? Alcune centinaia di migliaia di persone parteciperanno a una minifestazionde pubblica in piaza San Giovanni in Laterano. Compreranno la tesi del Governo.

Le posizioni politiche non si confrontano, si vendono nei talk show. Il talento non si esercita, si vende nei talent show. La politica non progetta, vende candidati.

La giustizia non sanziona comportamenti criminali, no, la giustizia vende l’ingiustizia del complotto contro gli eletti dal popolo. E gli imputati vendono la loro impunità.

L’informazione non vende giornali, no, vende “fango” contro quelli che presi con le mani nel sacco, vendono in saldi la loro sfacciata impunità.

Fin tanto che ci sarà qualcuno disposto a comprare la merce (della politica, dell’informazione, dell’intrattenimento, addirittura dell’architettura istituzionale), beh, che volete? È la legge della domanda e dell’offerta.

Ci stanno pignorando beni comuni, libertà collettive, diritti condivisi, l’idea della democrazia, la visione stessa del futuro dei nostri figli. Berlusconi, ogni giorno batte l’asta.

Un piccolo, forse prezioso “consiglio per l’acquisto”: cerchiamo, almeno di non comprare prodotti scaduti (così in basso). È un consiglio gratis.
Beh, buona giornata.

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Taxi, tutto il mondo è paese. Solo che a New York li puniscono, invece a Roma li corteggiano per avere voti.

New York, la grande truffa dei tassisti-Tariffe ritoccate per i turisti-Un business da 8,3 miliardi-lastampa.it

Migliaia di tassisti di New York hanno applicato negli ultimi anni tariffe ritoccate alla clientela, appropriandosi indebitamente di oltre 8,3 milioni di dollari in un totale di 1,8 milioni di corse. È quanto ha calcolato la Commissione di Taxi e Limousine della Grande Mela, secondo quanto riferisce il ’New York Times’. Per stilare il rapporto l’agenzia municipale di controllo ha utilizzato il sistema Gps a bordo delle auto pubbliche confrontando dal 2008 i tragitti e le tariffe applicate che sono risultate in media più alte di 4,45 dollari del dovuto. Le corse prese in esame, 1,8 milioni, sottolinea il quotidiano, rappresentano una quota esigua sul totale di 360 milioni di corse effettuate nei 26 mesi analizzati.

Gli investigatori hanno scoperto che 36mila tassisti hanno gonfiato i prezzi almeno una volta e circa tremila lo hanno fatto più di cento volte. Il “ritocco” maggiore nelle aree di Nassau and Westchester. Secondo la Commissione può essere considerata la più grande truffa nella storia dell’industria dei taxi. Matthew W. Daus della Commissione di Taxi e Limousine dice: «Non abbiamo mai visto nulla di così esteso, è un fatto gravissimo». Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha assicuraato che ” per alcuni potrebbero esserci delle serie conseguenze”.

Applicare una tariffa diversa da quella prevista dal regolamento viola le regole della Commissione. La pena prevista per chi non rispetta le norme è una multa, più il ritiro della licenza, a seconda della gravità dell’infrazione. I tassisti della Grande Mela hanno espresso tutto il loro rammarico per la vicenda. «Ci vergognamo. Ora tutti ci guardano come ladri», commenta il tasissta Bagicha Singh. (Beh, buona giornata)

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Quando il governo perde la calma, il potere mostra tutta la sua debolezza: ecco chi è l’uomo che ha fatto incazzare Berlusconi.

Carlomagno, il free lance disturbatore che aveva già interrrotto Veltroni, D’Alema e Pannella-ilmessaggero.it
ROMA (10 marzo) – Un nome da imperatore, ma una lunga “carriera” da disturbatore e contestatore: Rocco Carlomagno, 40 anni, l’uomo che oggi ha avuto un lungo battibecco col premier Silvio Berlusconi e con il ministro Ignazio La Russa, non è un giornalista ma un attivista antinucleare del coordinamento nazionale di lotta contro i siti di stoccaggio, un tempo iscritto al Pd della Basilicata e ora vicino al Popolo viola. Ma, soprattutto si è fatto conoscere per numerosi altri episodi analoghi a quello di oggi.

