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Riceviamo e pubblichiamo: è nato www.siamotuttigiornalisti.org

Pochi mesi fa è nato il primo polo editoriale italiano che adotta il modello di wikipedia: ognuno può contribuire a migliorare la qualità dell’informazione in piena libertà. www.siamotuttigiornalisti.org offre a chiunque la possibilità: di poter disporre di una panoramica di tutti i principali mezzi di informazione italiani e stranieri di poter accedere a tutti i contenuti del sito per poter usufruire di un’informazione il più possibile libera da condizionamenti politici o da interessi economico-finanziari di pubblicare liberamente contenuti (notizie, opinioni, articoli, studi, interviste, testimonianze, casi emblematici) e di commentarli, contenuti che possono consistere in contributi di servizio, di denuncia, di conoscenza, di stimolo alla crescita del paese, etc.

Contenuti mai banali che tendono ad illuminare gli avvenimenti di evidenziare, qualora occorra, le manipolazioni a cui spesso le notizie vengono sottoposte inoltre di organizzare eventi, lanciare campagne di opinione, aprire dibattiti, lanciare sondaggi, porre domande ai politici, allegare documenti, segnalare altri siti o indicare riferimenti bibliografici, suggerire nuovi contenuti, proporre miglioramenti.

I principi ispiratori che sono alla base dell’iniziativa sono sostanzialmente due: La “notizia” é patrimonio di tutti e quindi tutti sono chiamati a contribuire alla sua formazione e al suo controllo. Da qui il titolo “SiamoTuttiGiornalisti” Il sito appartiene a chiunque contribuisca ad arricchirlo di contenuti e/o a sostenerlo sia economicamente che con il proprio lavoro. Ognuno godrà di una “compartecipazione” la cui quota sarà misurata sulla base del proprio coinvolgimento In questo modo chiunque potrà agire al contempo da “Lettore”, “Giornalista” ed “Editore” (vedere la voce “Chi siamo” sulla home page del sito). Il team di SiamoTuttiGiornalisti

Se anche tu sei venuto a conoscenza, tramite altri mezzi di comunicazione o in modo autonomo, di notizie interessanti da condividere pubblicale sul sito! Soprattutto se si tratta di notizie importanti, ma trascurate dai media che contano, perché troppo interessati ai discorsi dei politici! Per pubblicare occorre registrarsi! … e non dimenticarti di diffondere la notizia tra gli amici e i conoscenti ! Buona notizia a tutti con www.siamotuttigiornalisti.org ! (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

L’Amaro calice.

Il direttore del Tg4 nell’edizione di ieri alle 19 dopo la protesta degli studenti a Roma ha detto: “La gente perbene dovrebbe intervenire e menare”. Deve essere stata la stessa cosa che ha pensato il dottor Giuliani, dell’omonima azienda produttrice del mitico Amaro Medicinale, quando lo ha affrontato in un ristorante milanese. Poi dice che una se la tira. Beh, buona giornata,

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Tre cazzotti al direttore di TG 4. Pensava di valerne almeno quattro?

«Mi si è avvicinato, pensavo mi volesse salutare – ha raccontato il direttore del Tg4 – invece senza alcuna ragione mi ha dato tre pugni in testa». Tre pugni come le tre virtù teologali: Fede (Emilio), speranza (poca) e carità (di Patria). Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

“Vieni via con me” rovescia il rapporto fra televisione e politica.

Il format Saviano tra politica e tv, di ILVO DIAMANTI-la Repubblica

QUESTA sera, a “Vieni via con me”, è ospite il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Arriva su Rai Tre dopo una settimana di polemiche: contribuiranno a tenere alta l’audience della trasmissione. Sarebbe, tuttavia, sbagliato interpretarle come un segno di insofferenza da parte delle forze politiche di governo e dei dirigenti della tivù “loro fedeli” contro programmi e conduttori sgraditi. Dopo Santoro, Gabanelli, Dandini: Fazio e, soprattutto, Saviano. Certo, c’è anche questo.

Ma “Vieni via con me”, a mio avviso, non è “un caso”, semmai: una svolta. Perché rovescia il rapporto fra televisione e politica. Non più la televisione al servizio della politica, ma neppure la televisione e la politica, in rapporto di reciprocità e di scambio. È la “politica al servizio della televisione”. Meglio ancora: la televisione che “usa” la politica, a sua volta “usata” da un intellettuale e scrittore per narrare la politica. Si tratta di un format originale, che conclude un percorso che dura da anni. Cominciato dopo la caduta della Prima Repubblica, quando la politica “controllava” la televisione e la delimitava in spazi “separati”. Le “tribune politiche”, al tempo dei partiti immersi nella società e nelle istituzioni. Poi, agli inizi degli anni Novanta, Gad Lerner, per primo, entra “Nella tana della Lega”. Scruta il “Profondo Nord”. Mette in scena Tangentopoli e lo scontro fra “Milano e l’Italia”.
In teatro, il pubblico rappresenta la piazza, meglio le piazze (lo spettacolo è itinerante) della società civile in rivolta. Mentre sul palco scorrono gli attori della nuova stagione politica e antipolitica. Primi: i leghisti. E poi, sindaci, magistrati, giudici, piccoli imprenditori. Il Nord e il Nordest.

La “discesa in campo” di Berlusconi cambia ancora la scena. Impone alla politica le logiche della comunicazione e del marketing. Non solo: le orienta e le controlla, vista la sua posizione dominante nel sistema televisivo. Avanza, così, la “democrazia del pubblico” (come la definisce Bernard Manin). È la “Repubblica dei media” (titolo di un recente saggio di Carlo Marletti, edito da “Il Mulino”). Dove la televisione prende il posto del territorio e della partecipazione. Dove gli elettori divengono spettatori e i partiti si personalizzano. Al servizio di leader che diventano, a loro volta, “attori” e “comparse” di nuovi format. I “salotti” e le trasmissioni di dibattito, che si svolgono in studio. Protagonisti, i conduttori. Floris, Vespa, Santoro, Mentana, Ferrara (e quelli che seguono: Vinci, Gruber, ecc.). Insieme agli uomini politici. Che recitano se stessi. Di fronte a un pubblico limitato di “tifosi”. Riproducono il dibattito politico seguendo le regole della comunicazione. Cioè, si danno sulla voce e si scontrano talora con violenza. Perché in questo modo si alzano gli ascolti. Audience e popolarità politica – questa la convinzione o, forse, la superstizione – coincidono. Per altro verso, i politici si mischiano con personaggi di altri ambienti. Spettacolo, sport, cultura. Mentre gli specialisti della psicologia, della società, della politica e soprattutto i professionisti dei sondaggi fanno da garanti dell’Opinione Pubblica. Così, si realizza un processo di ibridazione, che rende difficile distinguere la politica dallo spettacolo. È la “politica pop” (descritta da Mazzoleni e Sfardini e raccontata per anni, su queste pagine, da Berselli). La “politica immediata”. Senza mediazione, se non quella dei media. Che si svolge sotto gli occhi del pubblico. In tempo reale. Ogni giorno, ogni sera, un salotto, un’arena, un dibattito. Come un reality. Una sorta di “Grande fratello”, dove tutti fingono di comportarsi “come se” non ci fossero le telecamere a osservarli. “Come se” non vi fossero copioni e regie accorte a definire le situazioni.

“Vieni via con me”, programma di Roberto Saviano e Fabio Fazio, segna un ulteriore cambiamento. Anzi, un rovesciamento di modello. Giovanni Minoli ha evocato “la televisione che si mangia la politica”. Definizione efficace, ma parziale. Perché, in questo caso, la televisione è, a sua volta, “usata” da un intellettuale – Saviano – per narrare, in modo critico, i temi tragici e topici del nostro tempo. La criminalità organizzata, l’eutanasia, le connessioni tra malavita e affari, la demonizzazione dell’avversario. È la “tivù come narrazione critica”, interpretata da personaggi del teatro, della società, dello spettacolo e della cultura, della politica. Paolo Rossi e Beppino Englaro, Gianfranco Fini e Antonio Albanese. Roberto Benigni, Pierluigi Bersani e Roberto Maroni. Non recitano se stessi. Recitano e basta. Con un successo di pubblico strabiliante. Oltre 7 milioni la prima puntata, più di 9 la seconda. Il 30% di share, ma circa il 15% della popolazione e il 20% degli elettori. Un risultato favorito dal contributo di componenti in parte nuove e distaccate dalla tivù. O almeno, a questo tipo di programmi. Giovani istruiti, fra 15 e 30 anni, residenti nel Centro-Nord. (Lo ha messo in luce Stefano Balassone su Europa, analizzando i dati dell’Auditel.)

Il che mi induce ad avanzare due considerazioni. O meglio, due ipotesi.
1. Nella società è ormai diffusa l’insofferenza verso la politica come marketing e come spettacolo. Verso il “Grande Fratello politico”. Questo sentimento, tuttavia, come nel passato, si rivela e si sfoga proprio attraverso la televisione. Usa Saviano e Fazio, capaci di allestire una narrazione della società e della politica alternativa a quella dominante. Dove i “politici” recitano come personaggi di una commedia. La “loro” commedia. Al servizio del pubblico. Cioè: la (cosiddetta) società civile.
2. Non sono un critico di televisione (come Antonio Dipollina e Aldo Grasso). Tuttavia, immagino che le logiche della comunicazione – mediatica e politica – imporranno “Vieni via con me” come un nuovo format. Al di là delle polemiche. Le quali, anzi, ne alimentano il successo. In ambito mediatico e politico. (D’altronde le distanze fra i due campi non si vedono). Nove milioni di spettatori, al tempo della “democrazia del pubblico”, possono convincere Maroni – Ministro dell’Interno e leader della Lega – ad accettare le regole imposte da Saviano. Cioè a recitare per lui, alle sue condizioni. E fanno di Saviano un leader d’opinione. Al tempo stesso: mediatico e politico. Nell’ordine che si preferisce. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Il caso “Vieni via con me”: Che Paese meraviglioso è il nostro. Un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando.

Il primo novembre di quest’anno è morto a New York a 82 anni Theodore Sorensen, autore dei più famosi discorsi pronunciati da John Kennedy negli anni alla Casa Bianca. Sorensen è stato il gost-write per eccellenza. Sua una delle più celebri frasi di JFK: “Non chiederti cosa possono fare gli Stati Uniti per te, ma cosa tu puoi fare per gli Stati Uniti”.

Anche dopo aver smesso di lavorare, Sorensen continuò a collaborare con Nelson Mandela e, più recentemente, contribuì alla campagna presidenziale di Barack Obama.

C’è da credere che Sorensen sarebbe inorridito al solo pensiero di scrivere anche una sola parola per Gianfranco Fini. E, probabilmente, sarebbe scoppiato a ridere se qualcuno gli avesse chiesto di scrivere un paio di brillanti battute per Pierluigi Bersani. Infatti, a Gianfranco e a Perluigi ci ha pensato qualcun altro. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che questo qualcun altro sembrerebbe essere uno solo.

Insomma, nel circo mediatico di un Paese senza più idee, dunque anche senza parole, sembrerebbe che un epigono di Sorensen sia stato il gost- writer che ha scritto i due discorsetti: con una mano (destra?) quello di Fini, con una mano (sinistra!?) quello di Bersani. Tutto è successo nell’ormai famoso programma “Vieni via con me”, che ha sbancato gli ascolti per ben due volte consecutive. La cosa è straordinaria. E’ straordinario che un programma televisivo sulla Rai faccia il botto di ascolti.

E’straordinario che questo succeda dopo l’accanita opposizione del direttore generale della Rai. E’straordinario che quel direttore generale della Rai sia il direttore generale di qualsiasi cosa: a uno così si ribellerebbero anche i lacci delle scarpe. Ma la cosa più straordinaria è che il programma televisivo in questione sia targato Endemol, compagnia mondiale specializzata in format televisivi. E’ straordinario che il direttore generale della Rai abbia tentato di sabotare un format Endemol. Perché Endemol è di proprietà di Mediaset. E Mediaset è di proprietà di Berlusconi. Proprio come il direttore generale della Rai.

Ma la cosa straordinariamente straordinaria è che Endemol fa un programma che sbanca gli ascolti, che viene contro-programmato da RaiTre contro il Grande Fratello, che è l’ammiraglia della produzione Endemol. E l’ammiraglia della produzione Endemol ceda il passo al successo di RaiTre contro l’ammiraglia delle reti televisive private, cioè Canale 5. Riassumendo: Endemol fa “Vieni via con me” che da RaiTre batte “Il Grande Fratello” su Canale 5, programma di Endemol. E’ vero che Endemol perde nel mondo nel 2010 circa un miliardo di dollari, come certificano gli analisti di Wall Street. Dunque, tutto fa brodo pur di fare liquidi. In altri termini, il presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana possiede Mediaset, controlla la Rai e a entrambi vende format tv, attraverso la sua società Endemol.

E’ il miracolo dei miracoli: egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’audience. Mentre l’odiata Auditel viene sdoganata come metro di misura del successo di Fazio e Saviano, come se per incanto l’Auditel fosse diventata Santa Romana Chiesa della tv di qualità, i giornali, vittime sacrificali dello strapotere televisivo, certificherebbero grandi elogi al programma: nuovo, libero, fresco. Ma Endemol. Che fa tanto “altissima, purissima, Levissima”.

Che Paese meraviglioso è il nostro: un unico, grande, materno ventre mollo partorisce il tutto e il contrario di tutto, a comando, col telecomando. Cosa avrebbe potuto inventare, a questo proposito, Sorensen, il gost-writer per antonomasia? “Non chiederti cosa possono fare le tv per te, ma cosa tu puoi fare per i programmi tv”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Finanza - Economia - Lavoro Lavoro Media e tecnologia Popoli e politiche

Rejected by Terra, quotidiano ecologista (questo articolo non è uscito su 3Dnews, inserto del quotidiano Terra: è stato respinto perché “troppo generalista”).

Dopo B ci vuole un piano b.

La sera del giorno in cui Berlusconi sarà costretto alle dimissioni e il suo governo cadrà, Bruno Vespa mostrerà in tv il plastico di Palazzo Grazioli, mentre, in segno di lutto, le tv di Mediaset manderanno in onda il monoscopio, con il sottofondo delle canzoni di Apicella.

Il giorno dopo, Libero e il Giornale saranno in edicola listati a lutto. Negli uffici, nelle fabbriche, nel metrò, nei bar e nei ristoranti non si parlerà d’altro. Poi, la vita di questo Paese scorrerà normale, come dopo la pioggia di monetine che costrinse alla fuga dall’Italia il compianto Bettino Craxi.

Si dirà che Berlusconi e il berlusconismo furono la causa di tutti i mali del Paese (xenofobia, precariato, disoccupazione, disoccupazione giovanile, aumento delle imposte regionali, illegalità dei forti, repressione contro i deboli, violazioni Costituzionali, attacco alla Magistratura, attacco alla contrattazione collettiva, criminalizzazione della FIOM, distruzione del welfare, umiliazione della Cultura, licenziamento di massa degli insegnanti della Scuola, evasione fiscale, aumento parossistico della popolazione carceraria, monnezza, manganellate, caste, cosche, mafie bunga bunga, il crollo di Pompei, l’alluvione di Vicenza). Questa tesi sarà sostenuta da Scalfari, Travaglio, Floris, Santoro, Gabbanelli. Ma anche da Fini, e la Marcegaglia di Confindustria, e don Sciortino di Famiglia Cristiana.

Qualcuno proverà a dire che in realtà Berlusconi e il berlusconismo non furono la causa, ma il prodotto (marcio) della crisi profonda dell’economia italiana, della politica italiana, della cultura italiana, dei poteri forti italiani (imprese, clero, corporazioni, banche).

Che la caduta di Berlusconi favorì il cambio dello scenario politico, utile ai Fini, ai Casini, ai Di Pietro, ai Bersani, e perché no, ai Vendola, (e ancora a Marcegaglia di Confindustria e magari anche a don Sciortino di Famiglia Cristiana) per proporre una cambio della compagine di governo, ma non certamente un cambio della visione politica, né delle contraddizioni della crisi della democrazia, della crisi della produzione di merci, della crisi della produzione di idee, della crisi delle relazione tra le classi sociali, della crisi della difesa dell’ambiente, dello sviluppo delle nuove risorse ambientali, della crisi della prefigurazione di nuove e più promettenti prospettive del ruolo della nostra società nel mare magnum della globalizzazione. (vedi: “Il governo Berlusconi è in crisi. Qui non si tratta della crisi di un governo, questa è la crisi di una intera collettività: “Se poi vogliamo guardare “come stanno le cose” oggi, dobbiamo constatare che siamo caduti più degli altri durante la crisi del 2009 e stiamo ora crescendo decisamente meno della Germania, di Francia e della Gran Bretagna.”- su questo sito: https://www.marco-ferri.com/?p=4143).

E allora i nuovi governi, tecnici o politici, le nuove maggioranze parlamentari torneranno a fare i conti con le proteste dei pastori sardi, dei metalmeccanici, dei precari della scuola, dei cassaintegrati, dei cittadini incazzati per la monnezza, dei migranti, degli internati nei centri di prima accoglienza, degli studenti e dei ricercatori, dei nuovi schiavi dei quello che una volta era il lavoro salariato, e che oggi si chiama “flessibilità”; con le proteste dei precari in tutti i settori produttivi, ma anche dei piccoli imprenditori, le cui piccole aziende sanno fare grandi cose, nonostante le banche e gli enti locali (ancorché “federalisti”). (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Popoli e politiche

Chi e cosa hanno incastrato Barack Obama?

Per quanto il pessimo risultato elettorale dei democratici fosse stato ampiamente previsto, la debacle del presidente Obama, a metà del suo mandato alla casa Bianca è stato un colpo per chi all’interno degli Usa e nel resto del mondo aveva creduto in una svolta epocale della politica interna ed estera degli Stati Uniti. La rivincita dei repubblicani non si è fatta attendere, e in soli due anni dalla elezione di Obama hanno messo in campo una forza tale da frantumare il sogno neo kennedyano, incarnato dall’amministrazione Obama.