Nel 2008 il leader radicale, Marco Pannella, in occasione di uno sciopero della fame contro la lista dei candidati elaborata dal Pd, fu costretto a urlare: «toglietegli il microfono». Carlomagno – deluso per le liste – si alzò e lesse un proclama fiume contro i candidati indagati e rimessi in lista: «Adesso inizieremo lo sciopero della fame!». Pannella gli diede la parola; poi, visto che quello perseverava si spazientì: «A Radioradicale ti hanno sentito…». Infine, visto che Carlomagno proprio non sembrava voler mollare il microfono, addirittura urlò: «Ooooohhhh!!! Hai finito!?».

Ma Carlomagno «il contestatore» si era già distinto interrompendo Walter Veltroni al Loft del Circo Massimo, e più recentemente Luciano Violante, che contestò sul tema dell’immunità parlamentare, e Masimo D’Alema a un convegno sul processo penale organizzato da Italianieuropei. Curriculum («sono un freelance e per fortuna non sono iscritto all’albo dei fascisti giornalisti», dice) ed exploit a parte, Carlomagno, grazie alla sua performance di oggi sul web, è già una star: sui social network fioccano le pagine che inneggiano all’uomo che ha cercato insistentemente di porre domande al Cavaliere sul decreto salva-liste e sul caso Bertolaso e che ha costretto a intervenire in prima persona nientemeno che la Russa. (Beh, buona giornata).

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Il televoto, quel modo “gelatinoso” di fare tv.

La fabbrica dei “televoti”: i soldi, i clan, gli “Amici”-blitzquotidiano.it

Poichè mancano efficaci strumenti di verifica, è facile truccare questo sistema di votazione: in alcuni casi basta allertare tutti i conoscenti, in altri casi i diretti interessati utilizzano call center che incrementano il numero di telefonate a favore di un determinato concorrente – Dietro il fenomeno del televoto esiste un business che fa avere ottimi ritorni economici alle compagnie telefoniche

Il televoto è “democrazia”? Mica tanto, non solo perché votano relativamente in pochi, m soprattutto perché chi vuole vota di fatto quante volte gli pare. Nella democrazia funziona secondo “una testa, un voto”. Nel televoto funziona secondo “un telefono, tanti voti…”. Se non è proprio democrazia, di certo il televoto è un affare per chi lo organizza e le propone, ci si guadagna. Ed è certamente “costume”, un modo di ritrovarsi tra simili, fare gruppo e “promuovere” gli uomini e le donne cari ai vari “clan” di televotanti. E il meccanismo, tecnologico e culturale mediante il quale gli eroi dei “talent show” televisivi diventano i cantanti vincitori a Sanremo, il meccanismo attraverso il quale per due anni consecutivi ha vinto un concorrente proveniente dalla “Amici Spa” di Maria De Filippi, l’anno scorso Marco Carta, quest’anno Valerio Scanu.

Il televoto è infatti uno degli strumenti di votazione preferiti per concorsi e trasmissioni televisive. Con il televoto il telespettatore può esprimere la sua preferenza attraverso il telefono: tradizionalmente l’utente si esprimeva attraverso una telefonata ad un numero di riferimento. Con la diffusione dei cellulari, però, è possibile votare anche tramite Sms.

Il televoto viene appaltato dalla produzione della trasmissione televisiva a società esterne esperte nella gestione di Sms e telefonate: è compito di queste società quello di immagazzinare ed elaborare i dati ricevuti. A queste società i singoli operatori telefonici fanno confluire gli sms e le telefonate ricevute. Tutto viene conservato in un “cervellone”, quando poi il televoto viene chiuso si legge il risultato che viene trasmesso allo studio televisivo. Un notaio deve garantire la correttezza dell’intera operazione.