Il New York Times racconta lo sforzo imponente che in due anni ha portato i repubblicani alla rivincita già nel med term. Nel segno dello slogan: “Obiettivo della minoranza è diventare maggioranza”, i repubblicani hanno messo su in poco tempo una delle più impressionanti campagne degli ultimi cinquant’anni, campagna foraggiata da ingenti quantità di danaro da parte di finanziatori e banchieri capitanati da Karl Rove, ex stratega di George Bush che da solo, come riporta Nbc News, avrebbe “pompato” oltre 38 milioni di dollari in spot denigratori contro i democratici.

A guidare la campagna mediatica Carl Forti che ha saputo utilizzare a favore del partito tutti i punti deboli dei democratici. Quali sono stati i punti deboli dell’amministrazione Obama? Lo ha detto alla Abc, senza mezzi termini, Nency Pelosi, speaker uscente del Congresso, carica equivalente al nostro presidente della Camera: “Se la gente non ha un lavoro, non è interessata a cosa fai per trovarglielo, vuole vedere i risultati”.

Dunque, Obama è stato punito da quella gran parte di elettori che erano andati a votarlo per superare la crisi, e che non vedendo risultati apprezzabili, misurabili nella qualità delle loro vite, hanno deciso di votargli le spalle, anche semplicemente non andando affatto a votare. La disoccupazione negli Usa è oltre il 10 per cento, la classe media soffre della crisi economica, seguita alla grande crisi finanziaria che, nata negli Usa ha poi contagiato tutto il mondo. Quella crisi determinò la fine dell’era Bush. Ma, paradossalmente, quella crisi , diventata poi crisi dell’economia reale determina oggi una pesante sconfitta del consenso elettorale, che penalizza duramente il presidente Obama e la sua amministrazione.

Obama doveva comunicare meglio agli elettori l’attività di governo di questi due anni? E’stato troppo timido nel portare avanti quello che aveva promesso durante la sua strabiliante campagna elettorale? Ha prodotto più mediazioni, più compromessi che fatti concreti, tangibili agli occhi dell’opinione pubblica americana? E’ la possibile spiegazione della sconfitta elettorale dei democratici, che per altro riecheggia nei commenti della stampa in questi giorni.

Ma a ben guardare le cose, c’è da notare qualcosa di più profondo. Ci sono almeno due aspetti: il primo è che senza contenuti genuini e innovatori, la capacità di comunicare rischia di infrangersi contro gli scogli delle realtà. Il secondo aspetto, che è la conseguenza stringente del primo è che il populismo della destra (ma ina certa misura anche quello del centro-sinistra) è la malattia infantile delle democrazie occidentali.

Obama aveva promesso agli americani di uscire dalla crisi. Ma dalla crisi le grandi compagnie, le banche, le holding, le corporation non ci vogliono uscire: l’hanno provocata loro e oggi stanno facendo tali profitti che più dura meglio è. Per questo investono in politica ingenti quantità di denaro per fermare chi, anche timidamente, propone una migliore distribuzione della ricchezza. Non è un caso che i “tea party” sono cominciati contro la riforma sanitaria voluta da Obama. E che l’abolizione o comunque una profonda revisione di questa legge è al primo posto nell’agenda dei repubblicani, nei prossimi due anni dell’amministrazione Obama.

Gli elettori sono uguali in tutto il mondo: sanno partecipare a un sogno collettivo di cambiamento. Ma sono pronti a tornare, ognuno per sé sui propri passi, quando il cambio non si realizza. “Change, yes we can” era lo slogan dell’ascesa di Obama. Che oggi potrebbe essere suonato, nelle menti degli elettori americani: “Cambiamento? No, noi non possiamo permettercelo”. E’successo negli Usa. Ma non è affatto diverso da quello che succede da noi.
Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Il berlusconismo ha fatto perdere tempo all’Italia. Ha fatto perdere la testa alla sinistra. Questa è una lettera scritta il 23 aprile 2008. La sua attualità è la misura del ritardo dell’opposizione al governo Berlusconi.

di MARTINA FERRI
(Martina Ferri ha firmato questo articolo sul quotidiano Liberazione il 23 aprile 2008. Lo pubblichiamo in vista di possibili nuove elezioni politiche in Italia. Ci sembra di un’attualità dirompente, stringente, addirittura lancinante. Dalema, Bersani, Vendola, Di Pietro dovrebbero pensarci un po’ su. Ben sapendo che, come cantava Guccini, “i politici han ben altro a cui pensare”)

Come se il proiettore si fosse spento bruscamente. Come se la realtà virtuale ricreata intorno a noi fosse sparita, lasciando apparire il deserto che ci circonda. Non ci credevamo, ma vederla rappresentata, questa sinistra, ci faceva stare un po’ meglio. Non c’era, lo sapevamo bene, ma accettavamo l’illusione come un leggero calmante.

Ho scritto a Vladimir Luxuria chiedendole un motivo per votare. Nella sua risposta non ho trovato quella motivazione forte, così forte da spingermi ad avere un altro po’ di pazienza e tornare a dare fiducia alla sinistra in parlamento.

Non ho votato, e ora di che mi lamento? Come giustifico politicamente la desolazione che provo nell’immaginare la nuova distribuzione dei colori nelle camere?

Non la giustifico, ma c’è. Mi sento desolata e sconfitta, ma mi sarei sentita così in ogni caso. Tant’è.

Il mio non voto è stato un grido, un grido che voleva scuotere una forza politica che ritenevo il mio unico interlocutore possibile, che però non mi rivolgeva più la parola da molto tempo.

La sinistra non parla con me, non mi conosce, non sa e non si cura di sapere dove vivo, cosa faccio, quali sono i miei problemi e le mie aspirazioni. Come può uno sconosciuto rappresentarmi? Cosa può rappresentare di me, della mia generazione, della mia classe sociale? Può il mio unico scopo essere la conservazione di una rappresentanza di sinistra in parlamento, quando questo avrebbe solo valore formale? Perché io non avverto la sostanza di sinistra nell’arcobaleno.

Umanamente mi dispiace per le persone che si trovano mancare la terra sotto i piedi per questa bastonata sui denti che si chiama trepercento. Ma quando si è lontani dalla realtà, il risveglio fa sempre male. Mi auguro che ci sia questo risveglio, mi auguro che nei prossimi anni si smetta di cercare di interpretare i desideri dell’elettorato (desideri indotti, bisogni immaginati, come l’esigenza di sicurezza), e che si cerchi di comprendere i problemi reali delle persone, interpretandoli ed offrendo una visione possibile del mondo.

Ho bisogno di una forza politica, ma non televisiva, che mi aiuti a spiegare ai miei colleghi di lavoro, alle persone che incontro nel quartiere, sull’autobus, o in fila alla cassa ticket delle asl, che il nostro problema non sono i Rumeni, ma gli affitti alle stelle. Che il problema è il profitto e chi sfrutta in nome del profitto, e non chi si lascia sfruttare perché non ha altra scelta. Che il concetto di clandestinità non ha senso, è scientificamente indifendibile. Che discriminare i gay e le lesbiche è come riprodurre l’apartheid dell’America e di Israele. Ho bisogno di essere appoggiata, di avere una sponda, per non sentirmi emarginata nella mia città. Ho bisogno di una sinistra in parlamento, certo, ma che sia sinistra.

Non c’è più nulla di scontato. L’antifascismo, la solidarietà sostanziale, il lavoro comune per il miglioramento della vita di tutti, il rispetto delle regole che garantiscono la libertà, e la lotta per i diritti che ancora mancano. Le persone con cui ho a che fare mi guardano con gli occhi di fuori quando faccio riferimento a queste cose. L’individualismo di massa ha conquistato ogni spazio lasciato incustodito, il qualunquista è considerato quello che ci ha visto più lungo di tutti.

Ecco, io mi sento così: mi avete lasciato da sola a combattere con il mostro gretto, ignorante e aggressivo. La mia voce è stata lasciata a morire sotto le urla dell’arroganza, della miseria umana, della totale mancanza di coscienza (di classe). E non mi sono sentita aiutata da voi, nella mia militanza quotidiana nell’orrido mondo reale in cui sono costretta a vivere.

Ho visto sempre più fascisti parlare ad alta voce e senza vergogna. Razzisti sproloquiare contro gli immigrati, senza pudore, sull’autobus, nei bar, per la strada. Signore distinte sospirare malinconiche ripensando ai bei tempi del duce. Tutti assolutamente indisturbati facevano a pezzi il mio paese. Mentre io mi azzardavo ad esprimere i miei contenuti, venivo travolta dalla massa di voci più forti, più categoriche, più arroganti. Le voci di quelli che avevano dalla loro parte forze politiche che sdoganavano i più bassi istinti dell’italiano medio.

Mi sono sentita sola, e non ho votato perché volevo che ve ne accorgeste. Vi prego di farlo, adesso. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Tempi duri per gli italiani che vivono, studiano e lavorano all’estero.