Ogni voto ha un costo: in Italia il prezzo per un televoto è di circa 1 euro. La società che gestisce tutto il sistema invia poi al votante un Sms di conferma: nella notifica la società fa sapere all’utente che il suo voto è stato regolarmente espresso. Ognuno di questi Sms ha un ulteriore costo di 12 centesimi. Se il proprio televoto, tuttavia, è giunto fuori tempo massimo si pagano comunque i 12 centesimi del messaggio di conferma.

Il guadagno viene diviso tra gli operatori telefonici, le reti tv, il titolare del format, i produttori del programma e le società che gestiscono il televoto. Ma a trarre il maggior profitto sono gli operatori telefonici, che in media incassano tra il 40 e il 50 per cento del totale. Motivi che inducono a parlare di “business” legato a questo fenomeno.

Teoricamente il televoto è riservato solo ai maggiorenni, ma non esistono strumenti in grado di poter effettuare una corretta verifica. E proprio la mancanza di mezzi adatti alla verifica rende difficile stabilire la “validità” del televoto. Per esempio, uno dei principali limiti nell’utilizzo del televoto è rappresentato dalla possibilità del singolo votante di inviare un infinito numero di voti: il rischio concreto è che i risultati risultino alterati.

Uno dei casi più celebri di “televoto truccato” è stato rivelato da Lele Mora: in un’intervista rilasciata a “Striscia la notizia”, l’agente confessò di aver investito 25 mila euro in televoti per aiutare Walter Nudo (che era suo cliente) a vincere il reality show “L’isola dei famosi”. Anche altri partecipanti ai reality hanno candidamente ammesso che per assicurarsi “pacchetti di voti” basta poco: c’è il classico “telefono senza fili”, con parenti, amici e amici di amici allertati mediante passaparola. Ma c’è anche, a quanto pare, chi versa somme di denaro ai call center per assicurarsi un certo numero di preferenze.

Proprio il sospetto di irregolarità ha spinto il Codacons a chiedere la sospensione dei risultati del Festival di Sanremo. L’associazione che difende i diritti dei consumatori ha chiesto alla Guardia di Finanza di Sanremo e all’Autorità Garante per le Comunicazioni di sequestrare i tabulati dei televoti relativi ai primi tre classificati. Il Codacons teme che ci sia lo “zampino” di agenzie specializzate nel campo. Secondo l’associazione, la Guardia di Finanza dovrà verificare anche se le società private che gestiscono il televoto abbiano interessi o rapporti economici con alcuni dei partecipanti alla gara. (Beh, buona giornata).

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Anche al festival di Sanremo va in scena “la deroga” alle regole del buon gusto, della musica, dello spettacolo.

Festival di Sanremo: contestazioni all’Ariston e polemiche dei vinti di Alessandro Avico-blitzquotidiano.it
Polemiche per il ripescaggio del “trio” che arriva in finale – l’orchestra non ci sta e chiede che i risultati del televoto vengano resi pubblici, poi appallottola gli spartiti – sul palco arrivano gli operai di Termini Imerese assieme a Maurizio Costanzo, fischi e contestazioni da tutto il teatro per gli interventi al riguardo di Bersani e Scajola – Nino D’Angelo polemizza e definisce una “schifosa” questa edizione del Festival

Alla fine non sono arrivati primi ma hanno comunque fatto esplodere il caso. Il festival di Sanremo l’ha vinto Valerio Scanu mentre Pupo ed Emanuele Filiberto con Luca Canonici hanno conquistato il secondo gradino del podio, seguiti da Marco Mengoni. Ma era bastato, un’ora prima, che Antonella Clerici dicesse i nomi dei tre finalisti perché all’Ariston esplodesse il caos. Via Cristicchi, Arisa e la Grandi e sono fischi, via Noemi, Fornaciari e tutti gli altri e il teatro viene giù, e quando la conduttrice annuncia la bocciatura di Malika (che tuttavia conquisterà il Premio della Critica “Mia Martini”) c’è la rivolta degli orchestrali: il direttore chiede di rendere pubblico il voto, loro stracciano gli spartiti e li appallottolano.