“Berlusconi affonda nella volgarità”-La vicenda sulla stampa internazionale
da Londra ENRICO FRANCESCHINI, da Parigi ANAIS GINORI, da Berlino ANDREA TARQUINI-repubblica.it

DALL’AMERICA all’Europa, i media anglosassoni riportano con ampio rilievo la battuta di Silvio Berlusconi 1 sui gay e le reazioni che ha provocato. Ed è da notare il risalto che la notizia assume anche su giornali di orientamento moderato o conservatore, come la tedesca Frankfurter Allgemeine che le dedica una ampia foto in prima pagina. “Questa volta, lo sberleffo si ritorce su Berlusconi”, è anche il titolo di una corrispondenza dall’Italia del New York Times. “Il successo del premier italiano viene attribuito in larga misura alla sua capacità di connettere con la gente, talvolta raccontando barzellette spinte, ma in questo caso la sua abilità lo ha tradito”, scrive Elisabetta Povoledo. La frase pronunciata dal primo ministro, “meglio guardare belle donne che essere gay”, ha suscitato “un’ondata di sdegno e rinnovate richieste di sue dimissioni”, continua l’articolo, citando in particolare le proteste dell’Arcigay e del governatore “gay” della Puglia, Nichi Vendola. “Berlusconi sta attraversando un periodo particolarmente difficile”, osserva il quotidiano newyorchese. “Ha rotto con uno dei suoi alleati chiave e la sua vita personale è diventata materiale da tabloid”.

Anche il Washington Post dedica spazio al caso, notando che “perfino i commentatori di testate sotto il controllo di Berlusconi hanno criticato” il comportamento del leader del Pdl. Il quotidiano della capitale riporta anche i commenti in difesa del premier da parte del ministro Mara Carfagna, secondo cui Berlusconi “non voleva assolutamente offendere né le donne né gli omosessuali”, e del sottosegretario Daniela Santaché, che dice di “stimare i gay” ma osserva: “Tutte le madri sognano di avere figli eterosessuali”.

In Gran Bretagna praticamente tutti i giornali parlano della gaffe del premier sui gay. “Berlusconi cerca di metterla in ridere”, è il titolo del Financial Times sugli ultimi sviluppi della vicenda, “ma il caso della minorenne marocchina 2 potrebbe risultare uno scandalo di troppo”, commenta il più importante quotidiano finanziario europeo. La battuta “omofobica” su donne e gay, continua la corrispondenza da Roma di Guy Dinmore, sembra diretta non solo ai suoi avversari politici ma anche ai suoi alleati del centro-destra, “che secondo fonti ufficiali e indiscrezioni di stampa hanno concluso in privato che Berlusconi è un handicap per il governo e che dovrebbe dimettersi per permettere una ordinata transizione di potere senza convocare nuove elezioni”. In tale scenario, scrive il quotidiano della City, “Berlusconi nominerebbe come primo ministro Gianni Letta o Giulio Tremonti”. In ogni caso, conclude il Financial Times, “il suo destino non sembra più essere nelle sue mani”, bensì in quelle di Umberto Bossi e Gianfranco Fini, che avrebbero il potere di far cadere la coalizione di governo.

“Berlusconi cerca di mettere lo scandalo in ridere con una battuta sui gay” titola il Times di Londra, commentando che tuttavia il suo umorismo “non ha divertito molto”. Il quotidiano di proprietà di Rupert Murdoch nota le proteste dell’ArciGay e di numerosi esponenti del mondo politico e civile, sottolineando che perfino “alleati politici del premier si sono sentiti imbarazzati”, come il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna, che ha ammesso che “certe battute oscurano il buon lavoro fatto dal governo per fare avanzare i diritti degli omosessuali”. Il Times riporta anche la scoperta di nuove indagini “su uso di droga e call-girls a feste nelle residenza private del primo ministro”, alludendo alle rivelazioni di una escort in Sicilia.

In un ampio articolo, illustrato dai poster dell’Italia dei Valori sulla “evoluzione della specie” (“Da Silvio a Papi al Bunga-Bunga”), il Daily Telegraph definisce la battuta di Berlusconi “un insulto anti-omosessuali”. Il Guardian riporta la reazione dell’attrice Julianne Moore, impegnata a presentare al Festival di Roma il suo nuovo film “The kids are all right”, storia di due lesbiche che adottano un bambino, secondo cui la battuta di Berlusconi è “spiacevole, arcaica e scema”. Il Sun, più diffuso tabloid britannico, scrive che la battuta ha messo ulteriormente nei guai il primo ministro, scatenando una vampata di polemiche. E il Daily Express afferma che con le sue parole Berlusconi ha “provocato sdegno” e condanne.

In Germania, dicevamo, al caso è eccezionalmente dedicata prima e l’intera terza pagina della liberalconservatrice Frankfurter Allgemeine, il più influente e autorevole quotidiano di qualità tedesco, dedicate alla “inarrestabile fine dell’èra Berlusconi”. E sulla Sueddeutsche Zeitung, il prestigioso quotidiano di Monaco, un ampio servizio sul Rubygate. Stamane il coverage delle vicende del presidente del Consiglio sui media tedeschi ha fatto un significativo salto di qualità. Segnale apparente del crescente allarme e fastidio dell’establishment della Repubblica federale. La Frankfurter pubblica in prima pagina, con pesante ironia, la foto di una sala con molti monitor. Su tutti appare Berlusconi in diretta. Il quotidiano sottolinea il suo invito a non leggere più i giornali, e ironizza, “peccato, perché la nostra terza pagina di oggi è veramente appassionante”. All’interno un articolo a piena pagina del corrispondente Joerg Bremer. Secondo cui finora Berlusconi si è sempre dimostrato un grande manager delle crisi. “Ora, dicono molti, Berlusconi è stanco”. Possibili sbocchi? Un 8 settembre: una caduta di Berlusconi è possibile se Casini e Fini si alleano con il Pd. Oppure un “24 luglio”, perenne vigilia della crisi. La Sueddeutsche “il premier irrita anche il suo partito con i suoi affaires amorosi e rischia una crisi di governo”. L’articolo mette in evidenza anche la battuta anti-gay, che qui è stata uno shock per il grande pubblico.

In Francia, Libération in prima, a tutta pagina, ha una foto di Berlusconi che ride, con titolo sullo scandalo Ruby. Per Le Parisien quella sugli omosessuali è la frase del giorno. La nuova battuta è tra le notizie più lette sui siti di Le Monde e Nouvel Observateur. Radio Europe 1si chiede: “La fin du regne pour Berlusconi?”. L’olandese De telegraf titola invece “Berlusconi affonda negli scandali e nella volgarità”. Mentre lo spagnolo El Mundo tratta l’argomento raccontando di Julienne Moore, l’attrice che ieri al Festival di Roma ha dato dell’idiota a Berlusconi difendendo la paternità omosessuale. E poi un lungo reportage titolato “Sexo, drogas y dinero en las bunga bunga de Berlusconi”. Il commento sul portoghese Estadao parla di “solita volgarità”, in Belgio il De Morgen dedica a Berlusconi un’intera pagina e pubblica una antologia delle sue boutade più famose. (Beh, buona giornata).

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Contro Berlusconi ci vuole il piano b.

L’ennesimo scandalo che riguarda Berlusconi, ci pone due semplici alternative:
a) Berlusconi e il berlusconismo sono la causa di tutti i mali del Paese (xenofobia, precariato, disoccupazione, disoccupazione giovanile, aumento delle imposte regionali, illegalità dei forti, repressione contro i deboli, violazioni Costituzionali, attacco alla Magistratura, attacco alla contrattazione collettiva, criminalizzazione della FIOM, distruzione del welfare, umiliazione della Cultura, licenziamento di massa degli insegnanti della Scuola, evasione fiscale, aumento parossistico della popolazione carceraria, monnezza, manganellate, caste, cosche, mafie e bunga bunga): in questa ottica scagliarsi contro “il bunga-bunga” è giusto, è possibile. Speriamo che il puzzone cada dal balcone (quello da cui ieri si affacciava Mussolini; quello da cui oggi si affaccia Berlusconi: balconi e televisioni fanno anche rima). E’ la tesi che sostengono Scalfari, Travaglio, Floris, Santoro, Gabbanelli. Un po’ lo fanno anche Fini, e la Marcegaglia di Confindustria, e don Sciortino di Famiglia Cristiana.

b) Berlusconi e il berlusconismo non sono la causa, ma il prodotto (marcio) della crisi profonda dell’economia italiana, della politica italiana, della cultura italiana, dei poteri forti italiani (imprese, clero, corporazioni, banche). E allora, la protesta contro il ” bunga-bunga” è inutile ai fini di un cambio dello scenario. E’ utile ai Fini, ai Casini, ai Di Pietro, ai Bersani, e perché no, ai Vendola, (e ancora a Marcegaglia di Confindustria e magari anche a don Sciortino di Famiglia Cristiana) per proporre una cambio della compagine di governo, ma non, certamente non a un cambio della visione politica, e dunque della prospettiva ontologicamente fattuale delle contraddizioni della crisi della democrazia, della crisi della produzione di merci, della crisi della produzione di idee , della crisi delle relazione tra le classi sociali, della crisi della difesa dell’ambiente, dello sviluppo delle nuove risorse ambientali, della crisi della prefigurazione di nuove e più promettenti prospettive del ruolo della nostra società nel mare magnum della globalizzazione. E’ la tesi che sostengono le proteste dei pastori sardi, dei metalmeccanici, dei precari della scuola, dei cassaintegrati, dei cittadini incazzati per la monnezza, dei migranti, degli internati nei centri di prima accoglienza, degli studenti e dei ricercatori, dei nuovi schiavi dei quello che una volta era il lavoro salariato, e che oggi si chiama “flessibilità”; è la tesi che sostengono le proteste dei precari in tutti i settori produttivi, ma anche dei piccoli imprenditori, le cui piccole aziende fanno grandi cose, nonostante le banche e gli enti locali (ancorché “federalisti”).

Personalmente opto per il piano b. Perché ha una forza creativa tale che nessuna rappresentanza politica è ancora riuscita a portare a valore elettorale. Finché dura farà cultura (del nuovo che avanza contro il “modernismo” controriformatore). Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Lo scandalo bunga-bunga fa il giro del mondo.

di ALESSIA MANFREDI-repubblica.it

“E’ la fine del regno”, scrive Bill Emmott sul Times britannico. Il Rubygate continua a campeggiare sulla stampa estera, che anche oggi registra le ultime sullo scandalo che coinvolge il presidente del Consiglio. “La fine di un regno” è vicina ma secondo l’ex direttore dell’Economist che ora ha una rubrica sul quotidiano inglese, non ci sarà “l’alluvione del caos”. Le accuse “potrebbero essere non vere”, scrive Emmott, ma l’intervento sulla Questura milanese “è un chiaro abuso di potere, potenzialmente un reato penale”. Il dopo Berlusconi “potrebbe non essere bello, come al tempo in cui gli uomini indossavano toghe macchiate di sangue, ma c’è anche una possibilità più edificante: che emerga una nuova generazione e avvii un periodo di riforme. Non potrebbe esserci migliore inizio dell’anno per le celebrazioni dell’Unità d’Italia”.

Il Guardian sposta l’attenzione sul ministro dell’Interno Maroni e la sua difesa dell’operato della polizia, accusata di non aver rispettato le regole, consegnando la diciassettenne ballerina di danza del ventre alla persona delegata da Berlusconi per prenderla in custodia. “Le procedure normali sono state bloccate” scrive il Guardian, ricordando come dopo che Ruby è stata consegnata a Nicole Minetti, che l’aveva in custodia, la ragazza sia finita immediatamente in appartamento con una modella brasiliana, che ha accusato di essere una prostituta. “Dopo un litigio fra le due, Ruby è stata medicata in ospedale per ferite leggere, arrestata una seconda volta e mandata in una casa protetta per minori”.

“Incontrollabile malattia nei rapporti con le donne”: oggi il Telegraph dà conto delle accuse rivolte a Berlusconi da Famiglia Cristiana. La modella, scrive il corrispondente da Roma Nick Squires, dice di aver ricevuto 7000 euro dopo aver partecipato ad una serata a casa di Berlusconi, ma nega di aver mai fatto sesso con il premier. La giovane ballerina di danza del ventre al centro dell’ultimo scandalo sessuale in Italia dice che sta scrivendo un libro, continua la corrispondenza. E’ quasi pronto e “ci sarà un capitolo su Berlusconi”.

“Berlusconi under fire over help for a teen”. Il primo ministro italiano nella bufera per aver aiutato una minorenne, ricostruisce il Wall Street Journal, nella versione europea. Pioggia di critiche sul premier per la telefonata fatta al capo di gabinetto la questura di Milano, in cui Berlusconi ha detto che Ruby era la nipote di Mubarak, “mentre la polizia ha stabilito che era figlia di immigranti marocchini che vivono in Sicilia”. Il caso Ruby, secondo il quotidiano finanziario, rischia di mettere ulteriormente alla prova la tenuta del suo potere, “fattasi sempre più tenue negli ultimi mesi”.

Per l’Huffington Post, dopo l’autodifesa di Silvio Berlusconi sul suo stile di vita, lo scandalo si è allargato. L’opposizione chiede le sue dimissioni se verrà provato che ha commesso un abuso di potere per assicurare la liberazione di Ruby. E l’ultimo scandalo si va a sommare agli altri guai per il premier, tra i richiami della Ue e la crisi dei rifiuti a Napoli.

Di “scandalo permanente” parla il duro editoriale di Le Monde. Secondo il quotidiano francese, che si chiede da quali abissi il presidente del Consiglio sia pronto ad assolvere la sua funzione e quanto tempo ancora i suoi alleati potranno sopportarlo, “Berlusconi si è convinto di essere il miglior interprete dell’animo degli italiani e dei loro vizi, ma la ripetizione degli scandali, giudiziari e sessuali, pone la questione della dignità del presidente del Consiglio”. “Non è solo l’immagine del presidente del Consiglio a risultarne compromessa, ma quella dell’Italia, ridotta poco a poco alla sua caricatura”. “Con il suo tanfo da basso impero – taglia corto Le Monde – la fine del berlusconismo non fa onore alla Penisola”. L’irritazione dell'”impreditoria e della Chiesa, la dissidenza di Gianfranco Fini, il cattivo umore della Lega Nord, riducono sensibilmente le prospettive politiche di Silvio Berlusconi. In assenza di un’opposizione forte e strutturata, è a questi attori che spetta dire ‘stop’ o ‘ancora'”. “Il meglio – conclude il quotidiano – sarebbe che dicano ‘stop’ per salvare l’Italia e ciò che resta della funzione di presidente del Consiglio”.

Ironico, invece, il tono del commento su The Australian, intitolato “il festaiolo non può rinunciare alla dolce vita”: si chiosa su cosa sia esattamente il bunga-bunga, sulla modella marocchina che avrebbe impietosito il capo del governo italiano con la storia del suo difficile passato in Italia e sui regali che avrebbe ricevuto dal premier: una Audi e una collana di diamanti, “proprio quello che ci vuole per un’emigrante in difficoltà”. Alla fine, si conclude, tanto di cappello all’irrefrenabile Berlusconi. “Ma quanto ancora può durare?”

Le cose si complicano per Berlusconi, secondo il quotidiano argentino La Razon, e le conseguenze per il governo potrebbero essere molto pesanti. Il sito di Abc, in Spagna, si focalizza sulle indagini dopo la presunta chiamata in questura di Silvio Berlusconi per far liberare Ruby, mentre la Nueva Espana riferisce che alla Questura di Milano, “a quanto sembra il cavaliere telefonò in persona non una ma due volte”.

Il Rubygate finisce anche su Al Jazeera. Sul sito un servizio video, intitolato: “Pressioni su Berlusconi perché si dimetta”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche Società e costume

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare la politica misteriosamente scomparsa in Italia?

In omaggio alla Festa del Cinema di Roma, e soprattutto in omaggio e solidarietà piena alla protesta sul “red carpet”delle maestranze del cinema italiano contro i tagli alla Cultura, questo articolo titola con la citazione di un famoso film di Ettore Scola:”Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”

In un’epoca in cui si celebrano le gesta del Cavaliere, tanto simpatico e spiritoso da intrattenerci con le sue vecchie e triviali barzellette dal calor razzista, dal sapor sessista, dalla banalità omofoba, e forse dalla demenza senile a proposito di tribù africane che sodomizzano i malcapitati col rito del bunga-bunga, codesta citazione filmica ci sembra, ahinoi!, pertinente.

Tanto più che secondo Emilio Fede, – che con l’impresario Lele Mora è uno dei protagonisti dei fatti giudiziari relativi alla minorenne marocchina, un’ inchiesta penale che potremmo intitolare “l’inchiesta bunga-bunga”- l’ interpretazione autentica della barzelletta del Cavaliere sarebbe che è proprio Sandro Bondi, Ministro della cultura, il bersaglio della protesta dei cineasti italiani, uno dei personaggi della storiella in questione, assieme a Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. Insomma, dopo Gianni e Pinotto, i fratelli De Rege, Stanlio e Ollio , Ric e Gian, (Lele Mora&Fabrizio Corona) abbiamo un’altra coppia comica: Bunga&Bunga.

Il film di Scola ha un finale commovente: la tribù africana insegue fino alla spiaggia lo stregone fuggiasco (Nino Manfredi che, nella parte di Titino, altro non era che un ciarlatano che si faceva credere un potente sciamano), e intona verso la nave che avrebbe riportato Titino in Italia una litania ritmica, che alle orecchie di Titino sembrava suonare: “Titì non ce lascià”. Titino non resisterà allo strazio, e tuffandosi ritornerà a nuoto dalla tribù, unica, vera e genuina sponda affettiva.

Nell’Italia odierna, Silvio Berlusconi, il potente sciamano della politica, della finanza, della tv, della monnezza, del potere è incappato di nuovo in uno scandalo sessuale. Una metafora dell’impotenza affettiva.

Per la gioia della signora Veronica Lario, che dopo l’ennesima rottura delle trattative per raggiungere soddisfacenti accordi economici per il divorzio, conquista una nuova freccia al suo arco.

Per la disperazione della democrazia di un Paese che non sa più se ridere o piangere delle gesta del Cavaliere. E allora, dovremmo tutti insieme intonare una litania propiziatoria, per liberarci di questa noiosa ordalia: “ Cavaliè, te ne vuoi andà”. Gli italiani, grati, ringrazierebbero. Beh, buona giornata,

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Basta con gli sprechi della sanità pubblica: per un pugno sul muso si chiama un’ambulanza, si richiede un ricovero in un ospedale, si occupa un letto al pronto soccorso, si distolgono medici e infermieri per 60 minuti di ricovero.