Alla fine il televoto premia il ragazzo uscito dalla scuderia di Amici di Maria De Filippi (è il secondo anno consecutivo, dopo Marco Carta nel 2009) ma al trio delle contestazioni non va male, seconda postazione. Terzo, il vincitore dell’ultima edizione di X-Factor.

Tensione come non se ne vedeva da anni al festival. La Clerici un po’ si perde e Maurizio Costanzo anticipa il suo ingresso in scena con tre operai della Fiat di Termini Imerese. Cerca di placare gli animi con un ricordo di Mike Bongiorno, scatta l’applauso, poi però l’intervista alle tute blu riaccende la sala, Costanzo offre il microfono al segretario del Pd Pierluigi Bersani che neanche comincia (dice appena “non è possibile mandarli sui tetti…”) che partono i buu.

Prende il microfono anche il ministro Claudio Scajola – che gioca in casa, visto che Imperia è il suo collegio elettorale – che ribadisce l’intenzione del governo di trovare una soluzione per lo stabilimento Fiat e guadagna un applauso. Qualcuno prova a contestare pure lui ma è pronto l’intervento di Guido Paglia, direttore delle relazioni esterne e della comunicazione Rai, che si alza di scatto e fa un gestaccio con le mani verso l’origine del brusìo a stroncare la protesta. Stacco pubblicitario, si rientra con la banda dell’Arma dei Carabinieri che attacca la colonna sonora di Guerre Stellari. Cinque minuti dopo, l’orchestra e la Clerici intonano Le tagliatelle di nonna Pina. Tutto sembra così surreale.

Erano arivati in dieci alla finale sulla scia delle polemiche scatenate dall’esibizione del ct della Nazionale, Marcello Lippi, con Pupo ed Emanuele Filiberto. La prima scrematura, che ha fatto fuori sette Artisti, è toccata al giudizio combinato dell’orchestra del festival (50%) e del pubblico (50%). Serata ricca di ospiti, in parte autopromozioni Rai, come ieri con Cristiana Capotondi, presto novella Sissi in una miniserie di RaiUno. Stavolta è toccato a Emilio Solfrizzi e ai protagonisti di Tutti pazzi per amore 2, serie amata dal pubblico presto di nuovo su RaiUno, prestati a un’improbabile coreografia in stile Bollywood. E ai bambini di Ti lascio una canzone, che la Clerici riporterà su RaiUno da marzo.

Si esibisce anche Lorella Cuccarini, indosso solo una chitarra bianca, costume di scena del musical Il Pianeta Proibito che sta portando in tour da un paio di mesi. Il (quasi) nude-look spinge la Clerici verso una delle sue celebri scivolate: “Ho visto il lato B di Lorella, accidenti che topolona”. Un omaggio a Michael Jackson con i ballerini che stavano preparando con lui gli show di Londra della scorsa estate, poi finalmente un po’ d’aria internazionale con Mary J. Blige, superstar del r’n’b.

Questi gli ospiti, questi i finalisti, Valerio Scanu il vincitore, ma il Festival oltre ai momenti di caos vissuti durante la serata, ha visto anche polemiche per la qualità della musica. Morgan ha prontamente dichiarato: “Per fortuna non ci sonon andato”. Nino D’Angelo ha caricato invece a testa bassa: “E’ una vergogna. Solo in un paese dei balocchi come l’Italia puo’ succedere una cosa del genere. Non mi fa nemmeno rabbia, ma proprio schifo”, ha detto il cantante a Sorrisi.com. D’Angelo, eliminato giovedi’ dal Festival, ha definito “‘na chiavica” la canzone con cui Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici sono finiti nella terna dei finalisti. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Società e costume

La sai l’ultima?

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha anticipato che il governo è pronto a inasprire le pene per i reati di corruzione. “Ho in animo di presentare un provvedimento addirittura nel prossimo Cdm – ha detto Berlusconi – Sto lavorando a un inasprimento”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Popoli e politiche Pubblicità e mass media Società e costume

Ecco come la Destra in Italia ha avvelenato i cuori e inquinato le coscienze dei giovani. Pessimo il futuro che ci attende.