Daniele Capezzone, portavoce nazionale del Pdl, è stato aggredito a pochi metri dalla sede di via dell’Umiltà da uno sconosciuto, che gli ha sferrato un pugno al viso e poi si è dileguato.

Lo riferisce Gregorio Fontana, deputato del Popolo della libertà tra i primi a soccorrere il collega insieme al coordinatore nazionale, Denis Verdini.

Capezzone è stato portato subito con l’ambulanza all’ospedale Santo Spirito, dove è stato dimesso circa un’ora dopo, conclusi tutti i controlli necessari. Raggiunto telefonicamente, dal portavoce del partito poche parole: “Sono stato aggredito, mi hanno dato un pugno…”.

Un pugno sul muso non è un bel gesto. A Capezzone, che ha preso un cazzottone tutta la comprensione.

Però, se il cerotto se lo fosse andato a comprare in farmacia, magari i soldini glieli prestava Verdini, non avremo sprecato il danaro pubblico dell’ambulanza, del ricovero e della degenza in un ospedale pubblico.

Magari c’era qualcuno che aveva più bisogno di lui di urgenti cure mediche. Magari, c’era qualcuno meno famoso, ma più bisognoso di urgenti attenzioni mass madiatiche. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia

Fenomeni paraculi: se è tutto regolare, Berlusconi spieghi perché il suo avvocato Ghedini si è preoccupato per una trasmissione tv sulle sue proprietà immobiliari nell’Isola di Antigua.

Berlusconi, “Operazione Antigua”-Le ville e quegli affari off-shore-Milano, Lugano, Caraibi: triangolo da 20 milioni, passati attraverso la Banca Arner. Ignorate le norme antiriciclaggio: L’istituto di credito svizzero è al centro di un’inchiesta delle procure di MIlano e Palermo, di WALTER GALBIATI-repubblica.it

È il 20 settembre 2007 quando al Land register di Saint John, la capitale di Antigua, si presenta il signor Silvio Berlusconi. Con una riga il funzionario di turno cancella dal registro la società Flat Point e trasferisce la proprietà di un terreno di poco più di quattro acri all’illustre cittadino italiano. L’appezzamento si trova dalla parte opposta dell’isola. È una porzione di collina che scende fino al mare dove si apre una spiaggia di sabbia bianca, finissima. Gli abitanti di Willikies, un paesino che sorge lì vicino, la chiamano Pastrum, perché lì portavano a pascolare i loro animali. Non ne mancano nemmeno di selvatici, soprattutto scimmie. Da almeno quindici anni quei posti sono recintati. “È da molto tempo che questa costa è al centro di un progetto immobiliare, ma i lavori sono iniziati solo negli ultimi anni” spiega Hugenes, un pescatore del luogo. La baia si chiama Nonsuch Bay e va da un lembo di terra che quasi tocca la vicina Green Island, un paradiso meta delle gite dei turisti, a Flat Point, una punta piatta coperta da vegetazione caraibica. E Flat Point Devolopment Limited si chiama la società che si è presa in carico i terreni con l’obiettivo di sviluppare un imponente progetto turistico. Qui sorgerà, e in parte è già nato, l’Emerald Cove, un resort che nel nome riecheggia la nostra Costa Smeralda, il tratto di Sardegna, patria dei vip, e disegnata in gran parte dall’architetto Gianni Gamondi, l’architetto di Villa Certosa, la residenza sarda di Silvio Berlusconi, lo stesso architetto che curerà lo sviluppo per Flat Point.

Qualche tempo fa, era stato il gruppo Maltauro, una famiglia di costruttori vicentini a mettere gli occhi su Nonsuch Bay, ma non se ne fece mai nulla. Poi improvvisamente è arrivata la Flat Point, nel 2005 la macchina si è messa in moto, le pratiche si sono sbloccate e le case sono iniziate a crescere come funghi, una dietro l’altra, l’obiettivo è arrivare ad averne un centinaio. I reali beneficiari economici, tuttavia, si celano dietro una ragnatela di società schermate, una cortina offshore, che forse qui nel paradiso fiscale di Antigua non appare certo tanto esotica, ma che diventa tale in Italia, dove la società raccoglie la maggior parte dei suoi capitali. La sede della Flat Point è al 26 di Cross Street a St. John, il capitale è interamente controllato dalla Emerald Cove Engineering Nv, una società di Curacao (nelle Antille Olandesi, poste poco più a Nord di Antigua), a sua volta controllata dalla Kappomar sempre di Curacao. L’amministratore della Flat Point è Giuseppe Cappanera, mentre i fiduciari delle holding sono Carlo Postizzi, Giuseppe Poggioli e Flavio De Paulis. I primi sono rispettivamente un avvocato e un fiduciario che si muovono tra la Svizzera e l’Italia, mentre il terzo è un dipendente di Banca Arner. Di chi facciano gli interessi è un mistero, ma il coinvolgimento della banca elvetica, già commissariata e al centro di un inchiesta per riciclaggio delle procure di Milano e Palermo, getta qualche spiraglio di luce almeno su chi abbia convogliato del gran denaro verso la Flat Point.

Dal bilancio 2005 della società, emerge che Banca Arner ha finanziato per 6 milioni di dollari caraibici (circa 1,6 milioni di euro al cambio attuale) l’operazione sulla costa di Nonsuch Bay, ma il principale sponsor della scatola offshore sembra essere, come ricostruito da Banca d’Italia, il premier Silvio Berlusconi, da sempre legato a Banca Arner, non solo attraverso uno dei suoi storici fondatori Paolo Del Bue, ma anche per i suoi depositi nella sede di Corso Venezia a Milano: il conto numero uno è suo, mentre altri fanno capo alle holding della sua famiglia (per un totale di 50 milioni di euro) o a uomini del suo entourage.
Dai conti personali di Berlusconi accesi presso Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena sono partiti ingenti bonifici verso un conto di Flat Point aperto proprio presso la sede milanese di Banca Arner, la quale a sua volta ha girato gli stessi corrispettivi alla sede di Lugano. Oltre 1,7 milioni nel 2005, altri 300mila nel 2006, ma è nel 2007, l’anno in cui avviene il passaggio di proprietà del terreno di Nonsuch Bay che i movimenti di denaro salgono alle stelle. In tutto oltre 13 milioni di euro: a ridosso del 20 settembre, la data dell’atto del Land register, esattamente il 10 di quel mese, passano da Milano a Lugano 1,7 milioni di euro e un mese dopo altri 3,6 milioni. Nel 2008 ancora più di 6 milioni prendono il volo per la Svizzera. Un mare di soldi che si muovono, però, senza una corrispondenza tra le somme scritte nei contratti ufficiali depositati dalla Flat Point in banca e i bonifici. Gli importi appaiono molto elevati rispetto a quanto vi è di ufficiale. Nel bilancio della Flat Point i 29 acri di terreno su cui sorge lo sviluppo immobiliare sono stati iscritti per un valore di 2,7 milioni di dollari caraibici (poco più di 700mila euro), così come attestato dalla perizia del 2004 di Oliver F. G. Davis, un esperto immobiliare. Molto meno di quanto versato dai conti del premier. Berlusconi da solo muove oltre 20 milioni di euro e dai registri risulta aver acquistato solo 4 acri di terreno.

Rimane ambiguo anche il motivo per cui l’istituto elvetico abbia fatto passare quei soldi da Milano a Lugano senza bollare come sospetto il traffico di valuta. La normativa antiriciclaggio di Banca di Italia impone di segnalare i movimenti di denaro verso l’estero, soprattutto verso i Paesi offshore come la Svizzera, ma Banca Arner non se ne è mai curata. Di certo, però, ad Antigua i soldi in qualche modo devono essere arrivati, visto che le ville ci sono. Quella di Silvio Berlusconi spunta in cima alla collina, i pescatori la chiamano “il Castello” per la sua imponenza e per come domina dall’alto la zona. A fianco si trova quella di Andrij Shevchenko, l’ex calciatore del Milan e pupillo del premier. Poco più in là sorge quella di Lester Bird, l’ex primo ministro di Antigua, in carica fino al 2004, citato l’anno successivo in una causa legale per aver svenduto dei terreni dello Stato a dei gruppi privati. Al suo successore, Baldwin Spencer, Berlusconi aveva promesso di impegnarsi personalmente per aiutare la piccola isola caraibica a ridurre il debito internazionale. (Beh, buona giornata).

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Fenomeni paranormali: l’avvocato di Berlusconi protesta per una trasmissione televisiva non ancora andata in onda.

Niccolò Ghedini, deputato Pdl e legale del premier Berlusconi definisce “insussistenti e diffamatorie” le notizie su cui è costruita la puntata in un programma televisivo sull’acquisto di immobili ad Antigua da parte del presidente del Consiglio, Berlusconi. Il programma tv si chiama Report, diretto da Milena Gabbanelli. Il fenomeno paranormale è che la trasmissione televisiva non è ancora andata in onda.

Due domande: come fa il Ghedini a sapere di cosa si parla in un programma non ancora andato in onda? C’è un intelligence che fa vedere a lui, prima della messa in onda i programmi televisivi “sensibili” per la reputazione del suo cliente (Berlusconi Silvio)? Beh, buona giornata.

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La manifestazione della Fiom: da piazza San Giovanni verso lo sciopero generale, per un’Italia migliore di come la tv vorrebbe ancora rappresentarla.

La politica è una pagliacciata, ma l’Italia no. La personalizzazione della politica ha condotto diritti dentro la sua spettacolarizzazione. Così ridotta, la politica italiana va in scena ogni giorno, a grande richiesta dei palinsesti televisivi. E’ assolutamente farsesco che più i partiti sono scollati dalla realtà sociale del Paese, più si moltiplicano i talk show del cosiddetto approfondimento politico. C’è per tutti i gusti, spesso privi del buon gusto.

Ilva Diamanti scriveva giorni fa su Repubblica a proposito della tv dell’ansia, nella quale si fanno processi sommari in un salotto televisivo, si emettono sentenze in diretta, si dà la caccia ai colpevoli, comodamente seduti sulla poltrona di casa, col telecomando in mano: è successo col delitto di Cogne, fino a quello della povera Sarah. E’ sotto gli occhi di tutti, però che questo modo frettoloso e ciarliero di affrontare i problemi politici, economici e sociali, avendo come pulpito uno studio televisivo, non ha affatto portato bene al Paese.

La tele predicazione ha spostato consensi elettorali verso proposte spesso aberranti: xenofobia, sessismo, intolleranza, un ritorno dura al classismo hanno contrassegnato il dibattito politico dei nostri talk show. Col risultato, non solo di avvelenare i pozzi della coscienza collettiva, ma di fare del politicamente scorretto la misura del talento degli invitati. Colpi bassi, palesi falsificazioni, sicumera, continue provocazioni verbali sono gli ingrediente dei programmi tv.

I clown della politica italiana devono stupire, invece che convincere. Devono altercare, invece che ragionare. Devono insultare, invece che dialogare. E’ un cattivo costume indotto dalla personalizzazione fattasi spettacolarizzazione? Non solo. E’ una tecnica: ti concedo l’arena su cui sbranare l’avversario perché così tiro su l’audience. Contemporaneamente, ti concedo senza remore notorietà personale, utile per essere candidati, non solo in Parlamento, ma anche a qualche gustosa carica pubblica. Ecco allora che il confronto democratico fra schieramenti, la battaglie delle idee diventano un mero artificio spettacolare, per influire sui dati di ascolto, ma anche sui sondaggi di opinione.

E i problemi irrisolti del Paese? Quelli, come le stelle, stanno a guardare. E’ invalsa nel Paese la sensazione di un diffuso disimpegno da parte della stragrande maggioranza dei cittadini della Repubblica. Diciamo subito che questo è falso.

Dai pastori sardi, agli operai di Pomigliano, dagli studenti ai precari, dagli uomini e le donne del mondo della cultura e dello spettacolo, dai lavoratori stranieri e dei loro figli alle piccole imprese strangolate dalla crisi economica l’Italia vera c’è e si fa sentire: protesta, propone, immagina un Paese diverso da quello farsesco, che va in replica tutte le sere su tutte le tv. Il mainstream fatica a tenere fuori queste migliaia di persone impegnate nella difesa dei loro diritti. Ogni tanto le telecamere si occupano del Paese reale, e quei servizi vengono poi annegati di chiacchiere e interruzioni pubblicitarie. Forse succederà anche oggi, 16 per la manifestazione a favore della Fiom. Ciò che è importante, però, è che l’Italia migliore dei clown che vorrebbero rappresentarla c’è e si fa sentire, alla faccia dei palinsesti televisivi. (Beh, buona giornata).

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Il prossimo 16 ottobre il mondo del lavoro si ribella. E il mondo della cultura e della comunicazione potrebbero riscoprire che ribellarsi è giusto, ribellarsi è possibile.

di Marco Ferri-3dnews, inserto settimanale del quotidiano Terra.

Se agli intellettuali di questo nostro Paese torna in mente la classe operaia, vuol dire che siamo a una svolta epocale.

Il prossimo 16 Ottobre 2010 forse non sarà il 5 marzo del 1943, quando gli operai del Nord fecero sciopero, decretando storicamente, di fatto l’inizio della fine del Fascismo.
Però lo schieramento odierno di molte personalità di scienza e di cultura al fianco degli operai assume, nell’Italia di oggi, un’importanza straordinaria.

Tuttavia, potrebbe esserci qualcosa di più: la rinnovata saldatura sociale tra gli operai, la società civile, gli intellettuali, gli studenti e chi più ne ha più ne metta è un notizia che fa bene all’animo democratico di un Paese che troppe angherie ha dovuto subire.

Fosse anche per un giorno solo, il 16 ottobre, appunto, il desiderio razionale di un cambiamento dei rapporti di produzione potrebbe significare la voglia di rovesciare non solo una compagine di governo, ma prefigurare una prospettiva completamente nuova della società italiana

Comunque, qui non si tratta più di dare scampoli di visibilità mediatica al lavoro e alle sue sofferenze; qui non si tratta più di mandare qualche telecamera sul tetto di una fabbrica, su cui, per farsi vedere dall’opinione pubblica sono saliti operai ingiustamente perseguitati da questa o quella azienda; qui non si tratta più dare conto, tra un gossip e l’altro, di operai che crepano, come mosche sul loro posto di lavoro.

Qui si tratta di rompere i recinti del mainstream: le contraddizioni tra capitale e lavoro non sono gestibili con un politica compassionevole. La verità, nuda e cruda è che siamo di fronte a una specie di moderna soluzione finale: elimina i lavoratori, così elimini il lavoro.

Il prossimo 16 ottobre il mondo del lavoro si ribella. E il mondo della cultura e della comunicazione potrebbero riscoprire che ribellarsi è giusto, ribellarsi è possibile.
Beh, buona giornata.

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Camilleri: tutti in piazza con gli operai il 16 ottobre.

da MICROMEGA
Andrea Camilleri: “Mi appello a tutti gli italiani di buona volontà, perché ce ne sono tanti: che si sveglino, che scendano in piazza con noi il 16 ottobre. La Fiom sta difendendo i diritti dei lavoratori e la dignità del lavoro. Con i diktat del modello Pomigliano Marchionne dà un cospicuo contributo al mutamento della democrazia italiana in una dittatura strisciante. Oggi, chi non osa minimamente dire il proprio pensiero insieme agli altri, finisce per dare una mano a questo governo”. Beh, buona giornata.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/video-appello-di-andrea-camilleri-tutti-in-piazza-con-la-fiom-il-16-ottobre/

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Colpo Grosso: Paolo Romani ministro dello Sviluppo. Esulterebbe Maurizia Paradiso, se sapesse che Magic America è più importante di Magic Italia.

IL CASO-Sviluppo, Romani giura da ministro
Il premier lascia l’interim dopo 5 mesi-Dopo 153 giorni Berlusconi si decide alla nomina, dopo le ripetute pressioni del Colle e le lamentele degli industriali. Ma il dicastero è stato smembrato. Il gelo di Napolitano durante la cerimonia
di MATTEO TONELLI-repubblica.it

Stavolta è vero. Silvio Berlusconi ha nominato il nuovo ministro dello Sviluppo. Dopo 153 giorni di interim e vane promesse, il Cavaliere e Paolo Romani, attuale viceministro alle Comunicazioni, sono saliti al Quirinale per il giuramento. Un giuramento svoltosi nel gelo del rapporto fra premier e capo dello Stato. Le formalità, ridotte all’essenziale, sono durate pochi minuti, il tempo di leggere la formula del giuramento. Berlusconi si è presentato puntuale e ha atteso in piedi insieme a Gianni Letta ed al candidato ministro. Tutte spie, si ragiona in ambienti parlamentari dei dubbi del Capo dello Stato su questa nomina ma anche della presa di distanza del Colle dalle ultime esternazioni del Cavaliere, comprese quelle sulla magistratura. Il presidente della Repubblica è arrivato cinque minuti dopo, si è scusato per il ritardo e ha invitato a procedere senz’altro. Poi ha stretto la mano al neo-ministro, gli ha augurato “buon lavoro”, ha salutato Berlusconi e lo ha congedato.

Si chiude così una vicenda che si è trascinata per cinque mesi, portandosi dietro uno strascico velenoso di polemiche e problemi irrisolti. Per 153 giorni, infatti, la poltrona lasciata vacante dopo l’addio traumatico di Claudio Scajola, 1 è stata “occupata” dal premier. Lo stesso che, ciclicamente, davanti alle continue sollecitazioni, rispondeva spostando in avanti l’orizzonte temporale della scelta. “La prossima settimana avrete la nomina” è stato il ritornello ripetuto più volte nonostante le sollecitazioni del Colle, degli industriali e delle opposizioni. 2

Eppure all’inizio sembrava una questione destinata a chiudersi in breve tempo. Dopo le dimissioni di Scajola il Cavaliere dava l’impressione di voler chiudere la partita alla svelta. Anche perché la crisi economica assegnava (e assegna) un ruolo più che attivo allo Sviluppo. E così il 4 maggio maggio il premier assicura: “L’interim sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo. È un incarico diciamo così, tecnico. Durerà giorni”. Ma la partita si complica rapidamente e diventa una partita che il premier fa fatica a sbrogliare. Meglio, allora, far passare del tempo. Ma quel vuoto di potere, nonostante le continua assicurazioni del Cavaliere sulla sua assoluta capacità di occuparsi del dicastero, si nota eccome. Lo nota Giorgio Napolitano, che più di una volta ne segnala l’urgenza. Lo nota l’opposizione che accusa il governo di disinteressarsi di un ruolo centrale in un momento di crisi economica. E lo notano anche gli industriali, che di un ministro del genere hanno bisogno come il pane.