(da repubblica.it)
Quasi la metà dei giovani italiani è razzista, diffidente nei confronti degli stranieri mentre solo il 40 per cento si dichiara “aperto” alle novità e alle nuove etnie che popolano il nostro Paese. E’ lo sconfortante ritratto offerto dall’indagine “Io e gli altri: i giovani italiani nel vortice dei cambiamenti” da cui emerge che il razzismo è un fenomeno tutt’altro che sradicato tra i ragazzi. Presentato oggi alla Camera, alla presenza del presidente, Gianfranco Fini, lo studio è promosso dalla Conferenza delle assemblee delle Regioni nell’ambito delle iniziative dell’Osservatorio della Camera sui fenomeni di xenofobia e razzismo, ed è stato realizzato da Swg su duemila giovani.

Chiusure e fobie. L’area tendenzialmente fobica e xenofoba è del 45,8 per cento, con diverse sfumature al suo interno. Lo studio indica tre agglomerati. Il primo è quello dei Romeno-rom-albanese fobici, pari al 15,3 per cento del totale degli interpellati, e manifesta la propria intolleranza soprattutto verso questi popoli. E’ l’unico gruppo la cui maggioranza (56 per cento) è costituita da donne. Il secondo riunisce soggetti con comportamenti improntati al razzismo. E’ il più esiguo, perché rappresenta il 10,7 per cento dei giovani, ma il più estremo, perché in sostanza rifiuta e manifesta fastidio per tutti, tranne europei e italiani. Ci sono poi gli xenofobi per elezione (20 per cento): non esprime forme di odio violente, quel che conta è che le altre etnie se ne stiano lontane, possibilmente fuori dall’Italia.

Aperture e tolleranze. La fetta di quanti hanno invece un atteggiamento aperto è del 39,6 per cento. All’interno si riconoscono gli
inclusivi (19,4 per cento) con un’apertura totale e serena (55,3 per cento); i tolleranti (14,7 per cento), un po’ più freddi rispetto ai precedenti e gli aperturisti tiepidi (5,5 per cento), ossia giovani decisamente antirazzisti, ma con forme più caute e trattenute, minore interazione con le altre etnie e un riconoscimento più ridotto dell’amore omosessuale. Al centro lo studio posiziona i mixofobici (14,5 per cento), giovani che non sono del tutto proiettati verso la chiusura, ma neppure verso il suo opposto e che vivono un sentimento di fastidio verso ciò che li allontana dalla loro identità.

Rom, sinti e romeni i meno graditi. I giovani italiani tra i 18 e i 29 anni giudicano ‘simpatici’ gli europei in genere con un voto pari a 8,2 su una scala da 1 a 10, gli italiani del Sud (7,8) e gli americani (7,7), mentre ritengono antipatici e da tenere a distanza soprattutto Rom e Sinti (4,1), romeni (5,0) e albanesi (5,2). Attraverso un’indagine è stato chiesto ai giovani di rispondere come si sarebbero comportati in determinate situazioni. Ecco le risposte.

Scegliere con chi andare a cena. I giovani hanno messo in testa le persone disagiate economicamente, giudicano “accettabile” una cena con un ebreo, un omosessuale o con un extra-comunitario. Accettato, ma con freddezza un musulmano. Impensabile pasteggiare con un tossicodipendente o un rom.

Il vicino di casa. Verrebbero accettati tranquillamente omosessuali, ebrei e poveri. No invece a zingari e a chi utilizza sostanze stupefacenti e zingari.

Se un figlio si fidanza. I giovani italiani riterrebbero accettabile avere un figlio che ha un partner o una partner di religione ebraica, ma anche qualcuno con evidenti disagi economici. Meglio comunque se a ritrovarsi in questa situazione è il maschio: per la figlia femmina, infatti, c’è qualche resistenza in più. Scarso entusiasmo se la coppia si formasse con un o una extra-comunitaria o con una persona musulmana. Assai più difficile convivere con l’omosessualità di un figlio. Ma l’incubo peggiore è la possibilità che uno dei propri figli faccia coppia con un tossicodipendente o un rom, situazione considerata inaccettabile.

Identikit del giovane razzista. Il profilo più estremo del razzismo tra i giovani, così come emerge dall’indagine presentata alla Camera, descrive una persona che ostenta superiorità e persistente bisogno di potenza. Ha atteggiamenti apertamente omofobici, spinte antisemitiche, convinzione dell’inferiorità delle donne. E non accetta nessuna razza o etnia diversa dalla propria. Un profilo che riguarda il 10,7 per cento dei giovani, ma estremamente preoccupante. L’indagine definisce questa tipologia come quella dei soggetti “improntati al razzismo”.

Un clan che si espande online. Questo clan, rileva la ricerca, si distingue non solo per l’intensità estremizzata delle proprie posizioni, ma anche per la sua capacità di produrre un vero e proprio modo di essere nella società, per la sua tendenza a essere una comunità, per quanto chiusa e ristretta. Si tratta di un agglomerato che sviluppa un forte senso di appartenenza, che ha trovato nella rete il proprio ambito di espressione e riconoscimento, e il proprio megafono. Questo clan ha, anche se per ora non in modo uniforme e unificato, una propria strategia di “espansione”, per creare nuovi fan, per sviluppare e far crescere i propri adepti, di ingrossare le proprie fila.

Su Facebook oltre mille gruppi xenofobi. Dalla ricerca emerge inoltre che sono oltre un migliaio i gruppi razzisti e xenofobi che si trovano su Facebook. “Nel nostro studio sul razzismo e i giovani – ha spiegato il direttore di Swg, Enzo Risso, – abbiamo condotto un’indagine su Facebook, una sorta di censimento sui gruppi xenofobi, effettuato tra ottobre e novembre. Ne abbiamo contato un centinaio anti musulmani, 350 anti immigrati alcuni con punte di 7 mila iscritti, 400 anti terroni e napoletani e 300 anti zingari, anche qui con fino a 7mila iscritti”. Risso ha spiegato che questa parte dell’indagine “non può essere considerata un censimento vero e proprio perché quella di internet è una realtà che varia continuamente, ma ha un valore indicativo”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Lavoro Società e costume

La festa degli innamorati nell’epoca dei disoccupati: “Godetevi il giorno di san Valentino ragazzi miei, amatevi di marca e sbaciucchiatevi di lusso. Domani ci ritroveremo come l’altro ieri: io e te tre metri di fila all’ufficio di collocamento”.

di GIORGIA SPINA
Mentre l’Italia cerca di divincolarsi alla meno peggio dall’abbraccio della Crisi, gli italiani oggi si concedono il lusso di abbracciarsi e sbaciucchiarsi come San Valentino comanda.
Anche quest’anno è arrivata la festa degli innamorati. Le vetrine dei negozi si riempiono di cuori rossi, i telegiornali incastrano un servizio sui buoni sentimenti dietro a quelli del Paese che va a puttane e chi ieri si mandava a fanculo oggi si ripete pateticamente “ti amo pucci pucci pu”. Tutto come da copione.
A quanto pare la crisi delle minchiate non è contemplata nella parola generica. Il giorno prima c’è chi si lamenta che il lavoro va male, che si sta con il fiato sospeso perché stanno facendo dei tagli, e il giorno dopo i tagli sono quelli di grosse banconote che entrano nelle casse di Mister Perugina, dei signori Fiorai, del completino intimo QuantoSeiZoccola da regalare alla fidanzata, moglie, amante, massaggiatrice (pare che anche loro inizino a rivendicare qualcosina…). E il giorno dopo, è chiaro, si ricomincia da capo: siamo senza futuro, non arrivo a fine mese e via dicendo.
A quanto pare Cupido colpisce al cervello: il 14 Febbraio si crea una sorta di amnesia dei giorni precedenti e un’idea vaga, vaghissima, di quelli a venire. Sono tutti pronti a spendere e spandere nel porno kitsch, per peluche di dimensioni spropositate per i quali dovresti affittare un monolocale apposito vicino casa, per gioielli che il giorno prima guardavi con il naso appiccicato alla vetrina come la Piccola Fiammiferaia. E poi cioccolatini, tubi e tubetti a profusione, rose rosa alla signora (con cui non si tromba più da un po’) e rosse all’amante (con la quale l’ultima risale a ieri sera).
Da tutto questo spettacolino aberrante non si risparmiano affatto i giovani, a furor di popolo la categoria più colpita dalla terribile Crisi. Trentenni al secondo anno di Università, disoccupati, stagisti e fancazzisti fanno una corsa agli armamenti che costa molto più di una paghetta. Alla faccia del “non ho neanche i soldi per la pizza il sabato sera”!
Ristoranti di lusso prenotati per la cena in cui sarete i più “fidanzatissssimi innamoratisssimi” di tutti, lotte per accaparrarsi la miglior lingerie di pizzo, seta o pelo rosso grazie alla quale la tua lei te la darà quella notte come mai altre, se non quella dell’anno prossimo, ovvio. E poi ancora cuori gonfiabili da far invidia alle mongolfiere, mazzi e mazzi di fiori da scatenare l’ira di Greenpeace, ciondoli, bigliettini dai profumi metifici e tante altre cazzate perché siamo giovani e spensierati… oggi. Domani si ricomincerà con il pianto e con “non trovo lavoro, non riesco a finire gli studi, mamma aiutami tu perché sono proprio sfigato”.
Godetevi il giorno di san Valentino ragazzi miei, amatevi di marca e sbaciucchiatevi di lusso. Domani è un altro giorno, avrebbe detto qualcuna. Domani ci ritroveremo come l’altro ieri: io e te tre metri di fila all’ufficio di collocamento.
E scusa Paese caro, ma ti chiamo coglione! (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Società e costume