Dopo l’interim il premier riceve una serie di “no grazie” di peso. Il primo è quello del presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo. Il secondo tentativo è ancor più plateale. Il 27 maggio, all’assemblea annuale della Confindustria, il premier, dal palco, si lascia andare: “Volete che Emma Marcegaglia diventi ministro?”. La risposta è il gelo della sala e l’imbarazzo del presidente. Uno schiaffo per il premier che replica stizzito: “Allora non potete lamentarvi..”. Passa il tempo e la poltrona restra vacante. Anche perché sfuma il tentativo (informale) di piazzarci il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Dopo due industriali e un sindacalista, Berlusconi pensa bene di fare una nomina ministeriale. Non quella delle Attività produttive, però. Bensì quella di Aldo Brancher, ministro per l’Attuazione del federalismo (che sarà costretto a lasciare sull’onda delle polemiche per i suoi processi in corso).

Si va avanti così. Con le tensioni sociali che crescono e le situazioni di difficoltà che si moltiplicano. Ci vorrebbe un referente nel governo. Ma non c’è. Scoppia il caso Pomigliano, protestano i minatori del Sulcis. ma Berlusconi non molla l’interim. Repubblica decide di far partire un contatore dei giorni senza ministro. Le opposizioni si scuotono. L’Idv scrive a Napolitano che non manca di far sentire la sua voce. «L’istituzione governo non può ormai sottrarsi a decisioni dovute, come quella della nomina del titolare del ministero dello Sviluppo Economico e del presidente di un importante organo di sorveglianza come la Consob…» dice il capo dello Stato.

Poche ore dopo Berlusconi prova a correre ai ripari. E ripete: “La prossima settimana procederemo alla nomina del nuovo ministro per lo Sviluppo Economico…”. Sembra fatta. Ma non è così. Agosto si apre senza il ministro 3. Le opposizioni insorgono e dal Colle trapela una noteva irritazione. Comincia a circolare il nome di Paolo Romani, attuale viceministro delle Comunicazioni, un passato nelle aziende del Cavaliere. Ma i suoi legami con l’editoria (che lui circoscrive al passato) gli mettono il piombo sulle ali.

Passa l’estate e i contrasti con i finiani esplodono. Le indiscrezioni dicono che dietro allo stallo ci sia l’intenzione del premier di “calmare” i fedelissimi del presidente della Camera affidando il dicastero ad un loro uomo. Vero o falso che sia, non se ne fa nulla. Persino il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti è costretto ad ammettere 4: “Serve un ministro”. L’ad della Fiat, Sergio Marchionne, è lapidario: “Il ministro? Lo aspettiamo anche noi”.

Si arriva così al voto di fiducia per il governo. Berlusconi la ottiene e torna a promettere: “Lunedì avrete il nuovo ministro”. 5Stavolta è vero. Dopo 154 giorni è fumata bianca. Sul tavolo Romani troverà il dossier nuclare, la legge sulla concorrenza, quella sul made in Italy e le tante crisi aziendali ancora aperte. E risentirà le parole di Berlusconi che, in Senato, rivendicava l’ottimo lavoro fatto. Sarà, ma in questi mesi il ministero è stato, silenziosamente, smembrato: la manovra 2011 gli ha sottratto 900 milioni di fondi di dotazione, i fondi Ue e Fas sono stati trasferiti al ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, i circa 800 milioni di fondi per il turismo sono passati direttamente sotto la gestione di Michela Vittoria Brambilla, l’Istituto per la Promozione Industriale è stato soppresso. Colpi di scure che fanno dire al segretario del Pd Pier Luigi Bersani, “che dopo aver cercato per tanto tempo un ministro, adesso si corre il rischio di non trovare più il ministero”.

(04 ottobre 2010) © Riproduzione riservata (Beh, buona giornata).

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I sei spazzini londinesi e il giornalismo-spazzatura.

di Gennaro Carotenuto
Fonte: www.gennarocarotenuto.it.

La vicenda dei sei spazzini nordafricani che si sono presi un grosso spavento a Londra, brevemente arrestati e poi rilasciati con tante scuse, non ha fatto il giro del mondo per manifesta inconsistenza (la BBC ha parlato al massimo di “possibile minaccia”, altro che piani omicidi), ma ha messo sull’attenti con poche eccezioni, Avvenire, Osservatore Romano, Manifesto, l’intera stampa italiana. E’ l’ennesimo caso da studiare di pressapochismo, manipolazione e uso strumentale delle (false) notizie per fomentare paura, odio e razzismo.

“Erano pronti a colpire il papa” titola a tutta pagina il più autorevole (sic) quotidiano italiano, il Corriere della Sera, che millanta addirittura l’esistenza di una “cellula” della quale nessuna fonte ufficiale britannica ha mai parlato. “Volevano uccidere il Papa” fa eco il Messaggero, il più venduto quotidiano regionale della capitale, inventando totalmente la scoperta di un piano omicida. E’ lo stesso virgolettato che troviamo anche sulla prima del Giornale. Dov’è questo piano? In quale dichiarazione di Scotland Yard si parla di un piano omicida?

Sui nostri giornali il titolo sul falso attentato al Papa compete solo con la morte del soldato delle truppe speciali in Afghanistan Alessandro Romani. A dire il vero la storia sulla “Task Force 45” (i corpi d’elite del nostro esercito alle dirette dipendenze della NATO usati in azioni di eliminazioni di nemici) alla quale apparteneva il Rambo caduto, sarebbe una vera notizia che aprirebbe l’ennesimo dibattito sull’ipocrisia retorica della “missione di pace”. I giornali lo sanno e scelgono di bucare la notizia.

Anche chi sceglie di aprire su Romani pubblica la notizia sui falsi attentati in grande evidenza: “Volevano assassinare il Papa. I fermati sono islamici” sparacchia Repubblica. Praticamente uguale il titolo della Stampa con quella parola ISLAMICI strillata con un corpo enorme e che campeggia anche sul Resto del Carlino. Libero mette la cosa in taglio basso (si sa che Elisabetta Tulliani è il sogno erotico di Maurizio Belpietro) ma specula: “Volevano ammazzare il Papa. Ci riproveranno”. WWWWW? Chi? Cosa? Quando? Dove? Perché? Sai qualcosa? E’ un tuo pregiudizio? O stai semplicemente diffamando? Islamici, islamici, islamici, il pericolo islamico rappresentato perfino da una mamma velata che va a prendere i figli a scuola.

Quindi i più grandi giornali italiani, ovvero i più grandi veicoli di razzismo, allarme sicurezza e islamofobia, hanno coscientemente deciso di non fare opportune verifiche e, trattandosi di papa da santificare e musulmani da demonizzare, pur nell’assoluta mancanza di qualunque fatto concreto e, nonostante abbiano avuto tutto il giorno per pensarci, hanno infine deciso di sparare la notizia infondata in prima pagina, quasi sempre in apertura. Non solo: hanno inventato di sana pianta dettagli per rendere il falso più clamoroso.

Eppure fin dall’inizio la notizia era sembrata scarsamente fondata, figlia di quegli elevatissimi standard di sicurezza nella Londra colpita davvero dal terrorismo di matrice islamista nel 2005 e che portarono all’assassinio del cittadino brasiliano Jean Charles de Menezes crivellato di colpi perché aveva carnagione scusa e fretta di prendere la metropolitana.

I sei avevano fatto qualche battuta ad alta voce al pub (troppa birra, la bevanda preferita dei talebani?), erano stati ascoltati e la polizia londinese aveva preferito levarli di torno per qualche ora. Già al TG7 di venerdì sera Enrico Mentana sottolineava come la cosa fosse destinata a rivelarsi infondata, senza armi, senza piani, senza niente. Volete che quello che sapeva Enrico Mentana alle otto di sera non fosse noto alla chiusura, varie ore più tardi, ai direttori dei grandi giornali, ai Ferruccio de Bortoli o agli Ezio Mauro?

La cosa notevole, e che rende ancora più basso il comportamento dei grandi giornali è che proprio i quotidiani cattolici, l’Avvenire, l’Osservatore romano pur aprendo sul viaggio del pontefice, hanno dato un rilievo minimo alla cosa. Evidentemente sapevano (come gli altri) che la notizia era una bufala, sapevano che non c’è bisogno di riverire in questa squallida forma il papa e sapevano e sanno che è infame pescare nel fango di una notizia falsa per rilanciare ancora più odio antislamico. Adesso i sei cittadini nordafricani dovrebbero chiedere di rettificare e il Corriere, se fosse un giornale serio, dovrebbe titolare a tutta pagina: “la cellula islamica era nella nostra testa malata di odio”.

Scotland Yard, nello scusarsi con i sei spazzini, ha parlato di “minaccia non credibile”. Anche i nostri giornali sono “non credibili”. Ma sono “una minaccia”. (Beh. buona giornata).

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