Per uscire dai social network, un suicidio (virtuale).

Stanco dei social network? Ecco la “macchina per il suicidio virtuale”-lastampa.it
Già commessi 900 “suicidi”. Ma Facebook blocca il sito: «Viola la privacy»

Un sito Internet che consente di commettere un «suicidio» virtuale, cancellando totalmente il profilo di un utente sui social network è stato bloccato da Facebook, che ha ottenuto anche la sua iscrizione nella lista dei siti pericolosi per la sicurezza dei navigatori.

Suicidemachine.org, che ha per titolo «The Web 2.0 Suicide Machine», consente di cancellare tutti i «profili succhia-energia nelle reti sociali», «eliminare tutti falsi amici virtuali», e «farla finita con il vostro alterego Web 2.0», spiegano i realizzatori sull’home page, precisando che il servizio funziona attualmente con Facebook, Myspace, Twitter e LinkedIn e che in 52 minuti riesce a fare automaticamente ciò che manualmente richiederebbe oltre nove ore.

Secondo Facebook, però il servizio viola i termini sulla privacy e le regole del social network quando accede e scarica i dati degli utenti per cancellarne i profili e l’azienda si riserva il diritto d’agire legalmente nell’immediato futuro. La “macchina per il suicidio virtuale”, che finora è stata utilizzata, secondo quanto riportano sul sito, da 892 navigatori, 500 dei quali utenti di Facebook, eliminando 58.401 amicizie virtuali e cancellando più di 230 mila “cinguettii” da Twitter, ha risposto lanciando una petizione per chiedere l’esclusione del suo indirizzo Internet dai siti banditi.

La «macchina» non è però l’unico sito di questo tipo ad aver attirato gli strali di Facebook. Il social network aveva infatti già inviato una lettera di diffida a Seppukoo.com, che permette ai suoi utilizzatori di commettere un “karakiri” informatico in puro stile giapponese. «Come il seppuku riabilita l’onore del samurai, così seppukoo.com si impegna a liberare il corpo digitale», recita un’avvertenza sul sito che in home page, accanto alle foto e ai nomi degli utilizzatori più recenti, reca anche l’avvertimento che è sotto attacco da parte di Facebook. Anche l’accesso da Facebook a seppukoo.com è stato bloccato dal social network, ma il sito ha finora negato ogni addebito, in particolare per le accuse di phishing. (Beh, buona giornata).

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